Il potere delle merci

Ma sono davvero importanti le merci?

I grandi recenti “successi” umani – la globalizzazione degli scambi di soldi e di merci, l’ideologia del possesso dei beni materiali e del successo individuale, una nuova raffinata forma della lotta per la sopravvivenza del più forte – hanno fatto mettere da parte vecchie ideologie, come quella della solidarietà fra gli esseri umani della presente e della futura generazione e della solidarietà con la natura.

I cattivi risultati, rappresentati dalla moltiplicazione dei conflitti, delle crisi economiche, del divario fra ricchi e poveri, ma anche dei segni della “ribellione” della natura, inducono a pensare che forse la salvezza è rappresentata proprio dal recupero dei valori accantonati, a cominciare dalla solidarietà.

Credo che sia difficile essere solidali con la natura e con gli altri esseri umani, cercare di soddisfare i bisogni umani facendo astrazione dal ruolo fondamentale che le cose materiali – le risorse naturali e i beni fabbricati, le merci – hanno nel soddisfare tali bisogni. Alle risorse naturali e alle merci, alla loro produzione e qualità e uso, è affidato il potere di aiutare persone e popoli poveri e meno dotati ad avviarsi verso un genuino sviluppo umano, e di aiutare persone e popoli opulenti a fare migliore uso di quanto possiedono.

I beni materiali provengono tutti dalla biosfera, il grande serbatoio di acqua, di gas, di minerali, di ricchezze fisiche, di energia, affollato di esseri viventi, legati fra loro da rapporti di scambio che non esiterei a chiamare “merceologici”: i vegetali trasformano, grazie all’energia solare, l’anidride carbonica dell’atmosfera, insieme all’acqua e ai sali tratti dal terreno, in complicate  molecole organiche; un processo durante il quale i vegetali liberano ossigeno che viene ceduto all’atmosfera e alle acque. Gli animali traggono gli alimenti dai vegetali e da vari altri animali e, con l’ossigeno dall’aria, liberano energia vitale, producendo, insieme, scorie gassose, come l’anidride carbonica ceduta all’atmosfera, e scorie liquide e solide, organiche e inorganiche, sotto forma di escrementi. Le spoglie dei vegetali e degli animali e gli escrementi degli animali finiscono nel terreno e nelle acque e sono trasformati dagli organismi decompositori in molecole che saranno utilizzate da altri organismi per propagare la vita, in cicli sostanzialmente chiusi.

Gli esseri umani sono animali “speciali”, arrivati tardi, appena alcune centinaia di migliaia di anni fa, e in continua evoluzione. Essi hanno bisogno di cibo e producono scorie, come tutti gli altri animali, ma hanno anche bisogno di molti altri beni materiali: abitazioni, che non solo difendono dalle piogge, ma sono sede di aggregazione, di rapporti familiari e sociali; indumenti, che non solo difendono dal freddo, ma parlano anche della storia e del carattere di ciascuna persona; lavoro, che non è soltanto la condanna biblica al sudore e alla fatica  nei campi o nelle officine, o davanti a un moderno calcolatore elettronico, ma è anche l’occasione per manifestare le risorse del proprio ingegno; la possibilità di comunicare, ciò che oggi non si fa più soltanto con la parola, ma con strumenti sempre più raffinati che permettono di uscire dai confini della casa, della città, del singolo stato; di muoversi, percorrendo strade, con mezzi di trasporto, per scoprire il mondo circostante e conoscere altre persone.

Gli esseri umani, in quanto animali speciali, hanno altri bisogni ancora: di libertà, di dignità, di salute, di bellezza – e anche il soddisfacimento di questi bisogni, solo apparentemente immateriali e spirituali, richiede la disponibilità di oggetti, di cose, di beni materiali. È difficile avere una vita dignitosa in una baracca senz’acqua, in promiscuità, esposti a violenza.

I beni materiali necessari per soddisfare tutti i bisogni umani possono essere tratti soltanto dalla natura, i cui boschi, acque, minerali, riserve di energia, sono ricchi, ma non illimitati. La domanda di tali beni naturali e materiali è crescente ed è destinata ad aumentare, perché aumentano e si fanno più raffinati i bisogni e perché aumenta rapidamente la popolazione umana.

