A proposito di Laura Conti, “Discorso sulla caccia. Dove si parla anche di evoluzione, antropogenesi, anatomia femminile, agricoltura. Di coccolamenti durati milioni di anni. Di primati, gatte e lupi. Della dubbia compatibilità tra uomo e pianeta Terra. Di possibili catastrofi. E dei rischi di facili rimedi”, seconda edizione, Milano, Altreconomia Edizioni

L’opera di Laura Conti e il suo fondamentale contributo allo sviluppo e alla disseminazione di una cultura dell’ecologia scientifica e politica in Italia sono negli ultimi anni al centro di un rinnovato interesse che ha portato alla ripubblicazione di alcuni dei suoi principali saggi e romanzi, anche in versioni rimaste fino ad oggi inedite. È questo il caso di Discorso sulla caccia, originariamente pubblicato da Editori Riuniti nel 1992, e di cui Altraeconomia pubblica la seconda edizione. Laura Conti terminò la revisione del testo nel febbraio del 1993, ovvero un anno dopo l’approvazione della legge 157/92 riguardante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, comunemente nota come “legge sulla caccia”. La morte della Conti nel maggio 1993 portò la casa editrice Editori Riuniti ad abbandonare il progetto di riedizione1.

Il testo rivisto di Discorso sulla caccia è arricchito dalla prefazione di Luca Giunti, guardiaparco delle aree protette delle Alpi Cozie, autore a sua volta di un libro di grande interesse sul tema del ritorno del lupo2. La sua prefazione è a doppio titolo rilevante, innanzitutto perché offre al lettore una guida introduttiva per situare il ragionamento che la Conti sviluppa in questo breve saggio nel contesto attuale di dibattito sul rapporto tra caccia ed ecologia, con il recupero spesso in funzione strategica del tema ecologico da parte delle associazioni venatorie.

Il testo di Giunti fa il punto sulle gravi responsabilità della caccia contemporanea in Italia nell’accrescere gli squilibri legati al proliferare di fauna selvatica. Dopo aver contribuito a “desertificare il panorama della selvaggina” le principali associazioni venatorie hanno fatto pressioni perché fossero acquistati all’estero e poi distribuiti in Italia cervi, caprioli, cinghiali “che hanno proliferato allegramente” (p.13). Proprio il caso dei cinghiali mostra come la pratica venatoria di abbattere molti adulti e pochi giovani abbia indotto una riproduzione sempre più precoce e contribuito a destrutturare le famiglie “favorendo la dispersione dei subadulti in aree sempre più vaste” (p.13). Ignoranza delle dinamiche ecologiche e dell’etologia, mescolata a pregiudizi che l’autore definisce “maschiocentrici”, impediscono così ai praticanti della caccia di riconoscere che i cinghiali sono “soggetti senzienti, strutturati in gruppi familiari allargati, complessi almeno quanto i nostri, guidati da matriarche esperte e intelligenti” (p.14).

Nello stile di Giunti risuona lo stile contiano. Giunti non ha direttamente conosciuto Laura Conti ma ne è stato un lettore, ammirandone la straordinaria capacità comunicativa che si traduceva nell’arte di trovare esemplificazioni accessibili e insieme illuminanti, come quella che “se il mondo fosse raccontato dalle piante il ruolo dei Sapiens sarebbe relegato a concentratori di azoto attraverso l’urina”. Una provocazione che, scrive Giunti, lo “ha folgorato a vent’anni” accompagnandolo poi in tutta la sua carriera nel mondo dei parchi naturali (p.18). Una testimonianza, quella di Giunti, che indirettamente conferma la potenza della scrittura di Laura Conti nel favorire il “decentramento” dello sguardo troppo spesso antropocentrico sull’ambiente.

La prefazione di Giunti è importante anche per un’altra ragione. Giunti contestualizza il saggio di Laura Conti nel suo tempo, ovvero i primi anni Novanta. Nell’illustrarne le tesi di fondo, Giunti sottolinea il carattere precursore del ragionamento della Conti rispetto a tematiche e dibattiti che oggi sono riconosciuti come cruciali, ma che all’epoca erano agli albori. È il caso del tema dell’impatto dell’agricoltura sull’effetto serra. Giunti contribuisce, così, a riabilitare Discorso sulla caccia, che è il testo forse meno popolare della Conti; un testo che ha contribuito alla sua doppia emarginazione, in seno a Legambiente e nel rapporto con le associazioni ambientaliste.

