In ricordo di Giorgio Nebbia

Pochi conoscevano le reali condizioni di salute di Giorgio, ma erano in tanti a pensare che il suo primo, lungo silenzio iniziato a metà dicembre 2018 costituisse un pessimo segnale premonitore. Ciononostante, quando il 4 luglio 2019 è iniziata a circolare la notizia della sua scomparsa la sorpresa e la commozione si sono diffuse rapidamente. Lo testimonia il gran numero di necrologi, dei quali pubblichiamo di seguito una parte, in cui l’informazione biografica su Giorgio si intreccia costantemente a bilanci encomiastici del suo operato e ad aperte dichiarazioni di affetto. Giorgio, lo abbiamo scritto e continueremo a sottolinearlo, non è stato solo un formidabile divulgatore e animatore culturale e un militante di grande generosità e capacità ma anche una persona amabile, gentilmente ironica e incredibilmente disponibile, fino alla fine. Un maestro accogliente, attento e maieutico come se ne possono incontrare pochi. Questa è stata la cifra essenziale dei suoi rapporti con le tante le persone che lo hanno incontrato nel corso dei decenni e soprattutto che hanno lavorato con lui. Questa sezione di “Altronovecento” lo testimonia ampiamente.

Luigi Piccioni

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In morte di Giorgio Nebbia

Mario Agostinelli

Per tributare un riconoscimento che non potrebbe certo ripagare il debito incommensurabile che la mia generazione ha nei confronti di Giorgio Nebbia, forse con Laura Conti il più straordinario innovatore tra quanti hanno colto nella capacità trasformativa del lavoro assoggettato al capitale il pericolo più grave di minare irreversibilmente la natura, la sua integrità, la sua indiscutibile attitudine di alimentare una vita buona sulla Terra, rubo le parole ad una nota con cui un amico mio e di Giorgio – Pier Paolo Poggio – ha annunciato una scomparsa purtroppo da tempo messa in un conto doloroso.

«Sapevo – scrive Pier Paolo – di Giorgio Nebbia attraverso i suoi articoli, in particolare i contributi, molto originali, che apparivano nel bollettino di Italia Nostra. L’ho conosciuto di persona verso la fine degli anni ’80, in occasione della vicenda dell’Acna di Cengio (Savona). Il suo approccio era assolutamente non convenzionale, non era più giovane ma partecipava direttamente agli incontri in alta Valle Bormida, e con lui la moglie Gabriella, sobbarcandosi un lungo viaggio. La sua impostazione del problema era chiarissima e, nello stesso tempo, molto impegnativa. Andava bene contestare la fabbrica per il suo impatto sulla salute e sull’ambiente ma bisognava studiare i cicli produttivi, sapere esattamente cosa produceva e quali erano gli scarichi inquinanti, cosa aveva prodotto nel corso dei suoi cento anni di attività. E questo non per una pur meritevole conoscenza storica ma per poter intervenire in modo efficace, in termini di bonifica, di risanamento dell’ambiente e di controllo sulla salute dei lavoratori e della popolazione. Da allora è stato per me e per la Fondazione Micheletti, l’interlocutore principale, un infaticabile e inflessibile stimolatore di attività, iniziative, il più delle volte invisibili perché dedicate alla salvaguardia degli archivi che hanno a che fare con la produzione, le manifatture, il lavoro, l’energia. Gli studi più rilevanti sono quelli che ha dedicato al ciclo delle merci, definendosi sempre orgogliosamente merceologo, anche quando la merceologia veniva abolita, un po’ come se si potessero abolire le merci. Di cui, anche un po’ per provocazione intellettuale, metteva sempre in evidenza la dimensione materiale, naturale, il carico quantitativo sulle matrici ambientali».

Per quanto mi riguarda ho goduto della sua amicizia e di una curiosità quasi stupita per l’attenzione che un sindacalista – quale ero io allora – dedicava non tanto all’incidente clamoroso sul lavoro, che faceva notizia, quanto alla ricostruzione degli effetti irreversibili che i cicli di trasformazione di materie e energia, fagocitate nel vortice di produzioni spinte alla massimizzazione del profitto, producevano “normalmente e quotidianamente” su un ambiente degradato e sui cambiamenti della biosfera, mai presa seriamente in considerazione come spazio vitale, luogo di riproduzione, bene comune da conservare. “Giorgio – conclude il nostro comune amico – era persona estremamente avvertita, libera da schemi ideologici, appassionato ma estremamente consapevole delle debolezze umane, e però ostinatamente aperto alla speranza. Occorrerà molto tempo per conoscere Giorgio Nebbia nelle sue molteplici dimensioni”. Oggi lo ricordiamo con lo smarrimento che solo l’affetto più intenso può in minima parte colmare.

—Eddyburg, 9 luglio 2019

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Per Giorgio Nebbia

Alberto Berton

La mattina di mercoledì 3 luglio, dopo un giugno eccezionalmente caldo, il Magister ci ha lasciati.

Soltanto pochi mesi fa, stava abbastanza bene ed era come al solito molto attivo. Nonostante qualche inevitabile acciacco dovuto ai suoi 93 anni compiuti lo scorso 23 aprile, Giorgio Nebbia era sempre il lucidissimo e generosissimo punto di riferimento per l’ambientalismo critico e scientifico italiano, di cui è riconosciuto unanimemente come il padre nobile.

Impegnato quotidianamente su più fronti con articoli di divulgazione e di attualità per giornali e riviste, conversazioni con studiosi e attivisti tramite mail e telefono, azioni volte alla conservazione del patrimonio storico e scientifico italiano, petizioni per cause sociali e ambientali, verso la fine dell’anno scorso, Giorgio Nebbia aveva purtroppo subito un improvviso deterioramento fisico,ma non mentale.

Il figlio Mario si era trovato così costretto a fare da filtro alle comunicazioni del padre e porre un limite alle sue troppo intense e numerose attività, aiutandolo a seguire le relazioni più importanti, come quella con Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, il centro di ricerca a cui Giorgio nel 2003 aveva affidato il vastissimo archivio che insieme alla moglie Gabriella Menozzi aveva creato in oltre 40 anni di insegnamento, ricerca, attività politica e militanza sui temi legati alla relazione tra le merci, l’uomo e l’ambiente.

“Due TIR” tra libri e documenti, come ama ricordare con affetto l’amico Poggio, a cui nel corso del tempo, sempre su stimolo di Giorgio Nebbia, si erano aggiunti altri “fondi” provenienti dai personaggi più importanti per la storia dell’ambiente in Italia, da Laura Conti a  Giovanni Francia, andando così a costituire di fatto, all’interno della Fondazione Micheletti, il centro di documentazione ecologicapiù importante in Italia.

Giorgio Nebbia si definiva ironicamente un “povero chimico”. In realtà era Professore emerito di Merceologia all’Università di Bari. Merceologo, studioso delle merci, delle “cose” utili all’uomo oggetto di attività di scambio e di commercio, lo era diventato un po’ per caso grazie all’incontro fortuito con Walter Ciusa, laureato in Chimica, allora assistente alla cattedra di Merceologia dell’Università di Bologna, di cui Nebbia, studente ai primi anni di Ingegneria in cerca di un lavoro dignitoso, era diventato il giovanissimo segretario.

Ciusa,in quegli anni, stava portando questa strana disciplina, nata alla confluenza tra le scienze naturali, le discipline tecniche, l’economia e il commercio, oltre i confini dell’analisi fisico-chimica delle merci finalizzata principalmente alla determinazione della loro qualità intrinseca. Ciusa iniziò a studiare, o meglio a “raccontare” le merci e i cicli produttivi che ne sono all’origine, non come elementi isolati ma inserendoli nel contesto storico (storico-naturale, storico-tecnico, storico-economico, storico-politico, storico-culturale) nel quale queste si collocano.

Il giovane Nebbia trascorse oltre un decennio a “bottega” da Ciusa, aiutando il promettente merceologo a battere a macchina le dispense, a scrivere le lettere ai colleghi professori, a svolgere le analisi di laboratorio e a preparare i concorsi universitari. L’ufficio di Ciusaera diventato negli anni Cinquanta un luogo di incontro per scienziati eterodossi, come Girolamo Azzi,l’agronomo che era stato fino dagli anni Venti del Novecento pioniere di fama internazionale dell’ecologia e della climatologia agraria, ritiratosi da Perugia a Bologna dopo il pensionamento. Fu proprio grazie all’incontro con questo anziano professore che il giovane Giorgio Nebbia sentì per la prima volta parlare di una nuova disciplina:l’ecologia.

Nonostante l’approccio storico alla merceologia, Giorgio Nebbia racconta che Ciusa non fu mai particolarmente interessato all’ecologia, al di là della merce. Fu la personale missione, curiosità e passione del giovane Nebbia a spingerlo ad occuparsi del problema della scarsità di acqua dolce e della sua soluzione attraverso la dissalazione dell’acqua di mare con l’energia solare.

Giorgio Nebbia, già negli anni Cinquanta, a Bologna,iniziò così ad occuparsi di ecologia umana partendo dal problema dell’acqua, problema che del resto, nella sua veste meteorico-agraria, era stato il punto di partenza dell’indagine scientifica del giovane Girolamo Azzi, lo scienziato imolese fondatore dimenticato dell’ecologia agraria e dell’agro-ecologia, che Nebbiaricorda come “pioniere dell’ecologia”.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta a Bologna, divenuto assistente di Ciusadopo che quest’ultimo aveva vinto la cattedra e lui si era laureato in chimica, Giorgio Nebbia visse dall’interno di un attrezzato ufficio merceologico l’intensa stagione di scandali legati alle frodi alimentari che colpirono l’Italia durante il miracolo economico, come quelli denunciati dalla serie di articoli dell’Espresso iniziati col titolo “L’asino nella bottiglia”, dove l’opinione pubblica prese coscienza che parte dell’olio di oliva italiano veniva tagliato con olii derivati da scarti di macellazione,come gli zoccoli di asini e cavalli importati per usi industriali.

Le frodi alimentari hanno rappresentato un interesse costante nella lunga attività di Giorgio Nebbia, il quale avrebbe voluto raccontare e ascoltare di più a riguardo del problema delle frodi, che da una parte (nella sua dimensione storica) lo appassionava enormemente -passione che condivideva con la moglie Gabriella- e dall’altra parte (nella sua dimensione economico e politica)lo motivava, in qualità di merceologo, nella ricerca di azioni a tutela del consumatore.

“Vinta la cattedra” di merceologia a Bari a soli 34 anni, dal 1960 Giorgio Nebbia iniziò a raccontare la sua storia delle merci a generazioni di studenti pugliesi, diventando, nel contempo, prima un’autorità riconosciuta sull’acqua, poi sull’inquinamento e infine sui problemi ambientali in senso generale.

La pubblicazione di Primavera Silenzionsa di Rachel Carson del 1962, aveva aperto la stagione dell’Ecologia Politica, che trovò la sua Primavera all’inizio degli anni Settanta con la pubblicazione, quasi simultanea, del Cerchio da Chiudere di Barry Commoner , di La Legge dell’Entropia e il Processo Economico di Nicholas Georgescu Roegen, dei Limiti dello Sviluppo del Club di Roma. Giorgio Nebbia entrò con naturalezza nel nascente dibattito internazionale sui problemi ecologici e nel 1972 fu uno dei pochi italiani a partecipare alla Conferenza di Stoccolma sull’ Ambiente Umano, la prima conferenza mondiale sui temi ambientali, in rappresentanza del Vaticano.

Giorgio Nebbia è sempre stato un credente, ancorché “turbato”, come amava qualificarsi. Del resto la sua successiva inclinazione politica, quella verso il PCI, non venne apprezzata dagli ambienti ecclesiali. Giorgio non vide mai il suo cristianesimo e il suo comunismo come incompatibili, continuando a condividere la tutela dei più deboli, lavoratori e consumatori, con la fede religiosa. Grande fu la sua gioia e la sua speranza alla lettura dell’Enciclica “ecologista”Laudato Si.

Personalmente credo che il suo “sentirsi comunista” volesse dire innanzitutto non considerare, a differenza della maggior parte degli economisti ortodossi, la ricerca del profitto monetario e dell’interesse egoistico come unica forma razionale per l’allocazione delle risorse, ovvero per la produzione e lo scambio delle merci. Giorgio Nebbia ha sempre creduto nell’importanza dell’azione pubblica per la regolazione del processo economico al fine del soddisfacimento dei bisogni di base dell’Uomo: la casa, i vestiti, il cibo, i trasporti, la pace, ecc… , mantenendo nel contempo sempre vivo l’interesse e la curiosità per l’attività innovatrice degli imprenditori e le loro vicissitudini personali, oggetto di una continua attività di appassionata ricerca e di instancabile divulgazione. In questo Giorgio Nebbia fu molto vicino a Georgescu Roegen , economista “scomodo” dal cuore caldo e dal cervello fine, allievo di Joseph Schumpeter e padre fondatore della bioeconomia, scuola del pensiero economico della quale credo che  Giorgio Nebbia possa essere considerato l’esponente principale in Italia, fatto che ha certamente contribuito al nostro incontro.

Ho profondamente amato il Giorgio Nebbia bioeconomista, capace di rendere semplici ragionamenti complessi, di fissare “in quattro paginette” le cose che realmente contano   e di smascherare con gentilezza e ironia i vari “miti economici” che tanto piacciono al mondo degli affari ma che risultano estremamente deboli alla luce di una onesta analisi della “storia naturale delle merci”: il rifiuto zero, l’impatto zero, l’emissione zero, la perfetta sostenibilità e circolarità del processo economico. Il ciclo irreversibile( e quindi storico) Natura Merce Natura, contrapposto a quello reversibile (e quindi astorico)Denaro Merce Denaro, in una visione bioeconomica, e quindi entropica,  in cui«purtroppo la natura non da niente gratis”, dove ogni azione economica ha un costo irreversibile, che dovranno pagare le generazioni future in quanto l’Uomo con la Tecnica deforma storicamente la Natura rendendola sempre meno adatta a supportare la (sua) vita sul pianeta. Non è un messaggio disperato ma è la consapevolezza del limite, e quindi del valore delle cose,  nella prospettiva ultima ma mai realizzabile di “godere la vita senza consumare” che si declina, in concreto, in uno stile di vita sobrio ma appassionato e nella denuncia della produzione delle “merci oscene”, in primis gli armamenti.

Ho profondamente amato Giorgio Nebbia storico delle merci e della tecnica, dove la ricostruzione del passato era sempre affiancata dalla visione di un futuro di scarsità di risorse non rinnovabili ma di abbondanza di risorse rinnovabili, quelle di origine solare, in primo luogo agricole.

