Gea e Clio: quattro libri per non dimenticare

Una storia ecologica

Sono di recente uscita quattro interessanti libri che, in maniera diversa, raccontano altrettante storie ambientali. Si tratta di Una storia ecologica (Franco Angeli) di Loredana Lucarini, dirigente di Legambiente e dei Verdi lombardi, Il fervore dei pochi (Temi Editrice) di Franco Pedrotti, docente di ecologia a Camerino e consulente Wwf, Uomini Animali Ambiente. Cinquant’anni di ricerche di campagna e difesa della natura (Carabà Edizioni) di Alberto Silvestri, già docente di diritto e legislazione veterinaria e presidente di Federnatura ed infine di Sibillini. Storia di un parco (Cai) a cura di Marcello Nardoni, presidente del Club Alpino Italiano di Ascoli Piceno.

Il primo saggio ricostruisce le vicende di una vittoria dell’ambientalismo, che poi diventa anche una vittoria della tecnologia applicata in maniera “intelligente”: il caso di inquinamento causato dal reparto di verniciature dello stabilimento Alfa Lancia di Arese, impostosi all’opinione pubblica negli anni ottanta e novanta grazie all’unione di cittadini, lavoratori ed ecologisti e poi brillantemente superato. Il secondo volume narra la storia del movimento protezionistico italiano dal 1943 al 1971, prima dell’avvento del  movimento ambientalista. Il terzo è il sunto di quanto ricercato, rilevato, scritto attraverso una cinquantennale osservazione degli animali, che ha consentito all’autore di seguire l’evoluzione dell’ambiente, del paesaggio e dei comportamenti dell’uomo, mentre il quarto racconta le tormentate vicende che hanno opposto, a partire dagli anni sessanta, un drappello di ambientalisti a tutta una serie di “piani di sviluppo” progettati sui Monti Sibillini nelle Marche.

La quasi contemporanea uscita dei quattro testi offre lo spunto per una riflessione sulla nascente storiografia ecologista italiana.

Il volume di Loredana Lucarini è, ripetiamo, la storia di una vittoria dell’ambientalismo. Tra gli anni ‘80 e i ‘90 il “caso Alfa Lancia di Arese” si era imposto all’attenzione dell’opinione pubblica per una battaglia contro l’inquinamento causato dal reparto verniciatura dello stabilimento, che aveva visto uniti operai colpiti dalla nocività delle lavorazioni e colletti bianchi residenti vicino all’area industriale colpiti nelle loro villette dalle esalazioni di solventi organici volatili -8 tonnellate al giorno- dei 108 camini della fabbrica. Nel libro si narra dunque la storia dell’impianto di Arese, città-fabbrica alle porte di Milano, sobborgo cresciuto vicino a un parco che aveva mantenuto negli anni la doppia natura di luogo industriale e zona residenziale. Quest’ambiguità di fondo fa esplodere i primi conflitti sull’inquinamento atmosferico già nel 1973. Nel 1986 l’Alfa vende alla Fiat: la produzione cresce, le proteste anche. Cittadini e sindacalisti, però, stanno dalla stessa parte della barricata. Si raccolgono le firme, si moltiplicano le denunce sulle 15 tonnellate al giorno di solventi dispersi nell’aria da una parte, aumentano le segnalazioni di bruciore agli occhi, gola irritata, nausee, mal di testa dall’altra. Il problema sono gli impianti di verniciatura costruiti nei primi anni Sessanta e via via riempiti di macchinari, sfruttando perfino lo spazio dei corridoi. Il braccio di ferro tra ambientalisti e sindacato da una parte e azienda dall’altro si prolunga per anni, tra ordinanze del sindaco emesse e ritrattate, pronunciamenti del Tar e ricorsi al Consiglio di Stato. Alla fine la soluzione tecnologica e quella giudiziaria coincidono. La magistratura ordina una diminuzione dell’impatto ambientale dell’impianto e, nel frattempo, la Fiat investe nei clean room, i reparti puliti dove si entra come in sala operatoria, attraversando docce d’aria che lasciano fuori ogni impurità. Conclusione: il modello di Arese diventa vincente e la Fiat fa della verniciatura ad acqua una bandiera, adottandola in quasi tutti gli stabilimenti. Un handicap economico si è trasformato in un fiore all’occhiello.

