Dialogo con Giorgio Nebbia
Nebbia , Signor Presidente, ringrazio lei e tutti i colleghi per aver organizzato, come Accademia Italiana di Scienze Merceologiche, l’associazione italiana dei cultori di Merceologia e delle discipline affini, questo incontro in occasione del mio novantesimo compleanno.
Notarnicola. Professore, come si è avvicinato alla Merceologia?
Nebbia, Da ragazzo volevo fare l’ingegnere, poi per vari eventi, quando ancora ero studente, un giorno ho messo piede in un Istituto di Merceologia, quello del prof. Walter Ciusa nell’Università di Bologna. Non sapevo neanche che cosa fosse la Merceologia e poi, piano piano, ho capito che era qualcosa che aveva a che fare con le cose che si producono, che si comprano e che si vendono e che aveva anche degli aspetti tecnici, scientifici, chimici. Mi sono così laureato in chimica e, a poco a poco, un po’ imparando e un po’ insegnando, ho compreso la bellezza di questa disciplina che ho praticato per tutta la vita.
Io dico anzi che, nella mia lunga vita, ho avuto due amori, mia moglie Gabriella e la Merceologia, perché mi è sempre sembrato bellissimo studiare, cercare di capire, e poi parlare, raccontare, le cose che si fabbricano con la materie prime naturali e col lavoro, nei campi e nelle fabbriche e che arrivano poi nei negozi e nelle case.
Devo tutto al Professor Ciusa, il quale mi ha accompagnato nella scoperta della Merceologia insegnandomi a considerare non solo i processi e i caratteri delle merci, ma anche la storia delle tecniche di produzione e della loro evoluzione, della concorrenza fra processi e prodotti, e la necessità di guardare al futuro, su come probabilmente saranno fabbricate, con quali materie prime e come questo influirà anche sulla società e sull’ambiente naturale.
Notarnicola. Quando è arrivato a Bari?
Nebbia. Quando ancora ero assistente nell’Università di Bologna ebbi un primo incarico di insegnamento della Merceologia nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari, dove avevano già insegnato Merceologia il prof. Ciusa e, prima di lui, il prof. Giuseppe Testoni di cui Ciusa era stato assistente: una lunga “famiglia” accademica.
Ricordo ancora l’emozione del primo viaggio in treno da Bologna a Bari (durava una ventina di ore), di notte, ricordo il sorgere del Sole sull’Adriatico, la terra, le città bianche, i campi coltivati, le norie per sollevare l’acqua.
Dopo questo primo periodo ho “vinto” (non so adesso, ma ai miei tempi la conquista di un posto di professore universitario di ruolo era proprio come un vincere una gara fra vari concorrenti agguerriti) il concorso alla cattedra di Merceologia di Bari dove sarei rimasto fino alla pensione.
Notarnicola. Lei è stato considerato un attivista dei movimenti ambientalisti; che cosa c’entrava con la Merceologia?
Nebbia . Non ci si può occupare dei problemi ambientali, cioè degli effetti delle attività umane sull’ambiente circostante, senza conoscenze merceologiche, e, nello stesso tempo, uno studioso di Merceologia finisce per occuparsi inevitabilmente di problemi ambientali.
Le attività umane consistono, infatti, nella produzione e nell’uso di merci, di oggetti materiali, e le nocività ambientali, dagli inquinamenti delle acque alle modificazioni climatiche, derivano proprio dalla qualità dei processi di produzione e delle merci che vengono usate.
“Usate”, non “consumate”, perché noi non consumiamo niente; tutte le merci, dopo l’uso, diventano, in varie forme, scorie e rifiuti i cui effetti negativi sulla natura possono essere in parte attenuati con processi di depurazione, di incenerimento o di sepoltura in discariche o con processi di riutilizzazione, di riciclaggio, quella che oggi di chiama “economia circolare”.
Già nei primi anni cinquanta del secolo scorso il prof. Ciusa insegnava, e ci chiedeva di insegnare, che sempre, nella storia, la produzione delle merci è proceduta utilizzando e valorizzando scorie e rifiuti, spesso con tecnologie raffinate.
Quindi l’attenzione per l’ambiente, per me, era implicita in quello che studiavo e insegnavo: come si trasformano le materie nella produzione e nell’uso, da dove vengono i residui, perché vengono “rifiutati”, quale composizione hanno.