Attualmente (2004) la Terra ospita circa 6.300 milioni di persone, ciascuna con la propria storia, le proprie aspirazioni, i propri sogni, le proprie sofferenze. Persone diversissime per collocazione spaziale, dai freddi polari, alle foreste  tropicali, alle città opulenti dei climi temperati o sovraffollate del Sud del mondo, ai deserti, persone diversissime per abitudini, religioni, credenze, per i regimi politici a cui sono soggette.

Nel Nord del mondo, abitato da circa 1.500 milioni di persone, i paesi industrializzati sono ricchi di conoscenze tecnico-scientifiche e di merci che soddisfano bene, o molto bene, bisogni anche sofisticati e continuamente mutevoli. Benché rappresentino appena un quarto della popolazione totale, gli abitanti del Nord del mondo si prendono circa i tre quarti dei cereali, della carne, dei minerali metallici, delle fonti di energia, della cellulosa dei boschi, eccetera, estratti ogni anno dai serbatoi della natura, molti dei quali si trovano nei, e “appartengono”, ai paesi del Sud del mondo.

Nel Sud del mondo, con circa 4.800 milioni di  persone, vi sono paesi di nuova industrializzazione che possono “vendere” materie prime agricole, forestali, minerarie e grandi quantità di mano d’opera a basso prezzo e rappresentano un gigantesco mercato affamato di merci, selvaggiamente lanciati nell’imitazione dei modelli di produzione e di consumi dei paesi del Nord del mondo; e c’è un altro blocco che comprende paesi, con alti tassi di natalità, così poveri da non avere spesso neanche i beni materiali essenziali alla sopravvivenza: cibo, acqua pulita, abitazioni igieniche, salute.

La ragioneria della vita e quella delle merci

Gli oggetti, le merci, le cose, si fabbricano con una circolazione di materia e di energia che comincia con il prelevamento di beni  materiali della natura: beni  talvolta rinnovabili, come gli alimenti vegetali e animali, il legno dei boschi o l’acqua, che ritornano ogni anno disponibili grazie ai grandi cicli naturali, talvolta non rinnovabili come le  pietre, i minerali, le fonti energetiche fossili, che una volta estratti dalla natura ad opera delle attività umane, lasciano irreversibilmente un “buco” nelle riserve disponibili per le generazioni future.

Le risorse della natura passano attraverso un processo di trasformazione che fornisce merci e, insieme, scorie e rifiuti. Questi ultimi tornano nel mondo della natura, spesso in forma non più degradabile o riutilizzabile nella  biosfera, o in quantità superiore alla capacità di depurazione dei corpi riceventi naturali – aria, acque, suolo – la cui qualità ecologica peggiora, quindi, sempre.

Le merci passano poi in un processo di “consumo”. In realtà gli esseri umani non consumano niente: tutte le merci, dopo essere state usate per un tempo più o  meno lungo, ritornano nell’ambiente, nei corpi riceventi naturali. Moltissime merci hanno vita breve: gli alimenti, la carta dei giornali, gli imballaggi, i combustibili: poco tempo dopo essere stati utilizzati vengono eliminati come escrementi, come gas, come rifiuti solidi.

Alcune altre merci vengono immobilizzate per tempi più o meno lunghi all’interno della tecnosfera, il pezzo di pianeta occupato dalle cose fabbricate e usate dagli umani. Le automobili, molti elettrodomestici e macchinari, i televisori, i calcolatori elettronici, molti mobili, hanno alcuni anni di vita, dopo di che vengono buttati via come scarti; i libri che vengono conservati nelle biblioteche, il cemento e il ferro e i tubi di plastica e il vetro impiegati negli edifici, possono restare in servizio per decenni. Pochi edifici resistono alcuni secoli. Come conseguenza si osserva un’espansione della tecnosfera che si gonfia continuamente per il peso e il volume delle merci che trattiene al suo interno in ragione di circa 10 miliardi di tonnellate all’anno.

