Antonio Moroni (1925-2014)
Non ha fatto in tempo, don Tonino, come chiamavamo affettuosamente il prof. Antonio Moroni (1925-2014), a vedere che un governo italiano ha finalmente (ri)scoperto l’educazione ambientale a cui lui ha dedicato tutta la vita. Nato a Felino, in provincia di Parma, dopo la maturità classica e dopo essere stato ordinato sacerdote, fu invitato dal suo vescovo a laurearsi in scienze naturali nell’Università di Parma.
Qui divenne professore di Ecologia negli anni in cui la contestazione ecologica, alla quale Moroni partecipò anche in prima persona, denunciava la violenza che molte attività umane stavano esercitando sulla natura e sull’ambiente. Per reazione in pochi anni l’insegnamento dell’ecologia si diffuse in molte università; nell’Università di Bari nel 1971 fu istituito anche il primo corso di ecologia per studenti di discipline economiche. Moroni nel 1974 diede vita alla Società Italiana di Ecologia e, instancabile, spiegò che la nuova domanda di un mondo naturale meno inquinato avrebbe potuto avere risposta soltanto se l’ecologia fosse divenuta base e guida dei comportamenti delle persone e dell’azione dei governi.
Per far questo l’impegno e, direi, il cuore di don Moroni furono sempre dedicati alla necessità di una educazione ecologica delle nuove generazioni, a cominciare dalle scuole primarie e secondarie. Solo lì avrebbe potuto dare frutti il seme della disciplina che descrive, “racconta”, i grandi cicli della vita a cominciare, come ripeteva sempre Moroni, dalla catena dei rapporti fra produttori-consumatori-decompositori. I produttori, i vegetali, traggono le materie per la propria vita dall’aria, dalle acque, dal suolo; i consumatori, gli animali, si nutrono dei vegetali e di altri animali e tutti, alla fine del ciclo vitale, restituiscono gli atomi delle loro molecole all’ambiente grazie ad organismi “decompositori” che generano, dalla scomposizione delle scorie della vita di alcuni, molecole per la vita di altri esseri.
Moroni ha sempre insistito che per la difesa della natura e della vita occorre diffondere in tutte le scuole una informazione capace di aiutare a riconoscere e spiegare correttamente i grandi flussi di materia, di energia e di vita, i rapporti fra gli esseri umani, le loro attività e aspirazioni e l’ambiente naturale. Negli ultimi quaranta anni ci sono stati moltissimi dibattiti su come intendere e insegnare una “educazione ambientale”: è opportuno istituire una speciale materia, da aggiungere a quelle esistenti, oppure l’attenzione per la natura e l’ambiente può e deve entrare in tutte le discipline ?
E ancora: di che cosa occorre parlare ? soltanto della raccolta separata dei rifiuti, oppure si tratta di aiutare gli studenti a riconoscere i rapporti fra attività umane e ambiente, a capire che non siamo “consumatori” delle cose acquistate, ma che le usiamo per un tempo più o meno breve e che poi esse ritornano, per la maggior parte, come scorie e rifiuti nell’ambiente, alterandone i caratteri e arrecando danni ad altre persone ? La benzina non scompare ma diventa gas inquinanti dell’atmosfera che avvelenano i passanti; il cibo non scompare ma diventa escrementi che, se finiscono nei fiumi, ne rendono le acque non più bevibili.
Educazione ambientale significa insegnare a riconoscere la responsabilità che il comportamento di ciascuna persona ha sulla natura e quindi sulla salute degli altri, del prossimo. Del prossimo che ci circonda, ma anche di quello lontano, dal momento che alcuni inquinanti vengono esportati in paesi lontani dove saranno fonti di danni a qualcuno; addirittura di un “prossimo del futuro”, che sarà travolto dalle alluvioni perché noi oggi abbiamo tagliato i boschi e costruito strade ed edifici in luoghi franosi. Gli insegnamenti delle scienze naturali, con le conoscenze di chimica, di fisica, di botanica, di zoologia, sono essenziali per comprendere come “funzionano” i cicli naturali da cui dipende la vita, la stessa possibilità di avere cibo e acqua, la sopravvivenza di esseri viventi nel futuro; per spiegare la differenza fra i cicli della natura, chiusi, rinnovabili, e i cicli delle attività umane che traggono materie dalla natura e alla natura restituiscono rifiuti dannosi.
I docenti di italiano avrebbero tante occasioni di rileggere, in chiave “ecologica”, molte pagine del passato: pensate all’incanto del Petrarca di fronte alle bellezze naturali del Monte Ventoso o alla ginestra di Leopardi, la paziente pianta che sopravvive nell’ostile terra del Vesuvio. I docenti di storia avrebbero tante occasioni per integrare la storia degli imperi con quella delle miniere e dei boschi da cui venivano ricavati i materiali e i combustibili a spese di inquinamenti e di danni ambientali, con la storia del lavoro nelle fabbriche, con la storia dell’agricoltura, l’attività che più di altre dipende dai cicli della natura.
La geografia poi sarebbe la regina dell’educazione ambientale, in quanto capace di mostrare come l’azione umana ha modificato, con porti, canali, dighe, la superficie del pianeta e il flusso delle acque. Ciascun insegnante, con la propria sensibilità e cultura, può ben trovare occasioni per parlare di ambiente, magari con l’aiuto di qualche snello libretto capace di aiutare ad una “lettura ecologica” di ciascuna disciplina, in grado di offrire rapidi stimoli e suggerimenti di lettura agli studenti. I funzionari governativi responsabili dell’attuazione di una educazione ambientale hanno di fronte scelte importanti. Moroni, da lassù, li ispiri a farle bene.