Per un chimico è chiaro che, inevitabilmente, nella trasformazione della materia, una parte diventa merci utili ma il resto non scompare e torna in forma negativa nell’ambiente.
Notarnicola. Lei è stato parlamentare alla Camera e al Senato e questo la ha allontanata per nove anni dall’insegnamento. Ha tradito la Merceologia in quel periodo storico?
Nebbia. Sono stato in Parlamento nove anni, un periodo e una vita impegnativa che mi imponeva di andare tutti i giorni (in autobus) nel mio ufficio alla Camera o al Senato a studiare quello che si sarebbe discusso, a documentarmi su come sarebbe stato giusto votare o quali miglioramenti suggerire alle leggi esistenti.
Ero stato eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano (che allora esisteva ancora) e facevo parte, sia alla Camera sia al Senato, di un piccolo gruppo, quello della Sinistra Indipendente, che indipendente era per davvero sia nello svolgimento dei lavori sia nelle votazioni.
Il Parlamento produce delle leggi che sono in gran parte merceologiche, sulla regolamentazione della produzione e dei commerci, sull’olio di oliva o sui detersivi, sulla fabbriche inquinanti e sulla difesa delle acque; di questo soprattutto mi occupavo come merceologo.
Facevo parte della Commissione Agricoltura che proponeva norme sulla irrigazione, su concimi, zucchero e cereali, sulle imposte da applicare per incoraggiare o scoraggiare coltivazioni e produzioni, per cui anche in Parlamento ho continuato a fare il mio mestiere di merceologo.
Notarnicola. L’acqua e la dissalazione delle acque saline sono stati capitoli importanti della Sua produzione scientifica. Il “costo dell’acqua”, quale consumo in litri di acqua nei cicli produttivi è stata un’altra grandezza da Lei usata negli anni Settanta e oggi ripresa da norme ISO (ISO 14046 ad esempio) e nota con la terminologia di “Water Footprint”. Quale è l’attualità di questo argomento soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici e dei lori effetti sulla disponibilità di acqua nei diversi Paesi?
Nebbia. Per la comprensione del valore e della qualità di una merce occorre esaminarne l’intero ciclo produttivo, un concetto che il prof. Ciusa sosteneva già alla fine degli anni quaranta del secolo scorso in due dimenticati libri, addirittura proponendo un insegnamento, da affiancare al corso di Merceologia, intitolato “Tecnologia dei cicli produttivi” (la prima cattedra fu istituita a Bari nel 1963).
Alla base di tutto c’è il principio di conservazione della massa: tutto quello che entra in un processo si deve trovare alla fine come merce o come scoria. Il ciclo produttivo può essere descritto con una contabilità simile a quella fatta dalle aziende, con la differenza che quest’ultima usa come unità di misura i soldi e mentre la contabilità merceologica usa le unità di peso o di energia e con quelle i conti devono quadrare per forza.
Fra le materie che entrano in un ciclo produttivo l’acqua ha un ruolo importante, sia come quantità per unità di merce prodotta, sia come qualità.
Quella che oggi si chiama “impronta in acqua” delle merci corrisponde alla quantità di acqua richiesta per produrre una unità di peso di una merce. Ma altrettanto importante è la provenienza dell’acqua (che sia “blu” o “verde” o “grigia”) e soprattutto la qualità dell’acqua.
Per molti processi, sia industriali, sia agricoli, non sono utilizzabili acque con un contenuto salino superiore a certi limiti; molte acque naturali contengono sali in quantità superiore a tali limiti; anzi la più abbondante massa di acqua, quella dei mari e degli oceani, ha un contenuto salino inaccettabile per la maggior parte dei processi biologici e merceologici
L’acqua a basso contenuto salino, “dolce”, è scarsa sulla Terra, soprattutto in alcune aree geografiche, e da qui deriva l’interesse per la dissalazione delle acque: l’acqua dissalata è quindi un prodotto industriale, anzi una merce vera e propria.
Notarnicola. Lei nel 1970 parlava di Costo energetico delle merci, concetto ripreso da Ian Boustead nel suo “Handook of Energy Analysis”, dal Department of Energy degli Stati Uniti in tanti rapporti degli anni 70 e 80 da tanti studiosi di energia e Merceologia, concetto oggi noto come “Embedded Energy”. Come è nato l’interesse per questo argomento?
