Dove conduce l’involuzione bellica della ricerca europea
Vista a ritroso da Billy, la storia era così: gli aerei americani, pieni di fori e di uomini feriti e di cadaveri, ritornavano da un campo d’aviazione inglese. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero e risucchiarono proiettili e schegge di bombe da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con degli apparecchi americani distrutti che erano al suolo, e questi volarono poi per unirsi alla formazione.
La squadriglia aerea sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono gli sportelli delle bombe, quindi, grazie a un miracoloso magnetismo, risucchiarono le fiamme, le racchiusero nuovamente entro contenitori cilindrici d’acciaio che portarono infine nel ventre degli apparecchi. I contenitori furono sistemati ordinatamente su delle rastrelliere. I tedeschi, là sotto, avevano a loro volta degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi d’acciaio. Li usavano per risucchiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c’erano ancora alcuni americani feriti, e alcuni dei bombardieri erano gravemente danneggiati. Arrivati sopra la Francia, comunque, furono raggiunti di nuovo da dei caccia tedeschi che rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i contenitori di acciaio vennero tirati fuori dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c’erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellare i cilindri e a ridurre il pericoloso materiale che contenevano a minerale. Cosa commovente, erano soprattutto donne a fare questo lavoro. I minerali vennero poi spediti a degli specialisti in zone lontane. Era loro compito rimetterli nel terreno, e nasconderli per bene in modo che non potessero mai più far del male a nessuno.
Kurt Vonnegut, Mattatoio N. 5, “Il sogno di Billy”
Gli investimenti immorali dell’Unione Europea
Il 27 ottobre 2016 il Parlamento Europeo ha approvato per la prima volta nella sua storia lo stanziamento di ingenti finanziamenti per la “ricerca militare” . La notizia è stata diffusa da un sito direttamente interessato “Science/Business” indirizzato a scienziati e uomini d’affari” .
Gli stati del Parlamento Europeo hanno infatti approvato la proposta di finanziare la ricerca in tecnologie per la difesa a partire dal 2017, realizzando quanto previsto dal Programma “Preparatory Action for
Defence Research” che spenderà circa 25 milioni di Euro all’anno fino al 2020. Le voci di spesa finora proposte includono ricerche sui droni, sulla cyber-difesa e sulla sorveglianza marittima.
Tra le possibilità ipotizzate vi è la riduzione delle restrizioni alla European Investment Bank, in modo che possa finanziare sia progetti di ricerca per la difesa sia le loro ricadute applicative: questo significa che i singoli paesi potranno acquistare direttamente con i fondi di ricerca equipaggiamenti militari “sperimentali” come elicotteri e droni da combattimento. L’Azione Preparatoria potrà eventualmente crescere e consolidarsi in un programma permanente del valore di 3,5 miliardi di Euro, da gestire separatamente dal programma di ricerca tradizionale dell’UE, cioè Horizon 2020.
La gravità di queste scelte non può sfuggire a chiunque abbia a cuore la scienza come strumento non di oppressione ma di pace. La comunità scientifica ha perciò predisposto azioni di sensibilizzazione dei parlamentari europei. Va segnalata in particolare l’iniziativa di Researchers for Peace dello scorso anno, con una prima petizione inviata all’Unione Europea contro la decisione di stanziare una somma di 90 milioni di euro in tre anni per preservare la, letteralmente, “competitività dell’industria bellica europea” attraverso un piano di ricerca scientifica dedicata al settore militare.
In questi giorni, un nuovo appello è stato lanciato dalla associazione pacifista belga Vredesactie (Movimento per la pace) mentre stanno per essere lanciati i primi bandi con stanziamenti pari a 13 milioni di euro destinati dal Fondo per la Difesa Europea all’industria di armi. Secondo i promotori di questa ulteriore protesta, si sta delineando una deriva delle istituzioni europee di stampo militare, grazie al fatto che l’industria bellica ha accesso praticamente indisturbata ai palazzi di Bruxelles.
