Che cos’è l’inquinamento
Se per “inquinamento” si intende la modificazione “negativa” di un corpo naturale – acqua, aria, mare, fiume, suolo – ad opera delle attività umane, bisogna forse soffermarsi sull’origine, sulla natura dell’inquinamento e sui mezzi per arginarla. Con la precedente definizione si deve intendere che le attività umane generano delle scorie che vengono immesse nei corpi riceventi naturali prima ricordati, e questo è rigorosamente vero, e che alcune di queste scorie hanno effetti “negativi” sulle acque, sull’aria, sul suolo, eccetera, e pertanto sulla salute, sul benessere e sugli affari di chi genera gli agenti inquinanti e anche di chi non c’entra niente.
Le attività umane, come qualsiasi manifestazione della “vita”, consistono nella trasformazione di cose materiali, di “beni” naturali tratti dalle acque, dall’aria, dalle foreste, dai campi, dal sottosuolo, eccetera, in cose “utili” per la vita. La più semplice di tali manifestazione, alla base di tutta “la vita”, è la fotosintesi clorofilliana, la reazione per cui i vegetali prendono, “comprano” (naturalmente senza pagare niente), anidride carbonica dall’aria e acqua dall’aria e dal suolo e trasformano queste sostanze inanimate in molecole organiche dentro le foglie verdi; questa “fabbricazione” di materia vivente (i biologi chiamano le piante verdi organismi “produttori”) è accompagnata dalla liberazione di ossigeno che è un sottoprodotto, una “scoria” se vogliamo, della reazione. L’ossigeno finisce nella, viene “venduto” (se vogliamo continuare ad usare questa immagine merceologica) alla, aria, la cui composizione chimica viene modificata ma non “negativamente”, anzi ! Nell’aria la fotosintesi fa aumentare la concentrazione dell’ossigeno che è indispensabilissimo per la prosecuzione della vita negli animali, organismi che i biologi chiamano “consumatori” in quanto, proprio grazie all’ossigeno, trasformano i vegetali – nutrendosi delle, metabolizzando le, loro molecole – di nuovo in anidride carbonica e acqua. Anche l’anidride carbonica generata da parte dei consumatori finisce nell’aria come “scoria” della respirazione, ma neanche lei è nociva in quanto diventa materia prima, come si è detto prima, per la fotosintesi e per la continuazione della vita.
Ma la vita coinvolge anche la trasformazione di altre scorie: quando i vegetali hanno finito la loro vita utile restano esposti all’attacco di microrganismi nel suolo o nelle acque, di speciali organismi chiamati decompositori, essenziali in quanto rielaborano le molecole dei vegetali e degli escrementi formati durante la vita animale e dei corpi stessi degli animali morti, e le trasformano in molecole utili per la crescita di altri vegetali, eccetera. Insomma, nella vita, in questa grandissima circolazione di materia (e di energia) del ciclo: vegetali—animali—decompositori, non ci sono rifiuti o inquinamenti e, a rigore, non esiste neanche la morte come la consideriamo noi animali umani. La vita funziona con cicli “chiusi”; o “quasi” chiusi perché nel corso di milioni di anni, una parte dei vegetali è finita sottoterra e le loro molecole si sono trasformate in quelle dei materiali che chiamiamo petrolio o carbone, o una parte della vita marina è finita sul fondo, esposta ad altre decomposizioni. Le alterazioni della superficie delle terre emerse, provocate dai movimenti geologici dei continenti, hanno accelerato o rallentato i cicli naturali con modificazioni della composizione dell’aria o dei mari. Nella vita non c’è niente che corrisponda alle categorie di “bene” e “male”, inventate artificialmente dagli esseri umani; c’è la vita e basta.
Il carattere “negativo” delle scorie, quello che genera l’inquinamento, dipende dalle specialissime manifestazioni della vita umana che sono la produzione e il “consumo” delle merci attraverso la trasformazione artificiale dei corpi e delle risorse naturali; le scorie di tali operazioni sono di una qualità e composizione chimica e fisica tali che i corpi riceventi fanno fatica a, o si rifiutano di, decomporre e trasformare e utilizzare, sono in una quantità che gli stessi corpi riceventi non sono in grado di assorbire senza guasti, e si generano con una velocità così elevata che i cicli dei corpi riceventi naturali non sono in grado di trasformare.
