Ancora su guerra e ambiente

Abbiamo già affrontato il tema della guerra e del suo impatto devastante sull’ambiente sul numero 49 di Altronovecento:
https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/dossier-guerra-militarismo-e-devastazione-dellambiente/
https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/dossier-guerra-le-armi-merci-oscene-distruttive-dellumanita-e-degli-ecosistemi/

Non solo CO2

I costi ambientali della guerra non si misurano solo e tanto con le emissioni climalteranti. La “contabilità ambientale della guerra” va oltre la distruzione materiale diretta degli ecosistemi naturali colpiti dalle armi e oltre gli inquinamenti provocati dai propellenti usati dai mezzi militari, eppure ciò che sembra colpire di più la sensibilità ambientalista sono le enormi emissioni di CO2 che gli apparati militari sprigionano 1.

Sicuramente i dati sui gas climalteranti sono fondati. Ma non si può non rimanere colpiti da una lettura che riduce la crisi ecologica alla sola crisi climatica, anche perché ci impedisce di valutare in profondità quanto la guerra sia distruttiva dell’ambiente in aggiunta al suo carico di vite umane.

Scontato il fatto che, se si investono risorse nella guerra, queste vengono sottratte ad obiettivi utili alla buona vita, è necessario considerare quanto siano molto più alti i costi ambientali della guerra.

Uno dei temi cari agli ecologisti del secolo scorso, ad esempio al merceologo Giorgio Nebbia, nel valutare il carico ambientale di una merce era la quantità e qualità di materia ed energia prelevate dalla natura necessarie per costruirla e la sua durata temporale prima che dopo l’uso divenga rifiuto e venga dispersa nell’ambiente. In questo quadro, centrale era la critica all’obsolescenza programmata dei beni di “consumo” richiesta dal sistema capitalistico, tema questo molto caro anche a Serge Latouche.

Ebbene i moderni sistemi d’arma largamente impiegati nelle attuali guerre (droni, missili balistici, proiettili…) oltre ad essere prodotti con metalli e materiali di pregio e dotati di sistemi di IA (intelligenza artificiale) ambientalmente costosi, non sono ad “obsolescenza programmata”, ma ad “obsolescenza immediata”: escono dalla fabbrica e in tempo reale vengono condotti sul campo di battaglia per distruggersi in un attimo sullo schieramento nemico. Da un punto di vista ambientale una pura follia, materia ed energia di qualità estratta dalla natura che va subito letteralmente in fumo. Un “fumo”, però, tutt’altro che innocuo.

Infatti queste armi si distruggono per distruggere. E questo è l’altro aspetto difficile da quantificare, ma altrettanto e forse ancor più pesante. Colpiscono edifici, infrastrutture, industrie provocando inevitabilmente sversamenti in ambiente di sostanze tossiche e pericolose, nei diversi corpi naturali, acque, terreni, aria: idrocarburi, metalli pesanti, diossine e PCB con la combustione accidentale delle plastiche e altre ancora. Sostanze a cui sono esposti i primi soccorritori, i lavoratori delle fabbriche colpite, le popolazioni circostanti. Per fare un esempio, in Ucraina, come in Polonia e in tutti i paesi orientali ex sovietici, vi fu un uso sconsiderato delle coperture di cemento-amianto delle abitazioni, in gran parte mai risanato. È facile immaginare che cosa comporta per l’ambiente e per le popolazioni che vi abitano lo sbriciolamento in polvere di uno di quei tetti di amianto e la contaminazione duratura di un materiale cancerogeno non biodegradabile.

Per quanto concerne l’impatto sulla salute di persone esposte all’inquinamento ambientale prodotto da azioni belliche distruttive, come bombardamenti e abbattimenti di edifici, abbiamo disponibili importanti studi compiuti per anni da un’equipe, coordinata da un epidemiologo italiano, Roberto Lucchini, sui soccorritori intervenuti dopo la distruzione delWorld Trade Center di New York nel 2001. Ne citiamo qui due. Il primo è del 2013 e studia l’Incidenza del cancro negli addetti al salvataggio e al recupero del World Trade Center, 2001-20082e il secondo, del 2021, si occupa di Deterioramento cognitivo ed esposizioni legate al World Trade Center3. Gli uomini e le donne, considerati negli studi, “sono stati esposti a una complessa miscela di sostanze chimiche tossiche che comprendeva diversi agenti cancerogeni noti e sospetti per l’uomo. La combustione del carburante dei jet ad alte temperature ha rilasciato fuliggine, metalli, benzene e altri composti organici volatili e forti acidi inorganici. L’incendio e il successivo crollo delle torri hanno provocato il rilascio di particolato comprendente amianto, silice, polvere di cemento, fibre di vetro, metalli pesanti, tra cui arsenico, berillio, cadmio, cromo VI e nichel, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili e policlorodibenzofurani e dibenzodiossine”.

Lo scopo della prima indagine “è stato quello di confrontare l’incidenza del cancro in una coorte di circa 20.000 operatori di soccorso e recupero iscritti al WTC Health Program con l’incidenza nella popolazione generale durante i 7 anni successivi all’11 settembre 2001 e di stimare le associazioni in base ai livelli di esposizione legati al WTC”. Ed ecco i risultati:

Sono stati rilevati aumenti rispetto alle aspettative basate sui registri per tutti i siti tumorali associati, per il cancro alla tiroide, cancro alla prostata, tumori ematopoietici e linfoidi combinati e tumori dei tessuti molli. Tutti i tumori associati sono aumentati nei rispondenti molto esposti e in quelli esposti a quantità significative di polvere, rispetto ai rispondenti che hanno riferito livelli di esposizione inferiori4.

Non meno allarmante è la seconda indagine:

I sopravvissuti agli attacchi, coloro che hanno lavorato alla ricerca e al salvataggio durante e dopo il crollo degli edifici e coloro che hanno lavorato alle operazioni di recupero e pulizia sono stati esposti a forti stress. Contemporaneamente, questi individui “colpiti dal WTC” hanno respirato e ingerito una miscela di neurotossine organiche e particellari e di sostanze pro-infiammatorie derivanti dall’attacco e dal crollo dell’edificio. A distanza di quasi 20 anni, i ricercatori hanno documentato un aumento del rischio di disfunzioni neurocognitive e motorie che assomigliano alle caratteristiche tipiche delle malattie neurodegenerative, nonché la presenza di atrofia corticale, tra gli individui colpiti dal WTC che presentano un deterioramento cognitivo nella mezza età. Questo rischio è stato associato sia all’esposizione fisica al WTC sia al disturbo cronico da stress post-traumatico, che include la rievocazione regolare dei ricordi traumatici degli eventi5.

