La bioeconomia: somiglianze e diversità fra fatti economici e fatti biologici
I molti significati della parola bioeconomia
Da quanto ho potuto ricostruire, il termine “bioeconomia” è stato usato per la prima volta da Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1990) in un saggio del 1972 ((N. Georgescu-Roegen, “Energy and economic myths”, The Southern Economic Journal, 41, (3), 347-381 (gennaio 1975). E’ il testo di una conferenza tenuta nella Yale University l’ 8 novembre 1972. Il testo è riprodotto, con altri lavori, in: N. Georgescu-Roegen, “Energy and economic myths. Institutional and analytical economic essays”, Oxford, Pergamon, 1976, p. 3-36; traduzione italiana col titolo: “Energia e miti economici”, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, p. 39-92 (nota 51). In questo saggio, in nota Georgescu-Roegen aggiunge: “La prima volta che ho visto usare questo termine è stato in una lettera di Jiri Zeman”. Sempre sulla linea dei lavori di Georgescu-Roegen si veda anche: J.G. Strange, “Nature and technology. Bioeconomics”, Graphic Communications Center, Appleton, Wisconsin, 1985, 153 pp.)).In questo lavoro e in tutta la sua opera successiva Georgescu-Roegen suggerisce che le attività economiche devono adattarsi alle leggi dei grandi cicli biogeochimici ed energetici naturali.
D’altra parte il termine bioeconomia è stato usato da alcuni studiosi di economia delle risorse naturali rinnovabili, ad esempio delle risorse viventi del mare ((Cfr., per esempio: Colin W. Clark, “Mathematical bioeconomics. The optimal management of renewable resources”, New York, Wiley, 1976.)), per indicare l’analisi economica delle risorse biologiche.
Nel presente articolo ci si propone di mostrare alcune somiglianze fra i processi economici, in particolare quelli della produzione delle merci, e i processi biologici e come, alla luce di tali analogie, sia necessario rimettere in discussione alcuni principi dell’attuale economia (3).
Contabilità della natura e contabilità economica
Una corretta soluzione dei problemi umani in armonia con i valori della natura può essere cercata osservando che i fenomeni della vita biologica e quelli della vita tecnico-economica in un territorio sono sostanzialmente analoghi, anzi possono essere descritti con lo stesso metodo.
Le analogie fra fatti economici e fatti ecologici vanno al di la’ dell’etimologia. La comune radice delle parole ecologia e economia collega, rispettivamente, la conoscenza e l’amministrazione di ciò che avviene in un oikos, cioè in una comunità, in una “casa”, in un territorio ((Cfr., per esempio: G. Nebbia, “Ecologia/economia”, I Georgofili, [7], 18, 183 – 217 (1971); G. Nebbia, “Economia e ecologia”, Giornale degli Economisti, N.S., 32, (7/8), 435 – 455 (luglio-agosto 1973); G. Nebbia, “L’integrazione fra economia e ecologia”, in: “Scienza e tecnica 83, Annuario della EST”, Milano, Mondadori, 1983, 193-197.)). Tutti e due i campi di indagine, perciò, sono interessati, pur sotto diversi
aspetti, allo scambio e al flusso di materia e di energia in, e attraverso, un territorio. I fenomeni che interessano sia l’ecologia, sia l’economia, infatti, possono essere descritti mediante una contabilità o bilanci che, per il principio di conservazione della massa e dell’energia, devono essere sempre in pareggio.
Entro certi limiti, imposti solo dalla difficoltà delle rilevazioni, gli ecologi effettuano già questa contabilità naturale del flusso di materia e di energia nei territori di loro interesse: un lago, un fiume, un bosco, un terreno coltivato, il mare, l’intero pianeta.
Anche i fenomeni economici — la produzione di merci, i fenomeni di “consumo”, i servizi — si svolgono attraverso lo scambio di beni materiali, fisici, naturali, fra i soggetti economici e l’ambiente. Sfortunatamente l’analisi economica si limita alla misura e alla descrizione degli scambi di merci e servizi che sono accompagnati da scambi di denaro. Qualsiasi “bene” economico che non può essere acquistato o venduto in cambio di denaro esce, pertanto, dal campo di interesse e di indagine dell’economia; la maggior parte degli eventi che hanno luogo sulla Terra o nella vita vegetale e animale sfugge, così, all’analisi economica.
Questa è una delle ragioni del ritardo e dell’insuccesso della scienza economica nel trattare la crisi ambientale, la crisi alimentare, quella delle materie prime e dell’energia, la sovrappopolazione. Tali crisi, infatti, sono associate ai limiti della capacità ricettiva — o carrying capacity — dell’ambiente (una caratteristica ben nota agli ecologi), alla scarsità delle riserve di risorse naturali, eccetera (4).
Un passo avanti per l’avvicinamento dei fenomeni economici a quelli biologici potrebbe essere fatto integrando la contabilità monetaria — cioè la descrizione del flusso di denaro che accompagna alcuni scambi di materia e di energia che avvengono fra i soggetti economici — con una contabilità “naturale”, cioè con la descrizione del flusso di materia e di energia attraverso i processi produttivi, una città, un territorio, uno stato ((I primi che hanno pensato alla contabilità economica ragionavano in termini di contabilità fisica. Su questa base era stato redatto nel 1758 da Francois Quesnay il “Tableau economique”. Ne parla Carlo Marx sia nella “Teoria del plusvalore”, pubblicata come “Storia delle dottrine economiche”, sia nel secondo volume del “Capitale”, quando esamina la circolazione delle merci nel sistema economico. Ad una contabilità in unità fisiche pensarono i primi pianificatori sovietici negli anni venti (Cfr.: N. Spulber (a cura di), “La strategia sovietica per lo sviluppo economico, 1924 – 1930”, Torino, Einaudi, 1970 (L’edizione inglese è’ del 1964)), anche se non riuscirono a fare passi avanti in questa direzione. Nel gruppo degli studiosi sovietici c’era il giovane Wassily Leontief, passato negli Stati Uniti nei primi anni venti, il quale, proprio partendo dagli studi sovietici, elaborò una teoria e una pratica di contabilità economica sotto forma di tabelle intersettoriali, in unità monetarie. I suoi studi sono alla base della contabilità economica nazionale di tutti i paesi e sono valsi a Leontief il premio Nobel per l’economia. Sempre sulla redazione di una contabilità in unità fisiche si veda anche il libro dell’economista polacco Oskar Lange, “Economia politica”, due volumi, Roma, Editori Riuniti, 1970; l’opera, del 1959, è rimasta incompiuta per la morte dell’autore nel 1965.)).
