Editoriale n°34
L’idea di questa rivista online è nata parallelamente al lungo lavoro della Fondazione Micheletti volto a realizzare un museo dedicato all’industria e alla tecnica inteso come strumento per interpretare e raccontare le grandi trasformazioni avvenute nel corso del Novecento, non senza affondi nel lungo periodo e aperture sull’attualità e gli scenari che si riescono a intravedere. La rivista ha accompagnato la realizzazione del museo, che a 12 anni del suo varo ufficiale non è ancora compiuto ma le tre sedi in cui si articola attualmente stanno svolgendo un discreto lavoro a livello di divulgazione e didattica. Non ci sono rapporti formali tra il museo (musil) e la rivista ma l’ispirazione è la stessa: non porre barriere tra la cultura umanistica e quella scientifica, scienze dell’uomo e della natura, senza però smarrire le specificità e differenze, contro gli opposti fondamentalismi; cercare di utilizzare gli specialismi ma senza imbucare la strada della frammentazione come unica via per giungere a risultati efficaci. Un po’ utopisticamente ci si propone di realizzare una circolarità tra l’ambiente, la tecnica e la società, come recita il sottotitolo di Altronovecento, scegliendo l’asse storico come migliore chiave interpretativa di cui disponiamo per la comprensione e l’analisi critica della realtà. Questo numero non si distacca dai precedenti, anche se lascia uno spazio maggiore all’attualità, a un presente preoccupante nelle sue novità e nei suoi effettivi o apparenti ritorni al passato. La storia del Novecento è finita, non solo in senso cronologico, e la novità principale può essere considerata la globalizzazione, l’unificazione tecnologica del mondo. Ma questa unità ha il suo risvolto nella moltiplicazione delle barriere, reali e psicologiche, tra gli Stati e al loro interno, se non tra gli individui. Mentre continuano le guerre asimmetriche di cui siamo portati a vedere solo la dimensione terroristica, si riaffaccia il rischio di conflitti addirittura nucleari, come se la Seconda guerra mondiale non avesse definitivamente posto fine alla possibilità, pena la catastrofe della specie, di guerre tra Stati o gruppi di Stati. I contributi di Angelo Baracca si soffermano, con un’impostazione certo non mainstream, sulla questione nordcoreana, e nel frattempo si riapre il dossier non meno pericoloso dell’Iran. L’opinione pubblica è smarrita e disorientata, sostanzialmente passiva, spesso in preda alla paura, con il contributo determinante, non importa se volontario o involontario, del sistema dei media vecchi e nuovi. Tranquillamente possiamo dire che non esiste più un’opinione pubblica che si formi attraverso il confronto, il dialogo e dibattito, il conflitto delle idee. Risalire la china è difficile, eppure molte energie positive e creative sono al lavoro, anche nel nostro paese. Il recente convegno che abbiamo dedicato ai “nuovi contadini” (10-12 ottobre 2017) ha fatto emergere un microcosmo in gran parte sconosciuto, certo di nicchia, ma ricco di prospettive, anche perché assume alle radice la grande, inevasa, ma inaggirabile questione ambientale. Anche in questo numero ci sono contributi in materia, in primo luogo con gli scritti di Giorgio Nebbia, al cui generoso impegno si deve la tenuta nel tempo di Altronovecento online. Tra i numerosi articoli di vario taglio, segnaliamo quello di Anselmo Palini su Pavel Florenskij, grande ed emblematica figura della cultura, scienza e pensiero teologico russo, colpevolmente per decenni ignorato nel nostro paese. Tornando all’attualità, Sergio Bologna e Angelo Tartaglia affrontano con grande competenza e indipendenza di pensiero temi scottanti, socialmente e politicamente rilevanti, che rimandano all’infrastrutturazione tecnologica, tutt’altro che neutrale, del territorio e del modo di lavorare. A cinquant’anni di distanza dal ’68, in un contesto radicalmente mutato, nell’università e scuola si manifestano conflitti ampiamente da decifrare nella loro portata. Il punto di vista dei ricercatori, dei giovani studiosi, di cui l’università italiana dovrebbe fare tesoro, piuttosto che destinarli al precariato e all’emigrazione, viene proposto da Francesco Biagi e Alessandro Ferretti con passione e lucidità.