Il meeting annuale del novembre 2018, congiunto fra Agenzia della Difesa Europea e l’industria militare, è stato dedicato alla “innovazione” nelle tecnologie militari, legata ai sistemi non solo “unmanned” (termine in genere riferito ai velivoli privi di pilota, i cosiddetti droni) ma addirittura “autonomous”, ovvero potenzialmente capaci di decidere in autonomia quando, dove e come innescare il proprio bagaglio di distruzione.
Sul tema dello sviluppo di sistemi di arma autonomi è già stata avviata una campagna di sensibilizzazione da parte della comunità scientifica, con in prima fila anche i principali istituti di sviluppo dei sistemi ad intelligenza artificiale. Per gli attivisti è un’occasione importante per opporsi all’abbraccio nefasto fra istituzioni europee e industria militare. Ciò che più preoccupa, assieme alla possibilità di sviluppo di sistemi di guerra autonomi, ovvero senza un filtro di controllo e responsabilità di tipo umano, è anche il massiccio spostamento di fondi pubblici dell’Unione Europea che vengono spostati sul settore della ricerca bellica.
L’invasione dei Bot
Per reagire a questa deriva raccogliamo qui alcune riflessioni sui temi, da un lato del costo dei possibili sviluppi tecnologici in campo bellico e della loro sostenibilità socio-biologica da parte della collettività umana. Va osservato che un percorso di tipo evolutivo – o meglio, co-evolutivo ancora assieme all’homo sapiens – si sta compiendo anche nel mondo artificiale. Ne è un esempio il fatto che quando il 17 marzo 2014 un terremoto colpì la California, il Los Angeles Times riuscì a dare l’annuncio sul proprio sito in soli 3 minuti, informando che un sisma di potenza pari a 2.7 gradi Richter aveva colpito con epicentro a Westwood. La notizia con i dettagli del fenomeno era del tutto convenzionale, tranne che per l’ultima riga: “questo articolo – si leggeva – è stato scritto da un algoritmo”. Il testo, in effetti, era stato costruito usando i dati del sistema di allarme USA per i terremoti, elaborati dal software del giornalista e programmatore Ken Schwencke. Quell’algoritmo, chiamato Quake-bot, non è l’unico bot-reporter esistente. Ci sono macchine che setacciano il web per dare informazioni in tempo reale sui guadagni delle grandi corporation per esempio, o sulle statistiche dello sport e sul mercato finanziario: raccolgono dati fattuali, come quelli forniti dai sistemi automatici di sorveglianza, li sistemano in moduli predefiniti dalle redazioni dei giornali e inviano e-mail di avviso ai redattori. Il numero di storie che gli algoritmi sono potenzialmente in grado di scrivere cresce assieme al numero di sensori e dispositivi di controllo attivi e disponibili.
Questi argomenti sono i soggetti di studio preferiti di Peter Swirski, docente di Letteratura Americana all’Università di St. Louis nel Missouri, specializzato nell’analisi di come i ritrovati scientifici influenzano la letteratura, l’arte e la cultura – non a caso, Swirski è anche il principale estimatore dei lavori di futurologia del polacco Stanislaw Lem. Nel suo ultimo libro, From Literature to Biterature (McGill-Queen’s University 2014) partendo dai bot-reporter algoritmici, Swirski tratta in paragrafi monotematici argomenti transdisciplinari correlando gli esiti inattesi della scienza contemporanea con questioni di filosofia, economia e società. Non si tratta di proporre una nuova forma di letteratura ma di considerare che l’avvento di nuove tecnologie apre sempre interrogativi sulle conseguenze che si avranno sulle attività umane e su come la tecnica influenza le tendenze filosofiche e sociali. Non è solo un ironico e sferzante salto nell’immaginario, è anche una proposta di analisi dei rischi connessi all’invasione tecnologica, già quasi estesa oltre le meraviglie del possibile, con un occhio al probabile avvento della singolarità tecnologica: che si replichi per le macchine e i computer quel processo di trasmutazione che Darwin svelò nelle specie viventi.
