Brevi note sulla condizione della popolazione anziana in Italia

Premessa

Mi preme iniziare la mia riflessione richiamando quanto osservato dal Presidente Mattarella nel messaggio diffuso il 1° ottobre 2020 per celebrare la Giornata internazionale delle persone anziane. “Tante volte sono gli anziani a ricordarci le radici, a indicarci la strada della dignità, della dedizione, della generosità. Il loro esempio in questo tempo difficile è un patrimonio straordinario che non dobbiamo e non vogliamo disperdere”. Aggiunge ancora che la Giornata “è stata deliberata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per porre all’attenzione degli Stati e delle pubbliche opinioni il tema dell’invecchiamento della popolazione, con la necessità di assistenza e di cura che esso porta con sé, ma anche con tutte le potenzialità che le generazioni più mature possono esprimere in favore della comunità”.

Il proposito è in primo luogo quello fornire sintetiche notizie sulla dinamica demografica del nostro paese. La popolazione residente prosegue il suo trend di diminuzione. Alla fine del 2019 le evidenze documentano ancora una volta bassi livelli di fecondità (per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini; il ricambio naturale della popolazione appare in altri termini sempre più compromesso: quello da ultimo registrato è il più basso dal 1918), un regolare quanto atteso aumento della speranza di vita (80,2 anni per gli uomini, 84,5 per le donne), cui si accompagna, come ormai di consueto, una vivace dinamica delle migrazioni internazionali((Cfr. Istat, 2020a.)) Si stima che la popolazione residente attesa sia pari, secondo le stime mediane, a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065((Cfr. Istat, 2018.)).

Il passaggio successivo, quello centrale prima di arrivare alle considerazioni finali, sarà quello di tentare di mettere a fuoco le condizioni di vita degli anziani, in particolare della componente più fragile, quella dei “grandi anziani”. Particolare attenzione sarà riservata alle strutture ricettive che spesso li ospitano, alla luce delle carenze che si sono manifestate in occasione della devastante pandemia che ci ha colpito.

La dinamica demografica

Nella Tav. 1 sono esposti dati che fanno riferimento al bilancio demografico degli anni dal 2012 al 2019. Mi limito a sintetiche integrazioni di quanto precisato più sopra. Il saldo del movimento naturale, sempre negativo, è in costante crescita. Il saldo del movimento migratorio con l’estero risulta invece costantemente positivo anche se, specialmente negli ultimi anni, in diminuzione. Nello specifico è negativo quello riguardante i cittadini italiani anche per il contributo di stranieri che avendo ottenuto la cittadinanza italiana, hanno poi deciso di emigrare; risulta invece positivo quello relativo ai cittadini stranieri che in ogni caso si riduce sensibilmente. Alla fine del 2019 sono ormai più di 5 milioni gli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese.

Tav. 1 Bilancio demografico dal 2012 al 2019. Non si è tenuto conto delle variazioni per “altri motivi” (rettifiche d’ufficio). Fonte: ISTAT
Tav. 2 Indici di vecchiaia e percentuali della popolazione residente in età da 65 anni in poi e da 80 anni in poi, ai censimenti dal 1951 al 2011 e al 31 dicembre del 2019. Fonte: ISTAT.

Rispetto al tema in esame, risultano sicuramente più pertinenti i dati riportati nella successiva tabella relativi ad un arco temporale ben più ampio. Tra il 1951 e il 2019 è assai vistosa la crescita dell’indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione di età 0-14 anni, moltiplicato per cento) e il collegato aumento, in una fase di forte diminuzione della natalità, del peso percentuale delle classi di età più avanzate: tra il 1951 e il 2019 la percentuale della popolazione residente ultra 64enne passa dall’8,2 al 23,2 per cento. Vale pure la pena di segnalare che il numero degli ultracentenari che nel 2001 erano 6.313, si aggira da alcuni anni intorno al livello di circa 15 mila unità.

Le condizioni di vita degli anziani

Per indagare sul tema le fonti statistiche non mancano: penso in primo luogo agli archivi anagrafici dai quali l’Istat ricava notizie che supportano la produzione annuale di dati statistici in ambito demografico e ai dati che con cadenza decennale vengono resi disponibili dai censimenti generali della popolazione. Si incontrano però dei limiti derivanti dal fatto che, pur trattandosi di rilevazioni totali, non sempre il piano di elaborazione predisposto consente di fare piena luce su segmenti di popolazione aventi particolari caratteristiche. Nell’interpretazione dei dati disponibili vi è poi l’esigenza di tener conto con rigore delle definizioni adottate e delle modalità di esecuzione delle rilevazioni.