Molti anni fa, nel 1972, al tempo della prima grande conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano, a Stoccolma, uscì un libro del biologo americano Barry Commoner intitolato “Il cerchio da chiudere” (tradotto nello stesso anno da Garzanti che ha pubblicato anche una nuova edizione aggiornata nel 1986). La tesi era che la tecnologia dei cicli produttivi umani “rompe”, con i suoi materiali e con le sue scorie, i cicli “chiusi” della natura e “pertanto” immette nella natura sostanze “inquinanti”, secondo la definizione iniziale di questo articolo.
Le poche precedenti considerazioni contengono più o meno i termini del problema. Un giudizio di inquinamento richiede informazioni su molti aspetti: il primo è la natura delle sostanze che vengono immesse in un corpo ricevente, e tale natura dipende dal ciclo produttivo che le genera. Quando parlo di “ciclo produttivo” penso anche alla vita umana che funziona anch’essa, come quella di qualsiasi altro animale, con un processo di trasformazione di materia tratta dall’esterno, con produzione dell’energia muscolare e vitale e formazione di scorie: anzi comincerò proprio da qui.
Un animale umano “compra”, talvolta pagando un prezzo monetario, talvolta gratis, gli alimenti che sono sostanze chimiche di composizione abbastanza ben definita; “compra” inoltre l’acqua necessaria per la digestione; talvolta questa acqua vene pagata in denaro, come quella che una persona preleva per bere dal rubinetto di casa, venduta da una azienda acquedottistica, oppure la paga sotto forma di acqua in bottiglia, talvolta è gratis quando uno si abbevera ad una fonte. Per la digestione l’organismo umano deve, inoltre, “comprare” (e questa volta non paga niente) ossigeno per la respirazione dall’aria. Cibo, acqua e ossigeno (e gli altri gas dell’aria) reagiscono all’interno del corpo e generano due principali flussi di “rifiuti”, l’anidride carbonica e il vapore acqueo immessi nell’aria durante la respirazione e gli escrementi liquidi e solidi.
Un animale umano, inquina ? la risposta dipende sia dalla composizione chimica, come si è detto, degli escrementi, sia dal corpo ricevente in cui essi finiscono. In tempi antichi gli umani liberavano i propri escrementi, il “soverchio peso del corpo”, nel terreno, pratica poco elegante, ma ecologicamente sensata; il terreno, infatti, è ricco di organismi decompositori che sono pronti a trattare le sostanze degli escrementi e a trasformarle in gas o in composti chimici (soprattutto contenenti fosforo e azoto) che saranno poi utilizzati dagli organismi che vivono e crescono nel terreno stesso. Col passare del tempo le società più evolute hanno vietato la pratica di immettere gli escrementi nel terreno e hanno inventato, per gli escrementi umani, i gabinetti, sistemi nei quali un flusso di acqua trasporta gli escrementi al di fuori degli edifici, in qualche tubazione di fogna.
Se questa acqua di fogna finisce nel terreno o in un fiume è possibile che avvengano le trasformazioni microbiologiche a cui accennavo prima, ma se nel corpo ricevente, terreno o fiume o mare, arrivano contemporaneamente – il fattore tempo, la velocità con cui sono immessi i rifiuti nell’ambiente è l’altro fattore di cui bisogna tenere conto – gli escrementi di migliaia, di centinaia di migliaia di persone, allora la capacità di trasformazione degli organismi decompositori risulta insufficiente e il terreno o il fiume o il mare risultano “arricchiti”(si fa per dire) di sostanze estranee, risultano, cioè inquinati. Talvolta l’elevata concentrazione di alcuni componenti, soprattutto fosforo e azoto, fornisce abbondanti sostanze nutritive (eutrofizzazione) agli organismi consumatori (soprattutto alghe) presenti nei laghi o nel mare, organismi che aumentano rapidamente di numero e sottraggono ossigeno alle acque e generano a loro volta sostanze inquinanti, talvolta sotto forma di mucillaggini. Interessante esempio di inquinamento per “eccesso di vita”.