A livello nazionale le tavole degli scambi intersettoriali, che vengono ormai redatte per la maggior parte dei paesi, descrivono gli scambi di denaro associati ad alcune transazioni di materia e di energia fra alcuni soggetti economici. Si tratta ora di redigere altre tavole in cui gli scambi monetari siano accompagnati dagli scambi fisici e di aggiungere, a monte, i flussi di materia e di energia associati a “merci” “acquistate” dall’ambiente naturale (l’aria, l’acqua, o l’energia solare, per le quali non si paga niente), e, a valle, i flussi di rifiuti nell’ambiente, assimilabili alla “vendita” di “merci”, anche se indesiderabili e negative, ai fiumi, all’atmosfera, al mare.
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per l’integrazione della contabilità economica con una contabilità ecologica al fine di misurare le interazioni fra le attività umane e l’ambiente naturale, come per esempio il “funzionamento” di una città o di una regione.
La struttura del sistema delle merci
Qualsiasi fenomeno economico, qualsiasi attività che produce beni o genera servizi, può essere descritto come un flusso di materia e di energia che comincia dall’ambiente, passa attraverso la fabbrica, la singola abitazione, la città, il territorio umanizzato — cioè attraverso ecosistemi modificati dall’uomo o attraverso ecosistemi artificiali — e ritorna, più o meno presto, nell’ambiente ((Per alcune importanti indicazioni in questa direzione si vedano, per esempio: A.V. Kneese, R.U. Ayres e R.C. d’Arge, “Economics and the environment. A materials balance approach”, Johns Hopkins Press, Baltimore, Maryland, 1970; R.U. Ayres, “Resources, environment and economics. Applications of the materials/energy balance principle”, New York, Wiley Interscience, 1978; C.A.S. Hall, C.J. Cleveland e R. Kauffmann, “Energy and resource quality. The ecology of the economic process”, New York, Wiley Interscience, 1986. Cfr. anche: G. Nebbia, “Warenkunde/Merceologia: the unifying ground for economic and natural sciences”, Forum Ware (Ulm), 9, (1/2), 28 – 30 (1981).)).
Tali flussi possono essere indicati secondo le linee della figura 1.
L’esame di tale figura mostra che i flussi associati alla produzione e al consumo delle merci economiche sono sostanzialmente uguali a quelli dei fenomeni biologici. Non a caso Ernst Haeckel, l’ “inventore”, nel 1866, della parola “ecologia”, ha definito la nuova disciplina come la “economia della natura”.
Del resto gli ecologi, quando hanno voluto indicare gli organismi vegetali che “fabbricano” la propria materia organica per via fotosintetica, utilizzando l’energia solare, li hanno chiamati, con un termine squisitamente manifatturiero, organismi “produttori” e hanno chiamato “consumatori”, ancora con un termine preso in prestito dall’economia, gli organismi animali che si nutrono dei produttori o di altri consumatori.
I cicli economici differiscono da quelli “naturali”, biologici, “ecologici”, in quanto funzionano con l’aggiunta di fattori specificamente umani, come il lavoro, la tecnica, l’informazione, che a loro volta incorporano esperienza, memoria e abilità cresciute e conservate attraverso la storia umana. Il “capitale”, cioè l’investimento di denaro necessario per avviare un ciclo produttivo, si potrebbe considerare, in un certo senso, una misura del “valore” dei fattori di conoscenza.
Proviamo ora ad esaminare i flussi descritti nella figura 1 facendo riferimento ad un “processo” che produce merci economiche: il processo che produce ammoniaca in uno stabilimento chimico, oppure un processo composto di varie parti, come quello che fornisce l’acciaio o l’alluminio, o un mobile, o una macchina, o l’insieme dei fenomeni che si svolgono in un campo coltivato o in un bosco da cui si ricava legname. Ciascun processo trae dall’ambiente, senza pagare niente, certi beni fisici — si sono già ricordati l’aria, l’acqua, l’energia solare — che si possono considerare “merci ambientali gratuite”.
Dall’ambiente vengono anche tratte risorse naturali — pietre, minerali, petrolio, carbone, risorse vegetali o animali, eccetera — per le quali si paga un prezzo ad un “proprietario”: il proprietario del campo, del gregge, del terreno nel cui sottosuolo si trovano i combustibili fossili, o lo zolfo, o il marmo, eccetera. Il titolo di proprietà di una risorsa naturale è del tutto convenzionale e arbitrario.
Un processo genera la merci richieste, cioè i “beni” economici; essi sono “venduti” ad altri processi successivi, oppure ai complessi e numerosi settori dei “consumi”; questi possono generare servizi (trasporti, illuminazione, riscaldamento, ecc.), oppure si verificano nell’ambito delle famiglie – le quali, a loro volta, “vendono” lavoro per acquistare tali merci.
Le merci-rifiuti
Insieme alle merci positive, ogni processo genera sempre residui e rifiuti che si possono considerare anch’essi “merci” perché vengono ceduti a qualcuno (ai polmoni dei lavoratori o degli abitanti delle città) o all’aria o a un fiume, o al mare. Se vengono scaricati come tali nell’ambiente — senza pagare niente e, a maggior ragione, senza ricevere alcun prezzo — i residui e i rifiuti possono essere considerati “merci negative” o “mali economici”, in contrapposizione ai “beni” che sono capaci di soddisfare bisogni umani.