Il problema della scarsità

Dal  momento che la tecnosfera funziona lasciandosi alle spalle una biosfera più povera e più contaminata, a mano a mano che aumenta il mondo delle merci, da dove prenderemo in futuro sempre nuove materie per soddisfare i crescenti bisogni di una popolazione in aumento e dove metteremo un giorno queste merci e queste scorie?

A  dire la verità, in tutta la sua storia l’umanità ha dovuto fare i conti con problemi di scarsità. I “saggi” spiegano che, sempre, i problemi di scarsità sono stati superati grazie alle scoperte scientifiche e alla tecnica: l’impoverimento della fertilità del suolo è stato sconfitto con il crescente uso di concimi artificiali; il pericolo di impoverimento delle riserve di carbone è stato sventato ricorrendo agli idrocarburi e all’energia nucleare, al punto che oggi molte miniere di  carbone  vengono addirittura chiuse; il pericolo dell’esaurimento dei pozzi petroliferi è stato sventato con la scoperta di grandi giacimenti di metano; eccetera.

Essi esorcizzano lo spettro della scarsità sostenendo che il progresso tecnico ed economico porta ad una graduale dematerializzazione delle società e quindi che la crescita economica “in sé” garantisce una maggiore durata delle scorte di materie prime naturali.

Questa teoria tiene poco perché, se è vero che i prodigi della microelettronica consentono di far circolare molte più informazioni con minore peso di rame nei cavi telefonici, è anche vero che le innovazioni tecniche a cui stiamo assistendo richiedono “altri” strumenti di comunicazione fatti anch’essi di cose fisiche, materiali, dal silicio dei calcolatori elettronici ai delicati e costosi (parlo sempre di costi energetici e di materie prime) satelliti artificiali; per avere più e migliori alimenti occorrono crescenti consumi di concimi e pesticidi e acqua, e di imballaggi e scatole, occorre una complessa catena del freddo, quella che ci consente di avere in tutte le stagioni piselli freschi, magari coltivati  a ventimila kilometri di distanza, e tanti altri materiali, anche se molte invenzioni di questo “progresso” hanno mostrato di nascondere delle trappole: il crescente uso di  concimi e pesticidi provoca un inquinamento che rende imbevibile l’acqua di molte falde sotterranee; la produzione mondiale di cereali resta stazionaria  nonostante gli sforzi per farla aumentare; il crescente consumo di combustibili fossili provoca delle modificazioni climatiche, e così via. Tutte azioni  violente verso la natura e le generazioni future.

E inoltre altre rivoluzioni incombono con la loro domanda di nuovi materiali e servizi: nei paesi industriali aumenta la proporzione di anziani con bisogni di cibo, di abitazione, di mobilità, di salute diversi da quelli della popolazione del passato.

Nuove scale di valori

Una società che voglia davvero manifestare solidarietà con la natura e fra gli esseri umani, sia all’interno della nostra stessa generazione, così ricca di ingiustizie e di violenza, sia con le generazioni future e che si proponga di orientare a produzione e il consumo verso beni materiali capaci di soddisfare i bisogni umani con una minore usura delle risorse naturali deve cercare nuove scale di valori in base alle quali inventare e fabbricare e usare tali “cose”.

Di ciascuna merce o servizio si potrebbe, per esempio, cercare di identificare il “costo energetico”, o il “costo in risorse naturali”, o il “costo ambientale”, definiti, rispettivamente, come la quantità di energia, o il peso di risorse naturali o il peso di rifiuti immessi nell’ambiente, associati alla produzione e all’uso di una unità di merce o di servizio.

Risulterà, così, più “virtuosa” una merce che, a parità di servizio umano reso – a parità della capacità di far percorrere ad una persona un kilometro, di soddisfare il fabbisogno di calorie e proteine, di assicurare una casa calda e illuminata ad una famiglia, eccetera – richiede meno energia, meno acqua, incide di meno sulle risorse naturali non rinnovabili, genera meno inquinamento.