Insomma, un giudizio di inquinamento richiede, (a) la conoscenza della natura chimica dei rifiuti, (b) la conoscenza della quantità di rifiuti per unità di tempo, per unità i superficie o di volume del corpo ricevente e (c) la conoscenza delle eventuali forme di vita esistenti nel suolo o nelle acque. Se le fogne di una città di centomila abitanti finiscono ogni giorno nel mare, è facile constatare che l’acqua del mare risulta sporca, inquinata e addirittura pericolosa quando si viene a contatto con essa. (I governanti non dicono mica che bisogna evitare l’inquinamento depurando gli scarichi delle fogne; vietano solo il diritto di fare il bagno in quel mare inquinato).
Continuiamo a parlare dell’eventuale inquinamento dovuto “alla vita”, cioè al metabolismo umano; un altro elemento, oltre alla natura chimica e alla massa degli agenti immessi in un corpo ricevente, è costituito dalle caratteristiche del corpo ricevente stesso; se le fogne di una città popolosa finiscono in un piccolo fiume o ruscello, la concentrazione di sostanze indesiderabili diventa così alta che si può parlare senza dubbio di inquinamento e l’acqua così contaminata va a contaminare le acque sotterranee, altri fiumi, il mare. Se la stessa quantità di acqua di fogna va a finire in un grande fiume, le sostanze inquinanti si diluiscono rapidamente, vengono rapidamente scomposte, e diventano meno nocive; se però il grande fiume è già inquinato a monte, l’aggiunta di altri inquinanti ne compromette la capacità di “autodepurazione”. Ecco quindi che un corpo ricevente viene definito (dai biologi, dai chimici, dai governanti) inquinato quando la concentrazione di sostanze nocive supera una certa soglia: azoto non più di tanti milligrammi per metro cubo di acqua, mercurio non più di tanto, eccetera. Valori del tutto arbitrari, fissati da norme italiane ed europee sulla base di considerazioni biologiche, di nocività e tossicità, ma anche su considerazioni politiche ed economiche; valori limiti che non costringano a chiudere i depuratori che funzionano male, le fabbriche che scaricano sostanze nocive nel fiume, che non permettano alle industrie di un paese di inquinare più di simili industrie in un altro paese, eccetera.
Per continuare, adesso, con i rifiuti della vita umana va notato che gli esseri umani non “consumano” soltanto alimenti, ma, in quanto persone civilizzate, lavano il corpo e gli oggetti domestici e i panni e lo fanno mediante agenti detersivi disciolti in acqua. Per lunghissimi tempi l’agente detersivo era il sapone, un sale di sodio o potassio derivato da grassi naturali; il sapone che finiva nelle fogne, insieme agli escrementi umani, reagiva con i sali delle acque o del terreno e si trasformava in sali insolubili. Ma il sapone è uno scadente detersivo e, dalla metà del secolo scorso, è stato progressivamente sostituito da detergenti sintetici, molto “migliori” come capacità di lavaggio, ma molto “peggiori” dal punto di vista ambientale in quanto in genere sono chimicamente estranei ai batteri decompositori e restano schiumosi e inalterati a lungo nelle acque dei corpi idrici in cui sono immesse le acque di fogna. Fu questo uno dei primi segnali di allarme dei mutamenti ecologici indotti dal progresso tecnico, al punto che i governi sono stati costretti a vietare l’uso dei detergenti sintetici della prima generazione e ad imporre detergenti sintetici “biodegradabili”, come si dice. Anche in questo caso l’inquinamento dovuto ai detergenti sintetici è risultato tanto più vistoso quanto maggiore era la popolazione che scaricava le proprie fogne in un fiume o lago e quanto minori erano le dimensioni del fiume o del lago.
È questo un esempio di come l’inquinamento delle acque, per restare a questo campo, è aumentato in seguito a cambiamenti della qualità delle merci e come abbia potuto essere attenuato, anche se non eliminato, con leggi che vietano l’uso di alcuni prodotti.