Discorso sulla caccia nasce come un memoriale, un po’ come era stato Visto da Seveso, il saggio pubblicato da Feltrinelli nel 1977 in cui la Conti racconta la sua esperienza del disastro della diossina da consigliera regionale del PCI. In Discorso sulla caccia Laura Conti racconta la sua esperienza di parlamentare, eletta sempre nelle liste del PCI (poi PDS) nelle elezioni politiche del giugno 1987 (la X legislatura) che videro per la prima volta entrare in Parlamento dei rappresentati delle liste Verdi.

Da parlamentare del PCI, Laura Conti fu impegnata, come anche Enzo Tiezzi, nei lavori della commissione Agricoltura, e non nella commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici. Una collocazione che non dovrebbe stupire, una volta considerata la centralità che Laura Conti attribuiva alla trasformazione dell’agricoltura come leva di una più generale riconfigurazione del fabbisogno energetico, di una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e come misura per così dire infrastrutturale di cura del territorio.

Da parlamentare, Laura Conti si trovò impegnata nei dibattiti sulla questione delle aree protette e della caccia. Si interessò, inoltre, anche di agricoltura biologica e di pesticidi. Nel 1990, infatti, furono indetti tre referendum abrogativi, due sulla caccia (disciplina sulla caccia; accesso dei cacciatori a fondi privati) e uno sull’uso dei pesticidi, che ne voleva vincolare l’impiego a criteri medico-scientifici e non a decisioni discrezionali del Ministero della Sanità. Per la prima volta nella storia repubblicana, tuttavia, i referendum non raggiunsero il quorum.

Discorso sulla caccia racconta i retroscena di questa fallimentare campagna referendaria, in particolare le vicende relative al referendum sulla caccia. Laura Conti cerca di chiarire le ragioni di fondo del suo posizionamento a favore di una regolamentazione della caccia, e non della sua abolizione. Al tempo stesso, attraverso l’esempio del dibattito sulla caccia, mette in luce quelli che le sembravano i rischi di un ambientalismo che faceva dell’ecologia una questione morale più che una problematica di progettazione da affrontare con solide basi scientifiche.

Per dare un’idea di come il saggio fu accolto all’epoca della sua pubblicazione, mi sembra utile riportare un estratto della recensione che Giorgio Celli pubblicò su La Repubblica3:

Laura Conti è un’affascinante signora, dai capelli candidi, che si occupava già dei problemi dell’ ambiente prima dell’avvento dei Verdi, e che ha sempre unito a una cote scientifica di prim’ordine, il gusto per il paradosso, e la vocazione a fare il bastiancontrario. Non è neppure sprovvista di un certo “sense of humor” di buona lega, un po’ sornione e in fondo incline alla benevolenza (…).Purtroppo, con il passare degli anni, la sua aspirazione a dire delle verità più vere di quelle universalmente condivise, o quasi, sembra essersi acuita, ed è cresciuta la sua propensione al far stupire, e a épater non soltanto i proverbiali borghesi, ma soprattutto gli ecologisti. Si è messa così a confezionare delle teorie in odore di zolfo, a impersonare la parte dell’ambientalista maudit.

Questa critica appare, oggi forse ancora più di ieri, gratuitamente offensiva nei toni rispetto alle importanti questioni di fondo che Laura Conti pone in questo saggio. Certo, le pone con il suo stile un po’ provocatorio, di cui il sottotitolo del libro è un esempio. Questa provocazione, però, non è mai fine a stessa, non è frutto del desiderio di “épater”. È spesso funzionale a mettere a nudo impliciti culturali che perpetuano un antropocentrismo problematico.

Ma quali sarebbero poi queste “teorie in odore di zolfo” della Conti “ambientalista maudit”?

