Introduzione a Nicholas Georgescu-Roegen, “Energia e miti economici”
Il crivello di Eratostene
Nicholas Georgescu-Roegen, l’autore dei saggi qui presentati, fu un singolare personaggio sia sul piano scientifico sia sul piano umano. La sua storia umana è stata raccontata da lui stesso in varie occasioni ((N. Georgescu-Roegen, “An emigrant from a developing country”, BNL Quarterly Review, Nota I, n. 164, p. 3-31 (March 1988); Nota II, n. 184, 3-30 (March 1993)))((N. Georgescu-Roegen, in: ”A biographic dictionary of dissenting economists”, Aldershot, Edward Elgar, 1992, p. 179-187)); notizie biografiche si trovano anche nelle introduzioni di vari libri ((J.C. Dragan e M.C. Demetrescu, “Entropy and bioeconomics. The new paradigm of Nicholas Georgescu-Roegen, Editrice Nagard, European Association for Bioeconomic Studies, Via Larga 9, 20122 Milano, 1986))((N. Georgescu-Roegen, “La décroissance: entropie-écologie-économie”, Paris, Editions Sang de la Terre, 1995, nuova edizione con presentazione di Jacques Grinevald (una prima edizione era stata pubblicata da Editions Pierre-Marcel Farre, Lausanne, 1979). Questa seconda edizione contiene una vasta bibliografia delle opere di, e su, Georgescu-Roegen.)).
Nato il 4 febbraio 1906 a Costanza, in Romania, da una famiglia abbastanza modesta, Georgescu-Roegen mostrò fin da piccolo una grande attitudine e passione per lo studio e per “i numeri”; nella sua autobiografia ricorda con emozione la scoperta, fatta a sette anni, del “crivello di Eratostene”, il ben noto modo per riconoscere i numeri primi, e il sorriso di compiacimento del padre, morto quando il ragazzo aveva appena otto anni. Dopo la licenza liceale, nel 1922 Georgescu-Roegen si iscrisse al dipartimento di matematica dell’Università di Bucharest dove si laureò nel 1926. Subito dopo la laurea ottenne una borsa di studio statale per seguire i corsi di dottorato a Parigi e cominciò a occuparsi di problemi statistici pubblicando i suoi primi lavori scientifici. Nel 1930 ottenne un’altra borsa di studio che gli consentì di studiare in Inghilterra con lo statistico Karl Pearson.
Nel 1932 Georgescu-Roegen fu nominato professore di statistica all’Università di Bucharest, e nel 1934, con un’altra borsa di studio, questa volta della Fondazione Rockefeller poté frequentare, negli Stati Uniti, Cambridge dove lavorò con Schumpeter, Leontief emigrato dall’Unione sovietica, Sweezy, Nicholas Kaldor, il polacco Oskar Lange.
Prima di tornare in Romania, Georgescu-Roegen nel corso del 1933-34 visitò altre università americane dove incontrò fra gli altri Harold Hotelling (che nel 1931 aveva scritto un articolo fondamentale sull’esauribilità delle risorse naturali), Irving Fisher, Milton Friedman. Risale a questo periodo lo studio “The pure theory of consumer’s behaviour” ((N.Georgescu Roegen, “The pure theory of consumer’s behaviour”, Quarterly Journal of Economics, 50, 545-593 (1936))).
Nel 1937 Georgescu-Roegen rifiutò l’offerta di una cattedra negli Stati Uniti e tornò in Romania, pensando che la sua esperienza di studio avrebbe potuto (e dovuto) essere utile al suo paese, un altro tratto della personalità di Georgescu-Roegen che avrebbe caratterizzato anche molte sue scelte successive. L’economia romena stava vivendo un periodo di sviluppo e modernizzazione dell’agricoltura e a questo si dedicò nell’Istituto per lo studio dei cicli economici, da poco creato sul modello di quello che esisteva a Vienna.
Negli anni precedenti e durante la seconda guerra mondiale Georgescu-Roegen fu membro del partito contadino ed ebbe vari incarichi ufficiali: fu delegato alla Commissione per una pace durevole presso la Società delle Nazioni e nel 1938 fu direttore del Ministero del commercio estero, nel turbolento periodo in cui la Romania era contesa, per le sue ricchezze petrolifere, fra la Germania nazista e l’Unione sovietica. Nell’agosto 1944 Bucharest fu occupata dalle truppe sovietiche e Georgescu-Roegen nel 1944-45 fu segretario generale della Commissione romena per l’armistizio.