Molte merci oggi ottenute da risorse naturali non rinnovabili potrebbero essere ottenute da materiali rinnovabili, con minore inquinamento. I rifiuti gassosi possono essere in parte abbattuti con filtri;  i rifiuti liquidi, urbani e industriali, possono essere filtrati o modificati con processi di depurazione chimici o microbiologici, prima di essere immessi nei fiumi, nei laghi o nel mare. Dei rifiuti solidi si può ridurre l’effetto inquinante immettendoli, almeno in parte, in processi di riciclo, per trarne materiali ancora utilizzabili.

È  possibile incoraggiare la progettazione di merci adatte per essere riciclate, senza inorgoglirci troppo, perché ogni processo per ottenere nuove merci dalle merci usate comporta anch’esso un consumo di energia e un consumo di altri materiali (per disinchiostrare la carta, per raffinare le miscele di metalli, per separare i rottami di vetro, eccetera).

E, a rigore, si potrebbe anche diminuire, sia pure parzialmente, la quantità di cose che vengono messe in circolazione, al fine di spostare in qualche modo in un più lontano futuro qualche problema di scarsità, per esempio progettando le merci in modo che durino di più, che possano essere conservate in buona efficienza, con una facile manutenzione, più a lungo.

Non c’è bisogno di dire che alcune di queste soluzioni vanno in direzione contraria ai dettami dell’attuale società dei consumi. Anche se una svolta basata sulla  solidarietà con la natura comporta un aumento delle occasioni di produzione, di occupazione, di intrapresa, di innovazione, di coraggio verso il futuro, sia pure in direzione diversa dall’attuale.

Quali merci per i poveri?

Le considerazioni precedenti riguardano, praticamente, soltanto i 1.500 milioni di abitanti dei paesi industrializzati. Ma dobbiamo fare i conti anche con altri circa 2.000 o 2.500 milioni di terrestri che si avvicinano, più o meno rapidamente, alla società dei consumi e con altri 1.000  o 1.500 milioni di  persone povere o poverissime, la cui domanda di merci e di materie è destinata, giustamente, ad aumentare anche a costo di un crescente “consumo” di risorse naturali.

Il Sud del mondo chiede dei beni materiali per soddisfare dei bisogni umani elementari – il  bisogno di cibo, di acqua, di abitazioni, di indumenti – o  più complessi: il bisogno di curare le malattie, di spostarsi, di comunicare con altri, di informazione e istruzione, di riposo, oltre a bisogni, altrettanto fondamentali, ma ancora più complessi, come quelli di libertà, di dignità, di uguaglianza fra donne e uomini, di lavoro, peraltro legati anch’essi alla disponibilità di beni materiali.

La mancanza di questi beni è una forma di violenza ed è fonte di violenza che si manifesta nella lotta fra poveri per la conquista di risorse scarse, nella prepotenza dei ricchi per conquistare a basso prezzo le risorse materiali dei poveri, nel terrorismo come rivendicazione e vendetta contro le classi e i paesi ricchi, che si manifesta contro la natura sotto forma di diboscamento, inquinamento delle acque, sfruttamento irrazionale del suolo per strappare un po’ di cibo, distruzione degli animali.

Nella ricerca di una solidarietà con la natura e con gli altri esseri umani, della nostra e delle future generazioni, bisogna cominciare a chiedersi di che cosa hanno bisogno quelle migliaia di milioni di persone, di famiglie del Sud del mondo, che chiamiamo “arretrati” rispetto ai nostri standard consumistici.

Va intanto detto che la maggior parte delle merci e dei beni materiali fabbricati e usati da noi sono inutilizzabili nel Sud del mondo: le automobili o i trattori o le attrezzature mediche o i frigoriferi fabbricati e venduti con successo in Italia e in  Europa possono rivelarsi del tutto inutili o inadatti nella maggior parte dei paesi aridi o tropicali, soprattutto per la mancanza di parti di ricambio e di manutenzione.

L’aiuto o la cooperazione consistenti nel puro e semplice trasferimento nel Sud del mondo delle eccedenze invendute delle nostre merci, sono destinati all’insuccesso, come abbiamo tante volte costatato, comodi ad alcune imprese e alla speculazione ma del tutto inutili ai destinatari.