Più che un discorso sulla caccia, questo breve saggio è un discorso sull’agricoltura e sulla necessità di sviluppare una comprensione ecologica dell’agricoltura e di come l’agricoltura, fin dalla sua prima apparizione, abbia contribuito a una serie di trasformazioni problematiche dal punto di vista ecologico, a partire dal fatto che, a livello degli equilibri della biosfera, “l’agricoltura accelera la respirazione” (p.67). Il che porta la Conti a dire che “gran parte della cultura ambientalista (…) non ha fatto un esame critico del significato ecologico dell’agricoltura” (p.68):

(…) ciò l’ha condotta a non rendersi conto che la caccia -purché gestita avvedutamente- può essere sostenibile (…) mentre l’agricoltura non può essere sostenibile in quanto (…) genera una retroazione positiva che la costringe ad ampliarsi sempre più: infatti favorisce l’incremento demografico di numerose specie animali, dagli uomini ai topi (…). Per non aver saputo leggere realisticamente questi fenomeni, l’associazionismo ambientalista, in quest’epoca di discussioni sulla riforma della caccia, ha seguito le scelte dei movimenti animalisti favorendo -senza riuscirvi- il tentativo di abrogare l’attività venatoria. E, quel che è peggio, non ha voluto affrontare il problema cruciale della non sostenibilità dell’agricoltura e delle conseguenze che comporta per la vita su questo pianeta. (pp. 68-69, il corsivo è nell’originale)

La caccia, se vogliamo, è un pretesto che Laura Conti coglie per esplicitare ancora una volta il suo approccio di agro-ecologismo scientifico, ovvero, un ecologismo che fa dello studio dell’agricoltura e della comprensione scientifica del suo impatto ecologico il punto di partenza per una lettura ecologica della sussistenza umana e per la progettazione democratica di società ecologiche. In questo senso, Laura Conti parla della caccia come pratica che può, in linea teorica, essere sostenibile. Mentre l’agricoltura non può essere, neanche in teoria, sostenibile. Certo è, però, che può essere praticata in modo da essere ecologicamente “più sostenibile”, per esempio tendendo verso l’agroforestazione. Non esiste dunque un’agricoltura “naturale”, scrive Laura Conti, a meno di dare al termine naturale “un significato diverso da quello tradizionale: un significato che consenta di affermare che un grattacielo è altrettanto naturale quanto un formicaio. E questa magari potrebbe essere la soluzione migliore, perché permetterebbe di superare il dualismo uomo/ambiente” (p.73).

La Laura Conti “agro-ecologista” è stata di fatto rimossa dalla memoria ambientalista italiana a favore della Laura Conti impegnata a Seveso nel denunciare i danni della diossina; la Laura Conti al fianco delle donne incinte confrontate alle potenziali conseguenze embriotossiche del veleno chimico e a favore del loro diritto di scegliere se abortire o no. Ma l’ecologia di Laura Conti non si è fermata a Seveso. Coma già Questo pianeta, anche Discorso sulla caccia ci restituisce la riflessione matura della Conti sull’ecologia, la riflessione elaborata nel corso degli anni Ottanta, in parallelo con l’avvio dell’esperienza culturale e politica della Lega per l’ambiente. Laura Conti pensa l’ecologia da una prospettiva planetaria (anticipando i dibattiti contemporanei sull’Antropocene e il cambiamento climatico) e si interessa allo studio delle dinamiche coevolutive tra specie. Ne risulta un approccio bio-sociale non riduzionista delle problematiche ecologiche che la porta ad interrogare le società umane dalla prospettiva anche del loro essere espressione di una specie animale che co-evolve con altre specie animali in una varietà di ecosistemi interdipendenti, riproducendo e trasformando le condizioni di abitabilità del pianeta.

L’approccio bio-sociale della Conti è non riduzionista nella misura in cui evita due riduzionismi speculari: ridurre la natura a risorsa inerte e al servizio di un essere umano immaginato come emancipato da dipendenze materiali; estendere ai non umani un discorso di diritti e di emancipazione facendone gli eguali degli umani. In entrambi i casi si opera nel senso di ridurre un’alterità senza riconoscerne e rispettarne la diversità e i legami di reciproca dipendenza. Laura Conti era contraria all’opzione di trattare elementi del sistema vivente alla stregua di umani: adottare la prospettiva dei diritti individuali era a suo avviso un vicolo cieco, non molto dissimile dal vicolo cieco in cui si finiva considerando per esempio un embrione umano come dotato dei diritti di una persona, ponendo la questione dell’aborto nei termini di un’opposizione tra il diritto della donna e il diritto del feto e non invece come questione dell’autodeterminazione femminile.