Nel 1948 Georgescu-Roegen si trasferì negli Stati Uniti; dopo un breve soggiorno ad Harvard, nel 1949 fu nominato professore di economia all’Università Vanderbilt di Nashville, nel Tennessee, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 30 ottobre 1994.
Georgescu-Roegen, il provocatore
I contributi scientifici del periodo americano di Georgescu-Roegen si possono dividere in due parti, quelli di economia, di economia della produzione e di economia agraria, apparsi fino al 1970 e quelli, dopo il 1970, che portarono a far scoprire il loro autore al grande pubblico, almeno nell’ambito del dibattito sull’”ecologia”, e ne fecero il padre di quella che sarebbe diventata una disciplina, o forse una visione del mondo, la “economia ecologica” e la “bioeconomia”.
Gli scritti di carattere economico, matematico e statistico di Georgescu-Roegen sono stati in parte tradotti in italiano ((N. Georgescu-Roegen, “Analytical economics: issues and problems”, Cambridge (USA), Harvard University Press, 1966; traduzione italiana col titolo: ”Analisi economica e processo economico”, Firenze, Sansoni, 1973)) e sono stati analizzati da Zamagni ((S. Zamagni, “Georgescu-Roegen. I fondamenti della teoria del consumatore”, Milano, Etas Libri, 1979. Il libro contiene anche note biografiche e una bibliografia delle opere di Georgescu-Roegen.)) e da altri.
Una delle provocatorie tesi di Georgescu-Roegen è che la produzione agricola e industriale, così come è praticata secondo le “leggi” economiche attuali, non può durare a lungo per motivi fisici. Tale produzione dipende dalla trasformazione della materia e dall’uso dell’energia e l’energia, da qualsiasi parte si prenda, nel corso di ogni trasformazione peggiora sempre di qualità ed è sempre meno disponibile per produrre lavoro utile. Lo afferma il secondo principio della termodinamica: del sistema attraversato dall’energia aumenta sempre l’entropia. Con la legge dell’entropia deve quindi fare i conti qualsiasi teoria della produzione, dello sviluppo e della crescita economici: la legge dell’entropia rappresenta il freno, invisibile nel calcolo monetario, ma sempre in agguato, alla crescita economica.
E il freno dell’entropia energetica è affiancato da un altro freno, rappresentato dal fatto che anche con la qualità della materia dobbiamo fare i conti: nel suo passaggio dalla natura, ai processi di produzione, a quelli di “consumo”, fino a quando viene rigettata nell’ambiente naturale sotto forma di scorie e di rifiuti anche la materia subisce una degradazione, in un certo senso “entropica” anche lei, per la quale Georgescu-Roegen ipotizzò l’esistenza di un “quarto principio” della termodinamica.
Altro che crescita esponenziale, altro che limiti alla crescita, altro che società stazionaria: in ogni caso la crescita economica e materiale è destinata a diminuire perché diminuisce, prima o poi, la quantità dell’energia e della materia disponibili per gli oggetti necessari ai bisogni, continuamente crescenti, degli esseri umani.
La Terra come navicella spaziale
Alla fine degli anni sessanta il problema della insostenibilità della crescita economica era nell’aria: vari autori avevano denunciato che l’impoverimento delle riserve di molte risorse naturali — delle foreste, dei minerali, dell’acqua, dei combustibili, della fertilità del suolo — la congestione urbana, l’inquinamento dell’aria e delle acque, l’avvelenamento degli esseri umani e degli animali, avevano tutti la loro origine nelle “regole” dell’economia, nella idolatria della crescita del prodotto interno lordo, nella divinizzazione del possesso di merci e beni materiali.
L’ecologia spiega bene che la vita “funziona” con cicli chiusi, nei quali la materia e l’energia circolano fra organismi produttori (vegetali), consumatori (animali) e decompositori che ”riciclano” le scorie e ne rendono disponibili gli elementi per la prosecuzione della vita. In stridente contrasto, l’economia è capace di soddisfare i bisogni umani, di far crescere la ricchezza monetaria, soltanto producendo merci e oggetti mediante cicli aperti nel corso dei quali le risorse naturali vengono e restano impoverite e le scorie tornano nella biosfera contaminando e inquinando i corpi riceventi naturali: acqua, aria, mare, suolo, e peggiorandone irreversibilmente la qualità, cioè la successiva utilizzabilità.
