Bambù
Sembra quasi incredibile, ma il numero di merci e di materie che usiamo nella nostra vita ed economia è limitatissimo, rispetto alle merci e alle materie che la natura offre, nei suoi spazi enormi. Del resto la popolazione italiana è meno dell’uno per cento della popolazione mondiale e almeno la metà della popolazione mondiale utilizza risorse naturali – alimenti, fonti di energia, materiali da costruzione – che sono da noi sconosciute o quasi. Con tutto il parlare che si fa di sviluppo sostenibile – o “meno insostenibile” – l’unica cosa da fare è ripartire dall’esplorazione dei beni che la natura offre. Uno di questi “beni” è il bambù, una pianta nota da noi come curiosità, ma che rappresenta il materiale da costruzione per almeno la metà delle abitazioni e dei mobili del mondo.
Il bambù è una pianta, un’erba, straordinaria, a rapido accrescimento, attraente sia del punto di vista ecologico, sia da quello merceologico. Il nome bambù è attribuito a molte centinaia di specie di graminacee che crescono nelle zone calde della Cina, Giappone, India, Asia meridionale, America centrale, dove possono arrivare all’altezza di 10-15 metri. Il fusto – canna – ha superficie liscia ed è leggerissimo, essendo vuoto internamente: è diviso in segmenti che all’esterno appaiono come nodi. Lo spessore delle pareti varia a seconda del diametro che può arrivare a una decina di centimetri: in fusti molto grossi lo spessore delle pareti è di 3 millimetri e oltre.
Dal punto di vista ecologico si tratta di una pianta che “estrae” dall’atmosfera l’anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra e dei mutamenti climatici, ad una velocità maggiore, per unità di superficie e per unità di tempo, di qualsiasi altro albero. Fornisce, sempre per unità di superficie e per unità di tempo, una massa di legname dieci volte superiore a quella delle latifoglie. Inoltre le foreste o le piantagioni di bambù sono utili come freno all’erosione del suolo.
Dal punto di vista merceologico le canne di bambù sono “aste” leggere ma resistentissime ed elastiche, che si prestano a molti impieghi. Le canne di maggior diametro vengono usate, specialmente nei luoghi di origine, per fare abitazioni ed edifici. In molti paesi la metà degli edifici è fatta di bambù; pareti e tetti di bambù sono resistenti anche a forte pressioni e al vento. I tronchi si prestano anche per la costruzione di strade e ponti, per la fabbricazione di mobili, di tubi per l’acqua, di battelli; alcune parti si utilizzano per la produzione di pasta da carta e carta; i virgulti giovani si usano come alimenti.
Il bambù viene commercializzato nel mondo in ragione ogni anno di 25 milioni di tonnellate all’anno, per un valore di 10 miliardi di euro. Nel 2004 si è tenuto – completamente ignorato in Italia – a New Dehli, in India, il settimo congresso internazionale dell’organizzazione mondiale del bambù (World Bamboo Organization www.world-bamboo.org), una associazione a cui fanno capo numerosi coltivatori, studiosi e imprenditori dal Giappone, all’Etiopia, alla Cina, alla Tailandia, al Costa Rica, agli Stati uniti. Da tale congresso è emerso che la sola Cina produce e vende bambu per un valore di circa due miliardi e mezzo di euro, e ne esporta per mezzo miliardo di euro all’anno. L’India si propone come concorrente della Cina e prevede che l’estensione della coltivazione di bambu possa creare nei prossimi anni otto milioni di nuovi posti di lavoro; è vero che l’India ha una popolazione di mille milioni di persione, ma si tratta pur sempre di importanti prospettive di occupazione.
L’ottavo congresso dell’associazione è fissato a Rio de Janeiro, in Brasile, nel novembre 2007.
In Italia l’associazione “emissionizero” www.emissionizero.net sta diffondendo l’utilizzazione del bambù per la costruzione di edifici. Con i fusti della specie Guadua angustifolia, proveniente dalla Colombia, ha realizzato a Vergiate, in provincia di Varese, nel Parco del Ticino, un padiglione di 500 metri quadrati nel quale vengono tenuti corsi per spiegare il potenziale interesse merceologico e ingegneristico del bambù.
L’esplorazione di Internet sotto la voce “bambu” o “bamboo” mostra che ci sono decine di gruppi, in molti paesi, che si occupano del bambu, delle sue proprietà, delle sue applicazioni e commercializzazione. Queste associazioni diffondono la conoscenza anche della “canna d’India”, o rattan, che deriva da molte specie di palme del genere calamus e che ha applicazioni simili a quelle del bambu. Ricordo di avere visto, quando ero bambino, dei signori anziani molto eleganti che portavano a spasso sottili bastoni di canna d’India o di bambù.
Mi sono soffermato su questo poco comune e poco noto capitolo delle merci ecologiche perché forse è il caso che si cominci a prestare maggiore attenzione alle esportazioni provenienti da paesi che consideriamo “arretrati”, secondo le nostre scale di valori. Tali paesi stanno invadendo i paesi industrializzati non soltanto con oggetti di plastica, giocattolini, con aggeggi elettronici e con cibi esotici, ma anche con materiali che sono comuni da loro e che sono sconosciuti da noi e che rischiano di condannarci ad altre pesanti importazioni. Vorrei modestamente proporre ai responsabili della nostra economia – ma anche ai docenti delle nostre università – di prestare maggiore attenzione ai prodotti dei paesi emergenti, specialmente a quelli provenienti dalle sterminate risorse della biomassa vegetale. Magari da uno sconosciuto congresso di qualche sconosciuto paese vengono i segni di cambiamenti che ci toccano da vicino.