Proprio in quanto merci, cioè cose portatrici di materia e di energia, i residui e i rifiuti possono essere sottoposti a qualche processo di trattamento — depurazione, riciclo — per recuperare materiali ancora utili, o energia, oppure per diminuire l’effetto negativo sull’ambiente. Nel caso del riciclo i residui e i rifiuti diventano vere e proprie merci e materie prime — anzi “materie seconde” — economiche e possono fornire merci economiche mediante processi di riutilizzazione.
Ad esempio alcuni processi di teleriscaldamento, di dissalazione o a “energia totale”, “comprano” calore di rifiuto a relativamente bassa temperatura da caldaie o motori. E ancora, dal vetro usato può essere prodotto vetro nuovo, dalla carta straccia può essere prodotta nuova carta, dalle lattine usate può essere prodotto nuovo ferro o alluminio, anche se la qualità merceologica delle merci ottenute da “materie seconde”, cioè dai rifiuti, è in genere più scadente di quella delle stesse merci ottenute dalle materie prime tradizionali ((Cfr., per esempio: G. Nebbia e E. M. Pizzoli, “La normativa e i controlli di qualità delle materie seconde ricuperate”, Acqua e aria, n. 3, 369-372 (aprile 1980))).
Un processo di trattamento, ricupero e riciclo, da parte sua, richiede “merci ambientali gratuite”, merci economiche (prodotti chimici, energia) e, come al solito, oltre alle merci o materie utili, economiche, produce anche residui e rifiuti, anche se diversi, come qualità e come quantità, da quelli lavorati.
Il processo di “consumo”
Se esaminiamo ora, con lo stesso criterio, i processi di “consumo” delle merci — processi che richiedono, anch’essi, merci ambientali (l’ossigeno dell’aria per la combustione dei combustibili e degli alimenti, l’acqua per le operazioni di lavaggio, eccetera) — si vede che qualsiasi merce non viene, come è ovvio, “consumata”, ma si trasforma in qualche altra cosa.
Esattamente come avviene nei processi biologici, anche nei processi di produzione e di consumo una parte delle merci viene incorporata e immobilizzata dentro ciascun processo. E’ il caso del cemento e dei materiali da costruzione, dei mobili, dei libri raccolti nelle biblioteche, delle macchine, eccetera.
Nell’analisi bisogna aggiungere, perciò, un serbatoio o deposito o riserva di merci da cui esse vengono tratte in seguito per andare ad alimentare la produzione dei rifiuti ((Le pietre del Colosseo sono state tratte dalle miniere duemila anni fa e sono state in parte immobilizzate fino ad oggi; in parte sono state rimesse in ciclo quando i papi e i signori del Rinascimento hanno trovato più comodo usare le pietre dei monumenti antichi che estrarre nuove pietre dalla cave. Così ogni merce, ogni oggetto, ha una sua demografia, una sua vita, un invecchiamento, proprio come ogni essere vivente. Addirittura le merci simili si comportano come “popolazioni”, come vedremo più avanti. Per una proposta di contabilità economico-ecologica cfr., per esempio: G. Nebbia, “Le matrici dei rifiuti”, Rassegna Economica, 39, (1), 37-62 (gennaio-febbraio 1975).)).
Confini di tempo e di spazio della contabilità economico-ecologica
Una analisi delle attività economiche in unità fisiche richiede, come l’analisi ecologica e l’analisi economica tradizionale in unità monetarie, delle definizioni. I flussi vanno misurati con riferimento ad un dato periodo di tempo, per esempio ad un anno. Anche qui, però, occorre una certa cautela perché il flusso di molte merci economiche ed ecologiche, positive e negative, varia nei vari mesi dell’anno: si pensi alle variazioni del flusso dell’energia solare e quindi dell’attività vegetativa, oppure alla variazione, nei vari mesi dell’anno, degli alimenti consumati e quindi della composizione dei rifiuti alimentari.
L’analisi di ciascun processo presuppone inoltre una precisazione dei confini territoriali entro cui esso si svolge. Per una fabbrica può trattarsi del muro di cinta, dei tubi di entrata dell’acqua e dei tubi di scarico dei rifiuti liquidi, dei camini degli scarichi gassosi. Il processo considerato può svolgersi dentro i confini di una abitazione, di un edificio, di un campo coltivato, di una regione geografica, di uno stato. Se ci si propone di studiare le interazioni fra attività umane e territorio, forse la dimensione territoriale ottimale è quella del bacino idrografico ((G. Nebbia, “Il bacino idrografico come unità economico-ecologica”, Quaderni del Sile (Treviso), 3, (16), 48-51 (dicembre 1982); G. Nebbia. “I bacini idrografici come unità di analisi economico-ecologica”, in: “La risorsa fiume”, Il Lavoro Editoriale, Ancona, 1983, p. 26-34.)).
Con buona approssimazione di può ritenere che quanto avviene dentro un bacino idrografico —- inteso come spazio superficiale e sotterraneo delimitato dallo spartiacque, ma comprendente anche l’atmosfera sovrastante — ricade nel bacino stesso. I flussi di materia e di energia entro un bacino idrografico hanno la direzione del flusso dell’acqua verso il fondo valle. E’ ragionevole considerare che la risultante delle trasformazioni di tutte le merci ecologiche e delle merci economiche finisca nel fiume contenuto nel bacino e che le relative acque “esportino” fuori dal bacino, “vendendoli” a un altro fiume o al mare, i prodotti di trasformazione.
In questa maniera si possono analizzare, per esempio, i fenomeni di estrazione di sabbia e ghiaia — merci ambientali economiche — dal greto dei fiumi, il rapporto fra la quantità di sabbia — questa volta merce ambientale gratuita — trasportata dal fiume nel mare e le variazioni delle spiagge e dei litorali.
