Aumentano la disuguaglianza e la fame nel mondo

Fao: crescono nel mondo coloro che soffrono la fame

La cifra delle vittime della fame, a fine 2008, raggiunge i 963 milioni, con l’aggiunta nel corso dell’ultimo anno di ulteriori 40 milioni di affamati. La denuncia è contenuta nell’ultimo documento della Fao,  Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo (Sofi 2008). E si tenga conto che nel 1999, in occasione della solenne 30sessione della Fao, tutte le nazioni del mondo si erano impegnate a raggiungere nel corso del piano strategico 2000-2015 l’obiettivo di ridurre a 500 milioni gli affamati, obiettivo che difficilmente potrà essere conseguito se non si inverte drasticamente la tendenza in atto con uno sforzo straordinario di tutta la comunità internazionale.

Le cause di un così preoccupante aumento di coloro che soffrono la fame sono da addebitarsi, nel recente passato, in particolare all’aumento del prezzo dei cereali, che si è aggiunto alle cause strutturali della fame, come la mancanza di accesso alla terra, di credito e quindi di lavoro. E’ vero che i prezzi dei principali cereali sono caduti di più del 50% dai suoi massimi raggiunti all’inizio del 2008, però rimangono alti se paragonati agli anni precedenti: nonostante la forte discesa negli ultimi mesi, l’indice dei prezzi della Fao era tuttavia un 28% più alto nell’ottobre 2008 rispetto all’ottobre 2006. Inoltre, secondo l’Organizzazione dell’Onu, l’attuale crisi economica e finanziaria può condurre ancor più gente verso la fame e la povertà.

Fondo monetario internazionale: la crisi sta colpendo anche i Paesi più poveri

Le nazioni più povere del mondo cominciano a sentire la crisi finanziaria globale e, se non si interviene con aiuti e prestiti, si è di fronte a una catastrofe umanitaria. É quanto risulta da uno studio voluto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) diffuso il 4 marzo 2009 dal direttore Dominique Strauss-Khan. Fra le nazioni più a rischio vi sono molti Paesi dell’Africa sub-sahariana, ma anche diversi Paesi dell’Asia. Fra questi, i più vulnerabili sono il Kirghizistan, la Mongolia, il Laos e il Vietnam.

L’Fmi afferma che le nazioni povere sono ormai integrate nell’economia mondiale e questo le rende più esposte alle crisi globali. Quella che colpisce i Paesi poveri sarebbe la “terza ondata” della stessa crisi. La prima ondata colpisce i Paesi avanzati; la seconda quelli emergenti. I Paesi poveri vengono colpiti per una contrazione del commercio, per una riduzione degli investimenti stranieri, e una riduzione delle commesse dall’estero, inviate dai lavoratori migranti.

Per ora, secondo lo studio pubblicato, i Paesi in grande difficoltà sarebbero 20, ma se la crisi peggiora, il loro numero potrebbe anche raddoppiare. Ciò “mette a rischio – ha detto Strauss-Khan – i risultati che tali Paesi hanno raggiunto negli ultimi 10 anni, cioè di una maggiore crescita e minore povertà, una più grande stabilità politica ”.

Il direttore dell’Fmi ha chiesto ai Paesi donatori di aumentare il loro impegno per “prevenire una crisi umanitaria” e domanda un incremento di 25 miliardi di dollari per affrontare l’emergenza.

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Banca Mondiale: attesi 150 milioni di poveri

Il peggio della crisi deve ancora venire. E con i paesi industrializzati concentrati a risolvere i loro problemi si rischia una diminuzione degli aiuti ai paesi poveri, il cui quadro è “devastante”: il numero degli individui che si stima cadranno al di sotto della soglia della povertà continua a salire, e ora siamo a 150 milioni. A dirlo è Danny Leipzeiger, vice-presidente della Banca Mondiale responsabile per la riduzione della povertà e la gestione economica, che di fronte alla previsione di una “contrazione del prodotto interno lordo mondiale nel 2009”, la prima del dopoguerra, e al probabile calo del commercio mondiale (il primo dal 1982), spiega in un’intervista all’Ansa del 10 marzo 2009  che “una grossa nube incombe sui paesi in via di sviluppo. Temiamo un duro tracollo, con una gran quantità di persone che verranno respinte al di sotto della soglia della povertà”.
Il precipitare della crisi — spiega Leipzeiger, che per la riduzione della povertà gestisce i rapporti con Fondo monetario internazionale, Ocse, Unione europea e banche regionali per lo sviluppo — “ci fa ritenere che per i paesi poveri si farà sempre più dura”. E che la stima, formulata la scorsa primavera, di 100 milioni di poveri in più, sia destinata a peggiorare rapidamente: “al momento prevediamo altri 50 milioni, ma il peggio deve ancora arrivare”. Del resto — spiega Leipzeiger — “la crisi è senza precedenti”, ed è riuscita a combinare tre “calamità” che prese singolarmente già sarebbero bastate ad avviare una recessione: borse in caduta libera, collasso del settore immobiliare e crisi creditizia. “La comunità internazionale — è l’appello di Leipzeiger — già in ritardo rispetto all’impegno di GlenEagles (portare allo 0,7% del Pil gli aiuti ai paesi in via di sviluppo entro il 2013, ndr), non deve ridurre il proprio sforzo, ora che il fabbisogno è aumentato drammaticamente”.
A cominciare – spiega l’esponente della Banca Mondiale – dal fondo di vulnerabilità studiato dall’istituzione di Washington, che chiede ai paesi industrializzati di destinare lo 0,7% dei propri programmi di stimolo fiscale ai paesi poveri che non possono permettersi un piano anti-crisi. http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_905581239.html

Un popolo di “nuovi schiavi” sta crescendo nel mondo

È rinata una forma di asservimento del lavoro e della persona simile all’antica schiavitù, operante e addirittura in crescita soprattutto in India, Africa del Nord, America Latina, ma anche in Europa ed in Italia. Il suo maggiore e più attendibile studioso, Kevin Bales, calcola la presenza di almeno 27 milioni di schiavi, stima confermata anche dall’Onu. “Vi sono molti più schiavi viventi oggi – ha scritto Bales – di quanti ne furono portati via dall’Africa durante l’intero periodo della tratta transcontinentale. Per dirla altrimenti, al momento attuale il popolo degli schiavi è più numeroso della popolazione del Canada e sei volte superiore a quella di Israele”

Il grosso della schiavitù vera e propria è costituito dal cosiddetto bonded labor, lavoro vincolato: è una schiavitù da debito, contratto direttamente dallo schiavo o dai familiari. Spesso, soprattutto quando si tratta di bambini, il salario non viene neppure elargito ed è assicurata solo la sopravvivenza fisica attraverso i poveri pasti giornalieri.

Il Consiglio d’Europa, valuta in oltre 600.000 le persone vendute ogni anno nel Vecchio Continente, destinate per il 43 per cento al mercato del sesso e per il 32 per cento al lavoro forzato.  Questa moderna schiavitù giunge anche in Italia, con il racket della prostituzione di ragazze straniere o con il moderno caporalato, prima soprattutto di immigrati nordafricani, più recentemente di raccoglitori stagionali di pomodori provenienti dall’Est, come ha evidenziato un’importante sentenza del tribunale di Bari del 22 febbraio 2008 del Gup Antonio Lovecchio con la condanna a 10 anni di cinque responsabili di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù di centinaia di braccianti stranieri immigrati e come ha documentato nel suo libro, Uomini e caporali, Alessandro Leogrande.