Più merci, meno risorse naturali restanti, più scorie che un giorno nessuno saprà dove smaltire. Negli anni sessanta i segni della crisi si potevano riconoscere nel rapido aumento della popolazione mondiale, che aveva raggiunto i 3.500 milioni di persone e continuava ad aumentare in ragione di 80 milioni di persone all’anno, e in una crescita senza precedenti della produzione industriale e dei consumi di merci e di beni materiali, fisici. Un quadro che aveva indotto Galbraith a scrivere il suo libro sulla società dei consumi ((J.K. Galbraith, “The affluent society”, Boston, Houghton Mifflin, 1958, 1969; traduzione italiana col titolo: ”Economia e benessere”, Milano, Edizioni di Comunità, 1959; anche col titolo: “La società opulenta”)).
L’economista Kenneth Boulding (1910-1993) scrisse ((K. Boulding, “The economics of the Spaceship Earth”, in: H. Jarrett (editor), “Environmental quality in a growing economy”, Baltimore USSA), Johns Hopkins Press, 1966, p. 3-14. Si veda anche: K. Boulding, “Fun and games with the Gross National Product”: the role of misleading indicators in social policy”, in: H.W. Helfrich Jr. (editor), “Environmental quality in a growing economy”, Baltimore (USA), Johns Hopkins Press, 1966, p. 3-14. Di Bouldiing si veda anche lo sferzante: “Fun and games with the Gross National Product: the role of misleading indicators in social policy”, in: H.W. Helfrich Jr. (editor), “The environmental crisis. Man’s struggle to live with himself”, New Haven (USA), Yale University Press, 1970, p. 157-170)) che bisognava imparare a comportarsi come gli astronauti che possono trarre le fonti della vita solo dallo spazio limitato della loro astronave e che solo in tale spazio possono immettere i propri rifiuti; anche gli umani viaggiano nello spazio su una nave spaziale Terra – Spaceship Earth – grande, ma di dimensioni non illimitate, dalla quale soltanto possono trarre il cibo e l’acqua e l’ossigeno e i minerali e l’energia necessari, e solo in questa Terra possono scaricare i loro rifiuti. Un giovane economista, Herman Daly, scrisse ((H. Daly, “On economics as a life science”, The Journal of Political Economy, 76, (3), 392-406 (May-June 1968); traduzione italiana in: G. Girone, G. Lagioia e C.Tricase, ”Sulle analogie fra fatti economici e fatti biologici e un dimenticato saggio di Herman Daly”, Annali della Facoltà di economia e commercio dell’Università di Bari, 31, 227-251 (1992))) che bisognava ritrovare le analogie fra i fenomeni biologici e quelli economici e che, per far fronte ai nuovi problemi, occorreva integrare la contabilità economica tradizionale con la contabilità dei flussi fisici delle risorse che le attività umane traggono dalla natura e con i flussi fisici dei rifiuti che alla natura ritornano.
Il comportamento economico, l’aumento della ricchezza monetaria, devono fare i conti, suggerì il biologo Garrett Hardin ((G. Hardin, “The tragedy of the commons”, Science, 162, 1243-1248 (13 December 1968); traduzione italiana col titolo: “La tragedia dei ‘commons’”, Sapere, 70, (710), 4-10 (marzo 1969)), con i limiti della capacità ricettiva (della carrying capacity) della natura: lo sfruttamento eccessivo, da parte di una popolazione in aumento con consumi materiali in aumento, delle risorse naturali distrugge la disponibilità futura di tali risorse e ne peggiora, con l’inquinamento, la utilizzabilità da parte di coloro che verranno dopo di noi.
Insomma bisognava piegare le leggi dell’economia adattandole alle leggi e ai limiti dei processi fisici e biologici: del resto il grande economista Alfred Marshall (1842-1924) aveva scritto, già nel 1898 ((A. Marshall, “Mechanical and biological analogies in economics”, Economic Journal, 8 (March 1898); anche in: A. Marshall, “Principles of economics. An introductory volume”, London, Macmillan, 8a edizione, 1920, p. XVI)), che “la Mecca dell’economista” è rappresentata dall’economia biologica.
Un gran fermento, una nuova attenzione per il futuro dell’umanità, una domanda di riforme di una economia incapace di far fronte ai problemi della scarsità, investirono, nel 1970, i paesi industriali, le università, arrivarono anche ai grandi mezzi di comunicazione: cominciava la breve, ma vivace stagione della “primavera dell’ecologia”, da molti riconosciuta “scienza sovversiva”.