7. Una contabilità delle merci e dei rifiuti
La descrizione dei flussi di materia e di energia nei sistemi merci-territorio deve avvenire in una forma che sia trattabile con metodi matematici. Una matrice quadrata (figura 2) potrebbe contenere i flussi di materia e di energia descritti nella figura 1.
Tale matrice è sostanzialmente simile alla matrice intersettoriale dell’economia (in unità monetarie) ((Si vedano le stimolanti osservazioni contenute in: N. Georgescu-Roegen, “The entropy law and the economic process”, Harvard University Press, Cambridge, 1971, specialmente nel paragrafo 13 del capitolo IX, e in: R.E. Overbury, “Features of a closed-system economy”, Nature, 242, 561 – 565 (27 aprile 1973) e 243, 554 – 555 (29 giugno 1973).)); quest’ultima contiene, però, gli scambi che hanno luogo soltanto in alcuni dei settori compresi nella più vasta matrice della figura 2.
Ciascuna delle merci considerate nella figura 2 circola più volte e ogni volta interferisce con l’ambiente naturale sotto forma di perdite, di rifiuti, di trasporti, e così via. Ad esempio: la materia contenuta nel petrolio greggio, arrivato nei porti, entra una prima volta nelle raffinerie
e ne esce sotto forma di benzina, olio combustibile e altri derivati. Passa poi ai distributori e poi al “consumo”; nel “consumo” si trasforma, usando ossigeno “acquistato” dall’aria (merce ambientale gratuita) in anidride carbonica, ossido di carbonio, derivati dello zolfo, ossidi di azoto, vapore acqueo, polveri, e molti altri composti. Questi rifiuti finiscono nell’ambiente in quantità superiore, come peso, al peso della materia entrata nel sistema economico: 1 kg di idrocarburi, ad esempio, genera circa 4,5 kg di anidride carbonica e acqua.
Nella contabilità economica in unità monetarie la ripetizione del passaggio di denaro da un settore all’altro è evitata con l’artifizio del “valore aggiunto” che consente di indicare il trasferimento soltanto dell’aumento di ricchezza, ma lascia sfuggire il valore totale della ricchezza in circolazione.
La quantità totale di beni fisici che attraversa un sistema economico — e quindi il relativo effetto ambientale — è, invece, approssimativamente, proporzionale alla differenza fra il “fatturato” e il “valore aggiunto” e tale differenza, in unità monetarie, è circa il doppio del “valore aggiunto”.
Se poi si volesse sapere dove vanno a finire — cioè in quali settori dell’ambiente — aria, acqua, mare, suolo, eccetera — i rifiuti di ciascuna attività produttiva bisognerebbe ricorrere a una qualche forma di “matrice cubica”.
Sarebbe così possibile riconoscere se l’immissione di anidride solforosa nell’aria è dovuta maggiormente alle centrali termoelettriche o agli impianti di riscaldamento, se l’immissione del piombo nell’ambiente è dovuto più al traffico automobilistico o alle raffinerie di piombo, eccetera.
Nuovi indicatori del valore
Per poter avere risultati ancora più utili e significativi occorrerebbe predisporre, per ciascun processo o sistema economico, almeno tre matrici — del tipo schematizzato nella figura 2 — parallele fra loro e contenenti gli scambi intersettoriali, rispettivamente, in unità di peso, in unità di energia e in unità monetarie. La divisione dei valori, settore per settore, permetterebbe di ottenere grandezze di qualche interesse pratico.
Per esempio il peso di merci corrispondente ad una unità di valore del fatturato di un processo o del prodotto interno lordo, offrirebbe una misura del contenuto “fisico” di ciascuna lira di valore monetario.
Lo stesso dicasi per la quantità di energia per unità di fatturato o di valore aggiunto, una grandezza, quest’ultima, a cui già talvolta si ricorre anche oggi. Si potrebbe ugualmente misurare la quantità di energia richiesta per produrre una unità di peso di una merce, una grandezza che corrisponde al “costo energetico” o alla quantità di energia “incorporata” nella merce ((Per una breve storia del concetto di “costo energetico” delle merci cfr., per esempio, G. Nebbia, “Introduzione” a P. Chapman, “Il paradiso dell’energia”, Milano, CLUP, 1982, p. 7-22.)).
O ancora dalla divisione fra le matrici del valore monetario, del valore in peso, e del valore energetico si potrebbe misurare la quantità di rifiuti associati alla produzione di una unita’ in peso o di una unità di valore monetario di una merce, qualcosa che si potrebbe chiamare “costo ambientale”.
In altre parole il valore monetario delle merci può essere correlato con altre unità di misura del “valore” associate a grandezze fisiche e quindi definite in termini “naturali”.
I problemi da risolvere
La preparazione di matrici degli scambi intersettoriali, misurati in unità fisiche, che hanno luogo in un sistema economico e territoriale è un compito difficile. Finora sono state compilate contabilità in unità fisiche soltanto nell’ambito di pochi singoli e semplici processi produttivi ((Nel Canada era stata avviata — ma è stata poi sospesa — la redazione di una “enciclopedia dei processi produttivi”, una banca dati dei flussi di materia e di energia relativi a un certo numero di processi industriali. Cfr.: R.U. Ayres, R.B. Hoffman, B.C. McInnis e W.S. Page, “The process encyclopedia: a conceptual framework”, Working Paper No. 79-10-01, Statistics Canada, Ottawa, 1979.)).
Per una contabilità a livello regionale o nazionale occorre raccogliere numerosi dati sperimentali per i singoli settori dell’economia e occorre rielaborare i dati disponibili nelle statistiche ufficiali, peraltro redatte a fini differenti, per esempio con gradi di aggregazione poco utili per una analisi economico-ecologica. Occorrerebbe pertanto predisporre i futuri rilevamenti statistici in funzione della redazione di contabilità fisiche per i vari settori economici e a livello nazionale.
Un primo problema è rappresentato dalla definizione dei settori di aggregazione delle attività economiche; le suddivisioni variano da paese a paese e, per lo stesso paese, nel corso degli anni.