Ovviamente, anche queste nostre note, non sono esaustive dell’impatto ambientale delle attuali guerre, che dovrebbe comprendere, ad esempio, anche gli effetti di lungo periodo della contaminazione dei suoli e delle acque sulla catena alimentare, nonché i costi ambientali della ricostruzione, in termini di energia e materiali prelevati dalla natura. Possono servire, però, a cogliere la devastante compromissione ambientale prodotta dalla guerra, di gran lunga più importante delle sole emissioni di CO2.

L’Occidente all’ultima “guerra dei trent’anni”?

Tuttavia, mentre si chiacchera di “transizione ecologica” la guerra continua con un’escalation preoccupante. Che cosa stia succedendo nel mondo è difficile comprenderlo. Non aiuta l’informazione veicolata dai mass media in gran parte già ingaggiata a tener saldo il “fronte interno” dell’opinione pubblica, sempre fondamentale nelle guerre moderne, quasi quanto la forza delle armi. L’unico messaggio di verità che ci trasmette è che, appunto, siamo in qualche modo in guerra. Ma di che guerra si tratta? A ben vedere dopo la Seconda guerra mondiale, probabilmente, non è passato giorno senza che in qualche territorio del Pianeta vi fosse in corso un conflitto armato. Ma ora la novità è che sarebbero in gioco l’egemonia Nordamericana sul Pianeta, dunque i destini dell’Occidente, e che le nostre armi sono all’opera, ancorché non direttamente imbracciate da soldati italiani, in questa cruciale partita.

Il Papa da tempo parla di terza guerra mondiale a pezzi, ma forse è addirittura qualcosa di più.

Potrebbe essere molto utile per comprendere più in profondità gli avvenimenti in corso, ripercorrere la storia di lungo periodo dell’Occidente rileggendo le opere di tre grandi autori del secolo scorso, che purtroppo ci hanno lasciati, mentre avremmo così bisogno delle loro lezioni: l’inglese Erich Hobsbawm (1917-2012)6, il nordamericano Immanuel Wallerstein (1930-2019)7 e l’italiano Giovanni Arrighi (1937-2009)8. Grazie alla profondità della loro analisi critica della storia dell’Occidente avevano colto la crisi grave, forse definitiva, cui andava incontro questa civiltà, che aveva preteso di dominare il sistema-mondo da quando questo fu percepito come unico e globale, ovvero dalla fine del XV secolo. Un dominio caratterizzato dal prevalere del sistema capitalistico, dall’innovazione tecnologica, dal ruolo della finanza e della moneta, dalla potenza di fuoco delle armi, dalla presunta superiorità della civiltà occidentale, motivata prima dalla religione cattolica, poi dalla “scienza” (biologia e antropologia…), che lo legittimavano moralmente.

Una storia segnata anche da diverse fasi in cui si è sviluppata sul piano geopolitico l’egemonia occidentale: dalla prima, all’insegna dell’imperialismo spagnolo e della “lira di buona moneta” genovese, interrotta dal trauma della guerra dei Trent’anni (1618-1648) che apre la seconda fase, quella delle Province unite olandesi e del fiorino, a sua volta interrotta dalla grande guerra francese e dalle guerre napoleoniche (1792-1815), che segnano il prevalere dell’Inghilterra e della sterlina, fino al trauma della moderna “guerra dei trent’anni” (1914-1945) che determina il passaggio del testimone dell’egemonia agli Stati Uniti e al dollaro. Passaggio ritenuto con assoluta convinzione definitivo, in particolare dopo il crollo del sistema sovietico e del bipolarismo, come sancì nel 1992 lo storico statunitense Fukuyama9, annunciando “la fine della storia”, ovvero il compimento di un’indiscussa e accettata egemonia sul sistema-mondo da parte degli Usa, con il trionfo incontrastato della globalizzazione all’insegna del capitalismo neoliberista e della “società aperta” della democrazia liberale.

Sul finire del millennio, infine, il movimento neoconservatore elaborava il Progetto per un nuovo secolo americano10nella convinzione che questa nuova e inedita situazione, mentre rendeva superfluo il ruolo dell’Onu, richiedesse un assoluto predominio del sistema militare Usa-Nato capace di imporre le proprie regole in particolare in quelle aree potenzialmente critiche per il mantenimento della nuova pax americana. Un progetto partorito con il governo repubblicano di George W. Bush, che ha poi ispirato in generale la politica estera anche dei democratici (come noto, il principale leader neocon, Dick Cheney, ha dichiarato il proprio voto per la candidata democratica Harris). Forse il 1999 verrà considerato dagli storici l’anno d’inizio della nuova strategia e dell’ultima “guerra dei trent’anni” dell’Occidente perché, per la prima volta senza mandato Onu, la Nato interviene nella crisi del Kossovo bombardando la capitale della Serbia, Belgrado. Dopodiché è un susseguirsi di conflitti segnati da interventi unilaterali di Usa e Nato, senza alcun mandato Onu: nel 2001 la ventennale guerra all’Afghanistan dei Talebani; nel 2003 la seconda guerra all’Iraq con l’eliminazione di Saddam Hussein; nel 2011 la guerre alla Libia con l’eliminazione di Gheddafi e la guerra in Siria per abbattere il regime di Assad, che da poco sembrerebbe conclusa, salvo possibili effetti boomerang; nel 2014 l’intervento nella crisi tra Ucraina e Federazione russa (rivoluzione o golpe bianco di piazza Maidan, con la destituzione del legittimo presidente filorusso, guerra del Donbass e occupazione russa della Crimea) e dal febbraio 2022 sostegno finanziario e militare all’Ucraina per opporsi all’invasione russa delle regioni orientali; nel 2023 sostegno finanziario e militare alla guerra di Israele contro i palestinesi di Gaza, il Sud del Libano e l’Iran, in risposta al sanguinoso attacco di Hamas ai territori israeliani del 7 ottobre.