Mi sono soffermato sul caso dell’inquinamento delle acque ad opera di scarichi di comunità umane perché è stato forse il primo su cui si è concentrata l’attenzione di chimici, biologi e anche giuristi e economisti; le prime leggi ecologiche italiane furono proprio quelle per combattere (limitare ?) l’inquinamento delle acque e si orientarono sull’obbligo di modificare le merci inquinanti e di vietare che la quantità di scarichi inquinanti in una unità di volume di fiume o di mare superasse certi limiti, variabili naturalmente da sostanza a sostanza presente nelle fogne. E siccome il rispetto di questi limiti comporta dei costi, per esempio i costi della costruzione di depuratori che filtrino o trasformino in qualche maniera una parte delle sostanze inquinanti, o di modificazione dei cicli produttivi industriali, sorse ben presto il problema di chi avrebbe dovuto pagare questi costi: l’inquinatore, probabilmente, oppure chi mette in commercio sostanze inquinanti, oppure chi usa sostanze inquinanti, o lo stato (e quindi l’insieme di tutti i cittadini, anche di quelli che inquinavano poco) n quanto ha il dovere di proteggere la qualità ecologica dei suoi fiumi e del mare, a beneficio, quindi, sia di chi inquina molto sia di chi inquina poco.
Non sarà difficile, al paziente lettore, vedere che le stesse considerazioni valgono per qualsiasi forma di inquinamento generato da qualsiasi attività umana in qualsiasi posto della Terra.
Mi soffermerò soltanto su due altri casi, oggetto di recenti vivaci discussioni. Il primo riguarda il cosiddetto “effetto serra” responsabile dei mutamenti climatici di cui questa rivista si è occupata, nei suoi dieci anni di vita, in tante occasioni. L’effetto serra deriva dalla modificazione della composizione chimica dell’atmosfera ad opera di vari gas immessi nell’atmosfera dalle attività umane. Per migliaia di anni la composizione chimica dell’atmosfera è lentamente cambiata per fenomeni naturali; la crisi dell’ultimo secolo deriva dalla velocità – ancora il fattore tempo – con cui è cresciuta la produzione di gas da parte della rapidamente crescente popolazione umana e del rapidamente crescente uso delle merci, soprattutto dei combustibili fossili: carbone, petrolio, gas naturale. Dall’inizio del Novecento la popolazione umana è passata da meno di due a quasi sette miliardi di persone e il consumo di combustibili fossili all’anno è aumentato di dieci volte. E’ importante sottolineare ancora una volta il fattore tempo perché ogni anno la quantità di agenti immessi nell’atmosfera aumenta e di conseguenza aumenta nell’atmosfera la quantità degli agenti inquinanti responsabili del riscaldamento planetario; il principale di questi è l’anidride carbonica, la quale nell’atmosfera c’è sempre stata, ed è bene che ci sia perché è proprio lei, come si è detto all’inizio, la sostanza “nutritiva” delle piante.
L’inquinamento deriva dal fatto che il rapido aumento della concentrazione della anidride carbonica nell’atmosfera altera rapidamente l’equilibrio fra l’energia solare che arriva sulla Terra e il calore che la Terra reirraggia negli spazi interplanetari, equilibrio dal quale dipende la conservazione dell’attuale temperatura media della Terra (circa 15 gradi Celsius): più le attività umane immettono nell’atmosfera anidride carbonica, più aumenta la sua concentrazione nell’atmosfera, più calore resta intrappolato sulla superficie della Terra, più aumenta la temperatura media del nostro pianeta.
Nel libro prima ricordato, Barry Commoner propose un’equazione che spiegava che l’inquinamento, l’alterazione dell’ambiente naturale, dipende da tre fattori; la qualità dei prodotti fabbricati e usati, la quantità di prodotti immessi nell’ambiente e il numero di persone, di “consumatori”. Ma il numero della popolazione, che pure cresce continuamente, conta di meno rispetto alla molto più rapida crescita della produzione e dei consumi di merci e della formazione di rifiuti, siano essi gassosi o liquidi o solidi.