Altre difficoltà riguardano il grado di aggregazione del peso delle merci economiche ed ecologiche coinvolte nei passaggi da un settore all’altro. Ai fini della degradazione biologica di un fiume o della salute umana l’anidride carbonica ha effetti molto differenti rispetto ai composti del piombo, ugualmente presenti nei gas di scarico degli autoveicoli, e non si possono perciò sommare i loro pesi, benché escano dallo stesso tubo. In molti casi piccole o piccolissime quantità di sostanza hanno effetti ambientali negativi molto rilevanti.
I pochi milligrammi di idrocarburi aromatici policiclici cancerogeni che si formano bruciando una tonnellata di carbone o di idrocarburi hanno effetti negativi ben più gravi dei vari kilogrammi di polveri che la stessa combustione produce e immette nell’atmosfera. Solo per avere un ordine di grandezza delle quantità di materia e di energia in gioco, si pensi che in Italia nel 1986 il prodotto interno lordo e’ stato di circa 900.000 miliardi di lire correnti.
Tale flusso di denaro è stato accompagnato dal flusso di circa 6000 PJ di energia (equivalenti all’energia “contenuta” in circa 150 milioni di tonnellate di petrolio) e di circa 600 milioni di tonnellate di materiali (alimenti, minerali, pietre, carta, concimi, eccetera), esclusa l’acqua il cui uso agricolo, industriale e domestico ammonta ogni anno ad alcune decine di miliardi di tonnellate ((Cfr., per esempio: O. De Marco, “Flusso di materiali, produzione di merci e impatto sull’ambiente”, Rassegna Chimica, 27, (2), 123-133 (maggio-giugno 1975); 32, (5), 251-262 (settembre-ottobre 1980).)). Questa quantità di materia e di energia potrebbe essere considerata una misura di un “prodotto interno naturale lordo”.
Il flusso di materia è rappresentato per la maggior parte, dai materiali da costruzione (argilla, sabbia, ghiaia), il cui valore monetario unitario è molto basso. Sempre nel 1986 il peso del petrolio greggio importato dalle raffinerie e’ stato di circa 70 milioni di tonnellate, per un valore di circa 10.000 miliardi di lire. Il flusso dei prodotti petroliferi venduti dalle raffinerie alle centrali elettriche, alle industrie, ai mezzi di trasporto e alle famiglie è stato di circa 60 milioni di tonnellate per un valore di circa 20.000 miliardi di lire.
L’industria siderurgica ha venduto all’industria meccanica e a quella delle costruzioni edili circa 20 milioni di tonnellate di acciaio per un valore di circa 8000 miliardi di lire.
Il grano, “fabbricato” dall’agricoltura o importato, “venduto” all’industria molitoria, e’ stato di circa 10 milioni di tonnellate per un valore di circa 4000 miliardi di lire.
In ciascun passaggio diminuisce il peso delle merci (una parte è perduta come residui o rifiuti) mentre aumenta il loro valore monetario unitario.
A che cosa serve una contabilità economica in unità fisiche?
Considerata la difficoltà del lavoro da intraprendere e’ bene chiedersi se vale la pena di redigere una contabilita’ economica in unita’ naturali. Esaminiamo alcuni casi in cui tale analisi può essere utile cominciando dalla qualità delle merci che può essere meglio caratterizzata. Infatti il concetto di qualità delle merci è di difficile valutazione: le merci hanno un “valore d’uso”, cioè un valore legato alla loro capacità di soddisfare bisogni umani, ma ben poco si sa sull’esatto significato e sulla misura di tale valore ((Carlo Marx tratta l’argomento nel primo capitolo (“Le merci”) del primo libro del “Capitale”. Egli precisa che “i valori d’uso delle merci forniscono il materiale di una particolare disciplina, la Merceologia. Il valore d’uso si realizza soltanto nell’uso, cioé nel consumo. I valori d’uso costituiscono il contenuto materiale della ricchezza, qualunque sia la forma sociale di questa”.)).
Un indice del valore delle merci potrebbe essere dato dalla quantità di materie prime naturali, o di energia, o di rifiuti, associata alla produzione di una unità di peso di merce. Varie ricerche sono state dedicate alla misura del “costo energetico” delle merci, cioè della quantità di energia necessaria per produrre una unità di peso di una merce ((G. Nebbia e E.M. Pizzoli, “Il costo energetico delle merci”, in: “Atti del VI simposio nazionale sulla conservazione della natura, Bari, 1976”, Bari, 1980, p. 7-44;)).
In ciascun processo produttivo, come appare dalla figura 1, è richiesto un apporto di altre merci e, fra queste, di fonti energetiche che hanno un loro “contenuto” di energia. Della energia totale entrata in un processo una parte viene utilizzata come fonte di calore e di energia meccanica e questa viene rigettata ben presto nell’ambiente sotto forma di calore a bassa temperatura. Una parte dell’energia viene usata per trasformazioni chimiche (per esempio per la riduzione a ferro metallico degli ossidi di ferro presenti nei minerali naturali). Si può affermare che questa energia resta “incorporata” nell’acciaio anche quando esso diventa macchina, o rotaia, o tondino da cemento armato, fino a quando diventa rottame.
Non esiste però finora una uniformità nella determinazione del costo energetico delle merci. Alcuni lo valutano come la quantità complessiva di energia richiesta per fabbricare la merce, compresa quella contenuta nelle materie prime e consumata per trasportare le materie prime fino al “processo” di fabbricazione della merce considerata ((V. Spada Di Nauta, “Il costo energetico delle merci.Alcuni problemi metodologici”, in: Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Perugia, N.S. vol. 3, 745-755 (1975/76).)). Talvolta viene compresa anche una quota dell’energia “incorporata” nei macchinari impiegati nel processo. Altri si limitano a valutare l’apporto diretto di energia al processo che fornisce la merce considerata.
