Ambiente e salute nel territorio del Poligono Interforze Salto di Quirra
Brani tratti dalla prefazione e dalle conclusioni di Ambiente e salute nel territorio del Poligono Interforze Salto di Quirra, a cura di Mauro Cristaldi, Massimo Coraddu, Cristiano Foschi e Lucio Triolo, Roma, Editori Riuniti, 2021.
dalla Prefazione
[…] Questa ricerca si è protratta, tra grandi difficoltà, per oltre quindici anni: sino all’inchiesta aperta nel 2011 dall’allora capo della procura di Lanusei, Domenico Fiordalisi((La Nuova Sardegna, 13 Gennaio 2011. “Quirra, la Procura apre un’inchiesta”, di Valeria Gianoglio; reperibile in rete all’indirizzo: http://www.lanuovasardegna.it/regione/2011/01/13/news/quirra-malformazioni-e-leucemie-la-procura-apre-un-inchiesta-1.3332373; Il Fatto Quotidiano, 29 Gennaio 2011. “Sindrome di Quirra, la magistratura apre un’inchiesta sul poligono della morte”, di Clara Gibellin; reperibile in rete all’indirizzo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/29/salto-di-quirra-la-magistratura-apre-uninchiesta-sullimpatto-della-base-militare/89135/)); sino al clamoroso rinvio a giudizio, nel luglio 2014, dei vertici militari del Pisq((L’Unione Sarda, 12 Luglio 2014. “Quirra, i comandanti rinviati a giudizio. Processo per disastro ambientale si farà”. Reperibile in rete all’indirizzo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/29/salto-di-quirra-la-magistratura-apre-ininchiesta-sullimpatto-della-base-militare/89135/; La Nuova Sardegna, 13 Luglio 2014. “I periti di parte civile: aree contaminate”, reperibile in rete all’indirizzo: http://www.lanuovasardegna.it/regione/2014/07/13/news/i-periti-di-parte-civile-aree-contaminate-1.9592307; L’Unità, 14 Luglio 2014. “Quirra, missili e veleni”. Reperibile in rete all’indirizzo: http://aldro.comunita.unita.it/2014/07/14/quirra-missili-e-veleni/)); e poi ancora oltre, nella ricerca di nuovi dati, nella loro rielaborazione e pubblicazione, nell’ideazione di questo libro. […] Le ricerche sugli effetti delle attività militari al Pisq, ancora oggi, non possono certo dirsi concluse; le indagini condotte durante l’inchiesta della procura di Lanusei, negli anni 2011-2012, hanno certo consentito un notevole avanzamento delle conoscenze, ma molto resta ancora da fare. […] Il percorso che ha portato all’inchiesta, al rinvio a giudizio e al processo in corso è stato lungo e tortuoso: infatti, sin dai primi allarmi sanitari del 2001, il Ministero della Difesa e altri soggetti istituzionali, da un lato hanno sempre risposto con promesse di far chiarezza, dall’altro hanno promosso innumerevoli commissioni di studio e monitoraggi dagli esiti non chiari e apparentemente rassicuranti, che in realtà non hanno mostrato la reale entità del disastro. All’opposto comitati di cittadini, con il contributo di alcuni ricercatori indipendenti, pur tra mille difficoltà, carenze di mezzi e di informazioni, hanno raccolto prove, rilanciato denunce, promosso proteste, sollevato sempre nuovi problemi, non permettendo di fatto che la vicenda del disastro ambientale al Pisq finisse insabbiata e dimenticata.
Una dinamica questa, che sembra riproporsi in modo molto simile anche oggi. Infatti, benché il processo sia ancora in corso, le attività militari al poligono di Quirra hanno conosciuto una fase di ripresa, dopo il fermo imposto dal Pubblico Ministero del Tribunale di Lanusei, rilancio, sia per quanto riguarda le esercitazioni che le sperimentazioni dell’industria privata; oltretutto il Pisq è oggetto di importanti investimenti nel contesto del neonato Dass (Distretto Aero-Spaziale Sardo). Nel frattempo i governi, da una parte hanno assolto se stessi dall’obbligo di bonificare i suoli, elevando, attraverso una modifica della normativa, la soglia di inquinamento nei poligoni militari sino al livello delle aree a intensa attività industriale, dall’altro hanno commissionato l’ennesima indagine ambientale a un’impresa privata, che ha prodotto l’immancabile esito rassicurante, fornendo addirittura al Pisq una certificazione ISO 14001 per la gestione ambientale.
