John McPhee, Il controllo della natura, Adelphi, Milano 1995 (ed. or. 1989), pp.311

Il disastro di New Orleans è stato interpretato e discusso principalmente secondo due chiavi di lettura. La prima rimanda agli affetti del cambiamento climatico globale, la seconda si concentra sull’effetto di svelamento determinato dalla catastrofe naturale, essa ci ha fatto conoscere l’altra faccia della democrazia americana. Per chi è convinto che siamo nel tempo storico della crisi ambientale, le due cose sono strettamente intrecciate e interdipendenti; sulla faccia della terra non è possibile separare società e natura, anche se gran parte degli strumenti intellettuali, informativi e formativi prodotti nella modernità hanno perseguito proprio un tale obiettivo che oggi viene brutalmente colpito dalla “pedagogia delle catastrofi”.

Non ci si può non interrogare sugli scenari globali ma l’obiettivo che ci poniamo è di renderli comprensibili partendo da vicende precise, storie, esperienze, ricerche. In questo caso se qualcuno vuol saperne di più sul disastro di New Orleans e sui suoi presupposti storici, è obbligatorio leggere il primo grande capitolo, intitolato “Atchafalaya”, del bel libro di John McPhee tradotto da Adelphi dieci anni fa. Atchafalaya è un ramo del Mississippi, e il protagonista della storia affascinante e illuminante narrata da McPhee (ma tutto il suo libro merita di essere letto o riletto). Riporto le pagine in cui l’autore intervista uno dei massimi esperti della struttura di controllo per la difesa dalle inondazioni del basso Mississippi.

«Raphael Kazmann, l’ingegnere idraulico ora professore emerito alla LSU, mi fece accomodare nel suo studio a Baton Rouge, mi disse di avviare il registratore e spiegò, a proposito del Controllo Old River: “Non vi sono contrasti tra me e il Corpo del Genio; se ho espresso critiche, non vuol dire che ce l’abbia con qualcuno. È un buon progetto, intendiamoci bene, e quei ragazzi sono il meglio. Se non funziona con loro, nessun altro può riuscirci”.

«A ogni modo, non serviva il registratore per raccogliere l’impressione che nessuno ci potesse riuscire. “Laggiù viene dissipata sempre più energia” proseguì Kazmann. “Le esondazioni divengono più frequenti. Con il passare del tempo il livello piezometrico differenziale sarà sempre maggiore. Nel ’73 la struttura fu vicina al collasso, e presto o tardi verrà minata da sotto o aggirata; in qualche modo cederà. Ho moltissimo rispetto per [madre natura] per questo nostro fiume alluvionale. Non voglio essere da queste parti quando accadrà.

Il Corpo, da parte sua, direbbe che questo rischio non lo corre.

Nessuno conosce la data dell’esondazione del secolo. Le previsioni dovrebbero coprire almeno un centinaio di anni. Questo sistema fluviale è estremamente complicato e modificato dall’opera dell’uomo; una previsione su cinquant’anni non è affidabile. I dati hanno perduto il significato originale; è una miscellanea di eventi idrologici e umani. Dall’inizio del secolo, le piene diventano sempre più alte, le magre sempre più basse. Nel Corpo del Genio sono spaventati a morte; non sanno che cosa sta succedendo. È la programmazione del caos: più loro pianificano, più tutto è caotico. Nessuno sa esattamente come andrà a finire”».