Il problema si fa più complicato quando le merci (per esempio i prodotti agricoli o i prodotti animali) “contengono” anche una certa quantità di energia solare, quella assorbita nel processo fotosintetico di produzione dei vegetali.
Come si vede, la ricerca di una descrizione fisica, assoluta, del valore di una merce interessa anche dal punto di vista di una teoria del valore economico libera dagli arbitri che lo scambio monetario impone. Le valutazioni del costo fisico delle merci possono fornire indicazioni anche sulla razionalità degli scambi internazionali. Appena adesso si tenta, per esempio, di calcolare il contenuto energetico delle merci importate ed esportate in un paese.
Confronto fra vari processi produttivi
I processi per la produzione delle merci si evolvono continuamente; processi più “economici” si sostituiscono ad altri. Il giudizio sulla “economicità” di un processo è stato finora basato sul costo monetario delle merci che esso impiega e fornisce, ma il costo monetario e’ soggetto a mutamenti storici e politici. L’esempio più vistoso è offerto dalla rivoluzione tecnica determinata dall’aumento del prezzo del petrolio, di oltre venti volte (in lire correnti) fra il 1973 e il 1980, e della controrivoluzione provocata dal crollo del prezzo del petrolio dopo il 1985.
Il bilancio del flusso di materie e di energia fornisce spesso utili indicazioni per esprimere un giudizio sulla convenienza, in termini “naturali”, di un processo produttivo o di un processo di trattamento dei rifiuti, oppure di un nuovo processo rispetto a quelli attualmente in uso.
A titolo di esempio si pensi alle trappole di alcune operazioni di depurazione ambientale. Come appare dalla figura 1, i residui e i rifiuti di un certo tipo possono essere trattati con adatti processi che generano, a loro volta, altri residui e rifiuti. Qualche volta questi ultimi sono di un tipo più difficilmente trattabile e più nocivo all’ambiente dei primi. La depurazione dei gas di combustione o la depurazione delle acque usate generano fanghi che richiedono, talvolta, altri processi di ulteriore trattamento.
Si può infine ricordare il recente interesse, a livello internazionale ((La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, ha organizzato vari incontri e seminari sui processi produttivi poco inquinanti.)), per tecniche produttive poco inquinanti — le non-waste technologies — per la cui valutazione il bilancio del flusso di materia e di energia è essenziale.
La disponibilità di una contabilità fisica dei processi produttivi consente anche un controllo indiretto delle informazioni statistiche fornite dalle aziende in relazione alle imposte da pagare, al fine di chiedere l’autorizzazione all’aumento dei prezzi, di ottenere protezioni fiscali, di ottenere sovvenzioni.
La valutazione preventiva dell’impatto ambientale
In tutti i paesi industrializzati, sotto la pressione dei movimenti per la difesa dell’ambiente, si sta diffondendo una normativa che impone agli operatori (privati e pubblici) che intendono intervenire nel territorio l’obbligo di predisporre — prima che l’opera o l’intervento siano fatti — uno studio sulle prevedibili conseguenze di tale intervento sul territorio o sull’ambiente. Una direttiva in questo senso e’ già stata emanata dalla Comunità Europea nel 1985 (CEE/85/337).
Secondo la prassi già in atto in molti paesi, la documentazione sulla previsione dell’impatto ambientale viene esaminata criticamente dalla pubblica amministrazione e dalle associazioni naturalistiche prima che l’opera sia autorizzata.
Ai fini della valutazione dell’impatto ambientale, per esempio, di una fabbrica e’ indispensabile avere esatte informazioni sulla quantità e qualità delle merci richieste e di quelle prodotte, dei rifiuti che si formano e dei corpi riceventi ambientali in cui si prevede vengano immessi, delle caratteristiche ecologiche di tali corpi ((G. Nebbia, “Metodologia della valutazione dell’impatto ambientale”, Geografia nelle scuole, 28, (2), 110-116 (marzo-aprile 1983).)).
Per singoli processi e per singoli territori la redazione di contabilità “naturali” dei fenomeni economici ed ecologici sarà molto utile per la preparazione e la revisione degli studi di impatto ambientale. Ne trarrebbero vantaggio gli operatori economici e la pubblica amministrazione.
Per molti processi standard le contabilità di processo in unità fisiche potrebbero essere raccolte e conservate in banche di dati internazionali. I segreti industriali sono irrilevanti ai fini dei bilanci materiali complessivi.
La città come ecosistema artificiale
Uno dei “territori” di maggiore interesse ai fini dell’analisi economico-ecologica è rappresentato dalla città, un tipico ecosistema artificiale, “costruito” dall’uomo. La città presenta, fra l’altro, una elevata densità di popolazione, di consumi, di produzione di rifiuti. Questi ultimi influenzano, in modo maggiore o minore, sia la salute umana, sia le opere umane (provocando, per esempio, la corrosione dei monumenti e delle struttura all’aperto), sia l’ambiente naturale e la vegetazione. Ciascuna di questa azioni negative si traduce in costi monetari per i privati e la collettività.
Da qualche anno e’ cresciuto l’interesse per uno studio dell’ecosistema-città basato sulla misura dei flussi di materia e di energia ((Cfr., per esempio: G. Nebbia, “Merci ed energia nell’ecosistema città”, in: “La città come sistema”, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Roma, 1982, p. 147 – 162.)). Migliori conoscenze di tali flussi consentono di risolvere problemi di pianificazione urbana: consentono un confronto fra i vantaggi economici dovuti alla presenza in una città di attività produttive, commerciali e di trasporti, e i costi ambientali dovuti alla degradazione di valori naturalistici, culturali e umani. Il caso più emblematico è rappresentato da Venezia in cui un eccezionale ecosistema-città convive con l’ecosistema-laguna, insieme all’ecosistema industriale di Marghera. Ciascun sottosistema è ugualmente importante per la sopravvivenza ecologica ed umana degli altri due e contribuisce alla degradazione degli altri due. Il funzionamento delle tre unità sarebbe più facile se si avessero corrette informazioni economiche ed ecologiche sulle loro interazioni.
