Eugenio Barsanti (1821-1864)
Chiunque oggi si muove, in qualsiasi paese della terra, usando una automobile, una motocicletta, un autobus, chi marcia alla conquista di non si sa quali ricchezze su un carro armato, lo può fare grazie all’invenzione fatta, oltre un secolo e mezzo fa, da un modesto padre scolopio, appassionato di fisica, Eugenio Barsanti. Era nato nel 1821 a Pietrasanta, la bella cittadina della Versilia, da una modesta famiglia e aveva fatto la scelta dell’insegnamento e della vita religiosa nella congregazione che allora, come oggi, si dedicava all’educazione dei ragazzi.
Barsanti era rimasto affascinato dagli esperimenti di fisica che allora si facevano anche nelle aule scolastiche in cui insegnava, a Volterra: uno di questi consisteva nel mettere una miscela di aria con idrogeno o con il gas illuminante dentro un cilindro metallico chiuso con un tappo; la miscela veniva accesa all’interno con una scintilla elettrica, la “pistola di Volta”. I gas reagivano sviluppando calore, aumentavano di volume e spingevano violentemente per aria il tappo, con gran divertimento degli scolari. Barsanti decise di sfruttare la pressione dei gas per muovere un pistone posto nel cilindro metallico: in questo modo si otteneva un movimento meccanico, che però era fine a se stesso. Barsanti pensò allora di utilizzare la pressione provocata dalla combustione per imprimere al cilindro un movimento continuo in grado di far girare una ruota: come era comune agli scienziati e agli inventori dell’Ottocento il fine era di alleviare, con delle macchine, la fatica umana degli operai. In quel tempo erano già diffuse le macchine a vapore che però erano grosse e ingombranti: Barsanti pensava invece ad una macchina piccola, adatta anche alle officine artigiane, diffuse nella Toscana in cui viveva e insegnava.
Per ottenere un moto continuo occorreva dotare il sistema cilindro-pistone di due valvole: una avrebbe dovuto far uscire i gas di combustione consentendo al pistone di tornare nella posizione primitiva; l’altra avrebbe dovuto aspirare all’interno del cilindro una nuova miscela di aria e combustibile. Barsanti aveva, insomma, ideato un “motore” capace di generare una successione continua di salite e discese di un pistone dentro un cilindro, proprio quanto avviene nel motore a scoppio odierno.
Per realizzare il suo motore Barsanti chiese, nel 1851, la collaborazione di un ingegnere toscano, Felice Matteucci e insieme progettarono un “motore per ottenere una forza motrice con l’esplosione di gas” che fu costruito dalla fonderia fiorentina di Pietro Benini.
Barsanti e Matteucci descrissero il loro motore in una dettagliata relazione; per assicurarsi la priorità della loro invenzione la affidarono, il 5 giugno 1853, in un plico sigillato, alla prestigiosa Accademia dei Georgofili di Firenze. La quale, per celebrare i 150 anni dell’invenzione, italiana, del motore a scoppio e anche in occasione del 250 anniversario della sua fondazione, ha iniziato il 2003 con una mostra su Barsanti e Matteucci e ha pubblicato un bel volume che può essere chiesto all’Accademia, Logge degli Uffizi, 50100 Firenze.
Barsanti e Matteucci depositarono una domanda di brevetto in Inghilterra nel 1854 e cominciarono a far conoscere la loro invenzione: nel 1856 un primo esemplare azionava già alcune macchine utensili nelle officine della Stazione ferroviaria di Firenze; nel 1858 l’invenzione è dettagliatamente descritta in una rivista inglese di ingegneria e il motore a scoppio comincia ad apparire in varie esposizioni internazionali.
Come spesso capita gli imitatori non tardarono a presentarsi: nel 1859 il meccanico francese Lenoir costruì e pubblicizzò un motore a scoppio più rudimentale di quello di Barsanti ed ebbe subito grande ascolto tanto che i francesi per molto tempo hanno attribuito a Lenoir l’invenzione del motore che avrebbe rivoluzionato il mondo. Non si dimentichi che gli eventi qui descritti si svolgono in una Toscana che sta vivendo gli ultimi anni turbolenti del dominio dei Lorena e a Firenze dove nel 1860 si trasferirà, per un decennio, la capitale del Regno d’Italia. La Francia stava vivendo invece anni di successi politici internazionali, ben intenzionata a valorizzare i suoi inventori e i suoi valori.
Nel 1863 le officine Bauer (poi Breda) di Milano costruirono altri esemplari del motore a scoppio e nel 1864 Barsanti si recò in Belgio a Seraing per stipulare un accordo con le officine locali per la costruzione in serie del motore da lui inventato. Ma nella stessa città Barsanti morì nello stesso 1864.
Nel 1867 il tedesco Otto esponeva un motore del tutto simile, anzi copiato, da quello di Barsanti e Matteucci e anche Otto ebbe ampi riconoscimenti tanto che ancora oggi il ciclo del motore a scoppio prende da lui il nome. Gli anni Sessanta furono anni di delusione per i due inventori italiani, meno attrezzati finanziariamente dei loro concorrenti stranieri, sconosciuti e anzi in parte anche derisi in Italia. Matteucci (frattanto, nel 1866, era fallita la “Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci”) cercò di rivendicare la priorità della loro invenzione. Ma tutte le proteste furono vane; Matteucci fu colpito da una profonda depressione e morì nel 1887. Molte altre utili informazioni si trovano nel sito Internet dedicato ai due grandi, www.barsantiematteucci.it.
La storia di Barsanti rappresenta un altro episodio delle occasioni perdute dall’Italia in un mondo che si stava avviando verso l’industrializzazione moderna ed è di qualche conforto che almeno questo contributo sia stato ricordato, sia pure a un secolo e mezzo di distanza. Chi passa da Pietrasanta (e la gita merita) vada a vedere la lapide che fu apposta nel 1887 sulla facciata della casa in cui Barsanti è nato, in Via Mazzini. La salma del grande inventore fu trasferita nel 1954 nella chiesa di Santa Croce a Firenze, fra le “urne de’ forti”; sulla sua tomba c’è un busto, una copia del quale è stata posta all’angolo fra Via Barsanti e Via Mazzini a Forte dei Marmi, la bella località balneare a pochi chilometri da Pietrasanta.
In questo tempo in cui tutto è volatile, frivolo, virtuale, chiacchiericcio, quando ci sediamo sull’automobile e accendiamo il motore e ci mettiamo in moto volgiamo un pensiero a chi ha reso possibili questi gesti, fra l’incredulità generale, con la convinzione che l’inventare e l’innovare è un servizio civile, alla collettività.