Fluoro, Via degli Alogeni 17
Si “inserisce” nella rassegna degli elementi di Giorgio Nebbia che stiamo riproponendo Marco Caldiroli, chimico anche lui, presidente di Medicina Democratica e tecnico della prevenzione dell’ambiente e degli ambienti di lavoro che inaugura così la sua collaborazione alle “cose” di “Altronovecento”.
È un fratello del Cloro e nonostante abbia una dimensione poco oltre la sua metà (il Cloro ha peso atomico 35, il Fluoro 19) è altrettanto se non più reattivo del fratello, perlomeno nella sua forma industriale di base e, nello stesso tempo, del tutto indifferente a quello che lo circonda quando è un principale costituente di un polimero.
L’acido fluoridrico è la molecola chimica di base di interesse industriale ottenuta dai suoi minerali, i principali sono la fluorite e la criolite, viene ottenuta facendoli reagire con l’acido solforico, data questa nascita energica fa sì che il suo prodotto abbia caratteristiche analoghe: scioglie quasi ogni altro materiale ed è un gas tossico da manipolare con estrema attenzione.
Il fluoro elementare invece viene prodotto tramite elettrolisi, reagisce violentemente con l’acqua e con molte altre sostanze, per questo tende a polimerizzare dunque a costruire delle molecole complesse e molto lunghe.
Per la legge del contrappasso il fluoro nella forma polimerizzata si presenta tra le “materie plastiche” più resistenti e non degradabili aprendogli una molteplicità di usi in tutte o quasi le filiere produttive nel contempo però costituendo un pericolo ambientale e per l’uomo per effetto della sua persistenza e cumulabilità oltre che per gli effetti tossici propri. Una conferma ulteriore che il mondo della chimica ovvero dell’utilizzo antropico delle conoscenze sugli elementi che compongono l’universo è fatto di vizi e virtù che si intrecciano e si scambiano di ruolo in continuazione.
Problemi ambientali e sanitari li determina anche nella sua forma naturale non appena viene “disturbata” dall’uomo. L’estrazione dei minerali è una attività che espone i lavoratori a polveri tossiche, la raccolta delle acque di lavorazione contaminate oltre a essere un problema ambientale ha anche provocato gravi incidenti come quello della Val di Stava (TN) ove nel 1985 morirono 268 persone per il cedimento di una diga di contenimento oppure a Biancavilla (CT), in modo più subdolo ma continuo, la fluoro-edenite (un minerale fibroso simile all’amianto) causa da sempre neoplasie anche nella popolazione della zona.
Se l’acido fluoridrico o il fluoro elementare uccidono immediatamente, a concentrazioni inferiori ma continuative sono diverse le patologie conseguenti. Basta una dose cronica tra 5 e 6 mg/l assunta con l’acqua potabile a determinare col tempo fluorosi scheletrica. Il fluoro assunto in questo modo sostituisce il calcio nelle ossa, una loro crescita abnorme (più visibile nei denti) e un contestuale infragilimento come ulteriori effetti sulla salute derivanti dall’abbassamento del livello di calcio nel sangue.
La produzione di derivati del fluoro e i suoi usi sono stati una cavalcata dagli anni ’30 e ’40. Tra i suoi primi impieghi “importanti” quello nella filiera di produzione dell’uranio arricchito (U235) sottoforma di esafluoruro di uranio, finito nella realizzazione delle prime bombe atomiche, ciò conferma la sua attitudine furiosa e intrattabile. Nello stesso periodo, sempre confermando la sua doppia personalità, in compagnia dei fratelli alogeni cloro e bromo, iniziò la produzione di clorofluorocarburi. Di questa ampia famiglia che mette assieme derivati del petrolio e il mondo degli alogeni, spuntarono sostanze (CFC e simili) tra le quali il Freon finito nei nostri condizionatori, frigoriferi e bombolette spray grazie alla loro inerzia chimica, alla loro volatilità e, quasi comicamente, grazie alla loro minore pericolosità rispetto alle sostanze in precedenza impiegate in questo settore. Ma la volatilità di questa versione del fluoro ne ha decretato anche la tossicità ambientale grazie alla sua pessima azione sull’ozono stratosferico che ci protegge dalle radiazioni solari : rilasciato dal nostro condizionatore, dopo aver viaggiato per l’atmosfera per anni senza alcuna modifica (il tempo di dimezzamento della concentrazione in atmosfera varia tra i 50 e i 300 anni a seconda della molecola), si installa nella area più esterna e rompendo la molecola dell’ozono ci rende indifesi. È dal protocollo di Montreal del 1987 che cerchiamo di mettere una pezza – letteralmente – al “buco dell’ozono” (polare e non) e se qualche risultato comincia a essere registrato è proporzionale alla effettiva sostituzione dei CFC con molecole meno problematiche in cui però il Fluoro continua ad essere presente.
Non va dimenticato che i CFC sono anche degli agenti ad effetto serra e solo le ultime versioni di questi materiali rappresentano una riduzione di impatto significativa (gli HFO hanno una semivita di 1,4 giorni e un potenziale lesivo sull’ozono considerato pari a zero).
Ma l’emergenza attuale dovuta alla famiglia allargata del fluoro è quella legata ai fluoropolimeri e alle loro modalità di produzione, i più noti sono il PTFE (Politetrafluoroetilene), il Teflon e il gruppo dei PFAS (acidi polifluoroalchilici). Per questi parenti del fluoro, dopo decenni di occultamenti, è emersa l’evidenza degli effetti di disturbatori endocrini anche a concentrazioni ritenute ridotte con effetti rilevanti sulla vita delle persone, in particolare di genere maschile se esposti dalla gestazione o dalla nascita. Per questo questo gruppo di derivati del fluoro meritano una distinta trattazione…