Bisognerà allora cominciare ad immedesimarsi nelle culture dei diversi paesi, nelle tradizioni religiose e alimentari, imparare a conoscere i materiali e prodotti disponibili sul posto, le abitudini di vita e da qui partire per progettare oggetti e merci accettabili e utili per gli abitanti del Sud del mondo.

Esistono vari organismi, anche in Italia, che svolgono silenziosamente e  efficacemente questo lavoro di ricerca interculturale, che progettano e realizzano manufatti con tecnologie  appropriate, meno violente delle attuali, ma questo grande progetto di solidarietà è assente dalle Università, dalla ricerca scientifica ufficiale, dalla cultura delle imprese.

Un importante campo di lavoro riguarda la nutrizione. La scarsità di alimenti nel Sud del mondo deriva in parte dal fatto che la maggior parte dei cereali prodotti nel mondo è usata dai paesi industrializzati per l’alimentazione del bestiame da carne, per cui una dieta ricca, anzi spesso troppo ricca, di proteine animali degli abitanti del Nord del mondo rende  indisponibili, “toglie di bocca”, se volete, alimenti indispensabili alla parte povera dei terrestri. Un discorso sull’etica ci deve quindi indurre a considerare anche i nostri attuali stili di vita come fonti di violenza.

I paesi del Sud del mondo hanno talvolta delle potenziali risorse alimentari che non vengono utilizzate adeguatamente dagli abitanti per mancanza di conoscenze,  per esempio sulla conservazione delle derrate alimentari. Occorre pensare a tecniche, adatte alle condizioni locali, per una migliore conservazione dei  prodotti locali, dalla frutta al pesce, per la lotta ai parassiti che distruggono grandi quantità di raccolti nei magazzini, occorre identificare quali trattamenti sono adatti per ottenere alimenti o integratori alimentari accettabili alle comunità locali.

In moltissimi paesi gran parte delle malattie sono portate dall’acqua impura o contaminata da escrementi umani o animali; nei paesi poveri mancano tecniche di raccolta, distribuzione e sterilizzazione delle acque anche esistenti sul posto. In quasi tutti i paesi del Sud del mondo c’è una domanda di impianti di potabilizzazione o dissalazione relativamente semplici, che richiedano poca manutenzione, basati su materiali da costruzione  resistenti alla corrosione e su fonti di energia – per esempio l’energia solare –  disponibili sul posto.

C’è fame di abitazioni e di fonti di energia

Per molte zone della Terra il primo passo verso lo sviluppo umano consiste nel disporre di una casa. Il passaggio da abitazioni primitive o baracche a qualcosa che sia “casa”, cioè luogo in cui non solo abitare o dormire, ma vivere come comunità, può spesso richiedere tecniche abbastanza primitive o semplici, ma che tuttavia rappresentano una svolta rivoluzionaria.

È possibile progettare, e sono state realizzate, case di facile installazione, con basso costo energetico, fabbricabili con materiali presenti sul posto di  installazione; case che tuttavia hanno buone caratteristiche di isolamento  termico, di ventilazione, di illuminazione, di abitabilità.

Noi siamo abituati che (praticamente) ogni casa ha gabinetti e docce con acqua corrente ma queste attrezzature igieniche, essenziali per prevenire le malattie, sono inaccessibili ad almeno 500 milioni di famiglie e potrebbero essere fabbricate con tecniche semplici, con alto grado di standardizzazione e ricambiabilità. La diffusione di fognature a livello di villaggio o di quartiere e di tecniche di trattamento delle acque di fogna, con materiali e processi relativamente semplici, potrebbe fermare il flusso delle principali sostanze contaminanti nel sottosuolo o nei fiumi.