Per entrambe le fonti vengono utilizzate due distinte “unità di rilevazione”, la famiglia e la convivenza. Per “famiglia” si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, che vivono nello stesso alloggio. La “convivenza” è un insieme di persone che conducono una vita in comune per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili. Nel caso dei censimenti si è talvolta provveduto a classificare quest’ultimo aggregato nelle seguenti principali categorie: convivenze militari e di altri corpi accasermati, convivenze ecclesiastiche, istituti di istruzione, istituti assistenziali, istituti e case di cura, istituti di prevenzione e pena. Per le anagrafi non vi è invece la possibilità di scendere nel dettaglio.

Mi pare a questo punto opportuno precisare che il mio approfondimento non ha l’obiettivo prioritario di mettere a fuoco la fragilità delle classi anziane. Do per scontata questa realtà. Mi interessa piuttosto mostrare come l’attuale quadro informativo possa essere migliorato in relazione alla necessità di supportare in modo più adeguato progetti di intervento che si ritenesse di dover realizzare.

Al 31 dicembre 2019 le risultanze anagrafiche certificano una popolazione residente di “65 anni e più” pari a 13.799.687 persone. Sono circa 4 milioni, il 29 per cento del totale, quelle che costituiscono “famiglie unipersonali” formate da anziani che vivono in piena solitudine, una condizione non certo ottimale((Erano 652.951 al censimento del 1961 (cfr. Cortese, 1978 e Cantalini e Lori, 1991).)). Essa riguarda in particolare le donne. I dati riportati nella Tavola 3 mostrano infatti che nella condizione di vedovanza sono queste ultime a prevalere nettamente. Sono l’età mediamente più alta dello sposo al momento del matrimonio e la maggiore speranza di vita alla nascita delle donne a determinare questa situazione.

Occorre precisare che il dato segnalato sovrastima, seppure non in misura elevata, la realtà. Nel caso, ad esempio, di un anziano che affitta una stanza della propria abitazione ad un giovane lavoratore o che è assistito da una badante con lui convivente, si registra la coabitazione di due distinte “famiglie unipersonali”.

Alcuni anni fa l’Istat iniziò delle indagini per le quali l’unità di rilevazione era costituita dalla famiglia “di fatto”, definita come “l’insieme di persone che convivono nella stessa abitazione con l’esclusione di coloro la cui coabitazione è dovuta solamente a motivi di tipo economico”. Considerando gli anziani di 75 anni e più, si rilevò che la percentuale di coloro che vivevano da soli era del 25 per cento quando si faceva riferimento alla situazione di fatto, mentre lo stesso dato saliva al 32,1 per cento se ci si riferiva alla situazione anagrafica((Cfr. Roveri, 1987.))

Tav. 3 Popolazione residente per sesso e stato civile ai censimenti dal 1951 al 2011

Nelle famiglie unipersonali sono altresì compresi gli anziani senza fissa dimora che i Comuni registrano come residenti presso indirizzi fittizi che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà (secondo quanto previsto dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 “Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”, la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel Comune di nascita)((Cfr. Nessi, 2017.)).

La stessa sorte capita anche agli anziani che grazie ad un’interessante iniziativa della Comunità di Sant’Egidio hanno trovato un rifugio sicuro per la vecchiaia in una casa in condivisione con altre persone anziane. “Fin dagli anni ‘70 la Comunità, nell’ambito del suo impegno rivolto alle persone anziane, ha individuato una priorità nella salvaguardia del diritto di chi è avanti negli anni, a rimanere a casa propria, contrastando e prevenendo il ricorso alle soluzioni residenziali tradizionali, che allontanano dal proprio contesto di vita abituale producendo un isolamento e una spersonalizzazione oggetto di attenzione della letteratura scientifica. In questa prospettiva sono nate esperienze di cohousing pensate per rispondere a diversi problemi abitativi degli anziani che si trovino nell’impossibilità di continuare a vivere a casa propria: ridotto grado di autonomia, indisponibilità o perdita di un alloggio, conflitti familiari, povertà economica, ecc. Tali esperienze, nel tempo, si sono articolate in un vero e proprio modello articolato e diversificato per rispondere in

modo flessibile e appropriato ai bisogni abitativi della popolazione anziana: comunità alloggio, case-famiglia, case protette, cohousing formale e informale”((Cfr. Inzerilli e Madaro, 2011, p. 16.)).

Sempre alla fine del 2019, il numero delle persone ultra 64enni residenti nelle convivenze è risultato pari a 174.902 unità (quasi il 70 per cento aveva un’età superiore ai 79 anni). Ritengo che si tratti di un dato che sottostimi l’odierna realtà. Fra gli istituti di assistenza e di ricovero è andata crescendo negli ultimi anni l’importanza delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Si tratta di strutture nate a seguito della legge 11 marzo 1988, n. 67 che ha previsto la realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti. Va pure tenuto presente quanto stabilito dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989 e sono inoltre da considerare le Linee guida emanate dal Ministero della Salute nel gennaio del 1994 (“Indirizzi sugli aspetti organizzativi delle RSA”).