Il testo che segue è tratto da un capitolo del libro di P. Swirski, From literature to Biterature (McGill-Queen’s University Press, Ithaca 2013) dedicato alle tecnologie belliche: Chapter 9: How to Make War and Assassinate People (Ice-Pick and Ricin; A Small African Country; Licence to Kill; Solsects, Sunsects, Synsects; Fires at the Sun; Candy, Anyone?; Bacteriology; Safe Investment) p. 171.
Come far la guerra e assassinare il prossimo
di Peter Swirski
Una serie di leggi degli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo impediscono ai Presidenti degli Stati Uniti, comandanti dell’esercito americano, di ordinare l’assassinio di capi di stato stranieri. Nonostante ciò, da allora la maggior parte degli inquilini della Casa Bianca ci ha provato lo stesso, di solito con bombardamenti aerei inefficaci. Negli anni ’80 Reagan ci provò con Gheddafi. Negli anni ’90 l’operazione Desert Storm ebbe inizio con il tentativo di abbattere il palazzo residenziale di Saddam Hussein attaccato da cacciabombardieri invisibili ai radar. Nello stesso decennio, poco più avanti, gli aerei della Nato avevano come bersaglio tutte le residenze di Belgrado dove si ipotizzava potesse essere nascosto Milosevic. Non scoraggiato dal fallimento del padre, il presidente Bush Junior cercò di far saltare in aria Saddam nel 2003. La coalizione Nato-Americana del 2011 si premurò di diffondere comunicati ufficiali per negare l’intenzione di dar la caccia a Gheddafi, ma si può scommettere che si sarebbero stappate bottiglie di champagne se la cosa fosse capitata per un “incidente”. E se non ci si riesce subito, si può sempre provarci di nuovo e riprovarci, e riprovarci ancora.
I metodi moderni per assassinare il nemico sono tanto perversi quanto inefficaci: durante la Guerra Fredda la CIA ha tramato più di seicento complotti per colpire Fidel Castro – fra gli altri, con un sigaro, un mollusco e una muta subacquea infettata con un fungo tossico (la sezione Q di James Bond ne sarebbe stata fiera). L’unica cosa che non hanno provato è stata una bambola voodoo. Il KGB aveva una sezione a cui commissionava gli omicidi, il Dipartimento del primo direttorato principale, oggi camuffato sotto il nome di Dipartimento di sicurezza interna dell’esercito di Putin. Quella sezione si prese cura di dissidenti come Trotskij e Georgi Markov usando dispositivi similmente crudeli: una piccozza e un ombrello riempito di ricina, rispettivamente.
Fra il 1997 e il 2011- quando finalmente riuscirono con un algoritmo a restringere il campo del possibile nascondiglio di Osama bin Laden ad Abbottabad – la CIA ha tentato ogni stratagemma incluso nella propria lista nera per far fuori il nemico pubblico numero uno d’America. Bombardamenti, imboscate, rapimenti; ma erano solo l’antipasto. Ci fu un tentativo di infiltrazione che finì disastrosamente quando il supposto agente si dimostrò un doppiogiochista attentatore suicida. Ci fu un drone Predator equipaggiato con missili Hellfire, capace di identificare un volto a 5 km, che vaporizzò tre Afgani innocenti i quali – i generali del Pentagono l’hanno giurato sulla loro stessa vita con la mano sul cuore – avevano la sfortuna di somigliare a bin Laden o a qualcuno del suo entourage. A un certo punto era stato impegnato anche un commando della Delta Force formato da 40 uomini, assistito dall’aviazione e da un piccolo esercito di signori della guerra Pashtun. Come in un thriller di spionaggio, ci fu anche una invasione militare su larga scala portata avanti su due direttrici, che coinvolse duemila soldati di truppa e un migliaio di combattenti locali.