Che fare ?
Nello stesso 1970 Georgescu-Roegen intervenne per la prima volta nel dibattito sulla “crescita” economica con una conferenza tenuta nell’Università dell’Alabama il 3 dicembre di quell’anno. La produzione industriale e l’aumento della ricchezza monetaria sono accompagnati da un impoverimento delle risorse naturali perché dipendono da un continuo flusso di energia: ogni volta che l’energia passa attraverso un processo “economico” di produzione o di consumo, e ci passa sempre, la sua quantità non cambia (per il primo principio della termodinamica), ma inevitabilmente e irreversibilmente peggiora la sua “qualità”.
Per il secondo principio della termodinamica, per la legge dell’entropia, l’energia che attraversa i processi economici, a differenza di quella che attraversa i processi biologici, diventa sempre meno disponibile in futuro, non è più in grado di fornire un servizio uguale a quello che avrebbe potuto fornire all’inizio del processo.
Insomma, ogni volta che produciamo una Cadillac, o una Fiat o una Volkswagen, o qualsiasi altro strumento “esosomatico” con cui aumentare il nostro potere sul mondo circostante, noi distruggiamo irrevocabilmente una quota di e contribuiamo a peggiorare le condizioni di vita attuali e addirittura a diminuire il numero di vite umane del futuro: lo sviluppo economico ottenuto grazie all’abbondanza di beni materiali e merci può essere utile per noi ma, a lungo andare, è contro l’interesse della specie umana nel sui complesso. Ai rapporti e ai vincoli imposti dalla legge dell’entropia ai processi economici Georgescu-Roegen ha dedicato il suo principale libro ((N. Georgescu-Roegen, “The entropy law and the economic process”, Cambridge (USA), Harvard University Press, 1971)), che sarebbe apparso l’anno successivo, nel 1971.
Il principale impegno culturale e scientifico di Georgescu-Roegen, negli ultimi decenni della sua vita è stato rappresentato dal continuo tentativo di spiegare ai suoi colleghi economisti, ma anche ad un più vasto pubblico, che la crescita economica –- l’aumento della produzione di automobili, di conserva di pomodoro, di cemento o di qualsiasi altra “merce” che tale crescita economica accompagna — comporta un impoverimento complessivo del pianeta, una diminuzione della quantità di beni materiali che il pianeta Terra potrà fornire in futuro.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione di “The entropy law” apparve il libro del Club di Roma, “I limiti alla crescita” ((D.H. Meadows, W.W. Behrens, D.L. Meadows e J. Randers, “The limits to growth. A report for the Club of Rome’s project for the predicament of mankind”, New York, Universe Books, 1972; traduzione italiana col titolo: “I limiti dello sviluppo”, Milano, EST Mondadori, 1972. Degli stessi autori si veda anche il volume: “Beyond the limits. Confronting global collapse. Envisioning a sustainable future”, Post Mills (VT, USA), Chelsea Green Publishing Co., 1992; traduzione italiana col titolo: “Oltre i limiti dello sviluppo”, Milano, Il Saggiatore, 1993))(il titolo fu erroneamente tradotto in italiano come “I limiti dello sviluppo”). Sulla base di alcune simulazioni del possibile aumento della popolazione, della produzione agricola e di beni materiali, e del conseguente aumento dell’inquinamento e impoverimento delle riserve di risorse naturali, il libro conclude che se l’umanità non pone dei limiti alla crescita della popolazione e della produzione industriale, cioè alla crescita economica, è destinata ad andare incontro a conflitti, malattie, problemi di scarsità che faranno diminuire la popolazione terrestre.
La salvezza, a parte la necessità di limitare il numero dei commensali al grande banchetto della natura, poteva essere cercata in uno stato stazionario, con produzione e consumi contenuti, come del resto avevano auspicato anche Stuart Mill (1806-1873) ((J.S. Mill, “Principles of political economy”, London, 1848, traduzione italiana sulla seconda edizione, col titolo: “Principi di economia politica”, Biblioteca dell’economista, Torino, 1851; il capitolo: ”Dello stato stazionario”, è il sesto del libro IV.)) e Pigou (1877-1959) ((A.C. Pigou, “The economics of stationary state”, London, Macmillan, 1935)). Restava il problema di come, in uno stato stazionario a livello dell’intero pianeta, avrebbero potuto o dovuto essere distribuite le risorse della natura e i beni da essa ricavati.
