G. Nebbia, Dizionario tecnico-ecologico delle merci
Le merci non sono neutrali
Giorgio Nebbia, scienziato di lungo corso, giornalista, divulgatore delle tematiche ambientali, scrive nella sua opera più recente, il “Dizionario tecnico-ecologico delle merci” (Jaca Book, Milano 2011) una introduzione veramente breve ma essenziale: ci informa che si tratta di un dizionario perché vi compaiono in ordine alfabetico un centinaio di voci, da “Acciaio” a “Zucchero”; principalmente annuncia che illustrerà come “dentro” ciascun oggetto, ciascun prodotto fabbricato, ciascuna merce, ci sono materie fisiche, ma anche storie di personaggi, di inventori, di lavoro, di fatica umana, di rifiuti. Tutte cose, auspica l’autore, e per questo egli si sentirà soddisfatto, che incuriosiranno il lettore che sarà indotto a guardarsi intorno con meraviglia “per il mondo delle cose che gli permettono di vivere e lavorare”.
Nebbia riconosce che le voci prese in esame sono poche rispetto all’universo quasi infinito di merci e oggetti che oggi ci circondano, ma, senza dirlo, ci fa capire che queste considerate sono, almeno storicamente, le più importanti, “esemplari” e sufficienti per un inquadramento esauriente, a livello generale, didascalico, di tutta la merceologia. L’autore ci ricorda inoltre che invece ai filosofi del Settecento coordinati da Diderot era capitato in sorte di pubblicare, in più volumi, un dizionario compiuto di tutte le cose tecniche conosciute nella loro epoca, l’“Enciclopedia Ragionata delle Arti e Mestieri”. Una richiesta può essere rivolta a Giorgio Nebbia, quella di includere in una successiva edizione del Dizionario delle voci “nuove” che interesseranno più da vicino il pianeta e l’umanità del futuro quali sono ad esempio la produzione di organismi geneticamente modificati e l’impiego sempre più diffuso delle nanotecnologie.
Ognuna delle voci del Dizionario, quasi tutte comparse nei primi 16 numeri della bella rivista “nebbiana” “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società. Rivista online promossa dalla Fondazione Luigi Micheletti”, ha giustamente delle sue specifiche caratteristiche e quindi diverse dimensioni e livello di approfondimento; tutte si sviluppano secondo uno schema ricco e ben consolidato: abbondanti riferimenti storici che spesso, per la maggior parte delle sostanze chimiche, partono dall’antichità ed esplodono nell’Ottocento; dati essenziali riferiti alla produzione con particolare riferimento agli insediamenti italiani ed alla loro evoluzione specie negli ultimi decenni del Novecento e sino ai giorni nostri; materie prime impiegate nel ciclo produttivo; ciclo produttivo; prodotti finiti; spesso andamento di questi prodotti nell’attuale mercato nazionale e globale; quasi sempre viene trattato l’”impatto” della produzione sui lavoratori addetti e sull’ambiente, sia durante la produzione che nella fase nella quale il prodotto diventa rifiuto. In alcuni casi viene fatto cenno al criterio della produzione “sostenibile”, quando ad un prodotto o ad una produzione ne viene sostituita un’altra di minor impatto.
Alcune sostanze o produzioni sono affrontate in maniera originale, sottolineando un particolare o una informazione generalmente trascurata da altri che trattano lo stesso argomento. Valga per tutti l’esempio del “coltan”: La voce inizia con queste parole “Il coltan, il materiale all’origine di una guerriglia che ha insanguinato la zona dei Grandi Laghi centroafricani: Uganda, Ruanda, Congo, è in realtà una miscela dei minerali chiamati ‘columbite’ e ‘tantalite’ …”. Le pagine relative all’amianto, al berillio, al cloruro di vinile, ai fiammiferi, al grisou, al mercurio, al piombo tetraetile, allo zolfo, ed altre ancora comprendono tutte dettagliati riferimenti alle epidemie provocate a carico dei lavoratori che vi sono stati addetti.
Molto interessante è quanto si trova scritto a proposito di autarchie (al plurale), “quasi una parolaccia” che ricorda ristrettezze ed alcune cose ridicole del fascismo, ma che secondo l’autore presenterebbe “alcuni caratteri per i quali è possibile usare termini moderni”: il riutilizzo degli oggetti usati, il ricorso a fonti energetiche rinnovabili, l’utilizzazione di prodotti e sottoprodotti agricoli e forestali per la produzione di merci finora ottenute dal petrolio, privilegiare la lunga durata e la degradabilità delle merci. Non tutti hanno confidenza con il termine “chemiurgia”; Nebbia ne discute autorevolmente arricchendo di significati e di esempi la definizione: “la scienza e la tecnica per ricavare prodotti industriali da prodotti e sottoprodotti agricoli”.
Si segnala per la sua ricchezza e per la gradevolezza del testo, pur sviluppato nello spazio di poche pagine, la voce dove si parla del “sale” che presenta un incipit accattivante:“Se mi chiedessero quando è nato l’uomo moderno non esiterei a indicare il giorno in cui qualche nostro lontano predecessore ha assaggiato con la punta della lingua quella roba bianca che restava sulla riva del mare quando il mare si ritirava.”
Per ritrovare le basi teoriche e la migliore trattazione per inquadrare meglio alcuni significati delle voci trattate nel Dizionario e quindi per assumere nozioni più sicure sulla “merceologia” della quale Giorgio Nebbia è il maestro italiano indiscusso, è utile ricorrere ad altri suoi scritti, in primo luogo a “Le Merci e i Valori” (Jaca Book, Milano 2002), ma anche ad un articolo più sintetico consultabile in rete: “Merceologia una e due: o solo una?, Ambiente costruito, 2001, 5 (3), 59-63 (http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/dettagli.aspx?id_articolo=270).
Si potrebbero seguire così meglio tutti i discorsi ed i contrasti che le merci hanno suscitato e continuano a produrre facendo luce sulle peripezie alle quali va incontro un bene economico, in forma di manufatto o di servizio, quando viene scambiato con un’altra merce oppure con il denaro. Una prima, più semplice visione economica di questa storia sosteneva che il lavoro e quindi la fatica e l’incomodo di ottenerla e di converso la fatica e l’incomodo risparmiati ed imposti ad altri, è la sola misura universale e precisa con la quale è possibile confrontare i valori delle differenti merci. Si diceva: nell’ambiente di lavoro entra il capitale e la forza lavoro e ne escono le merci ed il danno alla salute per i lavoratori.
Contemporaneamente, secondo una classica comparazione, risultava comprensibile e poi accettabile che un’opera di Properzio e otto once di tabacco da fiuto potessero avere lo stesso valore di scambio nonostante la diversità fra il valore d’uso del tabacco e dell’elegia. Poi qualcuno ha messo in evidenza la maggiore complessità del concetto di merce e la pluralità dei suoi valori sviluppando l’enunciato secondo il quale “A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla analisi di quest’ultimo risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici.”
Giorgio Nebbia con i suoi contributi ha fatto fare ulteriori passi in avanti nel caratterizzare i vari elementi che entrano sulla strada delle merci, specie per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente e sulle generazioni a venire.
È confortante il fatto che molti degli argomenti così come sono stati affrontati dal nostro autore siano entrati ormai in una varietà di strumenti didattici ed informativi ed anche tra quelli più diffusi come le enciclopedie libere consultabili in rete. Ciò significa che la lezione di Giorgio Nebbia è stata ascoltata ed appresa da molti e specialmente tra i giovani, meno nei circoli dove vengono assunte tante decisioni che per la merceologia risultano decisive.