Ho profondamente amato Giorgio Nebbia attivista, sempre pronto ad impegnarsi non solo per la conservazione delle risorse naturali, della fauna e della flora ma anche del nostro patrimonio storico, tecnico e culturale, del nostro patrimonio bibliografico innanzitutto, sempre a rischio di dissipazione.

Ho profondamente amato Giorgio Nebbia amico e maestro, verso cui anche io ho un debito enorme, la cui dipartita lascia un vuoto colmabile solo dalla responsabilità di approfondire e divulgare i suoi insegnamenti.

Professore di merceologia, scienziato a difesa dei più deboli, attivista ambientalista impegnato per anni in battaglie storiche come quella contro il nucleare, storico della tecnica,instancabile divulgatore di ecologia, uomo politico di sinistra, esperto di acqua e di energia solare, economista delle cose, bibliofilo e archivista,  bioeconomista roegeniano, credente turbato, pacifista radicale, amico e maestro: come dice Pier Paolo Poggio “occorrerà molto tempo per conoscere Giorgio Nebbia nelle sue molteplici dimensioni.”

In sintesi mi sento di dire che Giorgio Nebbia è stato un “ecologista integrale”, nel senso dell’ecologia integrale auspicata da Papa Francesco nella Laudato Sì, “che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali»,inscindibilmente legate con la questione ambientale.

Giorgio Nebbia, uomo di una generosità e di una umanità straordinaria, ci lascia un’eredità scientifica e culturale preziosissima, unica al mondo, da custodire non come una reliquia ma come un seme da rigenerare. La Fondazione Micheletti è oggi il custode di questa eredità. Giorgio Nebbia ne era perfettamente consapevole tanto che prima del funerale la famiglia ha ricordato che, per volontà del defunto, “si prega di non portare fiori, ma di fare eventuali donazioni alla Fondazione Luigi Micheletti di Brescia”

Giorgio, in occasione dei suoi 90 anni, dopo  avere augurato a tutti una vita bella come la sua, fece un augurio a se stesso, “che la morte mi colga vivo”.

Nella sua biblioteca, nei suoi scritti, nel suo archivio, nei video-racconti documentati dall’amico Luigi Piccioni, nelle sue innumerevoli mail, nel Centro di Storia dell’Ambiente promosso dalla Fondazione Luigi Micheletti, nelle parole dei tanti che oggi lo ricordano con stima e affetto, Giorgio Nebbia continua a vivere anche dopo la sua morte.

HastaSiempre!, Magister

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Giorgio Nebbia, una grande anima ecologista

Michele Boato

Ci ha lasciato anche la terza «grande anima» del movimento ecologista italiano: la prima era Laura Conti, «andata avanti» il 25 maggio del 1993, vera madre di tutti/e noi, dal punto di vista culturale; il secondo è stato Alex Langer, di cui il 3 luglio abbiamo ricordato l’anniversario della tristissima partenza, avvenuta tra le colline fiorentine nel 1995.

Ora tocca a Giorgio Nebbia che fino a pochissimi mesi fa, all’età di 93 anni !, ha continuato ad illuminarci con i suoi scritti chiari, precisi e spesso coraggiosi, come quelli che ogni giovedì apparivano nella sua rubrica Naturalmente» dell’inserto Extra Terrestre nel manifesto.

Sue le prime denunce, dal 1972 all’81, con durissimi articoli sul quotidiano Il Giorno delle pesanti frodi alimentari relative all’olio di colza, ai coloranti ed altri additivi, all’aggiunta criminale di alcol metilico nel vino, ai nitriti, ormoni e antibiotici nelle carni.

Alle sue denunce si sono affiancate allora le inchieste dei giornalisti dell’Espresso e i primi interventi dei Nas dei carabinieri.

Giorgio l’ho conosciuto nel 1976 a Bari, come uno dei pochi professori di quell’Università che, invece di insultare il creativo Movimento degli Studenti Fuori Sede attivissimo in quella città, apriva una vera discussione in aula, spesso «scavalcando» gli stessi studenti nelle proposte di riforma.

Poi, tornato a Mestre, l’ho ritrovato nel 1979 all’isola di San Giorgio, come uno dei pochissimi scienziati (assieme a Virginio Bettini e Gianni Mattioli) col coraggio di remare contro il nucleare, durante la famosa Conferenza nazionale sulla Sicurezza nucleare, che ha visto attraversare Venezia da una delle più grandi manifestazioni antinucleari di quegli anni.

Da allora non ha mai smesso di aiutarci ogni volta che glielo chiedevamo. Leggendario il suo sostegno alla causa, durata vari anni (dal 1984 al 1988), contro lo scarico a mare delle 3.200 tonnellate di fanghi al fosforo che ogni giorno una nave della Montedison portava da Marghera all’Adriatico contribuendo alla sua eutrofizzazione. Ci ha inviato per posta un malloppo pesante forse 5 kg, con la dimostrazione che quei fanghi potevano essere seccati e riciclati come sottofondo stradale, esperienza che lui aveva studiato per le piste dell’aeroporto di Washington. È stato il contributo che ci ha permesso di mettere l’industria con le spalle al muro e ha spostato finalmente, una parte di sindacato dei chimici al nostro fianco, invece che a quello degli inquinatori come era successo fino a quel momento.

Insuperato, come contributo ad un’economia ecologica, il saggio «Un’Italia sostenibile?» scritto da Giorgio nel 1996 per la rivista Ecologia politica, che abbiamo ripubblicato, come libretto dell’Ecoistituto del Veneto, l’anno successivo col titolo «Alla scoperta di una Italia sostenibile», in cui Nebbia appare veramente come una stella polare per il futuro della nostra società. Una grande anima, al pari di Gandhi e di Chico Mendez.

—Il Manifesto, 6 luglio 2019

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Caro Giorgio, buon viaggio

Valentina Calicchia

93 anni. Tanti ne aveva Gior­gio Nebbia quando ha deciso di andarsene. Dire “Addio” ad un uomo del suo spessore non è facile. Non è semplice ricordare in qualche riga la sua caratura umana e il suo spessore profes­sionale.

In molti in questi giorni han­no cercato di farlo: giornalisti, scienziati e amici hanno prova­to a cercare parole utili e adatte a descrivere la grandezza di una mente che ha stravolto il pensiero contemporaneo su un argo­mento/una materia, l’ambiente e l’ecologia, che il suo tempo stava appena scoprendo e su cui noi, oggi, cerchiamo di interrogarci. Giorgio Nebbia, per chi come noi vive di ambientalismo, è sta­to un faro che ci ha guidati con lungimiranza attraverso i pro­blemi e le sfide dell’attualità. E’ stato professore universitario, chimico, padre di una scienza ambientale a cui ancora oggi si guarda con sospetto.

Giorgio Nebbia è stato per noi di “Verdi Ambiente e Società-VAS Onlus” un amico saggio, un esperto a cui chiedere consiglio, con cui confrontarsi attraverso una dialettica sempre stimolante e sincera.

E’ stato nel board scientifico del Premio Internazionale Verde Ambiente e ha collaborato per oltre 30 anni con la nostra rivi­sta Verde Ambiente, tenendovi una “rubrica” nella quale poter discorrere non solo di ambiente ma di chimica, merci, trattamen­to dei rifiuti, di rapporti tra eco­nomia e ecologia.

Comunicare era per lui un obiet­tivo ed un dovere, si è fatto ponte tra il rigore della scienza e la sete di comprensione di molti, trattan­do argomenti complessi in più di 3000 articoli scritti, tra riviste e periodici, in maniera competente e accessibile; poiché se critica, lucidità e chiarezza disarmante hanno costituito la tela di ogni suo scritto, l’altra immancabile qualità che gli va riconosciuta è l’umanità del suo operato e la forza dirompente con la quale, non sempre facilmente, nella lot­ta al capitale, ha messo la dignità umana davanti al profitto.

“Ci sono un miliardo e mezzo di persone nel mondo che non han­no gabinetti – diceva – ecco, se io fossi un imprenditore, mi met­terei a fabbricare gabinetti per i Paesi in cui essi mancano”.

Per la sua immensa produzione, per le sue riflessioni e osserva­zioni sul mondo e per l’indiscu­tibile innovazione del suo pen­siero, nel 2011 VAS Onlus gli conferì il Premio Internaziona­le di ecologia Verde Ambiente.

Per questo e per tanto altro, noi non ce la sentiamo di dirti “Ad­dio, Giorgio”, questo è solo un arrivederci e la testimonianza scritta che il nostro debito nei tuoi confronti sarà la guida per affrontare le sfide del presente e del futuro con coraggio e ancora più determinazione.

P. S. : ricordi di Guido Pollice

“Alle parole e allo scritto di Va­lentina c’è poco da aggiungere. L’esperienza parlamentare per due legislature (alla Camera e poi al Senato) ha orientato il nostro rapporto e la comune vi­cinanza politica. A Giorgio devo il mio impegno ambientalista che dura dal lontano 1991. A lui devo la tenacia, la pazienza, la modestia e soprattutto il sapere.

Tutte le volte che lo chiamavo e, forse, lo disturbavo (troppe volte!!!), chiedevo “c’è il professo­re” – lui mi rispondeva – “non c’è, le passo suo fratello…” e su questo scherzo e gioco iniziava il nostro colloquio quotidiano e mi dava i suoi consigli per ‘navi­gare in questo mare tempestoso ‘. Ciao Giorgio.”

—Verde Ambiente, n. 3, maggio-giugno 2019

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Giorgio Nebbia, colui che risponde sempre al telefono

Nicola Capone e Luigi Piccioni

Giorgio Nebbia è morto: fino alla fine dello scorso anno era stato quotidianamente presente nelle iniziative della Fondazione Micheletti e coi suoi scritti, come sempre acuto, preciso, lucido, con la sua capacità unica di coinvolgere, stimolare, incoraggiare, incitare all’azione e alla ricerca.

Studioso, maestro di generazioni di merceologi, attivista ambientalista, parlamentare ecologista ma soprattutto scrittore e divulgatore prolifico e instancabile, Nebbia è stato una delle grandi firme del giornalismo ambientalista italiano. Il suo ruolo di educatore, in questo senso, è paragonabile soltanto a quello di Antonio Cederna, che non casualmente condivise con lui la decima legislatura alla Camera nel gruppo della Sinistra Indipendente.

Nonostante nell’arco di oltre mezzo secolo Giorgio abbia dato un contributo inestimabile alla crescita di una coscienza ambientale in Italia, non solo il suo ruolo non era affatto esaurito ma la sua scomparsa lascia un vuoto estremamente difficile da colmare. La felicità della sua scrittura, donata sempre in modo assolutamente generoso, la curiosità inesausta e la capacità di trasmetterla in modo contagioso, la capacità di tenere solidamente il filo della memoria tra le varie generazioni di attivisti, lo sguardo critico ma tecnicamente ineccepibile sui rapporti tra tecnologia, produzione, società e ambiente, ne hanno fatto una figura unica in Italia, che non ha chi possa raccoglierne la sfaccettata eredità.

Un grande studioso, un grande attivista, un grande compagno; ma anche un uomo rotondo, affettuoso, di una generosità ineguagliabile. Nelle celebrazioni per il suo novantesimo compleanno, al Senato, nel 2016, Giovanna Ricoveri ne definì efficacemente il profilo come colui che risponde sempre personalmente al telefono, e sempre con gentilezza, attenzione e disponibilità.

Così ci piace ricordarlo.

In nome di queste sue qualità vorremmo – umilmente – cercare di rimanere nell’orma da lui tracciata.

—Greenreport, 5 luglio 2019

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Giorgio Nebbia, l’ecologista giusto

Marinella Correggia

Ricordi. Un uomo di sinistra, ma avanti. Breve storia di un professore che per tutta la vita ha praticato e insegnato un’ecologia utile per tutti, il suo impegno generoso lo ha spinto sempre in prima fila in tutte le lotte ambientaliste

«Il verde, unica fonte, mossa dal Sole, della vita»: in un articolo su l’Extraterrestre di fine 2018, Giorgio Nebbia (morto il 3 luglio scorso) dava un andamento poetico a una constatazione scientifica. Nello stesso periodo, a proposito delle miniere insanguinate, scriveva: «Agli africani il dolore e la fatica del lavoro».

Un tema, quello della violenza umana e ambientale nei processi di produzione scambio e consumo, che egli sviluppò nel testo La violenza delle merci (Ecoistituto del Veneto,1999). Contro un capitalismo sanguinoso e insostenibile, imperialistico e bellicoso, iniquo e distruttivo, l’ecologia poteva essere uno strumento di conoscenza «utile a diffondere la solidarietà internazionale».

Irraggiungibile esempio di ecologista, scienziato, docente, educatore, politico a sinistra, divulgatore del sapere davvero per tutti (con migliaia di articoli, dossier, relazioni), il professor Giorgio Nebbia è stato per molti decenni il crocevia di lotte ma anche di proposte, di studi ma anche di applicazioni. Generoso, gentile e privo di narcisismo, si è messo a disposizione non solo di lotte di carattere nazionale e mondiale, ma anche di una miriade di associazioni, comitati e cause «minori».

Ne davano conto tre anni fa, come di augurio per il suo novantesimo compleanno, diversi ambientalisti, attivisti, studiosi autori del libro collettivo Per Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale, edito nel 2016 dalla Fondazione Micheletti che lo ha avuto come colonna portante della rivista Altronovecento e dell’archivio.

Già da giovane merceologo a metà degli anni 1950 intrattiene contatti internazionali per lo sviluppo delle applicazioni dell’energia solare, in particolare la dissalazione; membro della piccola comunità solare italiana («il futuro è solare»), negli anni 1960 sperimenta distillatori sulla terrazza dell’Istituto di merceologia a Bari e ai giardini Margherita della sua Bologna.

Nel 1972 partecipa, con altri antesignani dell’ambientalismo, alla Conferenza Onu su «Ambiente e sviluppo» a Stoccolma; nello stesso periodo, a Bari, il professore aiuta i comizi dei ragazzi che esigono dai candidati alle amministrative un’agenda di impegno ambientale. Del resto, come spiegherà nel 2015 in un’intervista a Teleambiente, «quando si parlava di problemi ambientali, un povero professore di merceologia sapeva bene che era materia sua, perché nell’ambiente finivano gli scarti» dei cicli produttivi.