Ora, se si pone mente agli esiti di questi 25 anni di guerre dell’Occidente, ovvero di Usa e Nato, per consolidare il “nuovo secolo americano” non si può non constatare che siano più i fallimenti che i successi. Il tutto mentre un “altro sistema-mondo” si sta costruendo nelle antiche periferie degli imperi occidentali a Sud e a Est, sempre più insofferenti del predominio del Nord e dell’Ovest. Si tratta, com’è noto, dei brics, che, nell’indifferenza della stampa occidentale, si sono riuniti nell’ottobre scorso a Kazan, sotto la presidenza russa, per il XVI vertice che ha riunito i membri fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), i nuovi membri a partire dal 1º gennaio 2024 (Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Iran, Etiopia), i partner sulla via dell’adesione (Cuba, Bolivia, Indonesia, Malesia, Thailandia, Vietnam, Algeria, Nigeria, Uganda, Turchia, Bielorussia, Kazakistan, Uzbekistan) e tanti altri paesi rappresentativi del cosiddetto Sud globale o “resto del mondo”. I brics rappresentano il 40% della popolazione mondiale e il 37% del pil mondiale. A Kazan hanno concordato una Dichiarazione in 130 punti di notevole interesse11, che a grandi linee si richiama ai contenuti di quella Dichiarazione dell’onu sul Nuovo Ordine economico internazionale12 di cinquant’anni fa, voluta dai Paesi in via di sviluppo, ma immediatamente accantonata dagli usa di Kissinger, Dichiarazione che, se attuata allora, avrebbe assicurato un mondo più giusto e pacifico13.

Che si sono detti a Kazan? Non vi è qui lo spazio per riprendere neppure per sommi capi quel documento, che forse però meriterebbe di essere letto con attenzione da chi ritiene che il mondo non sia riducibile all’Occidente. Riportiamo solo alcuni passi che ci sembrano significativi:

Ci impegniamo a rafforzare la cooperazione nei brics sotto i tre pilastri fondamentali della cooperazione politica e di sicurezza, economica e finanziaria, culturale e tra i popoli e a consolidare il nostro partenariato strategico a beneficio dei nostri popoli attraverso la promozione della pace, un ordine internazionale più rappresentativo e più equo, un sistema multilaterale rivitalizzato e riformato, uno sviluppo sostenibile e una crescita inclusiva. […] Ribadiamo il nostro impegno per la risoluzione pacifica delle controversie attraverso la diplomazia, la mediazione, il dialogo inclusivo e le consultazioni in modo coordinato e cooperativo e sosteniamo tutti gli sforzi che favoriscono la risoluzione pacifica delle crisi. Sottolineiamo la necessità di impegnarci in sforzi di prevenzione dei conflitti, anche affrontandone le cause profonde. Riconosciamo le legittime e ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi14.

I richiami all’onu e alla sua necessaria riforma e reale democratizzazione sono continui, infatti vi ha partecipato anche il Segretario generale delle Nazioni unite, accolto con attenzione e interesse. mentre dall’Occidente, come è noto, negli ultimi tempi non ha ricevuto particolare sostegno. Intendiamoci, le società e le economie dei brics non rappresentano un’alternativa auspicabile, non solo perché non rispondono ai nostri canoni liberal-democratici, ma anche perché in gran parte sono anch’esse contaminate dal virus distruttivo della crescita. L’esperimento cui stanno dando vita nella gestione delle relazioni internazionali, tuttavia, sembra meritevole di essere considerato: tra di loro vi sono profonde differenze culturali, religiose, politiche, di modelli istituzionali, vi sono anche problemi di frizioni geopolitiche (si pensi a Russia e Cina o India e Cina per i confini centroasiatici, alla stessa Cina e il Vietnam per il Mar Cinese Meridionale, all’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita…); tuttavia, a partire dal rispetto reciproco delle diversità e dall’impegno a trovare soluzioni pacifiche con negoziati ai conflitti, riescono a convivere e a cooperare paritariamente per i reciproci interessi in un quadro di multilateralismo. Un quadro di cooperazione pacifica che è comunque la precondizione perché l’umanità affronti seriamente la crisi ecologica.

A questo punto della nostra riflessione, potremo concludere, sulla base degli insegnamenti dei tre grandi storici sopra evocati, che siamo all’ennesimo, per l’esattezza il quarto, dislocamento geopolitico dell’egemonia dell’Occidente, che, come in passato, sconta le doglie del parto, ovvero un periodo conflittuale.

Purtroppo l’attuale transizione sembra alquanto più complessa, per cui ci troviamo di fronte a una prospettiva del tutto inedita: se nel precedente mezzo millennio della modernità, ovvero della storia dell’Occidente, la dislocazione geopolitica dell’egemonia sul mondo, seguita a traumi bellici sanguinosi, è comunque sempre avvenuta all’interno del perimetro culturale, politico e antropologico dell’Occidente, ora, invece, per la prima volta il confuso e smentito allarme lanciato un secolo fa da Spengler sull’imminente “tramonto dell’Occidente”15 non ci appare più un’improbabile visione suggestiva, ma una concreta e realistica possibilità. Dunque, quella che si prospetterebbe non sarebbe tanto la fine dell’egemonia Usa e del dollaro sull’Occidente, ma la fine dello stesso Occidente, inteso come civiltà deputata a dominare il sistema-mondo. A prospettare esplicitamente questo esito traumatico non è più il confuso e visionario Spengler, ma lo storico, demografo, antropologo e sociologo neo-weberiano Emmanuel Todd, allievo dello storico inglese Peter Laslett a Cambridge, il quale si è conquistato una grande credibilità per aver predetto con diversi anni di anticipo il crollo dell’urss16. Quindi, se ora titola il suo ultimo lavoro La sconfitta dell’Occidente17, merita di essere preso sul serio.

In effetti, se crollano gli Stati Uniti, non vi sono potenze globali in Occidente in grado di sostituirli (forse avrebbe potuto esserci la vecchia Europa se mai fosse esistita come entità politica coesa, autonoma, non appendice del Nord Atlantico, ma aperta fino agli Urali e dialogante con il Sud globale). L’alternativa, a questo punto, potrebbe essere interpretata dai “nuovi barbari”, estranei ai valori dell’Occidente (democrazia, libero mercato, “società aperta”, diritti delle donne e Lgbtq …): i cinesi irregimentati da uno strano e orribile connubio autoritario e antidemocratico fatto di comunismo, capitalismo e tecnologia, i russi degli oligarchi e dell’autocrate Putin, gli iraniani preda del fondamentalismo islamico sciita e degli Ayatollah.

Molti in Occidente vivono questa prospettiva come un salto nel buio, un vero incubo, addirittura con maggiore angoscia da parte di quell’opinione liberal e progressista che dentro il trionfo del neoliberismo ha potuto apprezzare quei valori e anche i confort. Si potrebbe spiegare così il paradosso di un partito democratico Usa e di partiti socialdemocratici e verdi europei che appaiono più determinati delle stesse destre nell’investire sulla nuova “guerra dei trent’anni”, che potrebbe essere anche l’ultima dell’Occidente. Ma queste motivazioni sono riservate alle anime belle, mentre i gruppi di comando dell’Occidente sanno bene che il vero nodo che sta giungendo al pettine è il controllo delle risorse materiali ed energetiche sempre più scarse per una popolazione che si avvicina alla soglia dei dieci miliardi, la vera crisi ecologica difficile da aggirare se l’Occidente bulimico intende continuare con un’economia di crescita. E purtroppo l’Occidente è ancora fermo alla dottrina del democratico Jimmy Carter, successiva all’oil shock del 1973, per cui il Golfo Persico è un’area di pertinenza della “sicurezza nazionale” statunitense18, alla stregua di tutte le aree ricche di risorse, nonché alla celebre frase di George W. Bush alla Conferenza dell’onu del 1992, quella dell’imbroglio dello sviluppo sostenibile: “Lo stile di vita americano non è negoziabile”.