Il libro suscitò un gran numero di polemiche: fu lodato da alcuni, deprecato da cattolici e marxisti. Soprattutto fu attaccato duramente dagli economisti che ritenevano inaccettabile mettere in discussione la loro grande divinità: la crescita economica. Una delle risposte più graffianti venne dal prof. Beckerman:
“Nella mia qualità di persona che occupa la seconda più antica cattedra di economia politica dell’Inghilterra, vi garantisco che stasera potrete andare a dormire tranquilli perché, anche se il mondo è tutt’altro che perfetto, non sarà la crescita economica a renderlo peggiore”.
Bravo ! commentò Georgescu-Roegen nel 1972, insistendo sul fatto che lo sviluppo umano non ha niente a che fare con la crescita economica e merceologica. E bravi anche voi che auspicate una società stazionaria ! Neanche questa è la soluzione perché neanche una società stazionaria potrà durare a lungo: lo impedisce la legge dell’entropia. Anche se si realizzasse una società stazionaria, con popolazione, produzione e consumi costanti, la Terra continuerebbe a impoverirsi di energia (e di materia) utilizzabili e continuerebbe a diminuire la capacità della Terra di assorbire, assimilare e disintossicare le scorie del metabolismo industriale e merceologico.
La salvezza potrà venire non da uno stato stazionario, ma da una condizione in cui produzione e consumi, a livello planetaria, diminuiscano. Da qui il titolo “la decrescita” della raccolta francese di saggi curata da Grinevald.
La bioeconomia
Negli scritti di Georgescu Roegen del 1972 compare per la prima volta l’invito a rivoluzionare l’economia trasformandola in “bioeconomia”, ad avviarsi nel cammino verso quella “Mecca”, quella città ideale degli affari sociali e umani, indicata da Marshall.
A Georgescu-Roegen va il merito di avere dato un nome semplice e di avere propagandato con inesauribile energia e vivacità una idea che dovrebbe sembrare intuitiva, di avere offerto esempi concreti di come ci si possa muovere verso una società bioeconomica e di avere criticato e ironizzato le soluzioni che apparivano parziali o insoddisfacenti nei confronti del suo grande progetto.
E le occasioni non mancarono: alla fine del 1973 scoppiava la prima grave crisi energetica, con l’aumento del prezzo del petrolio di dieci e poi di venti volte in pochi mesi: per qualche tempo il petrolio e i prodotti petroliferi scarseggiarono nei paesi occidentali, e una ondata, insieme di paura, ma anche di voglia e speranza di cambiamento, circolò nel mondo. Sembrava che gli avvertimenti del libro del Club di Roma si avverassero e che veramente governi e studiosi si dovessero interrogare sul futuro energetico, della produzione, del consumo, sulla necessità di fare un uso parsimonioso delle risorse naturali scarse, di ricorrere a fonti energetiche e materie rinnovabili come l’energia solare e i prodotti forestali, di riutilizzare gli scarti e di riciclare i rifiuti per recuperare le materie e l’energia che essi “contengono”.
E ancora una volta Georgescu-Roegen interviene per dissipare sogni e illusioni. Non contateci troppo sull’energia solare, almeno nella forma di utilizzazione che veniva allora proposta, principalmente attraverso la trasformazione in calore a bassa temperatura mediante collettori solari, o di trasformazione in elettricità mediante pannelli fotovoltaici. Se fate attentamente i conti vedrete che il calore o l’elettricità che ottenete vengono a costare – non in termini di soldi, o di energia, ma in termini di entropia, molto più di quanto pensiate. I pannelli fotovoltaici sono, insomma, una diversa maniera di dissipare la materia del pianeta, anche se apparentemente fanno risparmiare petrolio o carbone.
Il Sole è la vera fonte di energia per il futuro, ma non per le forme di utilizzazione a cui sono abituate le società industriali, non per le quantità di energia che le società industriali chiedono per far correre le loro automobili, per i loro frigoriferi e lavatrici, i loro aerei supersonici e grattacieli. Ciò dipende essenzialmente dalla diversa “densità”, come disponibilità per unità di superficie e per unità di tempo, delle energie ricavate da fonti fossili o nucleari, rispetto all’energia fornita dal Sole. Un bosco fissa, utilizzando l’energia solare, su una superficie di un ettaro e nel corso di un anno una biomassa con un “contenuto energetico” equivalente a quello di 10 tonnellate di petrolio, la stessa energia che in un anno è richiesta da una casa con una superficie di un centesimo di ettaro.
