Fibre tessili naturali
Il 22 gennaio 2009 si è aperto ufficialmente l’anno mondiale delle fibre tessili naturali, promosso dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione con sede a Roma. L’iniziativa ha il fine di riportare l’attenzione mondiale sulla produzione e sull’uso delle fibre tessili di origine vegetale e animale, le uniche che sono state usate, per millenni, per indumenti e arredi.
Come è ben noto, le fibre tessili naturali sono materiali filamentosi ricavati da moltissime piante e da vari animali. Le fibre naturali di origine vegetale, costituite principalmente da cellulosa, si distinguono in fibre del seme (cotone), in fibre del fusto (canapa, lino, iuta, kenaf, ginestra), fibre del frutto (cocco), fibre delle foglie (sisal, agave, abaca); le fibre di origine animale, costituite da proteine, sono la seta e quelle del vello di pecore, capre, lama, cammelli, vigogne, conigli angora, eccetera.
Nell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento le fibre naturali provenivano in gran parte dai paesi coloniali e alimentavano, in Europa, una fiorente industria di trasformazione in filati e tessuti. Col passare del tempo i paesi europei hanno cercato di liberarsi dalle importazioni producendo dei surrogati delle fibre naturali dapprima sotto forma di fibre artificiali, ottenute con processi chimici da materie prime naturali – i vari tipi di rayon (viscosa, bemberg, acetato), le fibre caseiniche come Merinova – e di fibre sintetiche ottenute trasformando in sottili filamenti delle materie termoplastiche derivate dal petrolio.
La prima fibra sintetica fu il nylon, commercializzato nel 1939, seguito da numerose altre fibre studiate in modo da adattarle ai processi di filatura, lavaggio, tintura e tessitura usati per le fibre naturali. Il grande successo delle fibre sintetiche ha determinato un rallentamento della crescita della produzione di molte fibre naturali.
Nel 1960 la produzione mondiale di fibre naturali era di 12 milioni di tonnellate contro tre milioni di tonnellate di fibre sintetiche; nel 1994 la produzione di fibre sintetiche è salita a 20 milioni di tonnellate, uguale a quella delle fibre naturali. Nel 2008 la produzione mondiale di fibre sintetiche è salita ancora a circa 40 milioni di tonnellate, mentre quella delle fibre naturali è stata di appena 30 milioni di tonnellate.
In qualche caso, in seguito all’avvento delle fibre sintetiche, la produzione di alcune fibre naturali è addirittura scomparsa. Ad esempio l’Italia era un grande produttore di canapa specialmente in Emilia Romagna e in Campania; negli anni venti e trenta del Novecento la canapa italiana era esportata in tutto il mondo; nei successivi anni cinquanta è cominciato il declino e ora la coltivazione della canapa in Italia e la produzione delle fibra sono praticamente scomparse. Simile destino ha subito la produzione del lino.
Con la diminuzione della richiesta delle fibre naturali molte zone agricole dei paesi europei e, soprattutto dei paesi arretrati sono state colpite da crisi economiche e sociali; in qualche caso la crisi delle fibre naturali ha provocato conflitti locali e migrazioni interne.
L’attenzione per l’ “ecologia” ha fatto risvegliare, in questi ultimi anni, l’interesse per le fibre naturali, considerate “verdi” perché ottenute da materie agricole rinnovabili, sostanzialmente derivate dai grandi cicli biologici alimentati dal Sole.
La natura ha progettato e “fabbrica”, nei vegetali e negli animali, delle fibre il cui carattere fisico e chimico consente di ottenere tessuti per indumenti gradevoli da indossare sia d’estate, sia d’inverno, per arredi domestici, anche per applicazioni industriali. Inoltre la produzione delle fibre tessili naturali fa parte di un ciclo produttivo che comprende vari utili sottoprodotti.
Ad esempio il cotone, la più importante fibra tessile naturale di origine vegetale, è la lanuggine che circonda il seme del cotone e la sua produzione (oltre 25 milioni di tonnellate nel 2008) è accompagnata dalla produzione, in quantità doppia rispetto alla massa della fibra, di semi ricchi di olio (circa il 30 % del peso del seme) e di proteine impiegati in settori industriali e alimentari.