La disponibilità di energia è essenziale per qualsiasi passo sulla strada della liberazione dalla miseria. Per chi ne è privo, la conquista dell’elettricità,  anche nella piccola quantità sufficiente per alimentare una lampada o una radio portatile o per il funzionamento di un frigorifero per conservare i vaccini, ha un contenuto liberatorio di cui noi ci siamo dimenticati, tanto questi beni sono usuali, al punto che possiamo usare e sprecare l’elettricità anche per i fini più frivoli.

Per assicurare calore ed elettricità alle comunità isolate, ai piccoli paesi e villaggi, occorre utilizzare, con mezzi semplici, ma non per questo tecnicamente meno ingegnosi, le fonti disponibili sul posto, la legna, l’energia del sole, del vento, del moto delle acque, una risorsa, quest’ultima, che spesso è disponibile e inutilizzata in molti paesi poveri.

I sistemi – solari, eolici, idrici – sperimentati finora nei paesi industrializzati devono essere riprogettati per renderli più semplici, di facile  manutenzione e di maggiore “comprensibilità” da  parte  degli utilizzatori: una macchina può avere successo soltanto se gli abitanti di un villaggio ne capiscono il funzionamento e sono disposti a collaborare alla sua manutenzione.

Ugualmente i mezzi di trasporto belli, comodi, raffinati a cui siamo abituati,  sono inutilizzabili sulle strade e nelle condizioni di vita, di freddo e di caldo della maggior parte dei paesi del Sud del mondo.  È probabilmente necessario  progettare e costruire dei tipi di veicoli capaci di funzionare su qualsiasi strada, in qualsiasi clima, facili da guidare, con le componenti molto standardizzate e facilmente sostituibili.

Lo stesso discorso vale per la progettazione di autobus, di trattori, di aratri, di macchinari per la raccolta e la lavorazione dei prodotti agricoli, di barche da pesca – progettati per condizioni severe di funzionamento, alimentabili con qualsiasi carburante.

Domani

Forse diminuendo gli sprechi è possibile sfamare più persone con l’attuale produzione di cereali; forse col riciclo delle merci usate e scartate è  possibile tagliare meno alberi e avere bisogno di minori discariche, ma per alcuni decenni dovremo fare i conti con una crescente domanda di materiali e con crescenti problemi di scarsità delle risorse naturali.

Le più recenti ragionevoli previsioni dei fabbisogni mondiali di energia, redatte dai “saggi” che ragionano secondo i principi dell’attuale ordine – o disordine  – economico internazionale, indicano che nei prossimi 25 anni, l’orizzonte di appena una generazione, la comunità umana dovrebbe sottrarre dalle riserve 70-80 miliardi di tonnellate di petrolio, e circa  40-50 miliardi di tonnellate di gas naturale: più o meno la metà delle riserve oggi note, circa 100-150 miliardi di tonnellate di ciascuna delle due fonti di energia.

Le stesse previsioni considerano che la minoranza dei paesi industrializzati continui con gli attuali elevati consumi di energia e che nei paesi del Sud del mondo aumenti “un poco” la disponibilità di energia. Continuerebbe fra Nord e Sud del mondo così una discriminazione destinata a diventare fonte di ulteriori conflitti.

D’altra parte, considerando ragionevoli, per il prossimo quarto di secolo, le previsioni di consumi energetici totali prima citati, che porterebbero a impoverire drasticamente le riserve di petrolio e gas naturale, qualsiasi aumento, anche piccolo, della quota di energia prevista per i paesi poveri (la cui popolazione nel frattempo salirà a settemila milioni di persone), richiederebbe una stabilizzazione ai livelli attuali o una diminuzione, rispetto ai valori attuali, dei consumi energetici del Nord del mondo.

E comunque, anche se venisse accettata una più equa distribuzione della disponibilità totale di energia fra Nord e Sud del mondo, la quantità complessiva di energia fossile consumata nei 25 anni considerati sarebbe così elevata da provocare un forte aumento della concentrazione, nell’atmosfera, dei gas responsabili di modificazioni climatiche destinate a far sentire i loro effetti negativi sulle generazioni ancora successive, e altre forme di inquinamento.

Ho fissato l’attenzione sull’energia perché essa è richiesta per la produzione e l’utilizzazione di qualsiasi altra cosa, dalle case, alle strade, ai metalli, agli alimenti, alla carta, eccetera.