Il percorso intrapreso, ormai da decenni, per la smilitarizzazione e la bonifica dell’immensa area del Pisq è quindi tutt’altro che avviato a conclusione, molto resta ancora da fare sia sul piano politico e sociale che su quello tecnico-scientifico e dei controlli analitici.
Scopo del libro è quindi quello di fare in qualche modo il punto, di riassumere le tappe di questo lungo percorso, di raccogliere in una forma accessibile, pur senza rinunciare al rigore scientifico, i risultati del gran lavoro di ricerca sin qui svolto. Si tenterà di documentare le conseguenze per l’ambiente e la salute della popolazione dovuto alle attività militari svolte nel poligono di Quirra, sia quelle ormai accertate, sia quelle per le quali occorre un ulteriore sforzo di indagine. La grande estensione del Pisq, il numero e la varietà di esercitazioni/sperimentazioni che vi si svolgono, fanno infatti del poligono di Quirra un caso-studio di grande importanza, utile per comprendere e valutare le conseguenze dovute ad attività militari intense e prolungate, sia nei teatri bellici sia nelle aree militarizzate in tempo di “pace”.
Nel prossimo capitolo verrà quindi introdotto il problema dell’inquinamento generato dalle attività militari, per poi passare nel capitolo successivo (cap. 3) al caso particolare del poligono di Quirra, al suo inquadramento geografico, ambientale e storico, agli armamenti impiegati, alle conseguenze sanitarie e ambientali del loro impiego (la cosiddetta “sindrome di Quirra”), agli sviluppi più recenti della vicenda. I capitoli successivi avranno un carattere più tecnico e saranno dedicati: agli inquinanti chimici e radiochimici immessi nell’atmosfera, nei suoli, nelle acque e all’interno degli organismi viventi, con conseguente contaminazione del ciclo alimentare (cap. 4); alla contaminazione rilevata in alcuni siti specifici interni al Pisq (cap. 5); all’inquinamento elettromagnetico (cap. 6); agli effetti rilevati sugli esseri viventi dovuti all’esposizione a tutti questi diversi tipi di inquinanti (cap. 7); alle indagini epidemiologiche che dovrebbero consentire di rilevare gli effetti prodotti sulla salute degli esseri umani (cap. 8). Prima delle conclusioni (cap. 10), per completezza, è stato inoltre inserito un aggiornamento al processo tuttora in corso presso il tribunale di Lanusei, e alcuni richiami alle conclusioni raggiunte dalle commissioni parlamentari d’inchiesta in merito ai poligoni militari sardi (cap. 9). Nelle appendici sono raccolti ulteriori materiali per la comprensione della vicenda, sia da un punto di vista tecnico-scientifico, che dal punto di vista giuridico.
dalle Conclusioni
Il caso di studio del Poligono Interforze del Salto di Quirra (Pisq) si è rivelato di grande complessità per l’estensione e la varietà degli ambienti naturali, umani e sociali presenti al suo interno.
Sin dal 1956, per oltre sessant’anni, il Pisq ha visto coesistere addestramenti e sperimentazioni militari di elevata intensità con le tradizionali attività agro-pastorali, che paradossalmente proseguivano al suo interno. Questa particolare situazione, che caratterizza anche gli altri poligoni militari in Sardegna, ha provocato una esposizione prolungata ai molteplici inquinanti prodotti dalle attività militari, non solo del personale militare addetto, ma anche della popolazione civile che, suo malgrado, si è trovata a convivere a stretto contatto con quelle attività. Per questa ragione lo studio sulla diffusione di inquinanti, dovuta alle attività militari al Pisq, e delle conseguenze per l’ambiente e per la salute umana, assume una particolare importanza e un significato più generale: questi studi fanno parte di una vasta area di ricerca che comprende le conseguenze ambientali, sanitarie e anche sociali, sia delle guerre, sia della produzione e sperimentazione degli armamenti.