Anche le città, in quanto ecosistemi, sia pure artificiali, hanno una carrying capacity che, a sua volta, dipende dalla carrying capacity del territorio in cui la città si trova e governa la quantità massima di popolazione e di attività che la città e il territorio possono sopportare. Empiricamente alcune città (come Bologna) hanno deciso di porre un limite alla popolazione e agli insediamenti produttivi nel loro interno.
Ai fini della contabilità fisica degli scambi che si verificano in una città sono probabilmente utili anche migliori conoscenze sulla contabilità fisica delle migliaia o decine di migliaia di edifici in essa esistenti, ciascuno dei quali “funziona” come un processo autonomo, per lo più con attività di consumi e di servizi: consumi delle famiglie e degli uffici, riscaldamento e illuminazione, eccetera. Nel caso particolare delle città i flussi di materia e di energia variano nelle differenti stagioni dell’anno, il che complica le analisi e le relative descrizioni.
Che cosa produrre ?
La mano provvidenziale del mercato, la quale regola (o si suppone che regoli) la quantità e la qualità delle merci che si producono e si vendono, non tiene in generale conto dei caratteri fisici delle risorse naturali, delle merci e dell’ambiente in cui vivono i produttori e i consumatori umani.
Nella storia dell’umanità sono numerosi i casi di risorse naturali che, per malintesi o miopi criteri “economici”, sono state sfruttate fino all’esaurimento, con conseguenze disastrose sull’economia di alcune zone. Alcuni esempi sono offerti dall’impoverimento o l’esaurimento dei giacimenti del nitrato sodico cileno, dello zolfo siciliano, del metano nella valle padana, del petrolio negli Stati Uniti (e, adesso, nel mondo intero), dalla pesca eccessiva in zone marine ristrette, dallo sfruttamento degli alberi spontanei della gomma in Brasile alla fine dell’Ottocento.
Il dibattito degli anni settanta del Novecento sui limiti alla crescita, già ricordato ((A questo proposito è sempre utile rileggere il dibattito sui “limiti alla crescita” che ha caratterizzato i primi anni settanta. Cfr., per esempio: E. Goldsmith e R. Allen, “A blueprint for survival”, The Ecologist, 1972; traduzione italiana col titolo: “La morte ecologica”, Bari, Laterza, 1972; Club di Roma, “I limiti dello sviluppo”, Milano, Mondadori, 1972 (ma il titolo originale dello studio del Club di Roma era “I limiti alla crescita”).)), ha messo in evidenza la necessità di una visione unificata dei fenomeni dello sviluppo economico e di quelli dell’uso delle risorse non illimitate tratte dalla natura o da particolari territori. Lo studio del Club di Roma proponeva di evitare i disastri ecologici e umani conseguenti a tale eccessivo sfruttamento ponendo dei limiti alla crescita, cioè alla produzione di merci non strettamente necessarie, alle tecnologie irrazionali e all’aumento della popolazione mondiale.
Il giudizio sulla necessità o sulla opportunità di una merce o sulla razionalità di una tecnica è stato finora basato su considerazioni monetarie, finanziarie, politiche. Le considerazioni naturali (esauribilità delle risorse e degradazione ambientale) sono state finora escluse e una nuova contabilità fisica dell’economia potrebbe aiutare a quantificarle meglio di quanto abbiano fatto le analisi troppo aggregate sui modelli nazionali, regionali e globali finora tentate.
Le popolazioni di merci
Un ultimo interessante gruppo di analogie fra fatti biologici e fatti economici è offerto dalla storia della produzione delle merci.
La biologia fornisce dettagliate informazioni sulla demografia degli animali che occupano un territorio ((Sulla teoria matematica delle popolazioni animali si vedano, per esempio: A.J. Lotka, “Elements of mathematical biology”, New York, Dover Publications, 1924; ristampa 1956 dello stesso libro col titolo: “Elements of physical biology”, Baltimore, Williams & Wilkins, 1956; V. Volterra, “Leçons sur la theorie mathematique de la lutte pour la vie”, Paris, Gauthiers-Villars; G.F.Gause, “The struggle for existence”, 1934, ristampa Hafner, New York, 1964; U. D’Ancona, “La lotta per l’esistenza”, Torino, Einaudi, 1942; J. Maynard Smith, “L’ecologia e i suoi modelli”, Milano, EST Mondadori, 1975.)). Il numero di individui che occupano un territorio dipende dai coefficienti di natalità e di mortalità i quali, a loro volta, dipendono dalla quantità di cibo disponibile, dalle caratteristiche ecologiche del territorio, eccetera.
In genere il numero di individui animali aumenta col tempo secondo una curva logistica. Dapprima l’aumento della popolazione è lenta perché sono poche le occasioni di incontro; poi la popolazione aumenta rapidamente perché il cibo e lo spazio sono abbondanti; a mano a mano che aumenta la popolazione diminuiscono sia il cibo sia lo spazio e ciò fa rallentare il tasso di aumento della popolazione fino a che il numero di individui in un territorio diventa stazionario. Il numero massimo di individui che può vivere in un territorio prende — come si è già ricordato — il none di carrying capacity del territorio.
Le equazioni differenziali di tipo logistico sono state proposte anche per descrivere l’aumento o la diminuzione di popolazioni di più specie che si dividono lo stesso cibo trovandosi in concorrenza fra loro ((Il problema della concorrenza è trattato dagli autori citati nella nota precedente. Si veda anche l’interessante lavoro di F.J. Ayala, M.E. Gilpin e J.G. Ehrenfeld, “Competition between species: theoretical models and experimental tests”, Theoretical Population Biology, 4, 331-356 (1973).)). Anche un mercato ha una capacità ricettiva limitata e la quantità di merci presente in un mercato aumenta col tempo secondo una equazione logistica. Dapprima una merce si afferma con fatica perché costa di più e perché i consumatori non la conoscono; poi il suo consumo aumenta rapidamente anche perché la maggior produzione fa diminuire i costi; dopo qualche tempo il mercato si satura.
