Bari, 9 settembre 1943. Il ragazzino che fermò i tedeschi
È il 9 settembre 1943. Un reparto della Wehrmacht penetra nel porto di Bari, affonda alcuni piroscafi e risponde con il fuoco alle intimazioni di resa. “Mentre un camion tedesco attraversava il ponte di San Nicola, a Bari vecchia, lo attaccammo… E poiché vedemmo tanti ragazzi volenterosi di scagliarsi contro, incitammo questi a lanciare le bombe a mano da noi fornite. Tanto che il piccolo quattordicenne a nome Romito Michele fu Francesco, abitante in via San Marco 50, con un lancio di una bomba incendiò il camion”. Sono parole di Mario Trani (Marina militare) in una testimonianza resa all’Associazione nazionale partigiani d’Italia il 15 giugno 1945 e raccolta nel volume L’8 settembre 1943 in Puglia e Basilicata (Edizioni dal Sud), realizzato da Vito Antonio Leuzzi e Giulio Esposito per conto dell’Istituto pugliese per la Storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea.
È una parte del racconto della battaglia cui egli aveva partecipato: lo scontro, costato sei morti italiani ricordati in una lapide sul palazzo della dogana, contrappose alcune centinaia di soldati tedeschi (incaricati – il giorno successivo alla notizia dell’armistizio tra Italia e forze alleate – di far saltare le installazioni portuali baresi) a militari e civili italiani. Questi ultimi, prima spontaneamente poi col coordinamento del generale Nicola Bellomo, riuscirono a fermarli. Quel giorno dettero un contributo importantissimo, non solo sul piano bellico ma anche sul piano morale, decine e decine di ragazzini di Bari vecchia, che si armarono di bombe a mano e andarono all’assalto dei mezzi blindati germanici. Di questi ragazzini nessuno ha mai più parlato. E’ uno dei lati oscuri, censurati per decenni, della storia della guerra di Liberazione. Il quattordicenne citato da Trani, Michele Romito, vive ancora nella sua Bari vecchia, stesso indirizzo. Oggi è un settantacinquenne. Negli anni Settanta il Comune si ricordò di lui, con una medaglia. Poi l’oblio. Lo abbiamo incontrato nei pressi dello stesso arco da cui lanciò le bombe sul camion tedesco. Non lontano, lungo le mura della città vecchia, ci sono i bagni pubblici, ove ha lavorato dopo aver smesso di fare il muratore. “Mi ricordo tutto, eccome…”, racconta, indicando l’arco attraverso il quale si raggiunge il cuore del borgo. “Eravamo in tanti ragazzini, allora, a lavorare nel porto. Praticamente tutti i ragazzi di Bari vecchia. Gli adulti erano al fronte, anche i miei fratelli maggiori, così toccava a noi. Caricavamo e scaricavamo le navi, pure quelle dei tedeschi, che fino all’8 settembre erano nostri alleati”, ricorda. Finché quegli adolescenti barivecchiani dovettero dare l’assalto agli ex alleati. “Ricordo che la sera dell’8 settembre, dopo aver ascoltato alla radio il messaggio di Badoglio che annunciava l’armistizio, avevamo festeggiato fino a tardi. Per tutti noi era la fine della guerra. O, almeno, così speravamo. La mattina del 9 ci presentammo come al solito al lavoro, nel porto… Arrivarono i tedeschi. Spararono, minacciarono tutti, fecero saltare alcune navi, uccisero quelli che avrebbero voluto impedirglielo. E noi non sapevamo cosa fare, eravamo rimasti intrappolati… Nel caos, riuscimmo infine a raggiungere le mura di Bari vecchia”. Via di corsa verso le proprie case, in cerca di rifugio?
Macché. “Si sparava, c’era fumo ovunque. Andammo di corsa dietro l’Ospedale consorziale (demolito dopo la guerra, ndr), in piazza San Pietro”. Ed ecco l’incontro. “C’era il generale Bellomo con altri soldati. Era leggermente ferito. Ci guardò e ci disse: “Dovete difendere le vostre case, la vostra città”. Ci fece vedere, davanti all’Ospizio, alcune casse piene di bombe a mano”. Prosegue Michele Romito: “Erano bombe Balilla, quelle rosse. Tutti noi ne prendemmo alcune. Io ne presi sei: due in mano e quattro infilate nella maglietta. Lungo le mura corsi verso il ponte di San Nicola… Mi nascosi dietro le colonne, allora la balaustra non c’era. In quel momento stavano arrivando due camion blindati tedeschi, armati con una torretta da cui spuntava una mitragliatrice. Volevano entrare a Bari vecchia, dove c’erano le nostre case, le nostre famiglie. “O noi o loro”, pensavamo tutti.
Il primo camion fece in tempo ad entrare ma fu fermato davanti al santuario di San Nicola. Il secondo stava passando… Io tirai una prima bomba a mano dall’alto. Esplose proprio sulla torretta. Lanciai anche la seconda e fu un inferno… Quell’affare prese fuoco completamente. Così l’ingresso dei bastioni restò bloccato, e io corsi verso piazza San Pietro”. Michele si unì ad altri ragazzi e ad alcuni militari: lanciarono altre bombe a mano sulle truppe germaniche, che premevano sull’altro lato dell’ospedale consorziale. Poco dopo i tedeschi si arresero, dopo aver raggiunto un accordo con i militari italiani. “Quando ormai era tutto finito, in piazza arrivarono alcune decine di bersaglieri in bicicletta. Ma avevamo già fatto tutto noi. I tedeschi si erano arresi”. Così quel ragazzino – che, come i suoi amici, non aveva mai visto prima una bomba a mano o un’arma – si ritrovò di punto in bianco in prima linea. “I tedeschi che assieme agli altri avevamo catturato purtroppo furono liberati, per ordine del comando italiano…
Purtroppo, perché risalirono fino a Barletta, a Trani e in altre città pugliesi, dove fecero stragi e sparsero molto sangue. Fu un errore, di cui nessuno si è mai pentito abbastanza. Io – dice Michele – non odio i tedeschi, oggi. E anche allora, prima di quella battaglia, prima dell’8 settembre, non dico che avevo fatto amicizia con alcuni di loro ma quasi. Ci chiamavano per aiutarli a fare la cambusa per le navi ormeggiate in porto, li conoscevamo. Ma dopo l’armistizio si trasformarono. Diventarono massacratori senza pietà… Dovevamo fare il nostro dovere”. Un rimpianto?
“Vorrei che fosse riconosciuto a Bari vecchia il sacrificio dei suoi ragazzi. Io abito qui da sempre, così come i miei genitori. Di noi oggi si parla solo per dire cose brutte. Ma nessuno ricorda quei giorni, il nostro coraggio, il nostro orgoglio, il nostro sacrificio. Fu uno dei primi episodi di Resistenza, molto prima che succedesse nel Nord Italia”. Ci sono ancora a Bari vecchia gli ex ragazzini di allora che, come lei, fermarono la Wehrmacht? “E chi lo sa… Dopo la guerra sa dove spedirono moltissimi barivecchiani, le cui case erano state distrutte dai bombardamenti? Nell’ex campo di concentramento ai margini di Bari. Poi al Cep e in altre periferie. So che c’è ancora qualcuno, isolato laggiù. Ma non lo vedo più da molti anni. Mi piacerebbe incontrarli ancora”. E poi? “E poi, magari, potremmo andare a raccontare nelle scuole quel che successe allora. Noi ne siamo orgogliosi. E Bari vecchia merita che le venga finalmente reso onore, almeno dopo sessant’anni”.
Da “Il Corriere del Mezzogiorno”, Bari.