Intanto denuncia a mezzo stampa ogni genere di frodi alimentari, riuscendo a provocare interventi di controllo. Nel 1978 è fra i promotori del referendum contro la caccia – che non raggiunge il quorum. E’ in nome della necessità di un «grande movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie portate dalle merci, fra gli esseri umani e la natura», per ispirare le merci ai valori, che Giorgio Nebbia diventa parte attiva in molti conflitti ambientali, rispetto ai quali individua quattro soggetti: inquinatori, inquinato, Stato, scienziati.

Alla fine degli anni 1970 è fra i pochi scienziati antinuclearisti alla conferenza nazionale sulla sicurezza nucleare, a Venezia. Aiuta a strutturare il movimento contro una forma di energia che «non è né economica, né pulita, né sicura». E quanto alle armi nucleari, il suo impegno era sfociato di recente nella proposta di un gruppo di scienziati per lo studio di un mega programma di messa in sicurezza e neutralizzazione dell’arsenale mondiale. Si sarebbe creato lavoro; del resto per Nebbia era imprescindibile trovare alternative occupazionali – oltre alla riduzione dell’orario.

Nel testo Per Giorgio Nebbia si evocano le «migliaia di chilometri percorsi per incontri con comitati, sit-in, marce e tutte le varianti dell’impegno politico dal basso». Partecipa ad esempio alle mobilitazioni nell’alta valle Bormida, avvelenata dall’Acna di Cengio, la fabbrica chimica in provincia di Savona. Anche l’impegno dei cittadini e degli enti locali contro il polo chimico Farmoplant lo vede protagonista, da consigliere comunale a Massa Carrara fra il 1985 e il 1987. Negli stessi anni sostiene la causa ambientalista contro lo scarico in Adriatico dei fanghi al fosforo del petrolchimico di Porto Marghera, proponendo alternative che contribuiscono a spostare parte del sindacato. Sul tema dell’acqua partecipa a gruppi di lavoro, scegliendo come asse l’ecosistema bacino idrografico.

Da parlamentare per due legislature, nel gruppo Sinistra indipendente, «sempre all’opposizione e quindi perdevamo sempre, quasi sempre», si impegna sui temi più svariati (e non sempre perdendo): la legge per la difesa del suolo varata in quegli anni, l’inquinamento da concimi, pesticidi, detersivi, piombo tetraetile e la sicurezza nelle fabbriche. Ma Giorgio nel 2018 ha anche messo su carta il suo sogno, con il saggio fantascientifico (ricco di dati, percorsi e grande speranza) Lettera dal 2100. La società post-capitalistica comunitaria, nel libro di vari autori Alle frontiere del capitale (Jaca Book e Fondazione Micheletti, 2018). «Siamo alle soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e devastanti. L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di conflitti fra paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e vasti territori della biosfera. Vittima della paura e del sospetto, è stata esposta ad eventi meteorologici estremi che si sono manifestati con tempeste, alluvioni, siccità. Con fatica è stato realizzato un mondo in cui le unità comunitarie sono state costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui città diffuse nel territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura è stata di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di materie prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la circolazione di beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal diritto di ciascuna persona ad una vita dignitosa e decente».

—Il Manifesto, 11 luglio 2019

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Un ricordo di Giorgio Nebbia

Claudio Della Volpe

Questo post è basato in piccola parte sui miei ricordi ma soprattutto sulla formidabile intervista fatta a Giorgio Nebbia nel 2016 da Luigi Piccioni e riportata qui; dura quasi tre ore e se avete pazienza è molto interessante, quasi un archivio della cultura e della vita italiana del 900 attraverso gli occhi di un protagonista.

Come tutti i lettori sanno Giorgio è stato redattore anche di questo blog, una delle tante attività che ha svolto nel suo quasi-secolo di vita attivissima. Dunque questo breve ricordo gli è dovuto. Se volete cercare gli articoli con i quali ha contribuito al nostro blog basta che mettiate “Nebbia” nella finestrella in alto a destra, ne troverete decine. Giorgio era stato nominato socio onorario della SCI, su mia proposta, prima del 2010.

Giorgio Nebbia nasce a Bologna nell’aprile 1926, da una famiglia che era però metà toscana e in Toscana rimarrà un pezzo di cuore fra Livorno e Massa, dove il padre aveva costruito, a Poveromo, una casetta delle vacanze, in via delle Macchie.

Ma il sogno piccolo borghese della famiglia impiegatizia di Giorgio dura poco, perché la crisi del 29 fa perdere il lavoro al padre; e segue dunque un periodo di ristrettezze che culmina poi durante la guerra con la morte del padre e il ritorno a Bologna, che era la patria della mamma.

Qui si inizia il percorso universitario di Giorgio, nel primissimo dopoguerra; in un primo momento iscritto a ingegneria e studente lavoratore, conosce per caso colui che diventerà suo mentore, Walter Ciusa, allora associato di merceologia a Bologna, che lo assume come collaboratore del suo lavoro accademico. Giorgio aveva conoscenza dell’inglese, disegnava bene e questo lo rende già un buon collaboratore; in questo periodo Giorgio incontra la chimica analitica e si scopre un buon analista; Ciusa più tardi gli consiglia di lasciare ingegneria ed iscriversi a Chimica; Giorgio si iscrive a Chimica a Bari, dove pensava di riuscire a laurearsi prima e infatti si laurea nel 1949. In un articolo del 2011 lui stesso ci racconta il contenuto della tesi di laurea.

Nei primi del Novecento i perfezionamenti dei metodi di analisi chimica consentirono di separare e caratterizzare numerose sostanze che si rivelarono cancerogene. Si trattava in gran parte di idrocarburi aromatici policiclici, contenenti diecine di atomi di carbonio e idrogeno uniti fra loro in “anelli”. La svolta fondamentale si ebbe con le ricerche condotte negli anni trenta del Novecento da James Wilfred Cook (1900-1975) che preparò per sintesi numerosi idrocarburi policiclici ad alto grado di purezza con cui fu possibile riconoscere il vario grado di cancerogenicità di ciascuno. Il più tossico si rivelò appunto il 3,4-benzopirene, generalmente indicato come benzo(a)pirene per distinguerlo dal benzo(e)pirene (4,5-benzopirene) che ha lo stesso numero di atomi di carbonio e idrogeno, ma disposti diversamente. Negli anni 40 fu possibile anche identificare a quali strutture molecolari era maggiormente associata l’attività cancerogena. Per inciso è stato l’argomento della mia tesi di laurea in chimica nel 1949 nell’Università di Bari e di un successivo libro.”

Il libro è Maria Prato e G. Nebbia, “Le sostanze cancerogene”, Bari, Leonardo da Vinci Editore, 1950, 151 pp.

A questo punto quello che lui stesso descrive come un colpo di fortuna; Ciusa diventa ordinario di Merceologia e lo chiama come assistente a Bologna, a soli 5 giorni dalla laurea. Per la prima volta Giorgio ha un vero lavoro pagato dallo Stato, come lui stesso dice orgogliosamente. Questo ruolo di assistente alla cattedra di merceologia Giorgio lo manterrà per dieci anni fino al 1959.

La merceologia nell’idea di Nebbia è “il racconto di come si fanno le cose”, ereditato da un Ciusa che era a sua volta molto interessato alla storia delle merci ed alla loro evoluzione. Nebbia dunque raccoglie insieme l’eredità culturale del mondo chimico ma anche di quello umanistico , una impostazione a cui rimarrà sempre fedele.

In questi anni il grosso della sua attività di ricerca è dedicato ai metodi della chimica analitica e pubblica anche in tedesco.

Nel 1959 viene chiamato a coprire la cattedra di merceologia a Bari.

Giorgio Nebbia, secondo da sinistra a Bari negli anni ’60, con alcuni collaboratori ed un distillatore solare sul tetto dell’università.

Questo segna un cambiamento nell’indirizzo delle sue ricerche; quelle che gli erano state rimproverate a volte come le “curiosità” o perfino capricci da Ciusa o da altri, entrano con maggiore peso nella sua attività di ricerca; entrano in gioco, l’energia, l’acqua, l’ambiente; rimane l’interesse per le merci e la loro storia tanto che si sobbarca un corso di Storia delle merci provenienti da paesi asiatici, ma la sensibilità per l’acqua, che dopo tutto è una merce basica, per l’energia che è anche una merce (e che merce!) crescono. Di questo periodo mi fa piacere ricordare un articolo brevissimo con cui corresse un altro breve articolo su Journal Chemical Education , 1969, e che riporto qui sotto integralmente. Si tratta di un argomento affascinante e di grande impatto didattico e culturale: chi è più efficiente la Volkswagen o il colibrì?

Nebbia trova un errore nell’ultimo conticino di Gerlach che ne inverte radicalmente il senso.

Come potete vedere la sua conclusione ha un impatto che oserei definire filosofico; l’”unità termodinamica del mondo”; un concetto che condivido totalmente e che sarebbe utile far condividere ai nostri politici più illustri ed ai loro “esperti” che di solito la termodinamica non se la filano molto.

Giorgio Nebbia fine anni 70, era consigliere comunale a Massa e presidente della Società degli Amici di Ronchi e Poveromo. Erano gli anni in cui partecipò alle mobilitazioni contro l’inquinamento generato dalla Farmoplant.

Inizia con gli anni 70 la fase che potremmo definire ambientalista di Nebbia. Gli impegni sui temi dell’acqua, dell’energia, della dissalazione, dei rifiuti si saldano con una visione che di base è cattolica, ma che vira rapidamente verso sinistra.

Dunque di questi anni è l’impegno nella costruzione di associazioni ambientaliste grandi e piccole, di una divulgazione che ha prodotto nel tempo migliaia di articoli che sono conservati con tutto l’archivio dei libri e dati presso la Fondazione Micheletti.

Gli articoli di Giorgio assommano ad oltre 2000; di questi una rapida ricerca su Google Scholar ne fa trovare 450 dei quali articoli di tipo scientifico sono oltre 130. Purtroppo non riuscite a metterli in ordine temporale perchè probabilmente Giorgio non si era mai iscritto a Google Scholar che d’altronde è nato DOPO che lui era andato in pensione; comunque è una lettura utile a scandire la varietà di interessi che si sono susseguiti nel tempo.

Durante gli anni 80 viene eletto due volte in Parlamento per la Sinistra Indipendente prima come deputato nella IX legislatura (1983-87) e poi come senatore nella X (1987-92). Sono gli anni in cui si discute del nucleare e si vota il primo referendum antinucleare (1987) nel quale Giorgio costituisce un punto di riferimento degli antinuclearisti. D’altronde rimarrà tale anche nel corso del secondo referendum , quello del 2011. Quello fu un periodo eccezionale per la chimica italiana ripetto alla politica; erano in parlamento parecchi chimici fra i quali oltre Giorgio vale la pena di ricordare Enzo Tiezzi.

Nel 1995 va in pensione, ma continua la sua attività pubblicistica sia con libri che che sui quotidiani e sulle riviste.

Era stato nominato professore emerito, ed ottenne le lauree honoris causa in scienze economiche e sociali dall’Università del Molise e in economia e commercio dagli atenei di Bari e Foggia.

Personalmente ho conosciuto Giorgio in questa più recente fase della sua vita, perché era iscritto alla lista di discussione sulla merce regina, il petrolio, una lista che era stata messa su da Ugo Bardi quando aveva fondato l’associazione ASPO-Italia, per studiare il picco del petrolio. Non ci siamo mai incontrati di persona ma ci siamo sentiti varie volte; ovviamente non mi era sconosciuto, anzi avevo già letto molte cose scritte da lui fin da studente e mi sentivo un po’ imbarazzato a parlargli così come se fosse uno qualunque.

Giorgio come altri “grandi” che ho conosciuto era di una semplicità disarmante, rispondeva personalmente alle chiamate ed alle mails, non c’era alcun filtro col pubblico.

Aveva scoperto da solo che avevo un mio blog personale, sul quale esponevo le mie idee sullle cose del mondo e ovviamente le nostre idee politiche erano molto consonanti; subito mi propose di conservarne copia; era uno che conservava tutto, faceva copia di tutto; sembra che conservasse anche i biglietti del tram.

Mi battei con successo per farlo nominare socio onorario della SCI e gli proposi di collaborare col nascente blog della SCI; lui aderì con entusiasmo e fece subito varie proposte di successo, come la serie di articoli: Chi gli ha dato il nome? Dedicata a strumenti o dispositivi di laboratorio di cui ricostruì la storia; ed anche un’altra serie di post di successo è stata quella dedicata alla economia circolare; nei quali l’idea di base era che l’economia circolare non è una invenzione recente ma la riscoperta di qualcosa che l’industria chimica ha nel suo DNA.

Era poi una continua risorsa per la ricostruzione della Storia della Chimica nei suoi più disparati aspetti. A partire dalla storia del Parlamento italiano ovviamente e del ruolo che vi avevano avuto chimici come Avogadro e Cannizzaro.

Quando compì 90 anni ebbe una festa par suo, dunque condita di pubblicazioni varie ; la più interessante delle quali è la raccolta di suoi scritti

Un quaderno speciale di Altro900 con scritti di Giorgio si può scaricare da: http://www.fondazionemicheletti.eu/altronovecento/quaderni/4/AltroNovecento-4_Nebbia-Piccioni_Scritti-di-storia-dell-ambiente.pdf

Il testamento di Giorgio:

http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/sm-4014-lettera-dal-2100-2018/

Giorgio ci ha anche lasciato un testamento ed è un testamento particolare, uno scritto che è una sorta di piccolo romanzo di fantascienza ma anche scritto politico, ma anche novella breve ma anche lettera, una lettera dal futuro, la lettera dal 2100 in cui immagina di ricevere una lettera da chi ha vissuto e ormai digerito le gigantesche trasformazioni che stiamo vivendo. Scritta nel 2018 e pubblicata da Pier Paolo Poggio (a cura di), “Comunismo eretico e pensiero critico”, volume V, JacaBook e Fondazione Luigi Micheletti, p. 47-60, ottobre 2018, ve ne accludo qualche brano.

La crisi economica e ambientale dell’inizio del ventesimo secolo è dovuta e esacerbata dalle regole, ormai globalmente adottate, della società capitalistica basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul dogma dell’aumento del possesso e dei consumi dei beni materiali. E’ possibile prevedere — come ci scrivono dall’inizio del XXII secolo — la trasformazione della società attuale in una società postcapitalistica comunitaria in grado di soddisfare, con le risorse naturali esistenti, una popolazione terrestre di dieci miliardi di persone con minore impoverimento delle risorse naturali e con minori inquinamenti e danni ambientali. …….. Nella società comunitaria i bisogni di ciascuna persona vengono soddisfatti con il lavoro a cui ciascuna persona è tenuto, nell’ambito delle sue capacità, nell’agricoltura, nelle industrie e nei servizi….