Gli agenti inquinanti sono molteplici e le esposizioni, per lo più, multifattoriali. Occorre prendere in esame l’esposizione, anche simultanea, ai diversi agenti chimici prodotti, agli isotopi radioattivi liberati nell’ambiente; agli intensi campi elettromagnetici emessi dagli impianti radar e di telecomunicazione, al particolato fine, e in particolare a quello di dimensione nanoscopica prodotto da esplosioni e combustioni a temperature elevatissime.
Gli effetti sanitari dovuti a tali esposizioni multifattoriali sono particolarmente difficili da evidenziare, a causa della varietà delle patologie riscontrate e dell’assenza di un semplice nesso di causa-effetto tra la singola esposizione e la singola patologia. Tale difficoltà è stata riconosciuta dalle diverse commissioni di inchiesta parlamentare che si sono occupate del problema dell’inquinamento militare (come esposto nel par. 9.2), tanto che, nella valutazione del danno prodotto, il legislatore ha finito per indicare un criterio statistico, piuttosto che rigidamente causale.
Nel caso del Pisq, come ha raccomandato l’Istituto Superiore di Sanità sin dal 2004, occorre realizzare studi epidemiologici mirati a quei settori di popolazione particolarmente esposti a causa delle attività professionali svolte e/o della zona di residenza, visto che lo studio dell’intera popolazione di un comune, o di gruppi di comuni limitrofi, non è in grado di evidenziare gli effetti sanitari cercati (come esposto nel cap. 8). Tale raccomandazione non è stata però recepita dalle autorità politiche e sanitarie, che, come abbiamo visto, hanno per lo più realizzato studi epidemiologici poco selettivi, rivolti all’intera popolazione dei comuni della zona, poco utili per evidenziare le eventuali conseguenze sanitarie delle attività militari.
Un’altra fondamentale difficoltà con cui la ricerca si deve confrontare nel caso del Pisq, ma anche delle altre strutture militari presenti in Italia, è quella di riuscire ad ottenere un elenco completo della tipologia e della quantità degli ordigni esplosi e di tutti gli altri dispositivi impiegati nelle esercitazioni e nelle sperimentazioni; dati indispensabili per poter quantificare le emissioni inquinanti nell’ambiente. Il lungo elenco riportato nel par. 3.3, in buona parte ottenuto grazie all’inchiesta della procura di Lanusei, è comunque incompleto, e non consente una ricostruzione di tutte le emissioni prodotte, specie dai dispositivi di più recente introduzione (si pensi ad esempio alle emissioni elettromagnetiche, caratterizzate da frequenze e intensità molto variabili, dovute al complesso apparato installato al Pisq per le attività di “guerra elettronica”).
Nel caso del Poligono di Quirra, data l’estensione e la sua lunga storia, è anche difficile ricostruire in quali zone specifiche si siano effettivamente svolte le diverse esercitazioni e le sperimentazioni effettuate: l’elenco delle “zone ad alta intensità militare”, fornito dai vertici del Poligono, è relativo esclusivamente agli ultimi decenni e risulta incompleto. La stessa inchiesta della procura di Lanusei ha consentito di individuare zone fortemente compromesse, come quella della discarica interrata di Is Pibiris, mentre l’esistenza di altre è emersa nel processo in corso.
