Andrew Ure (1778-1857)
Permettetemi di presentarvi il dottor Andrew Ure (1778-1857), chimico e merceologo di grande prestigio nell’Inghilterra della prima metà dell’Ottocento, autore di numerosi trattati e di una enciclopedia dei prodotti industriali, anticipatore di quella “scienza” al servizio della manifatture capitalistiche, pronta a minimizzare i motivi di qualsiasi richiesta, da parte dei lavoratori e dei cittadini, del riconoscimento del diritto alla salute.
La sua storia è importante perché l’”ineffabile dottor Ure”, come lo chiama Marx nel celebre tredicesimo capitolo del primo libro del “Capitale”, ha generato innumerevoli discepoli che ancora oggi sono pronti a minimizzare i pericoli della fabbrica, gli effetti degli inquinamenti, i danni delle sostanze radioattive.
Negli anni in cui è vissuto Ure l’Inghilterra era attraversata da forti fermenti sociali. Le leggi del tempo – l’Inghilterra era appena uscita vittoriosa dalle guerre contro Napoleone e la sua industria stava sviluppandosi grazie ad una vivace classe imprenditoriale e alle materie prime tratte dalle ricche colonie – consentivano che bambine e bambini e giovani donne lavorassero anche dieci ore e oltre al giorno nelle miniere e nelle filande. Le bambine e i bambini, con le loro piccole dita, erano molto adatti a riannodare rapidamente i fili che si spezzavano nelle nuove veloci macchine per la filatura; nelle tessiture i bambini stavano in mezzo alle vasche di prodotti chimici per il lavaggio. Ancora peggiori erano le condizioni nelle miniere di carbone dove i piccoli operai spingevano pesanti carrelli in mezzo alla polvere, all’umidità, in promiscuità con gli adulti.
Per i piccoli lavoratori non c’era tempo per l’istruzione; arrivati stanchi a casa, trovavano stanze fredde, poco cibo, genitori tristi e arrabbiati. Alcuni imprenditori avevano organizzato delle specie di ricoveri in cui bambine e bambini dormivano e ricevano un poco di cibo e così potevano essere più puntuali sul lavoro la mattina; in premio la domenica potevano seguire lezioni di catechismo che insegnavano anche la riconoscenza e la fedele devozione ai datori di lavoro.
In queste condizioni si è formato un movimento, che potremmo chiamare di difesa dei diritti dei piccoli lavoratori, che si mise in testa di far approvare dal Parlamento inglese una legge che limitasse l’orario di lavoro dei fanciulli e delle donne. Figurarsi! Se una tale legge fosse stata approvata, il costo del lavoro sarebbe aumentato e questo avrebbe tarpato le ali alla Britannia che stava decollando alla conquista dei mercati mondiali, secondo le commosse parole del settimanale “Economist”.
Siccome questi sconsiderati difensori dei fanciulli non stavano zitti, l’associazione degli industriali inglesi dette l’incarico ad una persona nota e di prestigio, appunto il dottor Ure, di confutare le ragioni degli oppositori. Andrew Ure pubblicò nel 1835 un intero trattato, intitolato “La filosofia delle manifatture” (solo parzialmente tradotto in italiano), nel quale dimostrava quanto fossero false le accuse di sfruttamento; con accurate misure scientifiche dimostrò che i fanciulli che lavoravano nelle fabbriche erano più sani, più alti e perfino più felici dei ragazzi che non lavoravano e che magari andavano a scuola e giocavano liberi. Inutile dire che il movimento dei diritti dei lavoratori vinse; furono approvate leggi che limitavano l’orario di lavoro, che imponevano migliori condizioni igieniche nelle fabbriche e, nonostante il dottor Ure, i diritti alla salute prevalsero sull’egoismo e sull’avidità.
Anche in questo minizio del XXI secolo autorevoli scienziati e studiosi, “nipotini” del dottor Ure, scrivono testi e organizzano campagne per contrastare i movimenti di protesta ambientale che zampillano qua e là in Italia. Quelli che protestano non sanno – spiegano questi diligenti difensori delle discariche di rifiuti – che poche cose sono perfette e sicure come tali discariche e che anzi sul terreno sovrastante si possono costruire campi di calcio e parchi di divertimenti. Alcune imprese organizzano visite agli inceneritori sparsi in Europa per dimostrare la loro perfezione e innocuità ai sindaci che si apprestano ad autorizzare la costruzione di un inceneritore di rifiuti nel loro comune, contro la volontà popolare. Altre società conducono delle campagne a favore delle centrali nucleari per erodere la credibilità di coloro che non le vogliono e che non vogliono le discariche di scorie radioattive. Altre campagne ancora sono organizzate per illustrare la bontà e i vantaggi degli alimenti ottenuti da organismi geneticamente modificati. Si tratta di iniziative “perfette” che usano tutti i raffinati strumenti persuasivi della pubblicità, accompagnati dall’autorevolezza di nomi noti, che aprono fratture anche negli stessi movimenti di protesta o ambientalisti.
Il fatto è che la protesta nel nome della difesa della salute e dell’ambiente non viene da stupidi ecoterroristi che dicono sempre di “no” a tutto, a qualsiasi forma di progresso tecnico-scientifico, che sono disposti a stare zitti se l’inceneritore o l’elettrodotto o la centrale non si fa nel loro comune, ma nel comune vicino. La storia del movimento di protesta ecologica – a parte, naturalmente, singoli episodi di miope egoismo municipale o di infiltrazioni criminali che speculano sulle discariche o sulla vendita dei terreni o sugli appalti – non è altro che una pagina delle lunghe lotte per la conquista di nuovi diritti: in questo caso del diritto alla salute per se stessi e per le generazioni future, del diritto di disporre di un ambiente non contaminato da veleni. La storia mostra che in molti casi – come avvenne ai tempi del dottor Ure – la protesta è stata rivolta contro fatti e pericoli veri che venivano minimizzati o tenuti nascosti dai governi o dalle imprese. E ogni volta che la contestazione ha vinto, il mondo è diventato migliore.