La inaccettabile differenza fra la ricchezza dei vari paesi, misurata in arbitrarie unità monetarie, che caratterizzava il mondo all’inizio del 2000 ha portato all’attuale revisione delle forme di pagamento delle merci e del lavoro, su scala internazionale, in unità fisiche, legate al consumo di energia, e al numero di ore di lavoro necessarie per ottenere ciascuna merce e servizio. Queste unità sono regolate su scala internazionale da una banca centrale comunitaria……

La transizione ha comportato una grande modifica della struttura dell’agricoltura e delle foreste, la principale fonte degli alimenti e di molti materiali da costruzione….

Ogni persona ogni anno, in media, ha bisogno di alimenti costituiti da circa 300 kg di sostanze nutritive (carboidrati, grassi, proteine animali e vegetali, grassi, eccetera) ottenibili con la produzione di circa 1000 kg/anno, circa 10 miliardi di tonnellate all’anno, di prodotti vegetali e animali. La coltivazione intensiva dei suoli, con forti apporti di concimi e pesticidi, è stata sostituita da coltivazioni di superfici di suolo adatte a fornire principalmente alimenti alle comunità vicine, con la prevalente partecipazione al lavoro dei membri di ciascuna comunità. Venuta meno la proprietà privata dei terreni agricoli si è visto che la superficie disponibile era largamente sufficiente a soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali……

L’altra grande materia naturale essenziale per soddisfare i bisogni elementari umani è costituita dall’acqua: sul pianeta Terra, fra oceani e continenti, si trova una riserva, uno stock, di circa 1.400 milioni di chilometri cubi di acqua; la maggior parte è nei mari e negli oceani sotto forma di acqua salina, inutilizzabile dagli esseri umani; solo il 3 per cento di tutta l’acqua del pianeta è presente sotto forma di acqua dolce, priva o povera di sali, e la maggior parte di questa è allo stato solido, come ghiaccio, nei ghiacciai polari e di montagna; resta una frazione (circa 10 milioni di km3) di acqua dolce liquida che si trova nel sottosuolo, nei laghi, nei fiumi……

Una parte di questo fabbisogno è soddisfatto con l’acqua recuperata dal trattamento e depurazione delle acque usate, sia domestiche, sia zootecniche, grazie ai progressi in tali tecniche che permettono di ottenere acqua usabile in agricoltura e in attività non domestiche; si ottengono anche fanghi di depurazione dai quali è possibile ottenere per fermentazione metano usato come combustibile (contabilizzato come energia dalla biomassa)……

Operazioni che erano difficili quando grandi masse di persone abitavano grandi città lontane dalle attività agricole e che ora sono rese possibili della diffusione di piccole comunità urbane integrate nei terreni agricoli…….

Non ci sono dati sui consumi di acqua nelle varie attività industriali, alcune delle quali usano l’acqua soltanto a fini di raffreddamento e la restituiscono nei corpi naturali da cui l’hanno prelevata (fiumi, laghi) nella stessa quantità e soltanto con una più elevata temperatura (inquinamento termico)……

In particolari casi di emergenza acqua dolce viene ricavata anche dal mare con processi di dissalazione che usano elettricità, come i processi di osmosi inversa.

Dopo il cibo e l’acqua il principale bisogno delle società umane è rappresentato dall’energia che è indispensabile, sotto forma di calore e di elettricità, per produrre le merci, consente gli spostamenti, contribuisce alla diffusione delle conoscenze e dell’informazione e permette di difendersi dal freddo…….

Il programma delle nuove comunità è stato basato sul principio di graduale eliminazione del ricorso ai combustibili fossili, il cui uso è limitato alla produzione di alcuni combustibili liquidi e di alcune materie prime industriali in alcune produzioni metallurgiche, e nella chimica, e di contemporanea chiusura di tutte le centrali nucleari……

L’energia necessaria per le attività umane, 600 EJ/anno è principalmente derivata direttamente o indirettamente dal Sole.

Oggi è stato possibile contenere il fabbisogno di energia dei 10 miliardi abitanti del pianeta a 600 GJ/anno, con una disponibilità media di circa 60 GJ/anno.persona (equivalente a circa 18.000 kWh/anno.persona e ad una potenza di circa 2000 watt), e oscillazioni fra 50 e 80 GJ/anno.persona a seconda del clima e delle condizioni produttive. Questo significa che i paesi con più alti consumi e sprechi sono stati costretti a contenere tali consumi agli usi più essenziali, in modo da assicurare ai paesi più poveri una disponibilità di energia sufficiente ad una vita decente.

Una “società a 2000 watt” era stata auspicata già cento anni fa come risposta al pericolo di esaurimento delle riserve di combustibili fossili e alle crescenti emissioni di gas serra nell’atmosfera…….

Ai fini dell’utilizzazione “umana” dell’energia solare va notato subito che l’intensità della radiazione solare è maggiore nei paesi meno abitati; molti dei paesi che un secolo fa erano arretrati, hanno potuto uscire dalla miseria proprio grazie all’uso dell’energia solare; la società comunitaria ha così potuto contribuire a ristabilire una forma di giustizia distributiva energetica fra i diversi paesi della Terra, realizzando la profezia formulata due secoli fa dal professore italiano Giacomo Ciamician, “i paesi tropicali ospiterebbero di nuovo la civiltà che in questo modo tornerebbe ai suoi luoghi di origine“……..

La struttura economica della società comunitaria richiede molti macchinari e oggetti e strumenti che devono essere fabbricati con processi industriali. Questi sono diffusi nel territorio integrati con le attività agricole e le abitazioni; la loro localizzazione è pianificata in modo da ridurre le necessità di trasporto delle materie prime e dei prodotti a grandi distanze e da ridurre il pendolarismo dei lavoratori fra fabbriche e miniere e abitazioni……

Macchine e merci sono prodotte con criteri di standardizzazione che assicurano una lunga durata e limitata manutenzione. I processi industriali richiedono minerali, metalli, materie estratte dalla biomassa, prodotti chimici, e inevitabilmente sono fonti di rifiuti e scorie.

L’abolizione degli eserciti ha portato ad un graduale declino e poi estinzione delle fabbriche di armi ed esplosivi.

Mentre nella società capitalistica l’unico criterio che stava alla base della produzione industriale era la massimizzazione del profitto degli imprenditori, e tale obiettivo era raggiunto spingendo i cittadini ad acquistare sempre nuove merci progettate per una breve durata, tale da assicurare la sostituzione con nuovi modelli, nella società comunitaria la progettazione dei prodotti industriali è basata su una elevata standardizzazione e su una lunga durata di ciascun oggetto…….

Nella società comunitaria odierna la mobilità di persone e merci è assicurata in gran parte da trasporti ferroviari elettrici, con una ristrutturazione delle linee ferroviarie dando priorità alla mobilità richiesta dalle persone che vanno al lavoro e alle scuole.

Oggi è praticamente eliminato il possesso privato di autoveicoli e il trasporto di persone è assicurato dalle comunità sia mediante efficaci mezzi di trasporto collettivo elettrici, sia mediante prestito di autoveicoli di proprietà collettiva per il tempo necessario alla mobilità richiesta……..

Siamo alle soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e armi sempre più devastanti. L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di conflitti fra paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e vasti territori della biosfera, vittima della paura e del sospetto, è stata esposta ad eventi meteorologici che si sono manifestati con tempeste, alluvioni, siccità.

Fino a quando le “grandi paure” hanno spinto a riconoscere che alla radice dei guasti e delle disuguaglianze stava dell’ideologia capitalistica del “di più”, dell’avidità di alcune classi e popoli nei confronti dei beni della natura da accumulare sottraendoli ad altre persone e popoli.

Con fatica abbiamo così realizzato un mondo in cui le unità comunitarie sono state costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui città diffuse nel territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura è stata di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di materie prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la circolazione di beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal dritto di ciascuna persona ad una vita dignitosa e decente.

Questo è il sogno è il lascito di Giorgio.

Giorgio, grazie di essere stato con noi; questo augurio che ci fai, a noi che restiamo piace; non ti dimenticheremo; che la terra ti sia lieve!

Bibiliografia essenziale.

http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/

—https://ilblogdellasci.wordpress.com/2019/07/22/un-ricordo-di-giorgio-nebbia/

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Addio professore

Elisabetta Galgani

All’età di 93 anni, a luglio, ci ha lasciati Giorgio Nebbia. Pioniere dell’ambientalismo italiano, professore universitario e parlamentare

La sua ultima intervista l’ha concessa proprio a “Nuova Ecologia”. Un cerchio che si è chiuso visto che Giorgio Nebbia, pioniere del movimento ambientalista italiano, professore universitario e parlamentare, è stato fra i primi collaboratori della nostra rivista e membro del comitato scientifico di Legambiente. Negli ultimi mesi Nebbia già stava male e ci chiese, scusandosi, di poter rispondere alle domande via email. Parlava lentamente al telefono perché era stato vittima di un ictus. Accettammo, anche se non eravamo sicuri del risultato. Ci consegnò uno scritto lungo senza neanche un errore di battitura, in cui ragionava di conflitti, ambiente e giustizia sociale. Il suo cervello, all’età di 93 anni, era lucidissimo, nonostante la salute incerta. D’altra parte, le sue prime battaglie da ambientalista le aveva combattute insieme a personaggi del calibro di Antonio Cederna e Laura Conti. “II professor Giorgio Nebbia è stato per molti decenni il crocevia di lotte ma anche di proposte, di studi ma anche di applicazioni – lo racconta così la giornalista Marinella Correggia sul manifesto, il quotidiano con cui più ha collaborato – Generoso, gentile e privo di narcisismo, si è messo a disposizione non solo di lotte di carattere nazionale e mondiale, ma anche di una miriade di associazioni, comitati e cause minori”.

Da ragazzo si era laureato in Chimica e divenne prima assistente all’università di Bologna, poi nel ‘59 professore ordinario di Merceologia alla facoltà di Economia dell’università di Bari. Studiò tutta la vita la scienza delle merci, dedicandosi ad approfondimenti sull’impatto ambientale e l’ecosostenibilità. Nel 1972 partecipò alla conferenza Onu su “Ambiente e sviluppo” a Stoccolma, nel ‘78 fu tra i promotori del referendum contro la caccia. Si distinse sempre come scienziato antinuclearista. Si unì alle mobilitazioni nell’alta valle Bormida, avvelenata dall’Acna di Cengio e alla fine degli anni ‘80 si battè contro lo scarico in Adriatico dei fanghi al fosforo del petrolchimic di Porto Marghera. Intanto “sfornava” numerosi libri, fra i quali L’energia solare e le sue applicazioni (Feltrinelli, 1966), Il problema dell’acqua (Cacucci Editore, 1969), La società dei rifiuti (Edipuglia, 1990), Lo sviluppo sostenibile (Edizioni Cultura della pace, 1991), La violenza delle merci (Ecoistituto del Veneto, 1999). Da parlamentare per due legislature (dall’83 al ‘92), eletto fra le fila degli “indipendenti di sinistra”, si impegnò su diversi fronti: la legge per la difesa del suolo varata in quegli anni, l’inquinamento da concimi, pesticidi, detersivi e la sicurezza nelle fabbriche. Nel ‘95, dopo aver scritto centinaia di articoli per quotidiani come “Il Giorno”, “Il Messaggero”, “L’Unità”, “il manifesto”, divenne professore emerito e ottenne le lauree honoris causa in Scienze economiche e sociali dall’università del Molise e in Economia e commercio dagli atenei di Bari e Foggia. A noi piace ricordarlo con le parole della sua ultima intervista. “La soluzione va cercata nella lezione fondamentale dell’ecologia: da nessun altro corpo celeste, eccetto la Terra, possiamo trarre le cose necessarie per la vita, anche per quella tecnologica degli umani, in nessun altro posto nello spazio possiamo mettere i nostri rifiuti. Viviamo, insomma, sulla Terra come gli astronauti in una navicella spaziale grande, ricca dì foreste, acque, animali, minerali, ma di dimensioni limitate”.

—Nuova ecologia, settembre 2019

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Giorgio Nebbia, profeta dell’ambiente

Mario Salomone

Si è spenta una grande voce della cultura ambientale italiana. Ma resta viva nei suoi scritti e anche in una videointervista. All’età di 93 anni, il 3 luglio 2019, si è spento Giorgio Nebbia, uno dei padri dell’ambientalismo italiano, suscitando il cordoglio di tutta la comunità impegnata nella critica a un modello di sviluppo che ha apportato gravi danni tato agli esseri umani quanto al pianeta. Collaboratore da sempre anche di “.eco”, era autore di migliaia di articoli su giornali e periodici e di molti libri. Per la nostra rivista aveva scritto tra l’altro “Erano andati a sciare”, un volume di dodici suoi racconti scientifici, caratterizzati, come sempre, da uno stile efficace e agile.

Ci ha lasciato Giorgio Nebbia, uno dei padri e delle grandi voci della cultura ambientale italiana. Qualche mese fa il peggioramento delle sue condizioni di salute, come mi aveva detto, lo aveva costretto a interrompere la sua collaborazione settimanale, e altrettanto aveva dovuto fare con l’Extraterrestre, il bel supplemento ecologista del quotidiano “Il Manifesto”. I suoi “racconti” restano sul nostro sito (rivistaeco.it) nella rubrica Tecnica&Ecologia, percorrendo, dall’antichità ai giorni nostri, la storia avventurosa di scienza e tecnologia, con le sue grandi scoperte, ma anche con i suoi grandi problemi sociali e ambientali. Così come ci resta il volume Erano andati a sciare, che in suo ricordo abbiamo reso disponibile gratuitamente sulla piattaforma unica di accesso a tutte le nostre pubblicazioni e resta la sua voce, nella videointervista che gli avevamo fatto in occasione della presentazione del numero 18/2016 di Culture della sostenibilità dedicato a “Teorie e pratiche dell’Antropocene” e che potete trovare sul nostro canale YouTube. Giorgio infatti aveva scritto per noi “L’uomo come modificatore della Terra” come saggio introduttivo del fascicolo. In Erano andati a sciare aveva raccolto dodici racconti inediti, che percorrono la storia della scienza e della tecnologia nella Rivoluzione industriale (il periodo che ormai molti chiamano Antropocene) dai primordi a quella terribile svolta (imposta dalla necessità di arrivare prima di Hitler) che è la scoperta di come scatenare l’immensa potenza della fissione nucleare. Collaboratore da sempre della nostra rivista, anche con i suoi articoli sull’edizione cartacea, Giorgio Nebbia generosamente non si è mai risparmiato e ha messo la sua intelligenza e la sua penna al servizio di decine di testate e di imprese culturali. Grazie Giorgio: in moltissimi ti hanno pianto e ricordato e tutti ti sono grati e non ti dimenticheranno, perché a tutti hai dato molto.