Una famiglia, infatti, può possedere due o tre frigoriferi o automobili o televisori, ma difficilmente, per manufatti o merci durevoli e tecnicamente maturi, il mercato può espandersi al di la’ dell’acquisto, per ricambio, delle merci usate o superate.
Un discorso simile vale per le merci che sono intermedie per altre lavorazioni e vale per processi che portano alla stessa merce o a merci concorrenti o sostitutive. Anche la produzione e il consumo delle merci, come le popolazioni animali, perciò aumentano e poi tendono ad un massimo. In genere, col passare del tempo, la produzione e il consumo delle merci subiscono un declino per molte cause, alcune delle quali presentano analogie, ancora una volta, con le cause del declino delle popolazioni animali (malattie, infezioni, concorrenza, eccetera).
Nella letteratura sono apparsi vari tentativi di applicazione delle leggi di crescita biologica all’aumento delle merci presenti in un mercato ((G. Nebbia, “Le popolazioni di merci”, Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari, N.S., 27, 285-310 (1988). Si veda anche l’interessante lavoro di Francesca Gambarotto, “La metafora biologica nell’economia spaziale”, tesi di laurea in Scienze Politiche, Università di Padova, anno accademico 1985-86.)). I tassi di crescita delle merci e la carrying capacity del mercato sono modificati da varie cause come incentivi o disincentivi fiscali, leggi contro l’inquinamento, eccetera. Anche l’impoverimento delle riserve di risorse naturali può portare ad un declino della produzione e del consumo di una materia prima o di una merce.
Altrettanto interessanti sono le analogie fra la concorrenza di più specie animali che si contendono lo stesso cibo limitato e quella di più merci che si contendono un mercato. La storia della tecnica e delle merci offre numerosi esempi di concorrenza di due merci che si dividono lo stesso mercato secondo leggi simili a quelle della concorrenza fra diverse specie animali ((Una delle prime proposte di applicazione delle leggi della concorrenza al caso delle merci e’ contenuta in: A.J. Lotka, “The growth of mixed populations: two species competing for a common food supply”, Journal of the Washington Academy of Sciences, 22, 461-469 (19 Ottobre 1932).)).
Immaginiamo che dapprima un mercato sia occupato soltanto da una merce (da una popolazione). Da un certo momento in avanti una nuova merce può essere usata al posto della prima (una popolazione di invasori si affaccia nel territorio). Possono allora verificarsi vari casi. La nuova merce non riesce ad affermarsi e la sua produzione viene abbandonata (nel caso biologico la popolazione di invasori viene respinta). La nuova merce convive con la prima, la cui presenza nel mercato raggiunge, all’equilibrio, un certo valore, inferiore a quello che avrebbe avuto in un mercato non perturbato dalla presenza della seconda merce (la popolazione invasa convive con quella degli invasori).
Nel caso delle merci questi casi sono molto frequenti. I detergenti sintetici si sono inseriti nel mercato del sapone e anzi la loro produzione è risultata superiore a quella che probabilmente avrebbe raggiunto, all’equilibrio, il sapone da solo. La nuova merce — per esempio perché costa meno — si afferma sulla prima, la cui produzione diminuisce fino ad annullarsi (l’invasore soppianta e poi distrugge la popolazione originariamente presente nel territorio). Prima che la produzione della prima merce si sia annullata intervengono delle azioni (per esempio una politica protezionistica contro la produzione e le importazioni della seconda merce, o altre innovazioni tecniche) che assicurano la sopravvivenza di una modesta produzione della prima merce.
Le precedenti considerazioni mostrano che esistono dei “limiti alla crescita” delle merci e dei servizi, proprio come esistono dei limiti biologici alla crescita delle popolazioni in un territorio. Il raggiungimento di una situazione stazionaria è rimandato dall’aumento della popolazione mondiale.
Questa ulteriore analogia fra fatti biologici e fatti economici induce seriamente a chiedersi che senso abbia il dogma dell’economia secondo cui è desiderabile, anzi obbligatorio, un aumento del prodotto interno lordo, cioè della produzione e del consumo delle merci, in un pianeta con una capacità grande, ma tutt’altro che infinita, di accoglimento delle merci e di assorbimento dei loro prodotti di scarto e rifiuto.
Uno sguardo al futuro
Come si vede, l’esame delle analogie fra fatti economici e fatti biologici solleva molti interrogativi, ma potrebbe contribuire anche alla soluzione — o alla migliore comprensione — di alcuni dei problemi che interessano la società oggi.
La redazione di contabilità economico-ecologiche, in unità fisiche, per singoli processi e territori richiede, come si è accennato, la soluzione di numerosi complicati problemi metodologici e il lavoro di molti studiosi per molti anni. Questi studiosi devono venire da diversi interessi disciplinari con competenze nel campo delle scienze naturalistiche e di quelle economico-sociali. Forse la Merceologia, come disciplina di frontiera fra tali differenti scienze, può dare un contributo all’integrazione proposta.
Il premio per chi volesse assumersi questo impegno è rappresentato da una migliore comprensione di quanto avviene nel mondo reale. A sua volta tale migliore comprensione avrebbe effetti importanti: farebbe migliorare la cultura industriale e darebbe agli ecologi una migliore conoscenza dei processi produttivi. Insomma ci guadagnerebbero tutti e due, gli economisti interessati alla produzione e i biologi e gli ecologi interessati alla sopravvivenza dei sistemi naturali. E, soprattutto, ci guadagnerebbe lo sviluppo — che deve essere per forza economico e ecologico insieme — della comunità umana.
Conferenza tenuta alla Accademia Pugliese delle Scienze, Classe di Scienze morali, Bari, 2 marzo 1987
Rassegna Economica (Napoli), 52, (3), 521-544 (luglio-settembre 1988)
Atti Accademia Roveretana degli Agiati, [VI], 28B, 77-98 (1988)