Ponendosi nella prospettiva di sostenere l’emergere di una “democrazia ecologica” Laura Conti guardava con preoccupazione quella che definiva “la moralizzazione dei temi ecologici”, in particolare le scorciatoie che giocavano con le emozioni, con gli affetti, con un certo gusto per il sensazionalismo, tutti aspetti che andavano a braccetto con la crescente importanza della cultura dell’immagine. Per esempio, a proposito della sua opposizione alla pratica dell’uccellagione con richiami vivi, Laura Conti scrive che questa sua presa di posizione non aveva a che vedere con “motivi di coscienza” bensì con il fatto che “non essendo selettiva [l’uccellagione] fa aumentare il rischio di estinzione di certe specie di uccelli (…) Se si riconosce al problema dell’uccellagione la figura del ‘problema di coscienza’, a tutti i problemi ambientali si dovrebbe assegnare la medesima figura” (p.72).

Per Laura Conti la base della decisione collettiva in materia di ecologia doveva restare scientifica e la democrazia ecologica era per lei indissociabile da un progetto democratico di “capacitazione” che creasse le condizioni di una partecipazione diffusa alla progettazione ecologica dei territori. Ma attenzione: la scienza ecologica praticata da Laura Conti non è la tecnoscienza degli esperti al servizio della modernizzazione ecologica. L’ecologia di Laura Conti è una scienza “post-normale”, ovvero una scienza che riconosce che i problemi ecologici sono caratterizzati da una condizione di incertezza irriducibile e dalla diversità di valori in gioco; ma è anche una scienza “politica”, ovvero consapevole che le società umane si organizzano secondo rapporti di potere che influenzano i processi di produzione del sapere.

Quello che i critici come Giorgio Celli non colsero è che Discorso sulla caccia poneva in realtà una questione di fondo che Laura Conti avrebbe voluto vedere affrontata dall’ambientalismo italiano allora in piena effervescenza. La questione è quella di come far dialogare due prospettive ambientaliste differenti sul rapporto con gli animali: quella che estende la preoccupazione etica ad (alcuni) animali e quella che adotta la prospettiva dei sistemi ecologici. Riprendendo la terminologia introdotta dalla filosofa Val Plumwood, la distinzione è quella tra un “animalismo ecologico” e un “veganismo ontologico”.

Nella definizione che ne dà Val Plumwood:

L’Animalismo Ecologico (…) incoraggia un’etica dialogica di condivisione del mondo e di negoziazione o partnership tra uomini e animali, intraprendendo una rivalutazione dell’identità umana che affermi la sua inclusione nella sfera animale ed ecologica. L’Animalismo Ecologico è una posizione semi-vegetariana sensibile al contesto, che sostiene una forte riduzione del consumo di carne nel “primo mondo” e si oppone a concezioni e trattamenti riduttivi e irrispettosi degli animali, in particolare come quelli visti negli allevamenti industriali4.

Nella definizione che Val Plumwood dà dell’animalismo ecologico ritroviamo alcuni degli elementi che caratterizzano l’impostazione di Laura Conti nell’affrontare temi in relazione con il rapporto agli animali: innanzitutto l’idea che gli esseri umani e gli altri animali condividono il pianeta e devono dunque negoziarne gli usi. Questi usi possono implicare delle collaborazioni tra umani e non umani (rapporti simbiotici, commensali, parassiti) come una concorrenza. Si tratta allora di gestire questa complessa relazionalità in modi tali da permettere innanzitutto la coesistenza. Al tempo stesso, l’animalismo ecologico richiede un ripensamento dell’identità umana, un ripensamento che porti a riconosce l’umano come animale umano e la sua necessaria interdipendenza dal sistema vivente. Infine, l’animalismo ecologico ragiona sulle scelte da operare (uccidere/non uccidere; mangiare/ non mangiare) a partire dai contesti e non da degli universali validi ovunque e comunque.

Nel suo breve saggio, Laura Conti metteva il dito, però, anche su un altro nodo problematico, e cioè il fatto che le associazioni ambientaliste stavano perdendo di vista, nel tendenziale moralizzarsi del loro discorso, il problema del capitalismo come meccanismo produttore e amplificatore di squilibri ecologici.