Le RSA sono strutture (pubbliche, private convenzionate o private) non ospedaliere ma comunque a impronta sanitaria, che accolgono persone anziane non autosufficienti che non sono più in grado di rimanere al proprio domicilio a causa delle loro condizioni di salute e della mancanza di autonomia.

Le persone aventi diritto di fare richiesta per le RSA sono:

  • disabili fisici, psichici, sensoriali o a lento recupero non assistibili a domicilio e che richiedono un progetto riabilitativo individuale, caratterizzato da trattamenti sanitari riabilitativi estensivi;
  • persone non autosufficienti, non assistibili a domicilio, affette da grave disabilità, che richiedano un alto livello di supporto assistenziale ed infermieristico 24 ore su 24; in relazione alla gravità della patologia, la durata del trattamento può essere anche permanente.

Nel corso della pandemia contro la quale si sta lottando, molte RSA – sono circa 7 mila nel nostro paese – sono finite al centro di inchieste giudiziarie per non aver rispettato i protocolli di sicurezza e aver causato l’esplosione di grossi focolai di contagio con migliaia di morti. Dal momento che persone anziane sono presenti anche in altri tipi di convivenza (penso ad esempio a quelle ecclesiastiche e agli istituti di pena), penso che la sottostima sia, almeno in parte, da attribuire alla distinzione che anche nelle norme vigenti si è fatta – piuttosto impropriamente a mio parere – tra pazienti stabili e pazienti ricoverati per un breve periodo. Ipotizzo che nel caso di ricoveri di anziani proprietari dell’abitazione nella quale vivevano, vi sia stato da parte dei parenti uno specifico interesse a veder riconosciuto lo status di paziente solo temporaneamente presente nella struttura per i benefici di natura fiscale che ne potevano derivare.

In un libro pubblicato alcuni anni fa, l’autore racconta di una sua visita ad un anziano ricoverato in ospedale, in compagnia della moglie e della badante moldava che si occupava del coniuge malato. Osserva – siamo a Torino – che “il palazzo dove vivono Rosa, Giovanni e Nadia è un simbolo dell’invecchiamento della popolazione italiana. Costruito nel 1960 per le tante giovani coppie protagoniste del baby boom è oggi un silenzioso ricovero per anziani soli. Negli alloggi le badanti sono più numerose dei bambini. I parroci e le suore di periferia passano spesso a benedire i malati e portare conforto ai parenti”((Cfr. Vietti, 2010, p. 9.)).

Sono sicuramente molte le badanti che si occupano oggi dell’assistenza familiare e della cura degli anziani. Si tratta per lo più di immigrate principalmente provenienti da Ucraina, Filippine, Moldavia, Perù, Ecuador, Sri Lanka, Marocco e Albania((Cfr. Saravia, 2018.)). Solo nella Città Metropolitana di Roma se ne sono contate nel 2017 ben 12.397((Cfr. Trombetti, 2017 e Ehrenreich e Hochshild, 2002.)).

“La limitatezza delle risposte fornite dal sistema di servizi domiciliari a finanziamento pubblico rende comprensibile come la ricerca di un sostegno da parte delle famiglie italiane, sempre più pressate dalla ricerca di un equilibrio tra crescente fabbisogno assistenziale, da un lato, e minori disponibilità economiche e di tempo, dall’altro, abbia trovato risposta nel supporto fornito dalla manodopera straniera a basso costo resa disponibile dalla crescente globalizzazione, anche per l’insufficiente disponibilità di personale assistenziale autoctono”((Cfr. Di Rosa, Melchiorre e Lamura, 2010, p. 183. Rinvio anche a UniCredit Foundation, 2013.)).

In altri termini, per il doveroso sostegno che si deve garantire alla popolazione anziana, in particolare a quella in età avanzata, sono due le soluzioni principalmente adottate: il ricovero in apposite strutture o l’assistenza casalinga da parte di personale domestico.

