Carbone

Era molto diversa dall’attuale la Terra 300 milioni di anni fa; anche allora c’erano continenti e oceani; anche allora la superficie dei continenti era squassata da terremoti e vulcani; anche allora i continenti si muovevano avvicinandosi e allontanandosi nel loro “galleggiare” sulla massa interna calda e fluida del pianeta; anche allora mutava continuamente la composizione chimica dell’atmosfera; anche allora la vita dominava incontrastata nei mari e sulle terre emerse. Per circa un milione di secoli sulla superficie dei continenti il Sole, con la sua energia e con l’acqua e i gas e i sali circostanti, ha fatto crescere un’esplosione di vegetazione: felci e grandi foreste che ospitavano innumerevoli animali, differenti da quelli che conosciamo noi ma bellissimi e impressionanti.
In questo lungo periodo la superficie terrestre si è sollevata e si è abbassata e una parte della vegetazione è stata inghiottita da laghi e paludi e poi è sprofondata sotto terra e poi ricoperta da enormi masse di rocce; la vegetazione sottoterra ha cominciato a subire lenti processi di trasformazione fisica, chimica e microbiologica e la sua composizione si è modificata fino a dar luogo a grandi ammassi di materiale nero solido, quello che altri milioni di anni dopo qualcuno avrebbe scoperto e imparato a usare e avrebbe chiamato carbone.
Il carbone (se ne è già parlato in questa rubrica nel n. 2 di altronovecento, marzo 2000 http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=2&tipo_articolo=d_cose&id=67 ) questa forma di “Sole solido”, si presenta in diversissime forme a seconda dell’era geologica di formazione (un intero periodo geologico fra 360 e 290 milioni di anni fa prende il nome di “Carbonifero”) e dei vegetali, di origine solare, appunto, che hanno subito il processo di fossilizzazione, è stato amato e odiato, ha avuto successo come fonte di energia e ha subito declino. Nel 2009 l’Unione europea ha deciso che negli anni successivi sarebbero cessati i contributi che hanno consentito di tenere attive le ultime miniere che avevano unito, alla fine della seconda guerra mondiale, i paesi europei in una Comunità economica e politica nata proprio intorno alla carbone, la CECA, “Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”.
La decisione non significa la morte del carbone, ma soltanto la decisione di sospendere i finanziamenti alla produzione di una merce che, qui in Europa, deve cedere alla pressione di altri potenti interessi, quelli del petrolio, del gas e del nucleare. Scoperto come combustibile fossile già nel 1300, usato al posto della legna e del carbone di legna, si è rivelato ben presto inquinante; gli abitanti di Londra erano infastiditi dai fumi dei forni a carbone; i signori scappavano nelle ville di periferia a cercare aria meno polverosa, la regina Elisabetta (la prima, quella del 1500) decretava la pena di morte a chi usava carbone nel perimetro urbano.
Il carbone si è preso la rivincita a partire dal 1700 quando sono state inventate macchine “a vapore” in grado di trasformare il calore della combustione del carbone in energia meccanica capace di azionare le filande e poi spingere le locomotive. Ai primi dell’Ottocento qualcuno ha scoperto che dal carbone, scaldato ad alta temperatura, poteva essere ottenuto un combustibile, il carbone coke, adatto per trasformare i minerali di ferro in acciaio e che insieme al coke si formavano gas che bruciavano con una fiamma vivace che portava la luce nelle strade, nelle case, nelle officine. E’ stata l’età dell’oro del carbone in Inghilterra, Francia, Germania, Russia, Polonia, America. Una età terribile e affascinante; centinaia di migliaia di minatori ogni giorno scendevano nella viscere della terra, a centinaia di metri di profondità, nelle buie gallerie per staccare, pezzo per pezzo, il carbone, in mezzo a polveri e gas che ogni tanto esplodevano (l’infiammabile grisou, ricco di metano).
Vita terribile dominata da spietati e avidi padroni, campioni del selvaggio capitalismo descritto in tante opere letterarie che hanno emozionato intere generazioni, ma anche vita di solidarietà; la squadra che scendeva nello stesso pozzo era unita dalla necessità di sopravvivere insieme, in attesa di risalire la notte per tornare dalle povere famiglie, operai uniti nei grandi scioperi per reclamare migliori condizioni di lavoro e paghe adeguate. Ma anche nell’orgoglio del lavoro, come Alechsej Stachanov (1906-1977), eroe del lavoro socialista nell’Unione Sovietica, per avere, con la sua squadra battuto ogni primato, oltre cento tonnellate di carbone estratte nel corso di una giornata.
Subito dopo la seconda guerra mondiale il governo dell’Italia sconfitta dovette accettare un patto col governo belga che avrebbe fornito il carbone per la ricostruzione a prezzo basso se l’Italia avesse “venduto” migliaia di lavoratori, per lo più meridionali, alle miniere del Belgio; molti di questi morirono nel crollo della miniera di Marcinelle nel 1956.
Poi il petrolio a basso prezzo, più comodo da estrarre e trasportare, ha lentamente soppiantato il carbone, di cui peraltro nel mondo vengono ancora estratti circa 6 miliardi di tonnellate all’anno, rispetto a circa 4,5 miliardi di tonnellate di petrolio, con Cina, India, Stati Uniti, Russia, fra i più importanti produttori e esportatori. La stessa Italia importa ogni anno venticinque milioni di tonnellate di carbone, sette delle quali bruciate a Brindisi nelle due centrali termoelettriche, circa quattro milioni usati nello stabilimento siderurgico di Taranto.
Le riserve mondiali di carbone hanno un contenuto energetico molte volte superiore a quello del carbone, gas naturale e uranio messi insieme. Se le miniere di carbone inglesi, francesi, tedesche sono state gradualmente chiuse, spesso con proteste dei minatori rimasti senza lavoro, ci sono ancora intere popolazioni che vivono col sudato e sofferto salario del lavoro delle miniere. I movimenti ambientalisti giustamente denunciano i pericoli per la salute conseguenti la combustione del carbone, che davvero getta nell’aria e nel suolo gas e metalli tossici e elementi radioattivi (e sarebbe bene anche pensare ai danni alla salute e ai pericoli dei minatori di terre lontane), ma al nero “Sole solido” bisogna forse guardare ancora se non con simpatia, con rispetto, magari per renderlo meno pericoloso e meno nocivo.