Nelle pagine introduttive alla prima edizione di Discorso sulla caccia Laura Conti scrive:

(…) gli studi sull’effetto serra, a livello internazionale, non si sono incentrati in maniera esclusiva sulle combustioni dei combustibili fossili, ma hanno aperto una critica di fondo nei confronti dell’agricoltura: tale critica non lascia spazio alla concezione dell’agricoltura come fornitrice di materia prima all’industria (…) ma questo contrasta con i programmi della Confagricoltura e in particolare di Gardini, che hanno ottenuto in linea di fatto l’appoggio dei Verdi e delle associazioni ambientaliste, oltre che – beninteso – quello della maggioranza di governo, e anche simpatie e appoggi nel PCI e poi nel PDS. Vale la pena specificare che la critica nei confronti dell’agricoltura genera una critica ancora più severa nei confronti dell’allevamento industriale, che presuppone l’agricoltura intensiva5.

In questo passaggio, si capisce come le posizioni della Conti fossero radicate in un approfondimento scientifico rigoroso delle questioni ecologiche, cosa che la portava a introdurre nel dibattito italiano prospettive che, ancora oggi, faticano ad affermarsi. Soprattutto, questo approccio la portava a criticare l’impiego di prodotti agricoli per produzioni industriali (in particolare i biocarburanti e le bioplastiche) proprio nel momento in cui Raoul Gardini lanciava la svolta “verde” della chimica italiana. Per Laura Conti la presunta svolta “verde” non aveva alcun solido fondamento scientifico. E fu questo un tema di rottura con Legambiente.

L’ esigenza di rigore di Laura Conti, che la portava a denunciare come illusoria la possibilità che il capitalismo funzionasse al servizio dell’ecologia, veniva così bollata come l’eccentricità di un’anziana signora col gusto per la provocazione e questo avveniva forse anche perché Laura Conti non taceva delle “amicizie pericolose” di certi gruppi ambientalisti con personaggi del mondo imprenditoriale. Laura Conti non vedeva in questi avvicinamenti tra grandi imprese e movimenti verdi necessariamente il segno di una corruzione quanto di un’ingenuità e di una superficialità, di una mancanza di rigore nell’analisi e di un approccio alla questione ambientale non informato da un’analisi (eco)sistemica.

Possiamo oggi, a distanza di oltre trent’anni, misurare quanto Laura Conti ci avesse visto lungo nel suggerire che, senza chiarezza sul metodo per definire e affrontare le questioni ecologiche e senza una visione strutturale e sistemica, l’ambientalismo italiano sarebbe stato condannato a farsi “recuperare” dai meccanismi del mercato e delle mode. Nel contesto odierno di mobilitazioni ecologiste diverse e plurali, che si ispirano a visioni non sempre compatibili tra loro del rapporto tra umani e ambiente, rileggere Laura Conti può essere utile. Il suo è un invito, al di là delle convergenze occasionali e delle alleanze strategiche, a una discussione sui nodi di fondo di un progetto di democrazia ecologica, ovvero come pensare un’emancipazione ecologica. A questa riflessione il pensiero di Laura Conti ha ancora oggi molto da apportare.

1 Lo stesso destino è toccato al saggio Questo pianeta della cui ripubblicazione abbiamo già avuto modo di scrivere su Altronovecento (https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/laura-conti-questo-pianeta-fandango-roma-2022-terza-edizione-la-via-agro-ecologista-di-laura-conti/).

2 L.Giunti, Le conseguenze del ritorno. Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia, Roma, Edizioni Alegre, 2021.

3 Giorgio Celli, “Sparando con la natura nel cuore”, Repubblica, 4 agosto 1992. Giorgio Celli (1935-2011), agronomo, entomologo ed etologo, fu esperto di metodi di contenimento biologico delle popolazioni di insetti nocivi. All’attività di ricerca, ha da sempre affiancato quella di scrittore. E’ stato parlamentare europeo, eletto nelle liste dei Verdi nel 1999 e poi nel 2004.

4 V. Plumwood, “Gender, Eco-Feminism and the Environment”, in R. White (ed.), Controversies in Environmental Sociology, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, pp. 43-60.

5 L. Conti, Discorso sulla caccia, Roma, Editori Riuniti, 1992, p X-XI. Le sottolineature sono le mie.