Ai tassi attuali di prelevamento dell’energia occorrerebbe che ogni casa fosse circondata da un ettaro di bosco: oggi una servitù grandissima ma, quando saremo a corto di petrolio e di gas naturale, ciò che può avvenire nel corso di alcuni decenni, dovremo usare l’energia ottenuta dal Sole sotto forma di biomassa o con nuovi dispositivi tecnici, ridisegnando le nostre città, i nostri modi di trasporto, di abitazione, di lavoro, le nostre merci secondo canoni bioeconomici.
Le regole della bioeconomia spiegano che bisogna mettersi a fare i conti con i grandi processi fotosintetici, con le materie forestali e agricole che la natura “fabbrica” continuamente e che devono essere prelevate con una velocità conforme a quella con cui vengono rese disponibili dai cicli biologici naturali. In molte pagine Georgescu-Roegen rivela la sua conoscenza e attenzione per un’economia basata sui cicli dell’agricoltura e delle foreste, decentrata e diffusa nel territorio, in cui i flussi dei beni materiali umani -– in entrata, e in uscita come scorie — cercano di accordarsi con i grandi cicli biologici.
Ma anche qui state attenti: non solo non è possibile, come sperava Jonathan Swift, far crescere due pannocchie di granturco dove prima ne cresceva una sola, ma non è possibile neanche far nascere, nello stesso campo, una pannocchia di granturco un anno dopo l’altro, senza fine, perché anche il suolo si impoverisce, in ogni passaggio, dei minerali e delle sostanze nutritive necessarie per le piante e le sostanze sottratte solo in parte sono restituite dai cicli produttivi agricoli, così come li conducono gli umani.
Neanche per la materia c’è un diavoletto di Maxwell
E non illudetevi neanche, avverte Georgescu-Roegen, delle prospettive di riciclo delle scorie e dei rifiuti della produzione e dei consumi. Conta non solo l’energia ma anche la materia — “Matter matters too” — e, proponendovi un “quarto principio” della termodinamica, voglio avvertirvi che anche la materia diventa sempre meno disponibile, a mano a mano che la si usa. E ciò soprattutto per il fatto che le merci che entrano nel “processo” di “consumo” sono costituite da materia modificata, contaminata, addizionata con altre sostanze.
Il giornale non è costituito da carta, ma da carta addizionata con inchiostro, ed è del resto l’inchiostro che porta “con sé” le informazioni, le notizie, il servizio reso dal giornale al lettore che lo acquista. Se esistesse un diavoletto di Maxwell capace di separare ogni particella di inchiostro da ogni fibra di carta, alla fine si potrebbe recuperare il 100 % dell’inchiostro e della carta per fare un altro giornale. Ma tale diavoletto, che non esiste per l’energia, non esiste neanche per la materia, per cui, alla fine, ogni processo di riciclo fornisce meno materia di quella presente nei rifiuti trattati e lascia delle scorie inquinanti anche loro. Georgescu-Roegen spiega che le leggi della fisica impediscono la possibilità di un riciclo completo delle merci usate e di uno sfruttamento minerario integrale di qualsiasi roccia.
Negli anni dal 1973 in avanti era tanto grande la speranza di minimizzare i consumi di energia e di riciclare efficacemente le merci usate che una falange di studiosi, in molti paesi, si è dedicata a cercare di capire quanta energia è richiesta in ciascun processo e quanta energia può essere recuperata col riciclo.
Il “costo energetico” delle merci è stato considerato un possibile nuovo indicatore del valore, anche se ben presto gli studiosi si sono trovati di fronte a vari problemi. Ma che cosa si intende per “costo energetico” ? La quantità di energia necessaria per trasformare il minerale di alluminio in un chilo di alluminio ? Ma il minerale che entra nella fabbrica ha avuto una sua storia naturale precedente. Dal 1974 al 1980 ci sono state numerose pubblicazioni sulla possibilità di identificare un costo “naturale” delle merci: un costo in energia, un costo in materie prime. In quegli anni si scoprì l’importanza di una contabilità naturale del flusso di materia e di energia attraverso i “processi” agricoli, industriali, di consumo.