A causa dei nuovi scenari di guerra, che ormai vedono raramente gli eserciti convenzionali fronteggiarsi e si disperdono invece su numerosissimi fronti di guerriglia e contro-guerriglia, terrorismo e antiterrorismo in tutto il mondo, le tecnologie militari ingombranti sono andate piuttosto fuori moda. Sono inefficaci, sproporzionate e costose per l’arte della guerra nel XXI secolo. Potrebbe sembrare una notizia non necessariamente negativa, se la si legge come una possibilità di riduzione delle spese militari. Purtroppo non è così: il Pentagono continua a fagocitare metà del bilancio di tutte le spese discrezionali messe a disposizione dal Governo Federale USA. Si tratta di una cifra così rilevante che l’America spende in armamenti più della somma collettivamente impiegata dalle altre venti nazioni che la seguono in lista. Questo andamento è preoccupante anche perché se si sommano tutte le spese per l’invasione e l’occupazione militare dell’Iraq – circa 2.000 miliardi di dollari, senza contare il mantenimento di dozzine di basi lasciate sul territorio – si capisce che queste folli spese non potranno andare avanti per sempre.
Ogni anno il bilancio di guerra americano – reso con l’eufemismo di spese per la difesa dopo il cambiamento di nome nel 1949 del Ministero di Guerra in Ministero della Difesa – assorbe sempre più denaro per comprare sempre meno dispositivi bellici che diventano sempre più costosi da sviluppare, produrre e mantenere.
Quanto più costosi? Durante la I Guerra Mondiale, la costruzione di un biplano da combattimento come l’inglese Vickers FB5 costava 2.000 sterline. Nel 1939 il caccia britannico Spitfire costava 12.000 sterline (mezzo milione di dollari odierni). Nel 1945, un caccia bombardiere di scorta Mustang P51, cavallo di battaglia dell’aviazione USA, costava 50.000 dollari. Oggi, un Bombardiere B2 antiradar supera il costo di due miliardi di dollari.
Pensate sia troppo? Ricredetevi. Un solo super bombardiere Ford-class costa poco meno di dieci miliardi di dollari. Proprio come la portaerei più costosa di sempre la Nimitz Class a propulsione nucleare sulla quale deve essere trasportato; sono navi così grandi che dovrebbero avere un loro codice di avviamento postale. A due terzi di questa cifra, si colloca il bombardiere Britannico attualmente assemblato in Scozia (previsto in servizio nel 2020) che ha su attaccato uno scontrino di cinque miliardi di sterline. Considerando l’inflazione e altre sorprese – il prezzo originale era stimato in 3,9 miliardi di sterline – si può scommettere che il prezzo finale possa lievitare di un altro 50 percento.
Questo è solo l’inizio: il prezzo di acquisto. Dieci miliardi di dollari all’incirca coprono solo i costi di costruzione di una portaerei. I costi di funzionamento nella vita operativa di questi bestioni sono all’incirca pari a cinque volte quelli di produzione. Aggiungiamo il costo di aerei ed elicotteri di trasporto, più il carburante, gli armamenti e la manutenzione. Aggiungiamo i colossali – ancora una volta nell’intorno dei molti miliardi di dollari – costi di gestione e i ricambi. Alla fine risulterà la cifra di 70 miliardi di dollari per la durata in servizio di una sola super portaerei.
Ci si potrebbe comprare un piccolo stato africano o un mare di voti per solo una frazione di quella cifra. Ma nemmeno questo è il limite finale. Bisogna ancora aggiungere i costi di sviluppo, che potrebbero lasciarvi a bocca aperta. Nel caso del B2, per esempio, ci vollero 50 miliardi di dollari prima di far emergere che – come ogni miliardario viziato – questo bombardiere fantasma era umorale. La sua pelle termoplastica si rivelò così vulnerabile alla pioggia, al calore e all’umidità che non risultò in grado di volare né con la pioggia, né dopo la pioggia, né con il sole. Proprio così.