Qual’è la prevedibile richiesta mondiale di carta, di cereali, di carne, di rame, di cromo, eccetera, di tutte le altre “cose” che tengono in moto la nostra società opulenta? E se la minoranza dei terrestri, quelli dei paesi industriali, continuerà a sottrarre crescenti risorse dalle riserve naturali, quale quota di tali risorse sarà disponibile ai paesi poveri, per il cui sviluppo umano gli stessi beni materiali sono altrettanto indispensabili?

È possibile che venga un giorno, forse abbastanza vicino, in cui si dovrà pensare ad una ridefinizione e ad un ridimensionamento della crescita dei consumi materiali dei paesi industriali per lasciare una  maggiore frazione dei beni della Terra ai paesi poveri, in modo che possano avviarsi verso un loro sviluppo.

Di tutto questo non c’è traccia nei programmi dei “saggi” dei paesi industriali, che ragionano soltanto in termini di crescente produzione e consumo e ricambio delle merci, che credono che da questa crescita dipenda la ricchezza e l’occupazione e il benessere. Se ragionassimo invece in termini di etica e solidarietà ci accorgeremmo che la strada che stiamo percorrendo porta non allo sviluppo umano, neanche di noi abitanti dei paesi del Nord del mondo, ma alla moltiplicazione dei conflitti e della violenza nei confronti della natura e fra popoli e generazioni.

Immaginiamo ora che tutti gli sforzi internazionali vengano davvero orientati alla liberazione di molti nostri coinquilini del pianeta Terra dalle condizioni inumane in cui versano: i soldi – e le risorse naturali – oggi spesi per soddisfare di più e meglio la  domanda di merci da parte dei terrestri ormai sazi, potrebbero essere investiti – con uguali profitti per gli imprenditori, se volete – per migliorare e diffondere tecniche di conservazione degli alimenti, per l’utilizzazione delle ricchezze alimentari che vengono buttate via, delle materie agricole, forestali, zootecniche oggi inutilizzate, per un migliore approvvigionamento idrico, per combattere le malattie.

Tecniche che potrebbero essere sviluppate nel Nord del mondo e trasferite nel Sud del mondo, che richiederebbero istruzione, ricerca e innovazione nel Nord e nel Sud del mondo, che creerebbero nuove occasioni di intrapresa e un aumento dell’occupazione, probabilmente centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo.

Non possiamo però nasconderci che, anche se si attuasse questa grande rivoluzione culturale, merceologica e del lavoro, all’insegna della liberazione dei poveri dalla mancanza dei più urgenti mezzi di sopravvivenza, per molti decenni continuerebbe una crescente sottrazione, anche se in forma diversa dall’attuale, delle risorse naturali dalle loro riserve, un crescente peggioramento delle  condizioni ambientali e sanitarie sia nei paesi ricchi, sia nei paesi poveri. Una situazione destinata ad aggravarsi se continua l’attuale tendenza della popolazione mondiale, soprattutto nei paesi poveri, ad aumentare in ragione di un miliardo di persone ogni quattordici anni.

L’attuale situazione e tendenza sono insostenibili, sia per ragioni ecologiche, sia per la nuova  miseria che minaccia i paesi ricchi, anche in seguito al mutamento della struttura per età della popolazione e quindi della richiesta delle merci, sia per la pressione dei poveri della Terra verso il banchetto, che da lontano appare così opulento e sfavillante e meritevole di conquista, anche violenta, dei paesi ricchi.

Se volete, la rivoluzione verso cui ci spinge la domanda di beni da parte dei poveri del mondo va affrontata, se non si è spinti da un’etica della solidarietà,  per motivi egoistici, per la conservazione del grado di benessere finora conquistato. Ma, siccome sono ottimista, penso che la solidarietà, e non l’egoismo, diventi il motore primo di un cambiamento capace di curare le malattie dei ricchi e le malattie dei poveri, diverse, ma ugualmente debilitanti del grande corpo comune degli umani nel mondo della natura.