Dunque, sembra che vi siano tutte le condizioni perché nell’immediato futuro la guerra sia centrale nell’agenda delle politiche dei Paesi occidentali, anche perché gli stessi sono convinti di poter giocarsi ancora la partita del dominio del mondo grazie alla supremazia che tuttora vantano sul piano militare e che sono impegnati a potenziare ulteriormente nei prossimi anni.

E le varie “agende verdi” e “sociali” in un simile contesto possono attendere. Tremendamente schietta, in questo senso, è la conclusione di un recente editoriale del giornalista per antonomasia di sistema, Ferruccio De Bortoli, dedicato alla transizione ecologica: “Abbiamo cominciato a parlare di clima e finito con le armi. Il clima purtroppo è questo”19.

Armi e ancora armi

Dopo ottanta anni di pace, almeno in Europa Occidentale e anche negli Usa che la guerra l’han sempre fatta lontano da casa (ad eccezione del trauma delle Torri gemelle), ci siamo assuefatti all’idea che la guerra fosse un tema definitivamente archiviato, almeno per noi. Un’assuefazione, stando ai fatti, ingannevole che dovrebbe preoccupare i pacifisti, come preoccupa i “guerrafondai”. Quanti articoli di fondo sono apparsi sul giornale di sistema per eccellenza, il Corriere della Sera, allarmati per l’indifferenza e la passività dell’opinione pubblica italiana di fronte all’urgenza di armarsi e prepararsi ad affrontare una possibile guerra. Citiamo per tutti uno degli autori più di punta, il professor Panebianco:

Né vanno meglio le cose sul versante della difesa. Tante chiacchiere e pochi fatti. “Fatti” in questo campo significa, prima di tutto, fare accettare agli europei uno spostamento di risorse in favore della difesa. Cosa politicamente impossibile se non si preparano adeguatamente le opinioni pubbliche. E se all’interno delle varie democrazie, non si realizzano accordi fra maggioranze di governo e opposizioni sulla necessità di investire nella sicurezza.
In una Europa ricca e soddisfatta, anestetizzata da ottant’anni di assenza di guerra, ove in tanti sembrano non capire che quella condizione è stata assicurata dalla pax americana e che l’indebolimento del ruolo internazionale dell’America rimette tutto in discussione,.[…] il tema per noi europei è il seguente: si riuscirà a fare capire in tempo che il mondo è cambiato, che occorre trovare la strada per ricostituire condizioni di sicurezza a fronte della minaccia armata dei tiranni? La sicurezza fisica dei cittadini europei, così come il mantenimento di condizioni di libertà e democrazia nel Vecchio Continente, dipendono dalla capacità delle classi dirigenti di scuotere dal torpore le opinioni pubbliche. Tempi stretti, scelte impegnative20.

Ebbene, un simile allarme, ma con argomenti rovesciati, dovrebbe scuotere l’opinione pubblica che intende mantenere la pace, mobilitandosi in “tempi stretti” e con “scelte impegnative”.

Perché, nel frattempo, si stanno compiendo passi importanti nella direzione della guerra totale, neppure escludendo l’uso delle atomiche tattiche. Nelle basi di Ghedi e Aviano, sarebbe già conclusa la sostituzione delle 40 vecchie bombe nucleari B61-4 con le nuove B61-12, più precise e impiegabili anche tatticamente, mentre in generale stanno crescendo gli investimenti nel mondo per rinnovare e potenziare gli arsenali atomici pronti per l’impiego per un ammontare di 91,4 miliardi di dollari nel 202321.

Della corsa alle armi dà conto uno studio di Mediobanca del maggio 2024 sulle performances delle maggiori imprese produttrici per la guerra: il primo trimestre dell’anno ha registrato un ulteriore incremento dei ricavi dei produttori di armi (+8,2%). Ai grandi gruppi europei e americani andranno almeno 485 miliardi di euro. In vetta c’è la Lockheed Martin (costruisce innumerevoli “best seller” della guerra, dai jet F35 ai missili Javelin) con incassi da 55 miliardi di euro l’anno. Seguono la Raytheon (37 miliardi), e la divisione militare di Boeing (31 mld), quindi Northrop Grumman (30 mld) e General Dynamics (27 mld). In ottava posizione c’è l’italiana Leonardo con un giro d’affari di 11,5 miliardi di euro.

Chi controlla queste società sono per lo più i soliti colossi della gestione del risparmio e della finanza globali, per lo più statunitensi, da Blackrock a Vanguard a Jp Morgan. Oltre al ministero dell’Economia, l’italiana Leonardo ha tra i suoi azionisti vari fondi americani e la banca centrale norvegese, mentre nella tedesca Rheinmetall i primi tre soci sono i fondi statunitensi Capital research, Fidelity e Wellington. Nei soli primi tre mesi del 2024 i titoli della difesa hanno visto il loro valore aumentare del 22%, ovvero il triplo rispetto all’indice azionario globale; ottima l’italiana Leonardo con un +56%22.

Per Leonardo non possiamo risparmiarci la chicca della recente intervista a Roberto Cingolani, il nuovo Ceo transitatovi direttamente dal Ministero della Transizione ecologica, anticipando con la propri traiettoria personale le conclusioni di De Bortoli:

Nello spazio, così come nella difesa, piccolo non è bello e neanche una taglia media come la nostra è sufficiente: le aziende europee devono allearsi, sacrificando la loro sovranità sul ridotto mercato domestico per poter competere insieme sull’immenso mercato globale. Leonardo sta agendo da sherpa in questo ambito e con Rheinmetall [che produce i carrarmati Leopard, ndr] abbiamo raggiunto una prima storica vetta […] È questa la visione sottostante all’alleanza con Rheinmetall che produrrà mezzi, per così dire, nativi digitali. […] Non faremo solo il ferro, la corazza, ma anche tutta la parte che riguarda l’elettronica, i comandi, i sistemi di comunicazione, nonché, ovviamente, gli armamenti, le protezioni attive dai droni, la cyber security23.