Il più costoso dei carri armati usati durante la Seconda Guerra Mondiale, il Tiger tedesco, costava il corrispondente di un milione e mezzo di dollari attuali. Il principale fra i carri moderni dell’esercito Americano, il modello Abrams M1A2, costa cinque volte di più. Mentre le spese crescono in modo esponenziale, nessuno più riesce a sviluppare nuove tecnologie belliche, oppure a malapena ci riescono i paesi più ricchi. Come conseguenza i tank, gli aerei e le portaerei già in servizio dovranno continuare a lavorare più a lungo. E quando vengono varati nuovi congegni, questi corrispondono a salti quantici tecnologici progettati da squadre di ingegneri e tecnici che hanno in realtà una limitata esperienza nelle tecnologie di Guerra. Il risultato è lo sviluppo sempre maggiore di problemi che portano a un ulteriore incremento dei costi. E il circolo (vizioso) si chiude con il fallimento.
La soluzione? Involuzione. In futuro, invece di puntare ad armi sempre più massicce e costose ci sarà un’implosione delle dimensioni e del prezzo per singolo armamento. I costi crescenti di sviluppo, produzione e mantenimento rendono certa questa possibilità, indipendentemente da ogni altra considerazione tattica o strategica.
I soldati meccanici sono il sogno segreto di ogni generale. Non sono tenuti a pensare a se stessi, a disobbedire agli ordini o a scappare se esposti nel pericolo. Sono immuni da crisi di panico e dalla fatica, per non menzionare la necessità di cibo, bisogni fisiologici, decorazioni, indennità di rischio, ospedali e piani di previdenza pensionistica. Sono invulnerabili sia al rischio biochimico sia alla propaganda nemica. Non stupisce che tutte queste doti siano apprezzate fra le mura del Pentagono.
L’uso crescente sui campi di battaglia contemporanei di missili ad auto-guida, di veicoli autonomi e di droni privi di pilota ( Unmanned Aerial Systems in termini militari) non è che il primo passo in questa direzione. Sotto il pacifico Presidente premio Nobel Obama, i droni hanno accumulato più ore di volo dei velivoli con pilota, passate a bombardare, mitragliare e in tanti altri modi a far fiorire la democrazia in Pakistan a una velocità di crescita dieci volte superiore a quella del guerrafondaio presidente Bush. Sareste sorpresi di sapere che entro i prossimi quaranta anni i droni rimpiazzeranno interamente i velivoli militari americani con pilota?
Negli ultimi dieci anni i generali hanno accresciuto la flotta dei droni di almeno quindici volte, a tal punto che le forze armate americane hanno ora non meno di 10.000 robot che svolgono servizio nei loro ranghi. Il più popolare è il Raven, che somiglia tanto a un aereoplanino da modellismo. E vola allo stesso modo. Tutto ciò che occorre fare è assemblare le diverse parti e lanciarlo in aria, il motore elettrico farà il resto.
Questa macchina da guerra pesa in tutto 2 kg e si infila comodamente in uno zaino. L’esercito è così entusiasta di questo nuovo giocattolo che ne sta comprando a migliaia, in parte perché è affidabile, in parte perché il prezzo è di soli 50.000 dollari a operazione. Il suo valore militare d’altro canto è inestimabile. Semplice da usare, controllabile con lo schermo di un tablet e pochi pulsanti, super silenzioso, discreto ed equipaggiato con i migliori strumenti di visualizzazione disponibili e con un software capace di fornire video nitidi, in tempo reale, notte e giorno. Il modello un po’ più massiccio, chiamato Switchblade, è la versione Americana di un attentatore kamikaze – essenzialmente un Raven carico di esplosivo. Il Raven è già una versione molto semplificata del Predator e della sua versione più grande e letale, il Reaper (falciatore), un aggeggio che aveva bisogno di quasi 200 persone per continuare a volare e falciare. Nel futuro non ci sarà più nessuno attestato sulla linea del fronte, almeno secondo i futurologi delle forze armate USA. Il piano di sviluppo 2009-2047 degli Unmanned Aircraft Systems prevede che i droni saranno dotati di intelligenza artificiale e di un livello di autonomia operativa mai prima disponibili – inclusa la licenza di uccidere.