—Eco, settembre 2019

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Addio a Giorgio Nebbia profeta dell’ambiente

Ugo Leone

“Dalla cultura ecologica – scriveva Giorgio Nebbia – trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo”. Il messaggio del grande ambientalista scomparso ai suoi eredi: ritrovare il senso vero dell’ecologia, contro il dilagare del “greenwashing”.

Dopo Gilberto Marselli è toccato a Giorgio Nebbia lasciare un vuoto nella cultura che sarebbe riduttivo definire genericamente ambientalista. Lo dico perché me lo consente l’antica amicizia che ci legava da oltre cinquant’anni. Ci conoscemmo a Napoli alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli studi RAI per partecipare ad un programma televisivo sull’acqua condotto da Aldo Falivena. Per me la cosa sorprendente fu, tra l’altro, che Giorgio se ne stava come me tra il pubblico, non fu invitato ad intervenire e nulla disse, pur avendo molto da dire sull’acqua (e non solo). Poi, da quando nel 1971 andai ad insegnare Geografia all’Università di Lecce, ebbi più volte l’occasione di approfittare di quella amicizia: prima con qualche conferenza nell’Università di Lecce, poi per la partecipazione, nel 1973, al primo dei tre convegni sulla “salvaguardia dell’ambiente nel Mezzogiorno” che negli anni Settanta organizzai presso quella Università. Con Nebbia c’erano, Lucio Gambi, Pietro Dohrn, Marcello Vittorini, Francesco Compagna. Insomma, un bel parterre…

Il PIL indicatore negativo della qualità ambientale: il paradosso di Nauru

L’ecologia entrò in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa volta “dell’ambiente”.

La relazione di Giorgio era su “Compatibilità fra ambiente e sviluppo con speciale riguardo ai problemi del Mezzogiorno”. Cominciò spiegando perché il PIL fosse da intendere come “indicatore positivo di un certo tipo di sviluppo economico, ma un indicatore negativo della qualità ambientale”. E per farlo raccontò, tra l’altro, il paradosso dell’isola di Nauru, in Oceania, dove una piccola comunità di seimila abitanti godeva di un reddito pro-capite superiore a quello degli statunitensi. Ciò perché l’isola di Nauru era un enorme giacimento di minerali fosfatici che i Nauriani esportavano ricavando lauti guadagni. Così facendo, però, i Nauriani vendevano pezzo pezzo il loro territorio, cioè il loro capitale, col risultato, una volta venduta tutta l’isola, di doversi trasferire altrove dal momento che il loro reddito era stato ottenuto “a spese della loro stessa casa, del loro stesso territorio”.

La mancanza di scelte alternative. Che fine ha fatto l’ecologia?

Da questo paradosso Nebbia ricavava che se il PIL è un indice di progresso tale che il suo aumento è accompagnato da una degradazione del territorio, da un inquinamento dell’ambiente, da un impoverimento e peggioramento delle risorse che dobbiamo gestire per conto anche delle generazioni future, “è un indice sbagliato”. Su questo siamo sempre in più a concordare, ma la discussione è rimasta esercitazione verbale, non anche oggetto di scelte alternative del modo di crescere senza compromettere la qualità e l’integrità dell’ambiente. Tanto da indurre Nebbia a chiedersi cinquant’anni dopo (La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 19 gennaio 2016) “Che fine ha fatto l’ecologia?”. Fu solo con la “generazione del Sessantotto” che fu individuata nell’ecologia la bandiera di una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose buone”, pulite. I venditori – osservò Nebbia – non persero tempo ad appiccicare il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”.

Il messaggio di Giorgio Nebbia

Ben presto il potere economico riconobbe che questa gran passione per l’ecologia li costringeva a cambiare i cicli produttivi, a depurare i rifiuti, e a guadagnare di meno e l’attenzione per l’ecologia declinò presto e comparvero nuovi aggettivi più accattivanti come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali da indicare come “buoni”. “Io spero – concludeva Nebbia in una sorta di messaggio ai suoi eredi – che gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza, soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambiente naturale abitato dall’uomo.”

—Eco, settembre 2019

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Addio a Giorgio Nebbia, il nostro prestigioso extraterrestre

L’Extraterrestre

Giorgio Nebbia e l’ExtraTerrestre si stavano simpatici. Molto simpatici. Ogni giovedì, con il giornale in mano, ci telefonava sempre per complimentarsi: «Che bello, bravi! Anche questo numero mi sembra buono». Ci teneva a questa strana creatura, un entusiasmo da farci arrossire. Era un maestro. Poi ci spiegava cosa avrebbe voluto scrivere per il prossimo numero ma soprattutto ci chiedeva cosa avremmo voluto che scrivesse. Aveva anche una rubrica fissa molto seguita – Naturalmente! – ed era sempre il primo ad inviarci il pezzo. Scriveva anche quando stava male, preciso e puntuale. Poi, qualche mese fa, quando le sue condizioni di salute andavano peggiorando, la mail di commiato all’ExtraTerrestre: «Mi dispiace molto rinunciare a quest’appuntamento settimanale ma ogni riga mi costa fatica». Per Et è stata la perdita di una colonna.

La sua erudizione ambientalista era stupefacente, sapeva tutto di risorse naturali, energia, materiali, insomma di tutte «le cose» (le merci) che hanno a che fare con la vita. Ci ha insegnato molte cose. E anche i lettori hanno imparato molto dalle sue gradevoli lezioni. Ciao Giorgio, e che la terra ti sia davvero lieve. Naturalmente!

—L’Extraterrestre, 4 luglio 2019

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Giorgio Nebbia e l’elogio dell’acacia (con le spine)

Teodoro Margarita

Questo pianeta ha necessità di giovani come Greta Thunberg. Esse non possono venire al mondo senza il sostrato ineludibile costituito dagli studi, dalle fatiche puntuali, dalla passione che permea tutta una vita di ricerche che uomini come Giorgio Nebbia hanno condotto. Entusiasmo che contagia, capacità comunicativa, essere un vulcano moltiplicatore delle buone teorie ed idee che a dismisura divulgate possono scatenare movimenti, è la chiave per aggregare e mobilitare, suscitare quel lievito di vita che invoca e può imporre il cambiamento. Giorgio Nebbia in Italia, con Laura Conti, Robert Dumont in Francia, Robert Jungk in Germania, Barry Commoner negli Usa, sono solo alcuni degli scienziati che hanno profondamente smosso il mondo intellettuale ed hanno saputo conquistare per le scienze dell’ecologia un posto di preminenza.

A sua volta, Giorgio Nebbia, si sentiva debitore e parte del contributo di questa nuova koinè internazionale di studiosi che nell’ecologia hanno visto la chiave di svolta per arrestare la catastrofe ambientale, climatica, planetaria, imminente. Ha scritto pagine forti contro quella che definiva «l’ecologia delle contesse», quell’ecologismo da salotto o da pochi presunti illuminati che non sanno cogliere il nesso tra l’impatto anche immediatamente doloroso nella vita degli uomini, degli operai, di noi tutti in quanto consumatori, e quanto sta sconvolgendo con l’immissione di nuove sostanze chimiche cancerogene o comunque pericolose nel nostro cibo, in quello che mangiamo e che respiriamo ogni giorno. Gli sono grato, in modo particolare, per avere ricordato, nella sua rubrica Naturalmente!, Dario Paccino. E’ stato il punto di riferimento di un’area antinucleare ed antimperialista importante in questo paese, quell’area che ha lottato duramente contro la centrale nucleare di Montalto di Castro, che si è battuta contro l’insediamento dei missili a Comiso.

Gli sono grato per un articolo da tenere a mente, un contributo monografico sulle virtù dell’acacia. Se per gli ecologisti da salotto l’acacia è un’essenza «aliena», una infestante da eradicare in quanto non autoctona, Giorgio Nebbia ne ha scritto un’apologia che sentiamo di condividere. Quale sarebbe l’alternativa, su quei terreni abbandonati, attraversati dagli incendi, franati, se non giungessero i semi fertilissimi di questa leguminosa miracolosa? Quanto costerebbe il doveroso rimboschimento? Le acacie, quelle robinie tanto care al Re di Francia ed al suo giardiniere, Jean Robin, e predilette dal nostro Alessandro Manzoni, hanno il pregio di essere , appunto, delle leguminose, quindi di fissare l’azoto nel terreno, di crescere rapidamente, di costituire un mantello vegetale necessario e quindi franare ulteriore erosione, erosione che è colpevole di frane e smottamenti. Giorgio Nebbia ne esaltava tutte queste virtù non trascurando i fiori altamente melliferi, il legname, ottimo per innumerevoli usi. Concludeva, e sorridiamo, che «hanno le spine», e meno male, caro Giorgio, le «contesse ecologiste da salotto» detto senza acrimonia, anzi debbono pur pungersi, e lasciare il posto alle giovani e combattive come Greta Thunberg. Che la terra ti sia lieve, caro Giorgio, vecchia quercia, hai difeso e permesso anche la nascita del nostro pensiero radicale e combattivo nel Fronte degli Orti, te ne siamo grati.

—Il Manifesto, 11 luglio 2019

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Nebbia, il «merceologo» maestro di vita e di movimento

Giuseppe Onufrio

Se in Italia una forte componente dell’ambientalismo ha avuto e ha una base nella cultura scientifica lo si deve anche a Giorgio Nebbia. È stato tra i primissimi a introdurre l’analisi del ciclo delle merci, con una particolare attenzione alla quantificazione e qualificazione degli effetti ambientali, in qualche modo antesignana della moderna Life Cycle Analysis.

Con la precisione del chimico riusciva a dissezionare in modo analitico i temi senza mai perdere però una capacità di lettura complessiva, storica e culturale, che ha sempre contrassegnato la sua cifra.

Era parte del nucleo storico dell’ambientalismo e per me, giovane studente in fisica, fu davvero un incontro importante.

Era l’aprile del 1977: mentre a Bologna il mouvement discuteva le tesi di Toni Negri su Stato e rivoluzione, ci riunivamo a Verona per discutere di nucleare e energie alternative. Con Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri, anche Giorgio Nebbia era coinvolto nella strutturazione del movimento antinucleare, nato in Italia come altrove su impulso anche di personalità del mondo scientifico.

Nel 1981 a Bologna, dove studiavo, con il Comitato per il controllo delle scelte energetiche riuscii a organizzare un convegno contro il nucleare assieme alla Flm. Fu un momento importante: questa combinazione tra una organizzazione antinucleare e il sindacato dei metalmeccanici aveva attirato l’attenzione di Giorgio Bocca e grazie anche all’abilità di Marcello Stecco responsabile stampa del sindacato che scrisse, per la prima volta, un ampio articolo una pagina su la Repubblica dando spazio alle tesi antinucleari espresse da esponenti della comunità scientifica. Certamente l’intervento di Giorgio Nebbia, assieme a quelli di Mattioli, Scalia e De Santis avevano colpito per la forza e la base scientifica degli argomenti.

Così pochi anni dopo, nell’affrontare la tesi di laurea sugli effetti ambientali e sanitari del carbone, gli chiesi di poter essere seguito per una parte merceologica del lavoro, mentre per quelli specificamente fisici il relatore era Enzo De Santis, che ci ha lasciato qualche anno fa.

Era il modo migliore, scrivere una tesi, per poterlo frequentare e «usarne» le competenze e, dunque, per imparare qualcosa. Già: non sono tante le persone da cui davvero si impara qualcosa nella vita e, per me, Giorgio Nebbia è stato tra questi pochi. Come capita, ci siamo poi persi di vista e sentiti pochissimo. L’ultima volta un anno fa: ringraziandolo per la bella recensione del libro su Greenpeace Italia pubblicata in queste pagine aggiungevo due righe per ricordargli quel periodo della tesi e come abbia influito sulla mia formazione. Questo, per fortuna, gliel’ho potuto scrivere, ricevendo una risposta altrettanto affettuosa. Ciao Giorgio.

—Il Manifesto, 4 luglio 2019

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Giorgio Nebbia, ha coniugato il marxismo con l’ecologia

Tonino Perna

Giorgio Nebbia è stato insieme a Laura Conti il fondatore della scienza ecologica in Italia. È inutile pensare di racchiudere in poche righe il grande contributo che ha dato sul piano scientifico e politico al nostro paese, ma vorrei sottolineare la sua capacità di coniugare il marxismo con lecologia che è quello che oggi ci manca per far ripartire una sinistra allaltezza delle sfide del nostro tempo.

Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere Giorgio Nebbia nella sua casa romana nel lontano ottobre del 1983.

Mi aveva chiesto di andare a casa sua perché aveva beccato una brutta influenza e mi ricevette con grande cordialità che mi imbarazzava: io ero un ricercatore di sociologia economica alle prime armi e lui già affermato docente universitario e padre della merceologia «critica», una disciplina che grazie al suo contributo usciva allora dalle secche di una sorta di toponomastica delle merci.

Curò con grande generosità la preziosa postfazione al mio volume Mercanti, Imprenditori, Consumatori: dipendenza e questione alimentare ( F. Angeli 1984) e poi mi mise in contatto diretto con Giovanna Ricoveri, sua grande amica e compagna di viaggio in quella entusiasmante avventura della rivista Capitalismo, Natura, Socialismo che ha dato una grande contributo di analisi e proposte per uscire da questo modello di sviluppo capitalistico distruttivo di risorse umane e ambientali.

Ci mancherei tanto Giorgio ma il tuo grande lavoro non andrà perduto e la sensibilità ambientale delle nuove generazioni lo stanno dimostrando in questi ultimi tempi.

Grazie per tutto quello che hai fatto.

—Il Manifesto, 4 luglio 2019

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L’insegnamento dubbioso di Giorgio Nebbia

Guglielmo Ragozzino

Il compianto Giorgio Nebbia ha studiato a lungo la natura delle merci e il loro impatto sulla Terra, in un dibattito costante tra malthusiani e cornucopia che riguarda ancora il nostro futuro prossimo.