Nebbia. Nell’analisi del ciclo produttivo un ruolo importante ha la merce-energia, un tema che ha sempre appassionato gli studiosi di Merceologia. Un nostro collega, Roberto Salvadori (1873-1940), docente nell’Università di Firenze, già nel 1933, al tempo della prima grande crisi economica mondiale del Novecento, in cui già si affacciavano i problemi della scarsità e di come fosse possibile usare al meglio energia e materiali, ha scritto un dimenticato libro intitolato: “Merceologia generale. Principi teorici. I. Le proprietà delle cose. II. Concetto merceologico dell’energia”, nel quale era esposto molto chiaramente il bilancio energetico di molti cicli produttivi. Come unità di misura dell’energia Salvadori propose l'”energon-merce” e propose la valutazione del costo energetico delle merci, cioè della quantità di energia impiegata per ottenere una unità di peso di una merce.
Un concetto delicato perché la qualità merceologica dell’energia peggiora ogni volta che l’energia viene usata a causa dell’aumento dell’entropia del sistema. L’economista americano Nicolas Georgescu-Roegen ha scritto pagine fondamentali sull’entropia nei processi economici.
Insomma il tema del costo energetico delle merci — quanta energia e a quale temperatura viene usata e quanta viene “incorporata” in ciascuna merce, in parte recuperabile attraverso i processi di riciclo — è, se così si può dire, nel sangue di noi merceologi; molti nostri colleghi, fra cui anche il mio collega di Bari prof. Luigi Notarnicola, soprattutto negli anni settanta del secolo scorso, hanno scritto cose egregie sull’argomento.
Notarnicola. Quando tutti elogiavano la società dei consumi, Lei parlava nel 1972 di “società dei rifiuti”, introducendo il concetto di “rifiutologia” come nuovo capitolo delle Merceologia, e di “Progettare le Merci in funzione del loro riciclaggio”, argomenti oggi centrali ed attualissimi nelle attuali politiche ambientali italiane ed europee. Le ha anticipate di oltre 30 anni?
Nebbia . Nel momento in cui ci occupiamo di come saranno fabbricate le merci, è inevitabile che ci si debba occupare di quanto si forma alla fine di ciascun processo, delle cose e materiali che sono gettati via, “rifiutati”, suscettibili di alterare i corpi naturali in cui sono immessi, ma anche di essere trasformati in nuove merci attraverso processi di riciclo.
La qualità delle merci-rifiuti e il loro destino dipendono dalla qualità e da come sono state progettate le merci originali. Non fa meraviglia che un Laboratorio di Merceologia sia stato creato nel Politecnico di Milano nell’ambito del corso di progettazione della Facoltà di Architettura.
Si possono fare le stesse cose in tantissime maniere diverse, a seconda dei vincoli che ci si impongono: la maggiore o minore durata prevista, l’uso di materiali non rinnovabili o rinnovabili, di maggiori o minori quantità di materie, il carattere di riciclabilità delle merci usate — a parità di “utilità” della merce finale.
Qualcosa comincia a muoversi; i fabbricanti di autoveicoli commerciano i loro veicoli promettendo che essi, durante l’uso, non emetteranno più di tanti grammi di CO2 per chilometro, non consumeranno più di tanti litri di carburante (ancora una indicazione del “costo energetico” del servizio).
Non a caso Carlo Marx, nel primo libro del “Capitale”, ha scritto che la Merceologia (Warenkunde) è la disciplina che si occupa del “valore d’uso” delle merci, mentre l’economia politica si occupa del valore di scambio.
Per farla breve, lo studio della progettazione delle merci, del loro uso e dei rifiuti che ne restano, è proprio un capitolo della nostra disciplina.
Notarnicola. Economia ed Ecologia, utilizzo della tavola intersettoriale dell’economia per quantificare oltre al PIL anche l’inquinamento, concetti di grande attualità oggi noti come “Material Flow Analysis” o “Input Output Environmental Analysis”. Pensava che i due concetti, “la gestione della casa” e la “conoscenza della casa” potessero convergere nella stessa direzione?
Nebbia. La contabilità dei flussi dei cicli produttivi delle merci è un capitolo molto importante del nostro insegnamento. L’analisi intersettoriale “ambientale” che lei cita è un perfezionamento dell’analisi intersettoriale in unità monetarie che ogni stato redige al proprio interno. Anzi quest’ultima è nata, negli anni venti del secolo scorso nell’Unione Sovietica, come contabilità dei flussi di materiali forniti da ciascun settore economico agli altri settori ai fini della pianificazione. Le prime tavole intersettoriali dovevano rispondere a domande come: quante tonnellate di minerali per fare tante tonnellate di acciaio per tanti trattori; quante tonnellate di concimi per fare tante tonnellate di grano per tante tonnellate di pane. E Wassily Leontief lavorò al Gosplan sovietico prima di passare negli Stati Uniti a perfezionare le basi dell’analisi input-output che gli valse il premio Nobel.