Dato che gli umani sono la componente più lenta, vulnerabile e anche la più preziosa fra le opzioni militari, le guerre future saranno gestite interamente dai robot. Solo che non saranno uguali a macro-robot vulnerabili come accade oggi ma miniaturizzati. Invece di imbracciare un’arma, il soldato stesso sarà l’arma.
Nella prima fase di questa involuzione, gli armamenti saranno ridotti alla forma degli insetti, come le zanzare, e muovendosi in sciame diventeranno virtualmente indistruttibili, masse letali di soldati-insetto verranno disperse nell’aria, capaci di assorbire i quanti di energia direttamente dal sole. Nella fase successiva, soldati meccanici diventeranno piccoli come il polline ed egualmente abbondanti. Immaginate: miliardi di miliardi di nanobots virtualmente senza peso dispersi nell’aria e depositati sui capelli, le ciglia, la pelle, quelli inalati arrivano fino ai polmoni, coprono ogni foglia di ogni albero di ogni campo di battaglia, ogni centimetro quadrato di terra coltivata e l’organismo di ogni animale allevato dietro le linee nemiche, pronti a diventare mortali con il click di un mouse. Auto-organizzati, connessi in rete con le spore vicine, perfettamente identici, perfettamente intercambiabili, economici, sfornati a milioni di miliardi.
L’ultima fase vedrà armi delle dimensioni dei batteri e con la capacità batterica di riprodursi. A questo punto, le squadre di progetto e le catene di produzione diventeranno un ricordo del passato perché ogni unità potrà estrarre le risorse operative e riproduttive direttamente dall’ambiente (…)
[Si può procedere nella riduzione fino a immaginare (Ndt)] una bomba al DNA. La progressiva miniaturizzazione accoppiata con la genetica molecolare permetterà di assassinare solo ed esattamente la persona che si vuole. Ognuno di noi, a eccezione dei gemelli identici, possiede una carta di identità molecolare unica che corrisponde a un unico indirizzo biologico sotto forma di DNA nucleare. Basta armare la bomba e inviarla all’indirizzo giusto – meglio ancora, si possono armare miliardi di bombe caramellose e rilasciarle in tutto il mondo in completa sicurezza. Il virus contenuto nella bomba al DNA entrerà attraverso le pareti cellulari nei corpi umani ma si attiverà solo quando incontrerà il DNA del dittatore – oppure del difensore dei diritti civili, o di un leader eletto democraticamente, o di un dissidente rifugiatosi in una sede non così sicura.
L’intero dispositivo non sarà più grande di alcuni nanometri in lunghezza, una frazione di un granello di polline e così a buon mercato da poter essere prodotto e disperso in tutto il mondo. È l’assassino invisibile definitivo, quello che uccide solo te lasciando tutti gli altri a gustarsi gli stessi confetti in completa sicurezza con il solo rischio di una carie ai denti o di un’indigestione.
Non vi piacciono i confetti? Che ne dite del sedano, del mango o del tabacco? E di una bistecca di manzo o una trota? Per la dispersione si potrebbero anche usare le condutture dell’acqua o dell’aria condizionata. Pensateci: un quantitativo smisurato di bombe DNA dormienti che ci girano attorno liberamente in attesa di raggiungere il bersaglio da eliminare o anche solo da far ammalare (…) magari procurandogli una bella depressione o un’emicrania cronica debilitante.
Enzo Ferrara – Centro Studi Sereno Regis di Torino e IRIS – Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità di Aosta, Brescia e Torino