“Gli autori delle indagini sul futuro si possono dividere sostanzialmente in due grandi gruppi. I malthusiani, il cui capostipite è stato Malthus, sostengono che il pianeta Terra non riesce, per quanti sforzi tecnici si facciano, a fornire le risorse naturali da cui trarre cibo, acqua, energia, carta, eccetera – in quantità crescente, adeguata al prevedibile continuo aumento della popolazione mondiale”. Il passo che precede, naturalmente di Giorgio Nebbia, che ci ha lasciato nel mese scorso, non trascura, brevemente, gli aspetti nuovi, intervenuti negli ultimi due secoli: “Malthus allora non lo poteva sapere”. E prosegue: “I cornucopiani, pronipoti di Condorcet e Goodwin, gli autori con cui se la prende Malthus nel suo saggio, sono invece convinti che adeguate strutture politiche e invenzioni siano in grado di rendere disponibile crescenti quantità di beni per una crescente popolazione terrestre a cui è riservato un futuro di abbondanza e di benessere”.

Il futuro di cui si occupa Nebbia è quello del 2025 (si chiama infatti “Duemilaventicinque”, sesto capitolo di “Le merci e i valori Per una critica ecologica al capitalismo” Jaka Book alce nero 2002, il testo che abbiamo saccheggiato); è futuro anche per noi, anche se molto prossimo.

Nebbia scriveva all’inizio di questo secolo; per giocare alla pari, possiamo trasporre al 2040 le sue indicazioni, accompagnate, secondo il suo stile, da molte cifre e molti fatti. Le cifre in realtà cambiano solo nelle virgole. I fatti concreti sono solidi ancora oggi, accompagnati com’erano da studio, approfondimento, buon senso, tolleranza. Nebbia è sicuro di quanto sostiene: ha studiato a fondo, ha discusso, ha provato. Però non mette alla berlina chi la pensa diveramente. In molte occasioni della sua operosa vita si è trovato di fronte un diverso parere; nella controversa questione nucleare con i suoi quasi compagni di partito del Pci (Nebbia era stato eletto parlamentare della “Sinistra indipendente” nel 1983 alla Camera e nel 1987 al Senato); nei contrasti tra popolazione e lavoro, nei conflitti sulle merci, prima e dopo essere prodotte, prima e dopo essere usate. Il Dizionario tecnico- ecologico delle merci (Jaca Book-Fondazione Luigi Micheletti) è uno strumento senza uguali, con un centinaio di voci, da Acciaio a Zucchero. Ecco l’inizio della voce “Detersivi”: “Un filosofo ed economista dell’Ottocento, Karl Marx, scrisse che nella sua (e nostra attuale) società esiste la finzione giuridica che ogni cittadino abbia una conoscenza enciclopedica delle merci. Le etichette dei preparati per lavare offrono un esempio di come i cittadini siano tenuti all’oscuro delle merci, la cui ipotetica conoscenza è davvero una fictio juris. La lettura di tali etichette, infatti, non fornisce alcuna informazione non solo su quello che il preparato contiene, ma ancor meno sull’effetto inquinante di ciascuno”.

Nella lunga e affettuosa intervista di Pier Paolo Poggio a Giorgio Nebbia (contenuta in Il caso italiano – Industria, chimica e ambiente, Jaca Book 2012, pp. 359-372) risalta la netta preferenza di Nebbia per Malthus. Però è ribadita la sua scelta costante, come anche il suo forte impegno di ascoltare e cercare di capire, sempre, Condorcet, Goodwin e i loro distinti seguaci.

Nebbia è deciso e tollerante in un tempo: ha letto e studiato a fondo la questione particolare – per esempio l’energia nucleare – e sa come stanno le cose, assicura. Però la scienza e la storia insegnano che si può sempre sbagliare e in qualche modo, più in là nel tempo, risultare che avessero ragione loro; o quasi. Conta soprattutto studiare (e insegnare), riflettere e agire. Nebbia si occupa a lungo di acqua.

Lo fa con l’aiuto di Gabriella, sua moglie. Non si accontenta di imparare e spiegare ogni aspetto; capisce che il problema principale è la rarità dell’acqua ”dolce” e studia il modo di moltiplicarla con la dissalazione, attuata servendosi di energia a poco prezzo come quella del sole o del mare stesso.

Il racconto autobiografico di Nebbia a Poggio (e a noi lettori, sorpresi e ammirati) parte proprio dalla scuola: studente d’ingegneria nella natale Bologna, è ben presto dirottato nella chimica. Il suo chimico- professore, Walter Ciusa, lo indirizza verso una branca semi trascurata dai maggiori docenti e marginale per gli studi e i fasti accademici di chimica ed economia. Nebbia insegnerà così a Bari “merceologia” per molti decenni, salvo un periodo di nove anni, per due mandati parlamentari.

Lo studio è la “merceologia”, intesa però come conoscenza delle materie e non tanto riguardo al valore di scambio, o di mercato, delle merci. Lo studio delle merci ha due conseguenze nell’università di Nebbia: da un lato riesce per qualche anno a studiare e insegnare i valori d’uso delle merci, dall’altro a spiegare il “dopo”. Cosa avviene di tutta la natura che costituisce la base necessaria e poi lo scarto della produzione – agricola, industriale – delle merci? Le conseguenze, per riassumere, sono di acqua velenosa, suolo compromesso, residui inutili, gas mefitico. Tutto questo rientra, o per dirla in una parola, inquina irrimediabilmente la natura di prima. Inoltre quando la merce ha compiuto il suo ciclo, cosa avviene di essa? La natura – terra, acqua, aria – servirà ancora, senza rimedio, da discarica. Le merci consumate avranno ancora una volta l’effetto di sporcare tutto.

Per imparare, per insegnare tutto questo andirivieni delle merci non basta fare lezioni – anni e anni di lezioni – dalla cattedra di Bari-merceologia. Occorre leggere, imparare, scrivere dove capita, dove qualcuno inviti un pensatore gentile e irriducibile, serve fare campagne, comizi, inventare soluzioni, perfino farsi eleggere deputato e senatore, con i voti del partito comunista che per una buona metà è cornucopiano”, seguace di Condorcet e di Goodwin, sia pure senza saperlo e comunque contrario al reverendo Malthus.

Una specie di conciliazione finale tra Malthus e gli antagonisti la si trova in un recente scritto di Nebbia, nel fascicolo “Terra” 44/2010 di Parolechiave. Gli tocca il compito di scrivere “Ricchezze della terra” e comincia così: “I circa settemila milioni di persone esistenti sulla Terra possono ‘vivere’, cioè mangiare, scaldarsi, muoversi, comunicare, soltanto disponendo di beni materiali che possono essere tratti soltanto dalla Terra. Anche i beni apparentemente immateriali dipendono in gran parte da cose materiali; non è possibile avere felicità, dignità, libertà, se manca il cibo, l’acqua, un rifugio per la famiglia; non è possibile avere salute se non si dispone di acqua potabile, di gabinetti, di fognature, di servizi sanitari…. I beni materiali tratti dalla Terra sono dotati di utilità, di valore d’uso, indipendentemente dal modo in cui sono ottenuti, se in cambio di denaro o gratis; nello stesso tempo chi acquista materiali dalla Terra inevitabilmente è costretto, prima o poi, in una forma o nell’altra, a restituire alla terra quello che le ha sottratto”.

—Sbilanciamoci, 18 luglio 2019

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Addio Giorgio Nebbia, maestro dell’ecologia

Edo Ronchi

Ho conosciuto Giorgio Nebbia nel 1983: ero un giovane parlamentare trentenne e lui pure deputato ma già professore e noto ambientalista cinquantenne. Ora che è morto, ai primi di luglio a 93 anni, mi vengono in mente tanti ricordi: le prime discussioni sull’energia nucleare, quelle più tardi sulla bonifica dell’ACNA di Cengio, i suoi puntuali commenti alle varie edizioni dell’Italia del Riciclo e tanti altri.

Giorgio non era mai generico e superficiale, era sempre aggiornato e competente, ma mai presuntuoso. Io che mi ero accostato a lui come a un maestro, mi sono trovato subito a mio agio, con una persona che, negli anni, è sempre stata cortese e disponibile, specie quando, su qualche specifica questione, non ero in sintonia con lui.

Il contributo culturale della sua laboriosa e lunga attività spero sia più conosciuto e valorizzato. So che, in buona parte, è raccolto presso il Centro di storia dell’ambiente della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia. Vorrei, in suo ricordo, richiamare quello che ritengo fra i suoi più importanti contributi, non sempre compreso appieno nella sua portata: quello relativo al ruolo delle merci sia nella insostenibilità ecologica, sia nel cambiamento verso la sostenibilità .

Nei modelli di economia circolare ha grande rilievo la responsabilità estesa del produttore che coinvolge l’intero ciclo di vita del prodotto. Giorgio Nebbia partiva dal prodotto-merce e proponeva di ricostruire tutta la filiera coinvolgendo il produttore, ma anche il consumatore.

La battaglia contro l’inquinamento chimico di una certa agricoltura che aveva portato alla “Primavera silenziosa” nei campi era più efficace se si partiva dai residui chimici pericolosi per la salute che lasciava negli alimenti venduti ai supermercati, per fare un esempio.

Oppure per affrontare il problema della gestione di una massa crescente di rifiuti – altro tema caro a Giorgio Nebbia- non si potevano ignorare i modelli del consumismo delle merci che li generano. Giorgio è stato fra i primi a proporre l’ecodesign delle merci: di progettare i prodotti per il mercato in modo che generassero meno rifiuti, che fossero di lunga durata, riparabili e interamente riciclabili.

Come studioso delle merci sottolineava il peso del mercato, delle logiche economiche capitalistiche e di breve termine che lo determinano, nel definire caratteristiche di prodotti e di processi produttivi che generano insostenibilità ecologica. Individuato il problema si è già sulla buona strada per la soluzione che sta in modelli ormai affermati di economia mista – di mercato ma con significativo ruolo pubblico – di economia di mercato regolata in modo sostenibile, di meccanismi fiscali utilizzati per internalizzare costi e benefici non pienamente riconosciuti dal mercato e via dicendo.

Attenzione però che queste soluzioni non sono nate dal conformismo del pensiero economico tradizionale, ma, invece, proprio da quello critico, oltre che dalle esperienze di tanti fallimenti ambientali del mercato.

I portatori di pensiero critico come Giorgio Nebbia sono sempre percepiti come spigolosi, raramente sono comodi, spesso sono in dissenso radicale e minoritario. Anche per questo gli sono riconoscente: ben seminato caro Giorgio.

—The Huffington Post, 19 luglio 2019

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La pubblicazione di questo necrologio è stata possibile anche per l’impegno di Tommaso Luzzati, professore dell’Università di Pisa ed editor della rivista scientifica EcologicalEconomics, che si ringrazia.

Giorgio Nebbia (1926–2019)

Franco Ruzzenenti

Giorgio Nebbia fu tra i primi e più importanti ambientalisti italiani, anche se nel suo modo particolare ed eterodosso. Marxista e cattolico, tra il 1983 e il 1992 è stato membro del parlamento per la sinistra indipendente, e come figura politica ha cercato di infondere il pensiero ecologico nei partiti di sinistra, a quel tempo così votati allo sviluppo e alla crescita.

Pur non essendo un membro del Club di Roma, ha combattuto, intellettualmente e politicamente, per diffondere il concetto di limiti alla crescita e ha iniziato a pubblicare già negli anni ’60 sul potenziale conflitto tra uomo e natura nel dominio della tecnologia, la tecnosfera, come la chiamava Giorgio, e dei processi ecologici, la biosfera. Ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di un terreno teorico e politico per conciliare l’economia con l’ecologia, nel quadro di una società più giusta ed equa e con un’attenzione particolare al ruolo della classe operaia in questa tensione.

La giustizia sociale e la riconciliazione ecologica non erano separabili nel pensiero e nell’attivismo di Giorgio. Questa apparente contraddizione, che sta diventando sempre più imminente oggi, è uno dei suoi principali lasciti morali. Ai tempi della fine della storia, quando il conflitto sociale sembrava andarsi placando o almeno diventare meno evidente e l’imminente crisi ambientale attirava l’attenzione nel dibattito pubblico, non si è mai arreso all’idea che il capitalismo alla fine avesse trionfato e sradicato la povertà per sempre, in Occidente e nel resto del mondo. Previde il problema della riduzione della povertà senza combustibili fossili (Nebbia, 2001).

Giorgio Nebbia fu anche un grande scienziato e un precursore dell’incrocio tra scienze sociali e scienze forti. Chimico per formazione, nel 1959 Nebbia divenne professore alla Facoltà di Economia dell’Università di Bariin merceologia, una parola italiana che difficilmente poteva essere tradotta in inglese (commoditology) , una vecchia disciplina (Warenkunde, in tedesco) che studia la produzione, le caratteristiche e l’uso dei beni con un approccio scientifico. Durante tutta la sua carriera accademica ha perseguito l’obiettivo di applicare le leggi fisiche allo studio dell’economia e ha gettato le basi per una solida contabilità fisica dell’analisi economica intersettoriale in un momento in cui questo approccio era nuovo (Physical Input Output Tables, o PIOT).

Come molti scienziati della sua generazione, il suo lavoro e la sua reputazione erano principalmente confinati nel contesto italiano e solo poche pubblicazioni sono disponibili in inglese. Tuttavia, molti studiosi internazionali hanno riconosciuto il suo lavoro fondamentale come uno dei primi studi sulle tabelle degliinpute deglioutput fisici (Giljum and Hubacek, 2001Hoekstra and Van Den Bergh, 2002Allenby, 2002). Il suo primo e unico studio sui flussi di massa globali dell’economia italiana elaborati nel 1995 ha la caratteristica peculiare, forse unica, di incorporare il sistema economico all’interno del sistema biofisico (Nebbia, 2000). Nelle sue tabelle, una voce denominata “Natura” è concepita per bilanciare tutti i flussi di materiale attraverso la matrice economica al fine di soddisfare la legge della conservazione e riflettere l’assunzione e lo smaltimento, da e verso l’ecosistema ospitante. Nonostante sia stato scritto in italiano, questo lavoro è ampiamente citato nella letteratura scientifica e un recente progetto internazionale volto a stimare le tabelle di input-output fisici globali ha dato un riconoscimento al suo contributo (Merciai and Schmidt, 2018).

La perseveranza e la coerenza con cui ha sostenuto la causa ambientale, nonché il rigore scientifico con cui lo ha fatto, sono il suo più grande lascito. In omaggio a lui in occasione del suo 90 ° compleanno, il 10 maggio 2016, si è tenuta una conferenza sulla sua eredità al Senato italiano a Roma. L’evento è stato pubblicato (in italiano) dalla Fondazione Micheletti (Andria et al., 2016), una fondazione che rende disponibili sul suo sito web molti articoli di giornale su questioni ambientali di Nebbia e che è stato usato per scrivere (vedi http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/).