Oltretutto lo studio della diffusione degli inquinanti al Pisq è reso particolarmente complicato anche da alcune caratteristiche peculiari del territorio che lo ospita (descritto al par. 3.1). Sono presenti infatti composti chimici, nelle formazioni minerali (arsenopirite, galena, etc.), anche all’interno del perimetro militare, che lo rendono particolarmente inadatto per il bombardamento del suolo e per il brillamento di ordigni, attività ampiamente praticate per decenni: infatti la fratturazione e il riscaldamento del substrato roccioso, la produzione e la dispersione di polveri dai suoli possono liberare gli elementi tossici presenti nella matrice minerale, rendendoli così biodisponibili. Minerali contenenti piombo e arsenico si trovano persino nelle zone ad “elevata intensità militare”, mentre alcune delle litologie presenti hanno un importante contenuto di isotopi radioattivi naturali del torio e dell’uranio; occorre perciò tener conto di una componente aggiuntiva di inquinanti, presenti nei suoli e mobilizzati dalle attività militari, soggetti a fenomeni di “risospensione” in atmosfera, che vanno a sommarsi a quelli già presenti all’interno degli stessi ordigni e liberati al momento della loro esplosione. La diffusione degli inquinanti è inoltre agevolata dalla natura carsica dei suoli di buona parte della zona a monte del Pisq, caratterizzata dalla circolazione di acque sotterranee e sorgenti naturali, come quella di Sa Maista. Questa è interna al poligono militare e alimenta un acquedotto che rifornisce la frazione di Quirra. Tutti fattori questi di cui occorre tener conto nel valutare i canali di diffusione delle sostanze inquinanti.
Nella pianificazione della struttura del poligono non si è tenuto conto delle particolari caratteristiche di quel territorio, tali da moltiplicare i rischi di inquinamento e contaminazione dovuti alle esplosioni, ai bombardamenti e alla distruzione di armamenti mediante brilllamenti all’aperto. Successivamente, nel 2004, i tecnici dell’Università di Siena, incaricati della caratterizzazione ambientale della zona del Poligono, hanno rilevato nei suoli isotopi radioattivi di torio e hanno avvisato le autorità militari della presenza di mineralizzazioni di metalli pesanti. I bombardamenti e i brillamenti sono però proseguiti anche negli anni successivi, sino a quando non sono stati temporaneamente fermati dall’inchiesta del Procuratore Fiordalisi, nel 2011.
Al momento l’attività del poligono di Quirra è ripresa, le aree più compromesse, come quella in cui per decenni sono stati smaltiti armamenti obsoleti mediante brillamenti all’aperto, sono state recintate ma non bonificate. I consulenti tecnici del Ministero della Difesa hanno recentemente sostenuto, al processo per il disastro ambientale al Poligono, che gran parte dell’inquinamento presente è dovuto al contenuto di metalli pesanti delle rocce, e non è quindi necessaria alcuna bonifica.
Emergono dunque particolari fenomeni sociali e politici causati da rilevanti interessi in gioco. Abbiamo visto infatti come l’industria militare sia onnipresente all’interno del Pisq, come lo utilizzi per le sue sperimentazioni e ne condizioni le scelte operative (par. 3.2).
L’inchiesta del Procuratore Fiordalisi ha rappresentato un importante momento di rottura nella storia del Pisq: dopo dieci anni di denunce e di allarmi sanitari, finalmente l’autorità giudiziaria ha provato a fare chiarezza, ha accertato il grave stato di inquinamento, ha posto l’area militare sotto sequestro, ha acquisito dati e documentazione, ha commissionato importanti accertamenti a tecnici e scienziati indipendenti, non legati al complesso militare-industriale (come riportato nel par. 3.4).
Gli accertamenti della Procura di Lanusei hanno avuto una grande eco sulla stampa, con importanti ripercussioni politiche. Nel 2012 il parlamento ha approvato la relazione della sua Commissione d’inchiesta sull’inquinamento militare (par. 9.2), che prevedeva, oltre alle bonifiche e alla cessazione delle attività militari inquinanti, anche la drastica riduzione del territorio militarizzato in Sardegna((Relazione Intermedia sulla situazione dei Poligoni di Tiro, approvata il 30 maggio 2012, della Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico – XVI Legislatura – relatore Rosario Giorgio Costa, istituita con deliberazione del Senato del 16 marzo 2010. Il testo è disponibile in rete all’indirizzo: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/281632.pdf)). Inoltre, era programmata la chiusura di due dei principali poligoni, quelli di Capo Teulada e Capo Frasca, nonché il drastico ridimensionamento del Pisq.