Per studiare gli effetti ambientali di ciascun settore produttivo occorre redigere tale analisi intersettoriale e cominciando da singoli cicli produttivi. Ricordo che negli anni cinquanta del Novecento il prof. Antonino Renzi, che insegnava nell’Università di Roma, chiese al prof. Ciusa di collaborare per la parte merceologica (e Ciusa affidò una parte dello studio a me, giovane assistente) alla redazione di una “matrice siderurgica” al fine di valutare, per esempio, quante tonnellate di acciaio e di quale tipo sarebbero state necessarie per produrre tante tonnellate di viti o di vergella, o di locomotive o di automobili, eccetera.
Con il crescere dell’attenzione per l’ambiente sono cominciati studi per la redazione di matrici intersettoriali in unità fisiche dei vari cicli produttivi al fine di conoscere quante materie sarebbe stato necessario estrarre dai corpi naturali e quanti residui sarebbe stato necessario immettere nei vari corpi naturali. Una analisi che può essere condotta a livello di singola unità produttiva, ma anche di una città, o di una intera unità nazionale, o a livello dell’intero pianeta, la nostra grande casa comune.
Alcuni merceologi italiani hanno cominciato ad affrontare questo difficile compito, ma moltissimo è ancora da fare se si vuole alleggerire l'”impronta” delle attività umane sulla Terra; le conoscenze merceologiche sono centrali per il successo dell’impresa e molti studiosi vi ricorrono anche senza nominare la Merceologia.
Una occasione per rivendicare la centralità delle nostre discipline.
Notarnicola. Lei ha parlato di “storia naturale delle merci”, argomento che per gli studiosi di Life Cycle Assessment è esattamente lo stesso concetto ma detto 30 prima. Pensava che questa Sua intuizione, oggi sarebbe diventata così attuale e centrale nelle politiche di sostenibilità?
Nebbia. L’analisi del ciclo vitale delle merci non è altro che l’ultima versione del concetto di ciclo produttivo di cui si parlava prima. La produzione e l’uso delle merci hanno grande somiglianza con quanto avviene nel mondo vivente e le merci hanno quindi anch’esse una loro “storia naturale”. In entrambi i casi si parte traendo dalla natura una materia che entra e attraversa un processo di trasformazione (un metabolismo) con formazione del prodotto utile voluto e di vari metaboliti, i rifiuti, che vengono immessi nell’ambiente naturale.
Il riciclo dei rifiuti equivale all’attività degli organismi decompositori che si nutrono degli escrementi di altri e ne traggono nutrimento per se stessi generando altre scorie.
Insegnare Merceologia consiste, sostanzialmente, nel raccontare la nascita, la vita, la trasformazione, la morte degli oggetti, delle cose materiali, processi in cui c’è sempre un degrado “entropico” della materia estratta dalla natura.
Come avviene nella vita, anche nella vita delle merci alla fine si hanno sempre delle scorie, con buona pace di chi promette dei processi con “rifiuti zero”, “Zero Waste”, come è di moda dire per illudere ascoltatori sprovveduti.
Del resto il riciclo non è stato inventato da noi: i residui e i rifiuti sono stati riciclati fin dai tempi antichissimi, pensiamo solo alla riutilizzazione degli stracci nel Medioevo e nel Rinascimento per farne carta e altri tessuti. Davvero affascinante la nostra Merceologia.
Notarnicola. Cosa ne pensa dopo 40 anni delle scelte relative all’industrializzazione della Puglia: Siderurgico a Taranto, petrolchimico e centrale termoelettrica a Brindisi, chimico a Manfredonia?
Nebbia. Di cose materiali, di oggetti abbiamo e avremo sempre bisogno e questi possono essere fatti soltanto trasformando con la tecnica e col lavoro i prodotti dell’agricoltura, delle miniere, delle cave.