La produzione della canapa è accompagnata da residui legnosi, i canapuli, che trovano impiego come combustibili o in altri campi. Le fibre tessili naturali prodotte e usate finora sono però soltanto una piccola parte dei materiali fibrosi ricavabili dalle piante; l’iniziativa della FAO ha anche lo scopo di incoraggiare indagini botaniche e tecniche su altre piante adatte a fornire fibre tessili, valorizzando poco note esperienze locali, e ad incoraggiare perfezionamenti nelle varie fasi del ciclo produttivo delle fibre naturali: coltivazione o allevamento, separazione, purificazione, tintura, filatura, tessitura. Molte di queste operazioni sono state praticate finora su scala locale e artigianale; i loro perfezionamenti possono migliorare le qualità delle fibre naturali commerciali.
Migliori conoscenze delle fibre naturali sono necessarie per farne aumentare la richiesta nei paesi industriali e la produzione nei paesi poveri e poverissimi, soprattutto africani e asiatici, la cui economia essenzialmente agricola può avviarsi così verso uno sviluppo anche sociale e umano.
Se si osserva la geografia economica delle fibre naturali, dopo il cotone, che alimenta un commercio internazionale del valore di circa 10.000 milioni di dollari all’anno, si trova la iuta, la cui produzione si aggira fra 2 e 3 milioni di tonnellate all’anno; il 60 % della produzione di iuta è in India, seguita dal Bangladesh che ne esporta la maggiore quantità, per un valore di circa 300-400 milioni di dollari all’anno; le esportazioni indiane di juta si aggirano intorno a 200-300 milioni di dollari all’anno.
Simile alla iuta è il kenaf, la cui produzione è ancora limitata ma che proviene da vari paesi specialmente asiatici. Intorno a 300.000 tonnellate all’anno è la produzione di sisal e di altre “fibre dure” ricavate dalle foglie di agavi e di simili specie che si trovano soprattutto in paesi africani (Kenya, Tanzania e Madagascar), in America latina e in Cina; finora il loro uso è stato limitato alla fabbricazione di sacchi e cordami, ma di recente esse stanno trovando crescente impiego per la fabbricazione di tappeti e addirittura di pasta da carta. Ci sono pochi dati sulle fibre da noci di cocco, esportate da India, Sri Lanka, Tailandia, Malaysia, Indonesia.
Attualmente (2008) il principale paese produttore di canapa è la Cina, seguita da Spagna, Corea e Cile; la produzione è stimata di circa 100.000 tonnellate all’anno; la canapa di Manila (abaca) è prodotta principalmente nelle Filippine e il lino è prodotto principalmente in Cina ma anche in alcuni paesi europei.
Fra le fibre tessili naturali di origine animale domina la lana, con una produzione di circa 2,5 milioni di tonnellate all’anno, principalmente in Australia, seguita da Cina, Nuova Zelanda, Iran, Argentina, eccetera, La produzione della seta si aggira intorno a 150.000 tonnellate all’anno, principalmente in Cina che ne esporta per oltre 300 milioni di dollari all’anno.
Queste poche cifre suggeriscono alcune considerazioni. Il gigante asiatico Cina non esporta soltanto stracci e elettronica, ma anche materie prime “naturali” essenziali per l’economia dei paesi industriali. Il rilancio delle fibre naturali rappresenta anche un terreno di incontro fra scienze geografiche e merceologiche, attuato nell’Università di Bari.
Un ampliamento degli usi e della produzione delle fibre naturali gioverebbe principalmente ai paesi in via di sviluppo; nello stesso tempo i paesi industrializzati potrebbero contribuire con nuove ricerche alla migliore utilizzazione delle fibre note esistenti e potrebbero aiutare i paesi emergenti ad identificare piante in grado di fornire nuove fibre naturali. Ma forse anche nei paesi industrializzati potrebbe giovare la resurrezione di coltivazioni di piante da fibra: canapa e lino, ben note in passato, ma forse anche ginestra, la bella leguminosa preziosa anche per consolidare zone franose collinari.
Mi auguro che l’anno mondiale delle fibre naturali contribuisca a diffonderne la conoscenza scientifica, merceologica e geografica anche nelle scuole e nelle Università. Anche il mondo della moda potrà dare un importante contributo proponendo indumenti e accessori con queste nuove, ma vecchissime, fibre, all’insegna dell’ecologia e dello sviluppo umano dei paesi più poveri.