L’inchiesta della Procura di Lanusei è sfociata nel processo per “omissioni dolosa e aggravata di cautele contro infortuni e disastri”, attualmente in corso (di cui si dà conto al par. 9.1). Nel Pisq le attività di addestramento e sperimentazione militare sono riprese mentre non sono mai stati chiusi gli altri grandi poligoni sardi. D’altra parte la trattativa stato-regione, avviata per ridurre l’occupazione e il peso delle attività militari in Sardegna, si è conclusa con la restituzione di alcune strutture secondarie inutilizzate e la concessione balneare estiva per alcune spiagge interne al demanio militare.
Tutto il sistema di addestramento e sperimentazione militare presente in Sardegna, a cominciare dal Pisq, attraversa una fase di aggiornamento, con importanti investimenti pubblici, anche della Regione.
In Sardegna come nel resto del mondo, il contenzioso tra il complesso militare-industriale e la popolazione non poteva certo essere risolto da un’inchiesta, per quanto importante e coraggiosa, portata avanti dalla Procura di una sede periferica come Lanusei. Il lavoro d’indagine svolto dal Procuratore Fiordalisi è stato comunque utile, così come quello di tutti gli altri tecnici e scienziati indipendenti che hanno lavorato sul tema del Pisq, anche al di fuori dell’inchiesta della Procura. Un gran numero di informazioni, di tecniche di indagine, di analisi e di risultati è stato prodotto; un patrimonio di conoscenze che questo libro prova a raccogliere e rendere pubbliche e fruibili, per proseguire le ricerche e accrescere la consapevolezza della nocività, non solo del Pisq, ma anche di altre strutture di sperimentazione militare.
Occorre evidenziare come l’inchiesta della Procura di Lanusei sia stata avviata in seguito ai rilievi dei medici veterinari che, nell’ambito del Piano di Monitoraggio Ambientale commissionato dal ministero della Difesa, erano stati incaricati dell’indagine anamnestica sanitaria sugli allevamenti ubicati nel territorio del Pisq. Questi, dopo aver riportato nella loro relazione preliminare del 2011 che oltre la metà degli allevatori attivi entro il raggio di 2.7 km dalla base militare di Capo San Lorenzo a Quirra risultava colpito da gravi malattie tumorali, non hanno mai potuto concludere il loro incarico e redigere la versione finale della loro relazione. Le osservazioni sperimentali dei medici veterinari, come altre che l’avevano preceduta, non sono state però approfondite dalle autorità sanitarie. Purtroppo, a vent’anni dai primi allarmi sullo stato di salute della popolazione residente in prossimità del poligono, e a dieci anni dall’inizio dell’inchiesta della Procura di Lanusei, bisogna concludere che, dal punto di vista epidemiologico, rimangono ancora degli interrogativi. Come esposto nel cap. 8, lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha indicato più volte la necessità di effettuare indagini epidemiologiche mirate ai settori di popolazione particolarmente esposti, per i quali sono state segnalate patologie, anche gravi, come gli allevatori che lavorano nell’area del Pisq, i residenti nella piccola frazione di Quirra, i nati malformati nel paese di Escalaplano, etc. Si tratta di nuclei di popolazione facilmente individuabili e poco numerosi (dell’ordine del centinaio di persone o meno), sui quali non sono state condotte indagini epidemiologiche. Tuttavia uno studio condotto dall’ISS (presentato nel 2016) sui residenti nella frazione di Quirra ha dato indicazioni allarmanti ma insufficienti, infatti il periodo temporale indagato era troppo breve (dal 2007 al 2011) e lo studio non è proseguito.