Nel mezzo secolo in cui ho vissuto e insegnato in Puglia ho visto nascere fabbriche e imprese che sono state salutate come occasioni di occupazione, di miglioramento delle condizioni di vita e anche culturali. Il successo, e gli insuccessi (e ne ho visti tanti) dipendevano da quali merci producevano, con quale effetto ambientale, dove erano localizzate.
Ho visto nascere e, con dolore, morire tante fabbriche, la raffineria di Bari, il petrolchimico di Manfredonia, gli zuccherifici del Foggiano; per ogni forno che si spegne, a causa di svelte produttive sbagliate, dell’inquinamento o della globalizzazione dei commerci, ci sono famiglie che perdono il sostentamento, ci sono esperienze e conoscenze e speranze che vanno perdute.
Ho sempre creduto che fosse importante far crescere occupazione e cultura operaie nel Mezzogiorno, una terra generosa che ha un grande patrimonio di cultura e di passione civile, ma ho constatato che spesso molte imprese sono state “spedite” nel Mezzogiorno senza adeguate valutazioni e previsioni degli effetti positivi e negativi che avrebbero avuto.
Forse noi stessi del mondo universitario, e in particolare noi cultori di quelle discipline merceologiche che sanno comprendere i processi e i loro inconvenienti, non abbiamo fatto abbastanza per la diffusione del sapere, sul piano della critica e dello stimolo.
Notarnicola. Pensa che nelle politiche di riutilizzo di gran parte dei residui solidi prodotti dall’Ilva si possa in qualche modo contribuire al risanamento ambientale dell’impianto, come ad esempio le scorie di acciaieria o la loppa di altoforno che va nel cementificio solo per il 15% ?
Nebbia . Lei insegna nell’Università di Bari a Taranto ed ha ben presenti i gravi problemi dell’ILVA, il più grande stabilimento siderurgico italiano, che genera non solo fumi inquinanti, ma anche molti milioni di tonnellate all’anno di scorie solide, loppe e residui degli altoforni e dell’acciaieria, solo in parte utilizzati in altri processi.
Una loro migliore utilizzazione presuppone una migliore conoscenza della loro esatta composizione, anche considerando che varia continuamente la provenienza, e anche la composizione, delle due principali materie prime del processo, i minerali di ferro e il carbone. E questa è proprio Merceologia.
Le tecnologie si evolvono rapidamente e vengono richiesti elementi, finora trascurati, che vengono cercati, oltre che nei minerali, anche nei residui di altre lavorazioni. A Crotone dalle scorie di altri processi metallurgici per alcuni anni veniva estratto l’indio, un costoso metallo.
Notarnicola. Prima ha detto che economia ed ecologia, convergono nella stessa direzione. A Taranto c’è sempre un “trade-off “, divario tra qualità dell’ambiente e occupazione e quindi possibilità di poter lavorare effettivamente nell’impianto Siderurgico. Cosa lei ritiene si possa insegnare oggi a chi deve prendere decisioni a Taranto sulla localizzazione o sul futuro dell’Ilva?
Nebbia, Molto difficile da dire. Un merceologo può solo dire: se cambiate il ciclo produttivo forse succede questo e questo altro, ma i drammatici conflitti che vedono contrapposti la popolazione inquinata che difende la propria salute, i lavoratori che difendono l’occupazione e i proprietari che difendono i propri soldi, possono essere risolti soltanto a livello politico. Se i politici dessero ascolto anche a chi si occupa di bilanci di cose materiali, forse le soluzioni sarebbero semplificate.
E’ indubbia l’importanza civile di insegnare e discutere questi problemi con gli studenti universitari da cui verrà la classe dirigente futura.
Notarnicola. Dopo lunghi dibattiti e lotte, nel 1987 c’è stato lo stop all’energia nucleare in Italia. Oggi qualcuno dice che siamo passati dalle problematiche delle scorie radioattive, alle problematiche di un’alta intensità di CO2 e di gas clima-alteranti per kWh, a causa di un ritorno di un forte uso di combustibili fossili. Quali ritiene che siano le prospettive delle fonti rinnovabili ricompreso l’idrogeno per in qualche modo compensare o evitare un ritorno all’energia elettrica per via nucleare in un momento in cui i cambiamenti climatici sono così importanti ?
Nebbia . Nell’ultimo mezzo secolo la continua crescente immissione di gas climalteranti nell’atmosfera sta facendo aumentare la temperatura media del pianeta con conseguente modificazione dei grandi cicli biogeochimici da cui dipendono il clima, la successione delle piogge, l’avanzata dei deserti, i flussi delle acque marine e oceaniche e dei gas dell’atmosfera.