D’altro canto l’Europa si muove nel solco tracciato dagli usa e dalla nato. Infatti il discorso programmatico per il secondo mandato del 18 luglio 2024 di Ursula von der Leyen rovescia le priorità del primo mandato centrato sul Green Deal: difesa, protezione dei confini, sviluppo economico e tutela della ambiente. E la difesa, eufemismo per guerra, è il tema d’apertura:

“Le scelte definiscono il destino e in un mondo pieno di avversità il destino dipende da ciò che faremo ora. L’Europa è dinnanzi ad una scelta decisiva che definirà la nostra posizione nel mondo nel prossimo quinquennio. L’Europa non può controllare dittatori e demagoghi nel mondo ma può scegliere di tutelare la nostra democrazia” per questo è necessaria una scelta per una “Europa forte”. E ancora: “Dobbiamo investire di più, investire insieme e concentrarci sui progetti europei. Uno scudo aereo non solo per proteggere il nostro spazio aereo ma anche come simbolo forte dell’unità dell’ue in materia di difesa”24. Ancora più netta il 27 novembre all’atto dell’insediamento della nuova Commissione, in cui evoca la terza guerra mondiale: “La libertà per l’Europa non sarà gratuita”, ha esordito, ciò “significa fare scelte difficili. Significa investire massicciamente nella nostra sicurezza e prosperità. E soprattutto significherà rimanere uniti e fedeli ai nostri valori. […]. Perché credo che la nostra generazione di europei debba lottare ancora una volta per la libertà e la sovranità, per la libertà per cui il popolo ucraino sta eroicamente lottando. […] La Russia spende fino al 9% del suo Pil per la Difesa. L’Europa spende in media l’1,9%. C’è qualcosa di sbagliato in questa equazione. La nostra spesa per la Difesa deve aumentare. E abbiamo bisogno di un mercato unico della Difesa”25.

E anche il governo Meloni si allinea. Solo nei prossimi tre anni, l’Italia si prepara a spendere in armi la bellezza di 39 miliardi di euro, 13 l’anno in media, circa il 40% della spesa per la “missione difesa” descritta dal bilancio dello Stato (31 miliardi) e lo 0,55% abbondante del Pil. Per capirci sulle dimensioni dello stanziamento, basti dire che contro il dissesto idrogeologico l’anno prossimo dovrebbero essere disponibili circa 1,8 miliardi, che l’intero bilancio del ministero dell’Università è di 14 miliardi, nel quale alla ricerca vengono destinati circa 2,5 miliardi26.

Si comprendono in questo quadro gli impulsi continui all’escalation nei diversi teatri di guerra impressi dagli usa, dalla nato e dall’Europa, che rappresentano allo stesso tempo la causa e lo scopo della corsa inarrestabile alle armi ed alla guerra. Il consenso dell’ue all’invasione da parte dell’Ucraina del territorio russo nella zona di Kursk e a colpire con armi nato, previo accordo del fornitore nazionale, la Russia furono decisioni prese a larghissima maggioranza.

Il programma varato dalla nato di installazione per il 2026 di un sistema missilistico in Germania capace di colpire nel cuore la Russia è forse l’atto più sciagurato. Si tratta di una provocazione dagli esiti imprevedibili: per quanto non nucleari, quei missili capaci di colpire Mosca altereranno in modo significativo l’equilibrio strategico e produrranno destabilizzazione anziché deterrenza, per cui una reazione russa sarà inevitabile, se solo si tiene conto di come sia ancora vivo da quelle parti il ricordo delle distruzioni e dei 26 milioni di morti provocati dall’aggressione della Germania nazista. E nella crisi del Medio Oriente l’atteggiamento è lo stesso, con in più l’ipocrisia del richiamo pubblico a Netanyahu per la “moderazione”: l’appoggio politico, militare e finanziario degli usa e della nato al governo israeliano per l’estensione del conflitto da locale, con la distruzione di Gaza, a regionale, con l’invasione del Libano in spregio al dispiegamento di interdizione onu e, infine, con i reiterati attacchi all’Iran, probabilmente il vero obiettivo del conflitto.

I movimenti pacifisti. Una ricognizione

Nel secondo dopoguerra, quando ancora era incisa nelle coscienze europee l’inconciliabilità degli statuti democratici e partecipativi con il militarismo e l’esaltazione dell’industria bellica, il “ripudio della guerra”, sancito dall’art.11 della Costituzione, era un sentimento comune nato da un rigetto – un ripudio, appunto – del modo di pensare il mondo e la società che avevano portato ai conflitti mondiali. Tuttavia, non esisteva allora in Italia un movimento pacifista diffuso, anche a causa della contrarietà del cattolicesimo che considerava l’antimilitarismo una forma criptica di comunismo. Fu grazie alla presa di coscienza ispirata dall’opera di Aldo Capitini – fondatore del Movimento Nonviolento e della rivista Azione nonviolenta pubblicata dal 1961– e all’eco mediatica del processo che si tenne a Torino nel 1949 contro Pietro Pinna – uno dei primi obiettori di coscienza al servizio militare – che iniziò anche in Italia un dibattito pubblico, culturale e politico sul pacifismo e che sull’onda dell’antimilitarismo e antinuclearismo del movimento sessantottino, con aggiustamenti successivi, si giunse al riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, democratica soluzione di un conflitto fra diritti e doveri della difesa – riconosciuta possibile anche in forma non armata – dei cittadini di uno stato repubblicano.

All’opposto di questa visione sta l’ordinamento autoritario di stampo fascista che in ogni sua forma si basa su principi di superiorità (etnica, culturale, economica, militare) di una componente sociale rispetto a tutte le altre. La conseguente disumanizzazione di ogni nemico, la ricerca di coercizioni per la soluzione delle controversie degradano con il tempo verso forme di conflitto sempre più violente fino a sfociare in guerra. Sono tratti tipici di questo ordinamento il culto del capo, la difesa della proprietà, i motivi anti-internazionalisti e anti-solidaristici (al di fuori della comunità di eletti), la filosofia del capro espiatorio e, infine, il militarismo in cui tutti i precedenti istinti finiscono per sfociare. Tutti questi motivi sono strettamente intrecciati fra loro e difficilmente si possono separare gli uni dagli altri. Per questo il movimento pacifista si oppone a ciascuna di queste visioni del sistema sociale e, soprattutto, alle ricorrenti pretese socio-culturali delle pratiche militari e all’esaltazione oggi in termini propagandistici della tecnologia bellica in cui confluiscono e si integrano derive scientifiche, un’infantile visione della realtà, l’interesse finanziario, l’esaltazione gerarchica del sistema sociale.