Il fervore dei pochi, uscito in occasione del cinquantenario di fondazione del Movimento Italiano per la Protezione della Natura, è invece la ricostruzione di una vicenda più vasta quanto poco conosciuta dagli stessi ambientalisti: la nascita e lo sviluppo dei primi tentativi protezionisti del secondo dopoguerra (si va dal 1943 al 1971), con la creazione della prima vera associazione ecologista italiana, il MIPN appunto. Coloro che si raccolsero nel castello di Sarre in Valle d’Aosta per dar vita al Movimento Italiano per la Protezione della Natura costituivano uno sparuto drappello di pionieri con il vuoto attorno. Ciononostante, come evidenzia Pedrotti, essi non mancavano affatto di idee, energie ed entusiasmo: riuscirono infatti a formare una nuova generazione di protezionisti. In Il fervore dei pochi ci sono dunque le radici dell’attuale movimento ecologista: rappresenta la memoria storica di quello straordinario periodo per la protezione della natura nel nostro paese e di quegli uomini come Renzo Videsott, Gian Giacomo Gallarati Scotti, Guido Castelli, Oscar de Beaux, Alessandro Ghigi che si sono impegnati con competenza, passione e altruismo. Il libro di Pedrotti è inoltre interessante perché contiene anche una serie di biografie dei primi conservazionisti e una antologia di scritti sulla protezione della natura: documenti preziosi che ripropongono al movimento ambientalista moderno idee e spunti di 50 anni fa ma ancora oggi valide e attuali.

Il volume di Alberto Silvestri illustra invece il risultato di mezzo secolo di osservazioni naturalistiche e di ricerche di campagna, condotte contestualmente ad una presenza ultratrentennale nella Pro Natura, l’associazione erede diretta del primo Movimento Italiano per la Protezione della Natura. Silvestri sostiene alcune cose semplici ma di fondamentale importanza: si sta perdendo, anche in campo ambientalista, l’abitudine all’osservazione diretta della natura. Ecco allora il richiamo a Pietro Zangheri e a Charles Darwin, diventati grandi grazie alla capacità di osservare a lungo l’ambiente. Ed ecco l’autore fare alcune scoperte: verificare, osservando gli animali e l’ambiente nell’arco di cinquant’anni, che nell’Appennino tosco romagnolo, a seguito del fenomeno della rioccupazione dei suoli da parte della vegetazione spontanea, si è ristabilito un nuovo equilibrio.

E così ci viene raccontata, in maniera didattico-scientifica ma talvolta con venature poetiche, la grande lezione del piccolo usignolo di fiume: questo uccelletto infatti, eccezionale indicatore ambientale, permette a Silvestri di spiegare i mutamenti ambientali nei suoli abbandonati dall’uomo a partire dagli anni Cinquanta. Secondo l’autore l’uomo, insomma, quando era presente nel territorio incideva negativamente sulla vegetazione: doveva vivere, allevare bestiame, coltivare, scaldarsi. Poi se n’è andato in massa ed i terreni sono rimasti incolti. Ad un primo periodo di assestamento è seguita una lenta, graduale, inarrestabile rioccupazione dei suoli abbandonati da parte della vegetazione spontanea. La vegetazione è nata rigogliosa ovunque. Gli animali, in presenza di un habitat adatto, si sono moltiplicati: cervi, caprioli, daini, istrici, lupi ed anche aquile, poiane, sparvieri, albanelle.

Non mancano, essendo stato Silvestri il presidente di una delle maggiori associazioni ecologiste italiane (per la precisione: per quattro anni vicepresidente e poi, dal 1979 al 1985, presidente) alcuni interessanti capitoli dedicati alla ricostruzione di alcune vicende del movimento ambientalista. Il libro così, quà e là, contiene diverse perle: come l’episodio, inquietante e farsesco al tempo stesso, del tentativo di mimetismo operato dalla lobby della caccia quando, nel 1967, Pro Natura acquisisce per legge il diritto di avere un proprio rappresentante  nelle Commissioni provinciali per la caccia. Cosa fanno, allora, i cacciatori? Cercano di creare delle sezioni di Pro Natura, da loro pilotate, un po’ in tutta Italia. Come a Chieti, dove il rappresentante della locale associazione è la moglie del presidente di Federcaccia! Un pezzetto di storia italiana e un pezzetto di storia dell’ecologismo che non va dimenticato.

