Editoriale

Questo numero di Altronovecento esce mentre registriamo l’ennesimo fallimento dei tentativi di porre un freno all’inquinamento globale dovuto all’utilizzo dei combustibili fossili. Le conseguenze saranno pagate dalle generazioni future che non votano e quindi non esistono per i politici di oggi, saranno pagate innanzi tutto dalle popolazioni più povere che se anche votano non contano nulla. Nella prospettiva di questa rivista significa che il Novecento nella dimensione che gli è più propria, cioè dell’industrializzazione totale del mondo, non riesce a cambiare strada, anche se ciò è necessario e possibile. Spiegare il perché sarebbe molto importante ed è uno degli obiettivi che ci poniamo, fornendo contributi e riflessioni, certo insufficienti ma speriamo non inutili.

Non diverso è lo scopo di un volume nato all’interno della Fondazione e dedicato ad alcuni aspetti poco noti dell’industrializzazione italiana, “Il caso italiano. Industria, chimica e ambiente”, a cura di P.P. Poggio e M. Ruzzenenti, FLM – Jaca Book, Milano 2012.  Senza la pretesa di affrontare o anche solo delimitare i contorni di un problema formidabile, ci pare che le scelte dei grandi Paesi industriali, con il modesto distinguo dell’UE e di pochi altri, siano ispirate alla logica della potenza, in fondo a una logica di guerra. Quel che importa è prevalere nella lotta tra sistemi economici, gli effetti collaterali, anche se potenzialmente catastrofici, sono considerati secondari o marginali. D’altro canto lo scenario definito dal riscaldamento globale (così come altri aspetti della artificializzazione del mondo) forniscono opportunità sia alla tecnologia che all’economia, uno dei cui settori trainanti è da sempre l’industria delle catastrofi naturali e sociali (guerre, terremoti, devastazioni dell’ambiente etc.).

Non mancano opposizioni e resistenze a questo andamento delle cose, sia che discenda da un’economia capitalistica capace di colonizzare ogni ambito dell’esistenza o dal dominio di una Tecnica autonomizzatasi che persegue l’accrescimento indefinito della propria potenza. Ma queste resistenze sono marginali e locali mentre la crisi ecologica è universale, nei limiti della Terra, o meglio dell’ambiente di vita limitato e fragile abitato dalla specie umana, così come li conosciamo prima che l’uno e l’altra siano trasmutati dalla tecno scienza.

Il fascicolo contiene in apertura il notevolissimo articolo di Sergio Bologna Il crack che viene dal mare,  in cui gli intrecci tra economia reale e finanziaria, gigantismo industriale, globalizzazione, cambiamenti climatici sono tenuti assieme e colti nella loro interazione, attraverso un’analisi serrata e appassionante.  Non mancano poi documenti e riflessioni sulle deboli resistenze alla megamacchina che non possiamo più permetterci e che non a caso è entrata in una crisi senza precedenti;  ma i tecnici addetti alla sua manutenzione sperano di farla ripartire, commettendo, a nostro avviso, un grosso errore di valutazione sulla natura profonda della crisi. Essi infatti, assieme a molti altri, ignorano del tutto, ovvero sono apertamente ostili, alla lezione di maestri come Barry Commoner a cui è dedicata un’ampia sezione dei documenti che proponiamo ai nostri pochi ma attenti lettori. Tra i documenti è possibile leggere anche la sentenza del Tribunale di Torino sul processo Eternit , una vicenda ancora del tutto aperta e su cui si spera che gli storici dell’ambiente italiani si applicheranno in modo adeguato.  Per un primo orientamento segnaliamo l’interessante Dossier Eternit, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 51 2012 (Isral, Alessandria).

In merito aggiungiamo un paio di considerazioni a partire da un interrogativo che dovrebbe sorgere spontaneo.  Come è possibile che l’amianto continui ad essere usato e prodotto in termini massicci in molti Paesi, come è possibile che la sua produzione sia continuata per decenni dopo l’evidenza scientifica inoppugnabile delle sue conseguenze letali?  La messa al bando definitiva e universale dell’amianto si scontra con due fatti: dal punto di vista tecnico è il materiale migliore che esista per gli impieghi a cui può essere destinato; dal punto di vista economico, come cemento amianto, consente di conseguire profitti superiori ad ogni altro materiale analogo. Questi due elementi sono stati così forti da indurre i produttori di amianto a continuare la produzione anche a fronte delle conseguenze letali dell’esposizione alle sue fibre, incluso il caso limite, e piuttosto eccezionale, della causalità certa e univoca tra amianto e mesotelioma. Per molto tempo, e ancora adesso, in grandi Paesi emergenti come il Brasile e l’India, le autorità pubbliche si sono allineate con i produttori per ignoranza, corruzione, indifferenza per la vita umana. Anche dove l’amianto è stato messo al bando, pochissimo è stato fatto per bonificare l’ambiente, mentre le vittime non hanno certo goduto del sostegno dello Stato nella loro lotta contro i perpetratori diretti e indiretti della strage (nel caso più noto di Casale Monferrato 1.800 morti, destinati a crescere, su una comunità di 40.000 abitanti).

In questo contesto la sentenza Eternit acquista un significato del tutto particolare e sarà oggetto di dure contestazioni da parte della difesa dei due condannati, l’ormai anziano barone Louis  De Cartier De Marchienne e l’inquietante Stephan Schmidheiny.  Sul piano giuridico la questione si incentra sul reato di disastro doloso; di particolare interesse anche nella prospettiva della ricostruzione storica, con analogie con i processi per stragi politiche, è la ricostruzione della catena di comando e l’individuazione, secondo la sentenza di 1° grado, delle responsabilità dirette dei vertici della multinazionale svizzero-belga.

Le riflessioni possono essere molteplici : il meccanismo puramente economico si rivela del tutto incapace di autoregolazione, mentre quello tecnico non fornisce alcuna garanzia per le vittime potenziali e reali. Le evidenze clamorose acquisite non sono state sufficienti per imporre l’eliminazione universale dell’amianto, e solo un evento imprevedibile quale l’eziologia certa del mesotelioma ha consentito di porre un freno al disastro che, in ogni caso, continuerà per decenni

In questo come in altri casi il comportamento colposo o doloso dei decisori politici, economici, sanitari, spiega la crescente diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti della tecnoscienza. Può darsi che la maggioranza, smarrita e impotente, continui ad affidarsi al suo trionfo, però robuste minoranze pongono istanze di controllo democratico, che infastidiscono i poteri costituiti e sono viste con sufficienza dai pensatori integrati o apocalittici, nondimeno in un panorama di inazione e rassegnazione i conflitti su ambiente e salute caratterizzano il nostro tempo,  e debbono essere indagati dagli storici del presente, nel cui novero ci siamo auto iscritti.