Ma Georgescu-Roegen, ancora una volta, mette in guardia, giustamente, sulle tendenze a prendere per oro colato i “numeri” che le diverse scuole di analisi energetica indicano. Se non ci sono corrette definizioni del “processo” attraversato dall’energia, se non si identificano correttamente i confini di tale processo, se non ci si accorda esattamente sulle definizioni di “contenuto energetico”, di contenuto di energia lorda e netta, si ottengono numeri di scarso significato e la contabilità energetica diventa anch’essa un mito, si riduce a dogma.
Faranno bene a leggere le pagine e gli avvertimenti di Georgescu-Roegen i tanti che oggi si affannano nello studio del ciclo vitale delle merci, cioè della misura della quantità di energia e di materia coinvolta nella produzione e nell’uso, fino alla dispersione finale nell’ambiente, di ciascun oggetto. Si parla dell’analisi del ciclo vitale “dalla culla alla tomba” e addirittura si basa su tali fluttuanti e incerti numeri l’assegnazione di “ecoetichette”, nuovi ipotetici indicatori di maggiore o minore virtù ecologica di un prodotto o di un macchinario.
Amato e deriso
Georgescu-Roegen non ha fatto molto per farsi amare: è stato sferzante nelle sue critiche che hanno raggiunto anche le persone a lui più vicine e affini, quando non erano abbastanza radicali nella fedeltà al suo pensiero.
Gli economisti lo hanno accusato di aver dato eccessiva enfasi all’entropia; i fisici e gli epistemologi hanno criticato certe sue estensioni di un concetto complicato come l’entropia. Il suo “quarto principio” della termodinamica è stato criticato per la mancanza di una formulazione fisico-matematica, senza considerare che rappresenta essenzialmente un avvertimento dell’importanza della massa e delle perdite di “massa utile” che si hanno nella sua trasformazione in merci e oggetti.
I suoi critici hanno messo in evidenza che può esistere una crescita economica, e anche uno sviluppo umano, con meno, con sempre meno, materiali ed energia, che addirittura si vedono già i segni di una società dematerializzata. E che comunque è possibile immaginare una società mondiale sviluppata, i cui consumi di materia e di energia possono essere ridotto di quattro volte, di dieci volte.
Ma anche questa è, alla lunga, una illusione: è certamente possibile sostituire il rame dei fili telefonici con le fibre ottiche, riciclare una parte, anche una grande parte, della carta o del vetro o della plastica, ma una delle fonti della irreversibilità dell’impoverimento delle risorse naturali sta, come si è già accennato, proprio nella qualità merceologica dei consumi umani, nella maniera in cui la materia viene trasformata per diventare oggetto, merce, macchinari — strumenti esosomatici — in grado di fornire servizi. Certo: è possibile introdurre innovazioni tecniche che consentono di sostituire una materia con un’altra, una fonte di energia con un’altra, un campo o un pascolo o una foresta con un altro, da qualche altra parte, ma fino a quando ?
Con questo interrogativo Georgescu-Roegen lascia i suoi lettori, ma li lascia anche con un patrimonio di provocazioni che non sono destinate a smorzarsi: lo dimostra la vivacità delle discussioni fra i suoi “seguaci” e i suoi oppositori. La Fondazione Dragan di Venezia ha creato una Associazione europea di studi bioeconomici, con sede a Milano, Via Larga 9, che ha contribuito a diffondere il pensiero di Georgescu- Roegen (3) e ha organizzato due importanti conferenze internazionali, una a Roma nel novembre 1991 ((J.C. Dragan, E.K. Seifert e M.C. Demetrescu (editors), “Entropy and bioeconomics. First International Conference of the EABS. Proceedings, Rome, 28-30 November 1991”, Nagard. European Association for Bioeconomic Studies, Via Larga 9, 20122 Milano, 1993)) e l’altra a Palma di Maiorca nel marzo 1994 ((J.C. Dragan, M.C. Demetrescu e E.K. Seifert (editors), “Implications and applications of bioeconomics”, 2nd International Conference of the EABS, Proceedings, Palma de Mallorca March 11-13, 1994”, European Association for Bioeconomic Studies, Via Larga 9, 20122 Milano, 1997)).