Un secondo caso è quello dei rifiuti solidi, la cui massa dipende, ancora una volta, sia dalla quantità di merci o macchinari usati, sia dalla qualità di tali consumi. Inquinano i rifiuti solidi? certamente, se vengono lasciati all’aria aperta o bruciati a cielo aperto, inquinano anche, ma diversamente, se vengono sepolti in discariche sotterranee, e inquinano anche se vengono bruciati in inceneritori. In ciascun caso l’inquinamento dipende dalla composizione chimica dei rifiuti; se i rifiuti solidi urbani vengono bruciati tutti insieme – o con una grossolana separazione di un “combustibile derivato dai rifiuti” o CDR – in un inceneritore (anche se viene chiamato “termovalorizzatore”, anche se il calore viene in parte recuperato e venduto) si generano rifiuti inquinanti. Questi possono essere gassosi, la cui composizione e nocività dipendono dalla composizione dei rifiuti che sono in genere miscele complesse e continuamente mutevoli di scarti delle attività domestiche, ma anche commerciali o artigianali, e dipendono dalla tecnologia e temperatura di combustione; oppure possono essere scorie solide, le “ceneri” residue dell’incenerimento (appunto), che devono essere sepolte in qualche discarica o usate come riempimento stradale, e che contengono sostanze, per lo più inorganiche, talvolta tossiche, che possono essere in parte disciolte dalle piogge o dalle acque sotterranee e che sono fonti di inquinamento idrico.
Queste diverse forme di inquinamento potrebbero essere attenuate se le varie frazioni dei rifiuti solidi venissero separate e trattate diversamente, a seconda della composizione, cercando di utilizzarle per qualche fine utile; le frazioni organiche, residui di cibo, di vegetali, eccetera, potrebbero essere impiegate come additivi o ammendanti per il terreno; carta, metalli, vetro, potrebbero essere ritrattati per recuperare qualche materiale utile. Le sostanze plastiche, diversissime come composizione e come presenza di additivi, a seconda dell’impiego come bottiglie, imballaggi, eccetera, sono le frazioni più indesiderabile perché non biodegradabili dai microrganismi decompositori del terreno, perché possono liberare, nell’incenerimento, sostanze nocive che dipendono dalla grande varietà di composizione delle diverse “plastiche”, eccetera, e che vanno ad inquinare l’atmosfera, le acque, il suolo.
Da qui la vasta discussione su come attenuare l’inquinamento, dovuto ai rifiuti, cambiando i modi di consumo, gli “stili di vita” come si dice, imponendo processi di produzione di merci che inquinino di meno, quando sono buttate via. Tutte cose che incontrano l’opposizione di produttori, di imprese di smaltimento dei rifiuti, di venditori di inceneritori, di concessionari di discariche, di imprese di trasporto dei rifiuti, di molte amministrazioni pubbliche, cose che spesso non sono neanche capite dagli stessi cittadini e che in genere contrastano con la somma divinità della nostra società, il libero mercato, il rigetto dell’intervento dello “stato” anche quando avesse voglia di operare nell’interesse collettivo in una guerra, sempre più difficile, contro l’inquinamento.
Vorrei concludere dedicando questo breve articolo ad un animale che ho sempre ammirato, e che del resto era quasi divinizzato dagli antichi Egiziani: lo scarabeo. Non so se lo avete mai visto al lavoro: non è bello e sembra sempre alle prese con qualcosa da fare; non appena trova dei rifiuti organici se ne impossessa e comincia a farli rotolare fino a quando non hanno raggiunto la forma di palline da ping-pong, e intanto si nutre di una parte delle molecole che essi contengono e alla fine trasporta queste palline, ormai ridotte a cellulosa e lignina, nella sua tana per poter finire di mangiarle con calma. Lo scarabeo vive, insomma, alleviando il lavoro e i costi delle aziende di raccolta e trattamento dei rifiuti e, nel suo piccolo, lo fa bene senza CDR e senza inceneritori. Se dipendesse da me, lo prenderei come simbolo della lotta all’inquinamento.