La frammentazione dei movimenti antimilitaristi, che per la loro naturale spontaneità (e al contrario delle derive autoritarie) non sono facili da ricondurre a modelli definiti, rende difficile una visione complessiva di quanto sta accadendo nel nostro paese in termini di impegno dal basso contro le guerre e contro la valorizzazione perfino sul piano educativo – oltre a quello economico – dell’industria bellica e della cosiddetta “cultura della Difesa”27.

Come reazione alla svolta profondamente militarista del governo Meloni, sono nate in Italia due reti nazionali: la Scuola per la pace e l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, costituite soprattutto da docenti e insegnanti di ogni ordine e grado, in precario coordinamento con i movimenti studenteschi. Questi insieme tentano di opporsi ai progetti “educativi” dell’esercito nelle scuole: le visite scolastiche nelle caserme dove invece di parlare di salute, sicurezza sanitaria e sul lavoro, ambiente e prevenzione s’insegnano l’alzabandiera, le marce e il cameratismo. Sui loro Blog, gli insegnanti si chiedono quale filologia sostenga queste pratiche spacciandole come percorsi pedagogico-educativi e si indignano per iniziative come l’istituzione della Giornata della memoria e del sacrificio degli alpini che, collocata nella data del 26 gennaio, chiude l’accerchiamento alla scomoda Giornata della Memoria dedicata alla Shoah che si ricorda il giorno successivo (27 gennaio) e assieme al Giorno del Ricordo (10 febbraio) completa una compulsiva ressa della memoria, glorificando un’immane strage di giovani italiani, russi e tedeschi in una guerra d’invasione. Avvenimento che andrebbe ricordato soprattutto come momento di svolta e presa di coscienza del popolo italiano verso la redenzione dal nazifascismo.

Emergono nelle reti del pacifismo, per la continuità della loro opera, la capacità di approfondimento storico e l’assunzione di un ruolo di riferimento, alcuni centri capaci di coordinare azioni e pratiche su scala nazionale e internazionale. È impossibile una loro rassegna completa, tentiamo un parziale elenco delle principali organizzazioni sorte e tuttora attive in Italia (escludendo per brevità tutte le associazioni ambientaliste, intrinsecamente contrarie alla guerra). La Rete Italiana Pace e Disarmo raccoglie più di 60 associazioni28, nata il 21 settembre 2020 dalla confluenza di due organismi storici del movimento pacifista italiano: la Rete della Pace (fondata nel 2014) e la Rete Italiana per il Disarmo (fondata nel 2004). Storicamente, va ricordato il Movimento Internazionale per la Riconciliazione (MIR), conosciuto nei paesi anglosassoni come IFOR (International Fellowship of Reconciliation), fondato nel 1914 e candidato tre volte al premio Nobel per la pace, assegnato per 6 volte ad affiliati IFOR: Jane Addams (1931), Emily Greene Balch (1946), Chief Albert Luthuli (1960), Martin Luther King Jr. (1964), Mairead Corrigan-Maguire (1976) e Adolfo Pérez Esquivel (1980).

L’Italian Peace Research Institute (IPRI – Istituto Italiano per la Ricerca sulla Pace) fu fondato a Napoli nel 1977 da Mario Borrelli, Antonino Drago e Giuliana Martirani, affiliato all’IPRA (International Peace Research Association). PeaceLink, nata nel 1995 a Taranto dopo lo shock della prima Guerra del Golfo del 1991, fu la prima associazione pacifista a mobilitarsi in forma telematica sfruttando la allora nascente rete Internet. Il Centro Studi Sereno Regis di Torino è uno spazio archivistico, bibliotecario e culturale dedicato ai temi della partecipazione, dello sviluppo e della pace, che opera nei settori della ricerca ed educazione per la pace e la nonviolenza dal 1982. Nello stesso anno fu fondato l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo-IRIAD che in collegamento con diversi organismi nazionali ed esteri, favorisce la conoscenza scientifica su temi di sicurezza, disarmo, intercultura, diritti umani, gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti.

Il Coordinamento AGiTe contro le armi atomiche, tutte le guerre e i terrorismi è nato nel maggio 2017 per sostenere la partecipazione dell’Italia alle trattative all’ONU e la ratifica, dopo la sua approvazione, del Trattato ONU che mette al bando le armi atomiche (TPNW). Sono protagoniste di quel trattato ONU e formalmente condividono la vittoria del premio Nobel per la pace assegnato nel 2017 alla International Campaign Against Nuclear Weapons (ICAN) anche le associazioni affiliate italiane di ICAN:Associazione Italiana Medicina per la Prevenzione Della Guerra Nucleare, Cormuse (associazione di Milano per la pace attraverso l’amicizia, la musica e le arti), Disarmisti Esigenti, Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, PeaceLink, Rete Disarmo, Senzatomica, la sezione italiana WILPF (Women’s International League for Peace and Freedom), World Foundation for Peace.

Fra i media, va segnalato l’impegno antimilitarista del “Il Manifesto” e di “Avvenire”, come per la maggior parte delle pubblicazioni di area cattolica progressista. Anche “Il Fatto Quotidiano” offre approfondimenti ed analisi di qualità sulle guerre in corso, con diversi collaboratori tra cui: Barbara Spinelli, Elena Basile, Alessandro Orsini, Fabio Mini e Jeffrey Sachs. Oltre alla già citata Azione nonviolenta, moltissime riviste come A-Rivista Anarchica, Valori, Gli Asini, Nigrizia, Medicina Democratica, Epidemiologia & Prevenzione, la siciliana Scorci e Malamente, pubblicata a Urbino, dedicano spazio e approfondimenti ai temi del pacifismo, dell’antimilitarismo e della nonviolenza.

Fra le iniziative ricorrenti, va segnalata la Marcia per la pace Perugia – Assisi, un corteo nonviolento che periodicamente si ripete per testimoniare l’impegno a favore della pace e della solidarietà dei popoli, associata al tavolo per la pace. Si svolse per la prima volta domenica 24 settembre 1961 su iniziativa di Aldo Capitini e vide fra i 20mila partecipanti personaggi come Renato Solmi, Renato Guttuso, Ernesto Rossi, Giovanni Arpino e Italo Calvino.

La rivista “Altreconomia”, che ospita sovente inchieste sui costi delle guerre e le derive dell’industria bellica29, ha preparato nel giugno 2024 un dossier Fermare le guerre, costruire la pace a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, con l’adesione di Attac Italia, Eco Istituto del Veneto, Peacelink e Pax Christi.