Vari libri italiani, soprattutto di Romano Molesti ((R.Molesti, “Economia dell’ambiente”, Pisa, IPEM, 1991)) e Mercedes Bresso ((M. Bresso, “Per un’economia ecologica”, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993. Di questa studiosa si veda anche la partecipazione al dibattito a due voci: L. Conti, “Contraddizioni e ambiguità di Georgescu-Roegen”, Capitalismo Natura Socialismo, 2, (4), 98-104 (marzo 1992) e M. Bresso, “Le ambiguità di Laura Conti a proposito di Georgescu-Roegen”, Capitalismo Natura Socialismo, 2, (5), 120-125 (luglio 1992))), sono stati ispirati al pensiero di Georgescu-Roegen. Le due edizioni della traduzione francese degli scritti più “ecologici” di Georgescu-Roegen (3) contengono delle importanti presentazioni e analisi critiche di Grinevald; un intero fascicolo della rivista Ecological Economics ((H. Daly (editor), “The contribution of Nicholas Georgescu-Roegen”, Special Issue, Ecological Economics, 22, (3), 171-312 (1997))) contiene saggi sul pensiero di questo autore e un volume di saggi in onore di Georgescu-Roegen ((K. Mayumi e J.M. Gowdy (editors), “Bioeconomics and sustainability: essays in honour of Nicholas Georgescu-Roegen”, Aldershot, Edward Elgar, 1997.)) contiene ulteriori contributi sul pensiero di questo autore, ancora vivace e provocatore.
Un messaggio disperato ?
Da quanto precede e dalla lettura delle opere di Georgescu-Roegen potrebbe sembrare che il suo sia un messaggio di disperazione: non illudetevi di far viaggiare il pianeta con pannelli fotovoltaici, non illudetevi che il riciclo dei rifiuti vi dia una nuova illimitata fonte di materie scarse, non illudetevi della possibilità che i reattori autofertilizzanti (su cui negli anni settanta erano ancora riposte tante speranze, prima del fallimento del reattore francese a plutonio Superphenix), producano “più energia di quella che consumano”; non illudetevi delle prospettive della fusione nucleare alimentata dall’apparentemente illimitata riserva di deuterio presente negli oceani: la fusione nucleare finora ha funzionato soltanto per le bombe “a idrogeno”, ma si è rivelata un insuccesso per la produzione commerciale di elettricità; non illudetevi delle possibilità di crescita illimitata e non illudetevi neanche che una società stazionaria rappresenti la soluzione dei vostri problemi.
Dovrete abituarvi in un primo tempo ad avere delle automobili più piccole, dei macchinari più razionali, dovrete abituarvi a ricorrere di più e meglio alle risorse rinnovabili dipendenti dal Sole, non tanto dai pannelli solari, quanto piuttosto dalla fotosintesi: foreste e agricoltura razionale potranno soddisfare molti bisogni umani della popolazione mondiale esistente. La bioeconomia di Georgescu-Roegen fa pensare ad una “società biotecnica” di cui aveva parlato, come stadio supremo della comunità umana, già negli anni trenta l’americano Lewis Mumford (1895-1990).
Ma a lungo andare la fabbricazione e l’uso dei giganteschi organi esosomatici rappresentati dalle macchine e da tanti strumenti dovrà essere rallentato e fermato. L’orizzonte di sopravvivenza può estendersi per decenni o secoli, ma sarà tanto più vicino quanto meno faremo attenzione alle trappole tecnico-economiche che ci aspettano. Non ci si illuda, infine, ripete Georgescu-Roegen, che sia il mercato a risolvere problemi economici che sono bioeconomici, che sfuggono all’economia tradizionale, come oggi la si intende.
Non si tratta di un messaggio disperato, ma anzi di un invito alla speranza e al cambiamento: un invito alla ricerca di nuove vie e ad una riformulazione dell’economia. Il lavoro per giovani (e anche vecchi) studiosi è vasto e grande.
Non si tratta soltanto di inventare nuovi processi per utilizzare al meglio le risorse bioeconomiche del pianeta – e ce n’è per intere generazioni di biologi, chimici, ingegneri e economisti che fossero disposti a lavorare insieme – ma di affrontare anche nuove indagini nel campo misterioso del valore delle merci.
Una guida per questo lavoro è rappresentata dall’appello che Georgescu-Roegen, insieme ad altri, lanciò nel corso di una riunione di Dai Dong, una associazione ambientalista e pacifista. La salvezza può venire dalla transizione da una economia dei soldi ad una “economia umana”, dando per scontato che quella dei soldi è poco umana.
Georgescu-Roegen, come del resto avvenne per Kenneth Boulding, altro economista del dissenso, non ebbe il premio Nobel per l’economia. Ma il premio per Georgescu-Roegen viene dalla passione che ha suscitato in quanti lo hanno ammirato e criticato, dalla luce che ha saputo diffondere, pur da una università alla periferia del grande impero americano.