A questo proposito ci sono tre orientamenti culturali: il primo nega che esistano tali modificazioni irreversibili, che se ci sono non dipendono dalle attività umane e che tutto si aggiusterà o con la tecnica, o grazie alla crescita economica e che occorre continuare con l’aumento della produzione e dei consumi.
Un secondo punto di vista riconosce che tali mutamenti esistono e che sono dovuti all’uso dei combustibili fossili ma che la salvezza, se si vuole continuare ad avere energia per produrre crescenti quantità di merci, consiste nel ricorrere all’unica fonte di energia (a rigore di elettricità) che è quella della fissione (e forse un giorno fusione) nucleare, che non emette gas climalteranti. Una soluzione che, al di là dei costi monetari, impone alla nostra e alle future generazioni un costo sociale altissimo per la gestione (non si sa come), delle scorie radioattive inevitabilmente lasciate dall’uso civile (e militare) dell’energia nucleare.
Una terza proposta suggerisce di sottoporre a revisione critica i processi di produzione delle merci e i nostri consumi (e qui un ruolo fondamentale, ripeto, hanno le nostre discipline) in modo da consentire ai paesi industrializzati di soddisfare i propri bisogni essenziali con minori “costi” di energia e di materie e da consentire ai paesi poveri di disporre dei beni essenziali che gli permettano di uscire dalla loro miseria; in questa direzione un contributo può venire dalle fonti energetiche e dalle materie rinnovabili, ricorrendovi con intelligenza e attenzione.
Non dall’idrogeno, a mio parere, perché questo combustibile, non inquinante nel momento dell’uso, può essere ottenuto soltanto con più energia di quella che restituisce durante l’uso.
“I numeri” per orientarsi nelle future decisioni per rallentare il riscaldamento planetario, sono stati resi noti nel corso di varie conferenze internazionali, l’ultima delle quali nel dicembre 2015 a Parigi; i documenti preparatori forniscono informazioni chimiche e “merceologiche”: da quali settori – industrie, trasporti, agricoltura, zootecnia, città, eccetera — vengono i gas serra e quali sono e in quale quantità; quali modifiche dei processi e dei prodotti possono farne diminuire le emissioni.
Si scopre così che anche gesti apparentemente insignificanti, come l’uso del computer o dei telefoni cellulari, comportano significativi consumi di elettricità ed emissioni di gas climalteranti, che anche i virtuosi pannelli fotovoltaici che producono “gratis” elettricità dal Sole, richiedono materie prime e energia nel corso della fabbricazione e della manutenzione.
A favore di una revisione dei consumi si è espresso anche il Papa Francesco che nell’Enciclica “Laudato si'”, cita 67 volte la parola “consumo” e 34 volte la parola “produzione”, Un Papa merceologo ?
Notarnicola. Quali pensa che siano le prospettive delle sua e della nostra amata Merceologia?
Nebbia. Molte cose di cui parla l’economia, la politica, ecc., hanno le loro radici nelle conoscenze che noi possiamo diffondere. Allora, a mio modesto parere, bisogna recuperare l’orgoglio di essere i depositari di conoscenze che possono essere utili alla società; quindi chiedere, insistere, perché la nostra disciplina abbia un posto di rilievo e non marginale nel corso degli studi economici, ma, io dico, non solo economici, ma anche chimici e ingegneristici. Se dipendesse da ma, farei seguire un corso rapido di Merceologia anche ai parlamentari, come aveva fatto nel 1971 il presidente del Senato Fanfani facendo fare un corso accelerato di ecologia per i Senatori.
Notarnicola. Raggiunti i limiti di età ha lasciato l’Università da ormai 20 anni. Come passa le sue giornate?
Nebbia . Insegnando e studiando Merceologia, è l’unica cosa che so fare. Qualche giornale ha la cortesia di ospitare qualche articolo che tratta di merceologia, naturalmente. Non avendo, per motivi di età, più accesso alle aule universitarie, dove ho lasciato il cuore, cerco di parlare nei circoli ricreativi, nelle riunioni di pensionati, a chiunque abbia voglia di ascoltare le virtù e l’importanza della Merceologia. A ben guardare mi sento “a riposo”, come si suol dire, soltanto in quanto dipendente statale, ma non come persona curiosa. Grazie per la sua disponibilità.