Uomini, Animali, Ambiente è anche l’appello di un vecchio naturalista che si preoccupa di lasciare un messaggio ai giovani. Questo è il motivo per cui è stato inserito nella collana Ambiente e Storia: il taccuino di Physis di una piccola ma coraggiosa casa editrice milanese, Carabà edizioni.

L’ultimo volume, Sibillini. Storia di un parco, documenta trent’anni di impegno della sezione ascolana del Club Alpino Italiano in difesa dell’ambiente montano. Anche in questa pubblicazione, che ha avuto il patriocinio del Ministero dell’Ambiente, si trova un frammento di storia recente della nostra Repubblica, raccontato dalla voce di alcuni protagonisti. Il libro racconta la storia del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, istituito recentemente, attraverso i fatti accaduti negli ultimi trenta anni. Si tratta di una storia iniziata nella seconda metà degli anni ’60, ed il cui atto centrale si è concluso il 19 ottobre 1993, giorno in cui l’Ente Parco si è insediato nella sua sede. Ogni capitolo del volume racconta una vicenda di conflitto tra le esigenze di tutela della natura e quelle di crescita e sviluppo economico: i reiterati tentativi di amministratori pubblici di costruire strade (la strada della Sibilla, la strada Forca di Presta, che porta alla condanna di un presidente della Provincia, la strada nel bosco di Frondosa, la strada Rigo-Galluccio), cave, impianti sciistici di risalita (il piano neve della Provincia di Perugia, quello della Regione Marche, le infrastrutture sciistiche dentro l’Infernaccio), opere di captazione (con proteste ambientaliste, manifestazioni di opposizione al progetto, proposte alternative, varianti alle proposte alternative, delibere regionali e vicende conclusive), poligoni di tiro, camping, tutto in aree poste all’interno dei Monti Sibillini, ora parti importanti del Parco Nazionale. Si tratta di vicende che esemplificano la scarsa attenzione con cui, nei decenni scorsi, si è gestito il rapporto con l’ambiente, che aiutano a comprendere anche la diffusa crescita di sensibilità che oggi, talvolta, è possibile registrare nei confronti di queste tematiche. 

I quattro libri citati sono importanti: dimostrano che il movimento ecologista è ormai maturo e che ha una storia che deve essere scritta. Non solo.

Uno dei principali obiettivi che si deve porre il nuovo filone di studi storici sull’ambiente è la creazione in Italia di un archivio storico dell’ambiente. Perché un archivio dell’ambiente? Semplicemente perché non c’è. Si tratta, a mio avviso, di una vistosa lacuna da colmare. Cresce, infatti, l’attenzione per i problemi dell’ecologia. Crescono le preoccupazioni per le distruzioni degli ecosistemi e per l’inquinamento. Nascono ovunque comitati o nuove associazioni per la tutela dell’ambiente e della salute. Eppure, come ha scritto Giorgio Nebbia tempo fa, “abbastanza curiosamente il movimento di difesa della natura e dell’ambiente rischia di non lasciare una sua storia. Decenni di lotte per salvare un bosco o contro una raffineria, per difendere una spiaggia o contro le centrali nucleari, o per la creazione e la difesa di un parco, sono ormai confinati spesso nella mente e nel ricordo dei protagonisti, in qualche articolo di giornale, benché abbiano avuto, nel momento della lotta, grande risonanza ed abbiano risparmiato al paese errori, danni maggiori, costi economici”. Ritengo dunque giunto il momento di lanciare la proposta alle amministrazioni sensibili, ai privati “illuminati” ed agli studiosi: creare un archivio storico nazionale del movimento ecologico, sulla falsariga di quelli del movimento operaio o delle lotte di liberazione. Sarebbe il primo passo nella direzione di un lavoro più generale e sistematico sulla storia della contestazione ecologista in Italia, un primo e importante contributo alla conservazione della memoria storica di una delle pagine più interessanti delle lotte civili e democratiche nazionali, di cui Una storia ecologicaIl fervore dei pochi, Uomini Animali Ambiente e Sibillini. Storia di un parco sono altrettanti illuminanti esempi.