Occorre rilevare come i numerosi studi sui suoli del Pisq non fossero adatti alla rilevazione di eventuali tracce di arricchimento di metalli pesanti e isotopi radioattivi, né quello effettuato dal perito professor Mariani, incaricato dal GUP, né quelli che il ministero della Difesa ha continuato a commissionare, con le stesse modalità e con gli stessi risultati, anche dopo l’inchiesta del Procuratore Fiordalisi del 2011. Si tratta di cinque studi, che hanno complessivamente raccolto e analizzato oltre mille campioni di suolo superficiale nell’area che ospita il Pisq, senza, tuttavia, determinare il “fondo litologico” in quell’area, ovvero quale fosse il contenuto naturale di metalli pesanti e di isotopi radioattivi che caratterizza quel tipo di rocce e di suoli, in assenza di apporti antropici. Con tali metodologie analitiche non è possibile rilevare un eventuale contributo degli inquinanti originati dalle attività umane, che determinano un incremento delle concentrazioni dovute al “fondo litologico”. Quando l’agenzia Arpa-Sardegna, è stata incaricata, non dal ministero della Difesa ma dalla Regione Sardegna, di analizzare nuovamente i risultati del campionamento effettuato dall’azienda privata Sgs, è stato prioritariamente determinato un “fondo litologico” per le aree studiate. Arpas, avendo individuato così i valori di riferimento per rocce e suoli (valori BTV), ha riscontrato (par. 4.2.3 e appendice II cap. V) incrementi nelle aree militari e nelle zone circostanti, di concentrazioni di metalli pesanti e isotopi radioattivi, rispetto sia al fondo naturale di riferimento sia alle soglie di contaminazione fissate dalla legislazione.
La gran parte dei superamenti, rispetto al “fondo litologico”, non è riconducibile alle attività minerarie del passato, che hanno effettivamente inquinato alcune aree ben delimitate (come il basso corso del rio Baccu Locci, nel quale si trovava l’omonima miniera di galena, chiusa nel 1965), e deve essere associata all’attività militare.
A queste gravi evidenze di contaminazione ha fatto seguito un intervento legislativo, il D. Lgs. 91 del 2014, che ha drasticamente elevato le soglie di contaminazione per i poligoni militari in tutta la loro estensione, applicando le soglie relative alle aree industriali (molto più alte rispetto a quelle relative alle aree agricole o residenziali). In questo modo, una rilevante parte delle aree contaminate da metalli pesanti nei suoli del Pisq risulta esentata dall’obbligo di bonifica. Occorre rilevare però che in una parte delle aree ad “alta intensità militare”, si osservano superamenti anche delle soglie di contaminazione relative alle zone industriali e che dunque tali aree risultano tuttora soggette all’obbligo di bonifica.
Definire una mappa completa della diffusione degli inquinanti prodotti al Pisq è al momento impossibile, poiché non sono noti tutti gli agenti inquinanti e i siti nei quali le attività militari sono state condotte. Gli inquinanti, oltre a poter contaminare le acque superficiali e sotterranee, vengono diffusi anche in atmosfera, sia come prodotti delle esplosioni, sia a causa del risollevamento degli elementi tossici presenti nei suoli.
Lo studio realizzato da Farci e Usai, incaricati dal Procuratore Fiordalisi nel 2011 (par. 4.2.1) ha mostrato come un brillamento di ordigni obsoleti al Pisq abbia la potenzialità di sollevare e diffondere in atmosfera rilevanti quantità di sostanze tossiche e di polveri sottili, destinate a ricadere anche a grandi distanze.
La stessa Arpas, ha rilevato attraverso stazioni fisse e mobili le concentrazioni di inquinanti atmosferici a Perdasdefogu e a Capo San Lorenzo in particolare durante i periodi di svolgimento delle esercitazioni militari. I risultati ottenuti indicano elevati picchi di concentrazioni in corrispondenza degli eventi di sperimentazioni, relativi sia alle Pts (polveri totali sottili), che a singoli elementi tossici: arsenico, cadmio, cobalto, cromo, ferro, nichel, piombo, rame e tungsteno, con netti superamenti dei limiti di legge per alcuni di questi elementi considerati nella normativa (par. 4.2.2).