Sbilanciamoci, Rete Pace e Disarmo, Greenpeace e Fondazione Perugia Assisi hanno lanciato il 23 ottobre 2024 la campagna Fermiamo il riarmo per chiedere la riduzione delle spese militari e il disarmo. Sbilanciamoci nella sua controfinanziaria chiede la riduzione del 20% delle spese militari, una tassa straordinaria sugli extra profitti dell’industria militare e un fondo permanente per la riconversione dell’industria bellica. Il portavoce, Giulio Marcon ha affermato: “Dobbiamo passare da un’economia di guerra ad un’economia di pace e rispondere ai veri bisogni dei cittadini che sono il lavoro, il diritto alla salute e all’istruzione, la transizione da un nuovo modello di sviluppo fondato sulla qualità sociale e la sostenibilità. Questa è la vera emergenza, non quella delle armi”.

I cattolici di Pax Christi Italia stanno da alcuni anni portando avanti una positiva esperienza di costruzione di reti denominata Fari di Pace nel difficile campo del controllo e della limitazione del commercio internazionale di armamenti accompagnata e supportata nel percorso da Weapon Watch30 (), un osservatorio sul trasporto delle armi nei porti europei con sede a Genova. Di matrice anarchica, va segnalata l’Assemblea Antimilitarista, nata dopo un incontro a carattere nazionale il 9 ottobre 2021 a Milano, che raccoglie vari gruppi e individualità impegnati nella lotta dal basso contro il militarismo e le guerre.

Citiamo ancora la rete di attivismo che chiede l’uscita dell’Italia dalla NATO e che comprende movimenti come il comitato Sciogliamo la NATO, mai più guerre, nato dal “Forum Contro la Guerra”, che raccoglie soprattutto associazioni del Nord Italia e, assieme al recentemente costituitosi Coordinamento Nazionale No NATO (formalizzato a Bologna l’8 dicembre 2024) si oppone alle forniture militari a paesi belligeranti, alla produzione degli F35 a Cameri, al deposito di ordigni nucleari NATO a Ghedi ed Aviano e contro le basi NATO di Solbiate Olona31.

Un’altra importante realtà che sta mostrando ultimamente la sua vitalità è il Coordinamento italiano per la terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza32 che ha stimolato la partecipazione in una trentina di città a convegni, proiezioni di film e spettacoli, cortei e manifestazioni di piazza.

Tra i suoi obiettivi, l’approvazione del Trattato internazionale per la completa proibizione delle armi nucleari, il Disarmo, il Diritto all’Obiezione di Coscienza, l’educazione alla Pace e alla Nonviolenza, la tutela dell’ambiente.

Territorio di grande attivismo antimilitarista in questi anni è la Sardegna, la Regione più militarizzata d’Europa tra poligoni (anche pericolosi per la salute), basi militari ed esercitazioni della NATO. La protesta degli abitanti contro i guasti dell’industria bellica è testimoniata da associazioni come A FORAS Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna, e il Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile costituito nel2017 a Iglesias, composto da oltre 20 aggregazioni locali, nazionali ed internazionali accomunate dallo scopo di promuovere la riconversione al civile di tutti i posti di lavoro dello stabilimento dell’industria bellica RWM-Rheinmetall, tra i territori di Iglesias e Domusnovas.

A Bolzano, è attiva dal 1999 la Fondazione Alexander Langer nata per sostenere gruppi e persone che con la loro opera contribuiscono a mantenere viva l’eredità del pensiero di Langer e perseguono il suo impegno civile, multiculturale e multietnico.

Nel 2024 è nato il Laboratorio permanente sulla riconversione economica industriale, focalizzato inizialmente sul Sulcis Iglesiente, sull’area industriale di Torino interessata dal Distretto Aerospaziale Piemontese e sulla Città dell’Aerospazio: si tratta di un progetto che punta a mettere insieme le energie di tutte le reti ed organizzazioni per dare attuazione allo spirito della Costituzione e alle vigenti leggi della Repubblica che cercano di limitare la produzione di tecnologie belliche e militari.33

Come abbiamo visto, importante è la ricchezza delle iniziative. Ma i “tempi stretti” della generale escalation in atto a noi sembra che imponga un salto di qualità: la costruzione di un vasto movimento capace di attivare la partecipazione di ampi strati della popolazione, dalle dimensioni delle grandi mobilitazioni del secondo dopoguerra e della battaglia contro gli euromissili degli anni Ottanta. Movimento in cui le diverse anime dell’ambientalismo dovrebbero sentirsi protagoniste.

1 Così è anche per il nostro amico Marco Revelli in un suo recente breve saggio, che riporta in dettaglio valutazioni approfondite sulle emissioni di CO2 determinate dalla guerra in Ucraina, Verde marcio, in “Comune-info.net”, 14 settembre 2014, (https://comune-info.net/verde-marcio/) tratte da un centro di ricerca internazionale: https://climatefocus.com/wp-content/uploads/2022/11/ClimateDamageinUkraine.pdf.

2 R. Lucchini et All., Cancer Incidence in World Trade Center Rescue and Recovery Workers, 2001-2008, in “Environ Health Perspectives”, 2013 Apr 23;121(6):699-704. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC3672914/.

3 R. Lucchini et All., Cognitive impairment and World Trade Centre-related exposures, in “Nat Rev Neurol”, 2021 Nov 18;18(2):103-116. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC8938977/.

4 R. Lucchini et All., Cancer Incidence…, cit, Abstract.

5 R. Lucchini et All., Cognitive impairment…, cit, Abstract.

6 E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991. L’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1995.

7 I. Wallerstein, Alla scoperta del sistema mondo, Manifestolibri, Roma 2003.

8 G. Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano 2014.

9 F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992.

10 Project for New American Century, https://web.archive.org/web/20080513185419/http://www.newamericancentury.org/

11 Final XVI BRICS Summit, Kazan Declaration. Strengthening Multilateralism for Just Global Development and Security, Kazan, Russian Federation, 23 October 2024. https://cdn.brics-russia2024.ru/upload/docs/Kazan_Declaration_FINAL.pdf?1729693488349783.

12 ONU, Declaration on the Establishment of a New International Economic Order, 2229th Plenary Meeting, 1° may 1974, file:///C:/Users/Utente/Downloads/A_RES_3201(S-VI)-EN.pdf.

13 Nell’indifferenza generale l’Università di Venezia, nel maggio scorso, ha dedicato un importante convegno internazionale, New International Economic Order. Lessons and Legacies, 50 Years later, nella giusta convinzione che “quella del noei resta una vicenda di enorme interesse anche e soprattutto a partire dal drammatico dis-ordine internazionale attuale. […]. Comprendere ricchezze e limiti di quanto pareva a portata di mano nel 1974 diviene quindi di particolare rilevanza”. https://unive.it/pag/14024/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=15513. In altra parte, il professore Duccio Basosi, uno degli organizzatori dell’evento, dà conto dei risultati dell’incontro.

