Editoriale n°18
Questo numero di Altronovecento costituisce il Quaderno n.1 della nostra rivista on line; è dedicata al quarantesimo anniversario della pubblicazione di un’opera di enorme risonanza, che segna un innegabile punto di svolta nella percezione della crisi ecologica.
Di seguito potete leggere l’incipit dell’opera e in allegato trovate il testo integrale in formato pdf.
Se al loro apparire, esattamente quaranta anni fa, I limiti dello sviluppo scatenarono un intenso dibattito internazionale che si esaurì tuttavia nel giro di pochi anni, oggi diversi studi stanno riproponendo la discussione.
Uno dei più recenti di questi, dal titolo The Limits to Growth Revisited, fa ad esempio il punto della copiosa letteratura dell’ultimo decennio per ribadire la sostanziale giustezza delle tesi sostenute nel libro. Ma al di là di questo loro ricorrente riemergere, ai Limiti va riconosciuto un ruolo cruciale nella crescita della consapevolezza ambientale a livello planetario.
In questo saggio cerchiamo di descrivere l’accoglienza riservata all’opera in Italia tra il 1972 e il 1975.
1. Il successo planetario di un’opera inusuale
Il 12 marzo 1972 viene lanciato allo Smithsonian Institute di Washington il libro The Limits to Growth. A Report for the Club of Rome’s Project on the Predicament of Mankind
La scelta dei tempi non è casuale in quanto si è alla vigilia di due importanti appuntamenti: la terza Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo che si terrà in aprile a Santiago del Cile e soprattutto la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano che inizierà a Stoccolma ai primi di giugno, e l’opera aspira appunto a fornire ai leader mondiali alcuni imprescindibili strumenti concettuali per decidere il futuro dell’umanità. Il rapporto illustra in una veste rigorosa e al tempo stesso estremamente chiara e accattivante quanto funzionari, studiosi e manager riuniti nel Club di Roma sono venuti elaborando nel corso degli ultimi quattro anni, anche se per giungere a questo agile e brillante risultato espositivo la strada è stata lunga e faticosa.
L’animatore dell’iniziativa, Aurelio Peccei, è un alto dirigente Fiat con una storia personale e un profilo decisamente originali. Di famiglia socialista, antifascista, studi tra Italia e Francia, si è laureato nel 1930 in economia con una tesi sulla Nuova politica economica di Lenin e nel 1935 è riuscito a convincere la Fiat, con la quale collaborava sin da quando era studente, a farsi mandare in Cina. Tornato dall’Asia ha aderito a Giustizia e Libertà ed è rimasto in carcere per un anno, ostaggio dei fascisti. Nei mesi successivi alla Liberazione è stato alla testa dell’azienda madre, quindi ha contribuito alla fondazione dell’Alitalia. Pur essendo uno dei manager più competenti e creativi della Fiat e pur essendo assolutamente fedele alla sua vocazione manageriale e aziendale, sono proprio la sua storia e il suo profilo a precludergli l’ascesa ai massimi vertici della casa madre, cosicché grazie ai suoi eccellenti rapporti prima con Vittorio Valletta poi con Gianni Agnelli è riuscito costantemente a ritagliarsi interessanti spazi di manovra ma sempre ben lontano da Corso Marconi. Competenza e apertura cosmopolita gli hanno consentito via via di fondare e dirigere in America Latina una delle più fortunate filiali estere della Fiat e in seguito l’Adela, audace “società di investimenti e gestioni fondata sulla cooperazione di vari continenti” con l’apporto decisivo del grande capitale statunitense, quindi di rimettere in sesto i bilanci e le politiche industriali della Olivetti e infine di ideare un altro pionieristico “gruppo di consulenza ingegneristica ed economica” per gli investimenti nel Terzo Mondo, l’Italconsult, ma con un’attività capace di “svilupparsi indipendentemente da quella degli azionisti e dei loro interessi”. Tutto questo, avendo sempre come ruolo aziendale principale la direzione di tutte le operazioni sudamericane della Fiat.