Il 4 luglio 2019, all’età di novantatré anni, Giorgio Nebbia è morto a Roma, in Italia. Noi, come studiosi e come attivisti, siamo grati alla sua lezione, per l’instancabile motivazione che ci ha mostrato e per l’esempio morale e intellettuale da seguire sulla strada del cambiamento, verso una società migliore e sostenibile.

Riferimenti bibliografici:

Allenby, 2002

B. Allenby, Earth systemsengineering and management,IEEETechnol. Soc. Mag., 19 (4) (2002), pp. 10-24

Andria et al., 2016

Andria, et al., Per Giorgio: Ecologia e giustizia sociale,Fondazione Micheletti (2016)

http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/news/dettaglio_news.asp?id=298&pagina=14&filtro=undefined

Giljum and Hubacek, 2001

S. Giljum, K. Hubacek, International Trade, MaterialFlows and Land Use: Developing a PhysicalTrade Balance for the European Union,(2001)

Hoekstra and Van DenBergh, 2002

R. Hoekstra, J.C. Van DenBergh, Structuraldecompositionanalysis of physicalflows in the economy, Environ. Resour. Econ., 23 (3) (2002), pp. 357-378

Merciai and Schmidt, 2018

S. Merciai, J. Schmidt,Methodology for the construction of global multi-regionalhybridsupply and use tables for the EXIOBASE v3 database,J. Ind. Ecol., 22 (3) (2018), pp. 516-531

Nebbia, 2000

G. Nebbia, Contabilità monetaria e contabilità ambientale,Economia Pubblica, 6 (2000), pp. 1000-1029

Nebbia, 2001

G. Nebbia, Twentytwenty-five,Futures, 33 (1) (2001), pp. 43-54

—EcologicalEconomics, Volume 167, gennaio 2020

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La buona battaglia. Ricordo di Giorgio Nebbia

Marino Ruzzenenti

Alcuni incontri segnano profondamente il nostro percorso esistenziale: per me lo è stato quasi trent’anni fa, quello, fortunatissimo, con Giorgio Nebbia. La grande storia, il crollo del muro e del comunismo sovietico, coincideva, sorprendentemente con la mia piccola vicenda individuale: la conclusione di più di un ventennio di impegno politico e sindacale, nel movimento studentesco, prima, nel partito comunista e nella Cgil poi. Si chiudeva una fase di lotte e di profondi cambiamenti sociali sostenuta da una visione del mondo forte, nitida, quale sembrava offrirci la cultura marxista. E si chiudeva con il senso angoscioso di una sconfitta epocale che si stava consumando e con lo smarrimento indotto da strumenti interpretativi che si intuivano ormai inadeguati.

Era facile smarrirsi, in quei frangenti; capitò a molti, forse troppi. Ecco, la mia fortuna fu di incrociare Giorgio Nebbia, che avevo invitato a Brescia a presentare il suo Sviluppo sostenibile, da poco edito. Da quel momento Giorgio mi ha accompagnato, con la sua sempre discreta ma solidissima presenza, fatta di suggerimenti, consigli, stimoli e illuminanti riflessioni.

La ricerca storica, che avevo praticato per un certo periodo da giovane, fu il terreno privilegiato del nostro dialogo, un terreno che mi ha permesso di rielaborare criticamente e positivamente quel passaggio cruciale della storia dell’Occidente nel tramonto del “secolo breve”. Scoprii, con piacere, che Giorgio, di formazione scientifica, chimico, docente di merceologia all’Università di Bari, considerava la dimensione storica come essenziale e ineludibile per la stessa ricerca scientifica e per l’innovazione tecnologica, soprattutto se queste intendono perseguire il bene dell’umanità. Insomma la dimensione storica come ancoraggio di una critica della Tecnica e delle “trappole tecnologiche, come amava definirne i tanti inciampi, che pur contestandone la presunta oggettività, rifuggiva dalle fumisterie filosofiche (da Heidegger al nostro Severino) di una Tecnica assurta ad una sorta di divinità, ormai sottratta al controllo degli umani, di fatto assolti perché “irresponsabili” ed impotenti. La storia era lì a mostrare come il percorso della scienza e della tecnologia, quindi delle merci e della tecnosfera sovrapposta alla biosfera, ha visto e vede protagonisti gli uomini, con le loro curiosità ed intelligenze, ma anche con progetti sociali, meccanismi di potere e con la distruttività che sanno esprimere. La sintonia con un autore che ha testardamente cercato di far conoscere, Lewis Mumford (1895-1990), nasceva proprio da questa visione della tecnica, allo stesso tempo fortemente critica, ma anche fiduciosa: come Mumford pensava che all’attuale era paleotecnica, caratterizzata dalla megamacchina alimentata dai fossili e distruttiva dell’ambiente, potesse e dovesse seguire un’era neotecnica, “meno violenta, più equilibrata, più rispettosa degli esseri umani e delle risorse naturali”. E Giorgio è stato un maestro impareggiabile nell’esaltare i risultati straordinari del percorso della tecnica, ma anche nello scovarne la faccia “nera”, spesso occultata, la “violenza delle merci” verso gli umani e verso la natura. Tra la sua produzione sterminata suggerirei una breve lettura che è in grado più di ogni parola di restituire questa visione della tecnica: la storia della sintesi dell’ammoniaca (http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/sm-3036-haber-la-sintesi-dellammoniaca-2009/). Un italiano di cultura media sa che nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, ma probabilmente ignora che l’anno prima si era verificato un evento altrettanto importante per il futuro dell’umanità, la produzione industriale dell’ammoniaca sintetica, e dunque dei concimi azotati che, insieme alla meccanizzazione, saranno alla base della cosiddetta “rivoluzione verde”, ovvero della moderna agricoltura, con la conseguente crescita imponente della popolazione mondiale, ma anche con l’esasperazione della dipendenza dai combustibili fossili, senza contare che la stessa ammoniaca sintetica alimentò la produzione distruttiva degli esplosivi (la faccia “nera”, “paleotecnica” per l’appunto). Infatti quella sintesi tra l’azoto atmosferico, in quantità pressoché illimitate, e l’idrogeno, non presente libero in natura, -spiega Giorgio- avveniva a partire dalla gassificazione del carbone (o, oggi, del metano), quei fossili tanto prodigiosi, quanto ai giorni nostri, “maledetti”, almeno a parole, per le prospettive dell’umanità sul Pianeta. Nella ricostruzione storica, avvincente come un racconto, e che, come ben si comprende, non è semplice esercizio di memoria, ma provocazione ad affrontare i problemi del presente, Nebbia non tralascia un passaggio fulminante sull’ambiguità della tecnica: l’inventore di quel processo, Fritz Haber, per spirito patriottico con infinita dedizione al Reich tedesco, fu colui che convinse l’esercito germanico ad impiegare per la prima volta l’arma chimica, il gas cloro, ad Ypres sul fronte francese il 22 aprile 1915, con conseguenze letali per migliaia di sprovveduti fanti. “La moglie di Haber, Clara Immerwahr (1870-1915), una chimica anche lei, – ricorda Giorgio- cercò di dissuadere il marito dal barbaro impiego di gas tossici in guerra; quando seppe dell’attacco di Ypres si uccise con un colpo di pistola”. Il paradosso fu che Haber, ultranazionalista, con la salita al potere di Hitler, nel 1933, fu emarginato da ogni incarico, perché di origine ebraica ancorché convertito al cristianesimo, e fu costretto a rifugiarsi all’estero. Insomma, un esempio illuminante dell’intreccio perverso e tragico tra tecnica e potere, dove il medesimo scienziato può operare allo stesso tempo per espandere la vita e per distruggerla.

La storia della tecnica che Giorgio ci insegnò, aveva innanzitutto il pregio di nobilitare una disciplina, poco amata in generale, soprattutto dalle nuove generazioni immerse in una sorta di eterno e inafferrabile presente. I siti industriali inquinati, con il oro carico di potenziale tossico per i cittadini dei dintorni, erano una sua costante preoccupazione: ma come affrontarne la “bonifica” -si chiedeva- se non si ricostruisce con puntiglio la storia di quei siti, le sostanze che vi sono state impiegate, le trasformazioni che queste hanno subito, le emissioni scaricate nelle matrici ambientali? Dunque la storia non è solo un esercizio di rievocazione del passato per soddisfare curiosità conoscitive, ma diventa utile, persino indispensabile per progettare e realizzare una tecnica di risanamento efficace. Ma non solo: la storia praticata da Giorgio Nebbia partiva dalle sue competenze e dai suoi insegnamenti di merceologia, era storia appunto delle merci e, se vogliamo, del complesso metabolismo dell’attività tecnologica umana in rapporto all’ambiente. In questa storia, la scienza, chimica innanzitutto, e la tecnologia, nonché l’economia devono fare i conti con la biologia e con la geologia, ovvero con le risorse naturali. Le merci “non si consumano”, avvertiva sempre Giorgio: sono il risultato di trasformazioni di sostanze ed energia prelevate dalla natura, vengono impiegate, finché utili, poi gettate sotto forma di rifiuti, come rifiuti sono le emissioni di gas, o scorie e acque inquinate dai processi produttivi. Ricomprendere la natura nella storia dell’uomo, quindi nella tecnologia e nell’economia, fu la chiave offertami da Giorgio per rischiarare il confuso smarrimento in cui mi trovavo e per rielaborare criticamente il mio trascorso di impegno sociale e sindacale: concentrati sul miglioramento delle condizioni salariali e dei diritti dei lavoratori ci sfuggiva del tutto che, accanto alle contraddizioni sociali che stavamo combattendo con una certa efficacia, cresceva la contraddizione distruttiva tra l’uomo tecnologico e la natura. Una nuova prospettiva di ricerca e di impegno si apriva, che comunque non rinnegava il meglio della precedente stagione. Va ricordato, infatti, che l’attenzione di Giorgio Nebbia alla questione sociale ha sempre accompagnato l’impegno ambientalista: anzi, ripeteva sempre che il contenimento del degrado ambientale andava perseguito, non tanto per mantenere la biosfera che sopravvivrebbe anche senza l’uomo, ma per consentire a tutti gli umani che abitano il Pianeta una vita decorosa, cosicché giustizia ambientale e giustizia sociale devono procedere di pari passo, inscindibili. E il suo impegno militante si è, dunque, espresso nelle associazioni ambientaliste, come Italia Nostra, ma anche nella Sinistra indipendente, come parlamentare eletto nelle liste del Partito Comunista, tra il 1975 e il 1992. E, come cattolico, ha tanto amato sia l’enciclica sociale di Paolo VI, Populorum progressio, sia l’enciclica ecologica di papa Francesco, Laudato Si’.

Col tempo, quindi, ho avuto la possibilità di conoscere e apprezzare sempre meglio Giorgio Nebbia.

Nelle ricerche che Giorgio mi suggeriva, incappai in una notizia che dà conto dei percorsi a quel tempo del tutto inesplorati della sua ricerca scientifica: siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando il nostro Paese stava intraprendendo la via nucleare nella ricerca di fonti energetiche diverse da quelle dei combustibili fossili, carenti nel sottosuolo nazionale. A Milano verso la fine del 1957, dal 13 al 14 dicembre, si tennero le “Giornate dell’energia nucleare” ed il 15 la “Giornata dell’energia solare”. Ben 18 relazioni dedicate ai reattori nucleari e solo tre al solare, tra cui quella di Giorgio Nebbia sui dissalatori solari dell’acqua marina, che da anni andava sperimentando all’università di Bari, e su cui aveva già pubblicato un saggio nella rivista “La chimica e l’industria” del gennaio 1954. Era, quella intuita da Nebbia ben 65 anni fa, la via alternativa ai combustibili fossili ed alla scorciatoia dell’energia nucleare, via che prefigurava e anticipava uno sviluppo capace di futuro, come sarebbe stato definito quarant’anni dopo quando la crisi ecologica apparve a molti evidente. Ma è interessante notare anche il rapporto con il territorio, la sensibilità sociale del ricercatore che si preoccupa di trovare soluzioni alla sete di acqua dell’assolata Puglia, soluzioni semplici, poco costose, gestibili non solo dal cittadino pugliese, ma anche dalle popolazioni del Sud del mondo. E sempre in omaggio al legame con il territorio nel 1971, molto prima dell’emergenza dell’inquinamento industriale seguita all’evento diossina di Seveso nel 1976, Nebbia tiene la relazione introduttiva al convegno che per la prima volta affronta il tema dell’impatto delle emissioni del grande complesso siderurgico dell’Ilva di Taranto. Percorsi, dunque, da vero pioniere nel conteso nazionale che lo portarono nel 1972 a rappresentare la Città del Vaticano alla prima Conferenza sull’Ambiente convocata dall’Onu a Stoccolma.

Del resto le sue ricerche del tutto originali sul “metabolismo della produzione delle merci”, hanno meritatamente riscosso un’attenzione a livello internazionale: “ha gettato le basi per una solida contabilità fisica dell’analisi economica intersettoriale in un momento in cui questo approccio era del tutto nuovo (Physical Input Output Tables, Piot) [le Piot sono tabelle simmetriche che mostrano i flussi fisici (per tutti i materiali o un sottoinsieme di materiali) dall’ambiente o dal resto del mondo all’economia, quindi all’interno dell’economia e infine dall’economia al resto del mondo. Ndr]. Come scienziato della sua generazione, il suo lavoro e la sua reputazione erano principalmente confinati nel contesto italiano e solo poche pubblicazioni sono disponibili in inglese. Tuttavia, molti studiosi internazionali hanno riconosciuto il suo lavoro fondamentale come uno dei primi studi sulle tabelle di input ed output fisici (Giljum e Hubacek, 2001; Hoekstra e Van Den Bergh, 2002; Allenby, 2002). Il suo primo e unico studio sui flussi di massa globali dell’economia italiana elaborati nel 1995 ha la caratteristica peculiare, forse unica, di incorporare il sistema economico all’interno del sistema biofisico (G. Nebbia, Contabilità monetaria e contabilità ambientale“Economia Pubblica”, n.6, 2000, pp. 1000-1029). Nelle sue tabelle, una voce denominata “Natura” è messa a punto per fare il bilancio di tutti i flussi di materia attraverso la matrice economica al fine di soddisfare la legge sulla conservazione e ricomprendere il prelievo e lo smaltimento, da e verso l’ecosistema ospitante. Nonostante sia stato scritto in italiano, questo lavoro è ampiamente citato nella letteratura scientifica e un recente progetto internazionale volto a stimare le tabelle di input-output fisici globali ha compiuto una ricognizione del suo contributo (Merciai e Schmidt, 2018)”. E’ quanto si può leggere in una significativa commemorazione che, grazie alla sollecitudine del professor Tommaso Luzzati dell’Università di Pisa, è stata pubblicata sulla più importante rivista internazionale del settore, “Ecological economics”, iniziativa peraltro inusuale per la stessa rivista, la cui eccezionalità dimostra la stima internazionale di cui Nebbia gode. (F. Ruzzenenti, Obituary: Giorgio Nebbia (1926–2019). “Ecological economics”, vol. 167,January 2020, 106437).