14 Final XVI BRICS Summit, Kazan Declaration, cit.

15 O. Spengler, Il Tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, Milano, Longanesi 1957.

16 In La chute finale: Essai sur la decomposition de la sphere soviétique, Éditions Robert Laffont, Paris 1976, Todd analizzò la mortalità infantile, i tassi di suicidio, la produttività economica e altri indicatori, e concluse che la lunga stagnazione dell’urss sarebbe presto culminata nel collasso.

17 E. Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi Editore, Roma 2024.

18 M. Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo, 1776-2006, Laterza, Roma-Bari 2008, cap. 10. Dettaglio che andrebbe ricordato quando ci si chiede il perché della feroce aggressione di Israele contro Gaza, poi al Sud del Libano e infine all’Iran e dell’ossessiva campagna di denigrazione dell’Iran.

19 F. De Bortoli,Cambio di stagione. Dal clima alla difesa, il futuro incerto della transizione verde, in “L’economia” del “Corriere della Sera” 25 novembre 2024.

20 A. Panebianco, Un’Europa più sicura ci riguarda, in “Corriere della Sera”, 4 marzo 2024.

21 M. Ruzzenenti, Atomiche Ghedi: torna il pericolo nucleare, in “ambientebrascia.it”, 22 luglio 2024, https://www.ambientebrescia.it/download/atomicheghedi2024tornapericolonucleare/. Si veda anche il recente Rapporto Sipri sull’aumento della produzione e della vendita delle armi: G. Sartorelli, Rapporto SIPRI, vendite in aumento per i colossi delle armi, in “Contropiano”, 4 dicembre 2024, https://contropiano.org/news/internazionale-news/2024/12/04/rapporto-sipri-vendite-in-aumento-per-i-colossi-delle-armi-0178163.

22 Area Studi Mediobanca, Le multinazionali industriali mondiali con focus sui gruppi della difesa, Milano, 14 maggio 2024, https://www.areastudimediobanca.com/sites/default/files/2024-05/ASM_CS_MNEs%202024_0.pdf.

23 D. Polizzi e F. Bertolino, Roberto Cingolani: “Avanti con le alleanze in Europa. Il piano cambia a marzo”, in “L’Economia”, supplemento del “Corriere della Sera”, 21 ottobre 2024.

24 Ue, von der Leyen alla prova dell’Europarlamento: “Proteggere la democrazia da ingerenze”, in “Euronews”, 18 luglio 2024, https://it.euronews.com/my-europe/2024/07/18/ue-von-der-leyen-alla-prova-delleuroparlamento-proteggere-la-democrazia-da-ingerenze.

25 S. Cannavò, Von der Leyen mette l’elmetto antirusso, in “Il fatto quotidiano”, 28 novembre 2024.

26 M. Palombi,Nei prossimi tre anni spenderemo 40 miliardi di euro in nuove armi, in “Il fatto quotidiano”, 31 ottobre 2024.

27 Il 6 marzo 2023, presso il Ministero della Difesa è stato istituito il Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa per “avvalersi del contributo della società civile, favorendo uno sguardo aperto che sommi alla capacità di analisi delle strutture militari quello di professionalità d’eccellenza”. Così si è espresso il Ministro della Difesa Guido Crosetto sulla costituzione del Comitato: “Viviamo tempi di rapidi cambiamenti e la Difesa deve essere sempre un passo avanti, anche dal punto di vista culturale e dell’elaborazione del pensiero. Servono approcci innovativi per continuare a essere efficaci nel garantire la sicurezza della Nazione e sono convinto che un dialogo strutturale tra il mondo militare, il sistema universitario, l’industria di settore e l’ambiente dell’informazione sia uno strumento essenziale per conseguire l’obiettivo (…). Le Forze Armate sono impiegate per tutelare gli interessi nazionali e il Sistema Difesa rappresenta uno strumento di politica estera nonché un formidabile volano di crescita per il Paese. Per questo motivo, in un rinnovato e complesso quadro geopolitico, dovrà cambiare la percezione dello Strumento Militare nazionale rispetto al passato”.

28 Elenco primi aderenti Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD): ACLI, AGESCI, Accademia apuana della pace, Ambasciata democrazia locale, Amici della mezza luna rossa palestinese, ANSPS, AOI – Associazione di cooperazione e di solidarietà internazionale, Associazione Obiettori Nonviolenti, Associazione Papa Giovanni XXIII, Ara pacis iniziative, Archivio disarmo, ARCI, ARCS, ASC Aps, Associazione Perugia Palestina, Associazione per la pace, Associazione per la pace di Modena, Assopace Palestina, AUSER, Beati i costruttori di Pace, CDMPI, Centro di Documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, Centro Studi Difesa Civile, Centro Studi Sereno Regis, CGIL, CIPAX, CNCA, Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della FCEI, Comunità araba siriana in Umbria, Conferenza degli Istituti Missionari in Italia, Coordinamento comunità palestinesi, Coordinamento comasco per la pace, Coordinamento pace in comune Milano, CTA – Encuentrarte, FIM-Cisl, FIOM Cgil, FOCSIV, Fondazione Angelo Frammartino, Fondazione Finanza Etica, Gruppo Abel, IPRI – rete CCP, IPSIA, Lega per i diritti dei popoli, Legambiente, Link2007 cooperazione in rete, Link – coordinamento universitario, Libera, Lunaria, Movimento europeo, Movimento Internazionale della Riconciliazione MIR, Movimento nonviolento, Noi Siamo Chiesa, Nexus Emilia Romagna, Osservatorio per le armi leggere OPAL Brescia, Pax Christi Italia, Per il mondo, Peacewaves, Piattaforma ong MO, Restiamo umani con Vik Venezia, Rete degli studenti medi, Rete della conoscenza, Rete della pace umbra, Tavola della pace valle Brembana, Tavola pace val di Cecina, Tavola sarda della pace, Tavola della pace di Bergamo, UDS, UDU, UISP, Un ponte per, Ventiquattro marzo …

29 Si veda Finanza, tecnologia e armi. Dove va a parare il “Piano Draghi” per l’Unione europea (“Altreconomia”, settembre 2024).

30 www.weaponwatch.net.

31https://www.peacelink.it/disarmo/a/50441.html; https://paolodarpini.blogspot.com/2024/12/coordinamento-no-nato-anteprima-delle.html.

32 https://theworldmarch.org/it.

33 Si veda per esempio Legge 185, Art. 1, comma 3: “Il Governo predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”.