È ben noto che un’altra via per la diffusione degli inquinanti, è quella che passa attraverso matrici biologiche, che li assorbono e li bioaccumulano dalle matrici abiotiche circostanti, veicolandoli anche nella catena alimentare, attraverso un processo di biomagnificazione, che contamina animali e uomini. Impiegando tali meccanismi si definiscono alcuni bioindicatori. Alcuni di essi consentono di stimare il bioaccumulo di inquinanti nei tessuti di piante ed animali, altri, di valutare gli effetti dovuti all’esposizione di contaminanti nel corso del tempo. Ciò, risulta importante al fine di integrare i dati ottenuti dal monitoraggio chimico-fisico di suoli, acque e aria.
Occorre ricordare che nella perizia del prof. Mariani, nominato dal G.U.P., il monitoraggio attraverso bioindicatori non è stato effettuato.
Nelle indagini condotte sul territorio in studio sono stati evidenziati contenuti di torio e di alcuni metalli pesanti nettamente superiore nei tessuti di ovini allevati nell’area del Pisq, rispetto a quelli di controllo, provenienti da aree distanti (par. 4.2.4 e appendice II cap. IV). Successivamente, la dott.ssa Gatti ha esaminato tessuti provenienti sia da allevatori nell’area del Pisq, deceduti per patologie tumorali, sia da animali (agnelli nati malformati) provenienti dal poligono, rinvenendo una consistente presenza di nanoparticelle, contenenti elementi tossici, nei loro organi (par. 7.5). In uno degli agnelli nati malformati il prof. Zucchetti aveva potuto trovare tracce di uranio impoverito (par. 7.4), mentre il prof. Lodi Rizzini ha evidenziato un elevato contenuto di torio e di lantanidi nelle ossa di alcuni degli allevatori deceduti. Anche uno degli autori di questo libro (prof. Mauro Cristaldi) assieme al suo gruppo di ricerca, ha rilevato una diminuzione di densità di popolazione di specie locali (micromammiferi, anfibi e rettili) nel territorio interessato dalle attività militari, con almeno tre endemismi sardi da considerare sicuramente in pericolo di estinzione (par. 7.2). Infine, l’utilizzo di test di mutagenesi (test della Cometa e dei micronuclei) ha evidenziato un danno mutagenetico sui roditori catturati in aree ad alta intensità militare (par. 7.1), rispetto a quelli catturati nelle aree di controllo, nonché una importante correlazione positiva tra le concentrazioni di torio rinvenute nel pelo dei micromammiferi e l’entità del danno riscontrato negli stessi.
L’analisi delle matrici biologiche ha un ruolo estremamente importante anche nello studio degli effetti delle intense emissioni elettromagnetiche generate dagli apparati radar e di telecomunicazioni militari. Il dott. Marinelli, su incarico del Procuratore Fiordalisi, ha evidenziato l’effetto biologico sulle colture cellulari umane esposte alle emissioni elettromagnetiche dei sistemi radar operanti nella zona a mare del poligono, osservando fenomeni di necrosi e apoptosi (morte cellulare programmata) in tali cellule (cap. 6 e par. 7.3).
L’utilizzo di matrici biologiche per le analisi di monitoraggio ambientale hanno caratterizzato l’indagine promossa dalla Procura di Lanusei. Tale tipologia di indagine non è stata applicata nei successivi monitoraggi svolti allo scopo dell’ottenimento della certificazione ISO 14001 per la gestione ambientale su incarico del ministero della Difesa.
Questo libro non ha la pretesa di sviluppare una trattazione completa ed esaustiva del problema dell’inquinamento originato dalle attività militari al Pisq. Lo scopo è stato piuttosto quello di raccogliere le conoscenze acquisite, per promuovere ulteriori nuove ricerche.
La finalità è dunque quella di rendere accessibile e comprensibile il patrimonio di conoscenze e di analisi sviluppate nel caso di studio del Pisq. Chi subisce gli effetti delle sperimentazioni belliche e delle guerre ha il diritto di conoscere e di acquisire consapevolezza sui rischi che queste comportano.