Con questi importanti ed innovativi lavori di ricerca alle spalle si comprende come abbia accolto con favore ed abbia cercato di divulgare le opere di Georgescu Roegen sulla bioecononia o di Barry Commoner sulla necessità di reinventare una tecnica ed un’economia che tentassero di chiudere il più possibile il cerchio dei flussi fisici in entrata ed in uscita nel sistema produttivo sul modello dei cicli biologici. Così, quando venne nel 1972 pubblicato dal Club di Roma in Italia la ricerca del Mit, I limiti dello sviluppo, Nebbia poteva recepirlo semplicemente come una ulteriore conferma delle sue ricerche e delle sue conoscenze: «A me piacque, -disse in un’intervista rilasciata a Pier Polo Poggio- però lo considerai abbastanza scontato. Dato che la riserva di beni naturali è fisicamente limitata, è ovvio che, se si sottraggono beni dalle riserve della natura, questi, dopo essere stati “merce”, ritornano a contaminare i corpi naturali; così, se si sfrutta la fertilità del suolo, i raccolti diminuiscono […]I favolosi computer del Mit, usati per “scrivere” i grafici del libro del Club di Roma, non avevano fatto altro che riscrivere e rielaborare cose note, ma che in pochi sapevano o ricordavano: i rapporti fra economia, produzione, merci e degrado ambientale». Per questo Giorgio preferiva parlare di “limiti della crescita”, cioè della produzione di merci, che comporta una tendenza al degrado ambientale che non si può azzerare, perché la Natura non offre pranzi gratis, ma che bisogna il più possibile ridurre, innanzitutto abbandonando l’immaginario dell’abbondanza per accontentarsi dell’abbastanza.
A noi della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia infine ha lasciato un’eredità immensa: innanzitutto lo stimolo a percorrere l’impervio cammino della storia ambientale ed in particolare del rapporto tra industria e inquinamento; quindi il vastissimo archivio suo e della adorata moglie Gabriella (http://www.fondazionemicheletti.eu/italiano/documentazione/archivio/dettaglio.asp?id=119&pagina=2); e ancora l’incessante spinta a costruire una sezione generale dedicata agli archivi di studiosi e militanti in campo ambientale, che comprende ormai una trentina di archivi; infine una sua bellissima creatura che ha visto la luce vent’anni fa e che cercheremo di mantenere in vita, la rivista on line “Altronovecento. Ambiente tecnica società”, una miniera di informazioni per chi vuole attingere dall’opera sconfinata di divulgazione scientifica di Giorgio (insieme al suo sito, Il mondo delle cosehttp://www.ilmondodellecose.it/) e per chi vuol capire in profondità le grandi tematiche della crisi ecologica e vuole attrezzarsi per affrontare le sfide che attendono l’umanità (http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/).

Dell’umanità di Giorgio è difficile trovare le parole per rappresentarne giustamente la grandezza: basti ricordare che mai una domanda, una richiesta che gli venisse rivolta anche da un semplice ignoto studente rimaneva senza risposta.

Ci mancherà la sua amicizia, dunque, e la sua guida, ma soprattutto quella sua capacità ineguagliabile di andare a fondo nell’analisi, con un linguaggio volutamente semplice e comprensibile a tutti, per svelare le tante “trappole” della paleotecnica, anche di quella più innovativa. Immagino che lui, di fronte alla martellante enfasi dei mass media sulla recente traversata dell’Atlantico ad “emissioni zero” di Greta sulla barca di Casiraghi, avrebbe considerato con un bonario e d indulgente sorriso le buone intenzioni della ragazza svedese e avrebbe aggiunto qualche considerazione, non certo polemica, ma come pacata riflessione tra sé e sé, e non tanto sui milioni di euro che costa quel mezzo di trasporto non alla portata di tutti, ma sui materiali costruttivi, sui metalli e le fibre speciali, sulle terre rare necessarie per i sofisticati meccanismi ed apparati elettronici, sui costi ambientali ed umani per l’estrazione, la produzione, e domani lo smaltimento, di quei materiali…

Giorgio ci ha lasciato il 3 luglio 2019. Ha voluto che al suo funerale leggessimo insieme dalla Seconda Lettera di Paolo a Timoteo (4,6-8) il suo testamento spirituale:

Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Sì, caro Gorgio, hai davvero “combattuto la buona battaglia”.

—Gli Asini, n. 68, ottobre 2019

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Memoria. Giorgio Nebbia ricordato a Viterbo

Peppe Sini

La sera di venerdi’ 5 luglio 2019 a Viterbo presso il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” e’ stato ricordato Giorgio Nebbia, l’illustre scienziato, docente, parlamentare, amico della nonviolenza deceduto due giorni fa.

La commemorazione e’ stata tenuta dal responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini che ha ricordato con profonda commozione la figura e l’opera di Giorgio Nebbia, recando anche una personale testimonianza delle luminose qualita’ dell’indimenticabile maestro, compagno di lotte ed amico.

Una breve notizia su Giorgio Nebbia

Giorgio Nebbia, nato a Bologna 23 aprile 1926, docente universitario di merceologia, gia’ parlamentare, impegnato nei movimenti ambientalisti e pacifisti, e’ una delle figure di riferimento della riflessione e dell’azione ecologista nel nostro paese. E’ deceduto il 3 luglio 2019. Dal sito di Peacelink riprendiamo la seguente piu’ ampia scheda di alcuni anni fa: “Giorgio Nebbia, nato a Bologna nel 1926, professore ordinario di merceologia dell’Universita’ di Bari dal 1959 al 1995, poi professore emerito, e’ stato deputato e senatore della sinistra indipendente. Giorgio Nebbia si e’ dedicato all’analisi del ciclo delle merci, cioe’ dei materiali utilizzati e prodotti nel campo delle attivita’ umane, agricole e industriali. Nel settore dell’utilizzazione delle risorse naturali ha condotto ampie ricerche sull’energia solare, sulla dissalazione delle acque e ha contribuito all’elaborazione dell’analisi del flusso di acqua e materiali nell’ambito di bacini idrografici. Nel corso delle sue ricerche, di ambito nazionale e internazionale, ha studiato il rapporto fra le attivita’ umane e il territorio, con particolare riferimento al metabolismo delle citta’, allo smaltimento dei rifiuti e al loro recupero, ai consumi di energia. Giorgio Nebbia e’ autore di numerosissime pubblicazioni scientifiche e di alcuni libri divulgativi: L’energia solare e le sue applicazioni (Feltrinelli); Risorse merci materia (Cacucci); Il problema dell’acqua (Cacucci); Sete (Editori Riuniti); La merce e i valori. Per una critica ecologica del capitalismo (Jaca Book). Si e’ occupato inoltre di storia della tecnica ed ha fatto parte di commissioni parlamentari sulle condizioni di lavoro nell’industria. E’ unanimemente considerato tra i fondatori e i principali esponenti dell’ambientalismo in Italia”. Tra le sue molte pubblicazioni segnaliamo particolarmente: Lo sviluppo sostenibile, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; La merce e i valori. Per una critica ecologica del capitalismo, Jaca Book, Milano 2002; cfr. anche: Il problema dell’acqua, Cacucci, Bari 1965, 1969; La societa’ dei rifiuti, Edipuglia, Bari 1990; Sete, Editori Riuniti, Roma 1991; Alla ricerca di un’Italia sostenibile, Tam tam libri, Mestre 1997; La violenza delle merci, Tam tam libri, Mestre 1999; tra le opere recenti: con Virginio Bettini (a cura di), Il nucleare impossibile. Perche’ non conviene tornare al nucleare, Utet Libreria, Torino 2009; Ambientiamoci, Nuovi Equilibri, Viterbo 2011. Si veda anche l’intervista nei “Telegrammi della nonviolenza in cammino” n. 360 (che contiene anche la seguente risposta a una domanda sulla sua biografia: “Sono nato nel 1926 in una famiglia piccolo borghese, ho il diploma di liceo classico, sono laureato in chimica. Dopo la laurea sono stato assunto come assistente di Merceologia, una disciplina che si insegna (sempre meno) nelle Facolta’ di Economia, ho avuto quindi l’occasione di vivere una strana esperienza di una persona di educazione naturalistica fra docenti di cultura umanistica (economisti, storici, giuristi). A 32 anni ho “vinto il concorso” alla cattedra di Merceologia nella Facolta’ di Economia e Commercio dell’Universita’ di Bari dove ho insegnato fino alla pensione, nel 1995. Ho una laurea honoris causa in Discipline economiche e sociali nell’Universita’ del Molise e due laurea in Economia e Commercio delle Universita’ di Bari e di Foggia. Sono stato coinvolto nei movimenti di difesa dei consumatori, di difesa dell’ambiente, nelle lotte contro l’inquinamento, la caccia e l’energia nucleare, nella protesta contro tutte le forme di armi, a cominciare da quelle nucleari, e contro la guerra. Sono stato impegnato nella diffusione delle conoscenze sulle fonti di energia rinnovabili, soprattutto solare, e mi sono impegnato nell’insegnamento del carattere violento di molte tecnologie, di molte macchine, di molte forme urbane. Sono stato candidato ed eletto al Parlamento come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano e ho fatto parte del gruppo della Sinistra Indipendente alla Camera (1983-1987, collegio di Bari) e al Senato (1987-1992, collegio di Brindisi). Mi sono sposato nel 1955 con una donna che mi ha accompagnato per tutto la vita con una presenza silenziosa e continua anche nelle scelte scomode e che e’ morta dopo 54 anni di matrimonio felice nell’agosto 2009. Ho un figlio nato nel 1956, laureato in architettura, impiegato nel campo dell’informatica. Sono un cattolico credente e turbato”).

Con la scomparsa di Giorgio Nebbia perdiamo una delle figure piu’ grandi dell’ambientalismo scientifico e dell’impegno morale, civile e politico per i diritti umani di tutti gli esseri umani e in difesa dell’intero mondo vivente.

Docente universitario, parlamentare, e’ stato un maestro e un compagno di lotte per intere generazioni di militanti per il bene comune dell’umanita’.

E per molti di noi non solo un maestro e un compagno, ma un amico generoso e affettuoso, sollecito e acuto, ironico e paziente, che alle virtu’ della comprensione e della gentilezza univa la fermezza nel bene, l’intransigente opposizione alla menzogna e al male, la solidarieta’ con chiunque di aiuto avesse bisogno.

Con gratitudine che non si estingue lo ricordiamo, e ricordandolo sentiamo il dovere di proseguirne l’impegno, di mettere a frutto quanto ci ha insegnato, di continuarne la ricerca e l’azione.
Ricordando Giorgio Nebbia proseguiamo nell’impegno in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani e in difesa dell’intero mondo vivente.

Ricordando Giorgio Nebbia proseguiamo nel cammino della pace e della giustizia, della solidarieta’ e della responsabilita’, della condivisione e della nonviolenza.

—Telegrammi della nonviolenza in cammino, n. 3439, 6 luglio 2019

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È morto Giorgio Nebbia

Barbara Tartaglione e Lino Balza

Tra i fondatori dell’ambientalismo italiano, della scienza ecologica. Un riferimento umano e politico quale docente universitario, pioniere di ricerche, divulgatore di un numero incredibile di libri e articoli, poderoso archivista, militante infaticabile, sempre disponibile per ogni impegno sociale e politico volto all’ambiente e alla pace, affabile e ironico e di una gentilezza innata. Un maestro capace di coniugare l’ecologismo scientifico con la necessità della giustizia sociale, il rigore tecnico con la spinta utopica, il marxismo e la religione con l’ecologia. Una eredità straordinaria. Un modello esemplare per i giovani.

L’ultimo video è stato in aprile 2016 con collegamento Skype dal liceo di Casale Monferrato sull’amianto: una lectio magistralis. L’ultimo abbraccio fisico è stato in Senato quando, il 10 maggio 2016, abbiamo festeggiato i suoi novant’anni. Gli interventi sono stati raccolti dalla Fondazione Micheletti nel libro “Per Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale”. Ultimamente non rispondeva più al telefono, non ci ha ringraziato per la consueta confezione di biscotti Krumiri, ahimè abbiamo pensato a qualcosa di grave. Ci mancherà la sua amicizia, che ci aveva degnato anche con la prefazione al nostro libro “Ambiente delitto perfetto”, prefazione che da sola vale più delle restanti 500 pagine del volume.

Sono esemplari le sue parole a conclusione del Convegno in suo onore in Senato:

L’unica cosa che ha permeato tutta la mia vita è stata l’amore per qualunque cosa e anche per le persone (Dio mi perdoni, per quasi tutte) che ho incontrato. Qualcuno mi chiede che cosa penso di me e io dico che nella mia esistenza ho avuto due amori (come cantava Josephine Baker), uno è la Gabriella e l’altro la merceologia. Alla Gabriella, che mi ha lasciato alcuni anni fa, devo tutto perché mi ha sostenuto è sopportato per 54 anni di matrimonio felice, sempre vicino a me, sempre silenziosa è discreta, pronta a “fare” le bibliogra?e, a rileggere quello che scrivevo, conosceva l’italiano meglio di me, a correggere le bozze. Poi mi ha regalato un ?glio, Mario, che ora ha 60 anni e che poi si è sposato con un’altra Gabriella e insieme mi hanno dato un altro regalo, mia nipote Silvia. Come vedete la mia vita è stata sempre piena di cose buone. Talvolta mi sono anche arrabbiato, e me ne scuso, ma nell’insieme credo che il ?lo conduttore sia stato la grande ricchezza di amore che ho ricevuto dai miei studenti universitari, dai miei colleghi e amici, dalla mia famiglia. A tutti dico grazie e auguro, con tutto il cuore, una vita bella come la mia. Poi faccio un augurio anche a me stesso, con le parole di Marcello Marchesi, “che la morte mi trovi vivo”. Giorgio Nebbia

—Rete ambientalista, 4 luglio 2019