Diversi anni fa è stato rilevato, e non credo che vi siano stati in seguito grossi cambiamenti, che “come tutti sanno la condizione dei vecchi è scandalosa…dobbiamo cercare di comprendere da quali cause ha origine l’atteggiamento della società a loro riguardo. In generale essa chiude gli occhi sugli abusi, gli scandali, i drammi che non scuotono il suo equilibrio; la società si cura della sorte dei bambini assistiti, dei giovani delinquenti, dei minorati, non più di quanto si curi della condizione dei vecchi. Tuttavia, in quest’ultimo caso, la sua indifferenza sembra a priori più stupefacente; ciascun componente della collettività dovrebbe sapere che è in gioco il suo avvenire…Come spiegare il loro atteggiamento? È la classe dominante che impone alle persone anziane la loro condizione; ma la generalità della popolazione attiva si fa sua complice…

L’atteggiamento pratico dell’adulto nei riguardi dei vecchi si caratterizza per la sua duplicità. Egli si piega fino ad un certo punto alla morale ufficiale che s’è andata imponendo negli ultimi secoli, e che ingiunge di rispettarli. Ma ha interesse a trattarli come esseri inferiori e a convincerli della loro decadenza…L’adulto tiranneggia il vecchio che dipende da lui in maniera sorniona. Non osa comandarlo francamente, perché non ha diritto alla sua obbedienza: evita di attaccarlo di fronte, lo manovra. Adduce beninteso il suo stesso interesse. Tutta la famiglia si fa sua complice. Si logora l’esistenza dell’avo, lo si schiaccia di raccomandazioni che lo paralizzano, lo si tratta con una benevolenza ironica, gli si parla in tono sciocco e perfino si scambiano occhiate d’intesa al disopra della sua testa; ci si lascia sfuggire parole offensive. Se la persuasione e i rimbrotti non bastano a farlo cedere, non si esita a mentirgli, o a ricorrere a un colpo di forza. Per esempio, lo si convince ad entrare provvisoriamente in una casa di riposo e lo si abbandona là. La moglie, l’adolescente che vivono nella dipendenza economica di un uomo adulto, hanno più difesa che non il vecchio: la sposa rende servigi, servigi di letto, lavoro domestico; l’adolescente diventerà un uomo che potrà chieder conto; il vecchio non farà che discendere verso la decrepitezza e la morte: non serve a niente. È un puro oggetto ingombrante, inutile, e si cerca solo di poterlo trattare come qualcosa di trascurabile”((Cfr. Saraceno, 1975, pp. 174-175.)).

Considerazioni conclusive

Sono in sintonia con quanti hanno sostenuto che l’attuale evoluzione della popolazione anziana implica necessariamente un adeguamento delle politiche a favore della terza età verso interventi assistenziali poliformi, che comprendono contemporaneamente misure volte a favorire la partecipazione alla vita attiva e misure in grado di aiutare un numero crescente di individui affetti da malattie croniche e invalidanti((Cfr. Dragosei, 2000.)). In particolare auspico che sia riservata attenzione a recenti interessanti esperienze quali quelle di cohousing portate avanti dalla Comunità di Sant’Egidio delle quali ho fatto cenno (la coabitazione è un’alternativa alla casa di riposo che consente di recuperare la dignità e di conservare le abitudini di vita).

Reputo inoltre positivo il maggiore spazio che l’Istat ha continuato a riservare nei più recenti “Rapporti annuali sulla situazione del paese” alle problematiche connesse con l’invecchiamento della popolazione. Sulla base di dati desunti dall’indagine “Aspetti della vita quotidiana”, nel Rapporto 2019 si precisa ad esempio quanto segue: “Nel 2018, in Italia, 1 milione e 229 persone di 65 anni e oltre riferiscono di non avere alcuna rete di relazioni sociali esterna alla famiglia (9,1 per cento di questa fascia di età). La quota di persone isolate cresce con l’età ed è massima tra gli ultra 84enni, per i quali tocca il 18,2 per cento. Con l’avanzare dell’età aumentano le persone che possono contare solo su reti di sostegno (amici, parenti, vicini di casa); dall’8,4 per cento dei 65-74enni si passa al 12,9 per cento dei 75-84enni, per arrivare al 22,8 per cento degli ultra 84enni”((Cfr. Istat, 2019, p. 152.)). Nell’ultimo Rapporto si segnala che gli indicatori sulla dimensione qualitativa della sopravvivenza mostrano che ad essere aumentata è la vita media in buone condizioni((Cfr. Istat, 2020c.)). Ciò detto, auspico che la statistica ufficiale sappia, come sempre, favorire il reperimento di maggiori informazioni sull’attività svolta dalle case di riposo e, più in generale, dagli istituti di assistenza e cura anche a seguito del superamento del tradizionale censimento generale della popolazione.

Da ultimo sono del parere che a livello governativo, senza arrivare necessariamente all’individuazione di un ulteriore dicastero (se ne sono nel tempo creati di nuovi sulla famiglia, sulle pari opportunità, ecc.), si debba pervenire all’individuazione di un organismo al quale delegare il compito di coordinare gli interventi considerati necessari rispetto alle problematiche connesse all’invecchiamento della popolazione.

Riferimenti Bibliografici

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