“La canna”. Alle origini della canna da fuoco fra società e tecnica nei scoli XIV-XVIII
Premesse storico-teoriche
Questo lavoro nasce dall’interesse alla ricostruzione delle tecniche che, a partire dagli albori delle armi da fuoco, avevano prodotto la canna, che dalla scoperta della polvere pirica arriva al fucile a retrocarica. In effetti nella e sulla canna si raccoglieva, diremmo oggi, una tale densità d’informazione tecnica ed anche sociale da farne elemento esemplare e paradigmatico di una cultura ed anche di un’epoca che aveva dato inizio alla nascita ed all’evoluzione della siderurgia intesa come sistema integrato delle tecniche della lavorazione a caldo ed a freddo del ferro e che ha avuto un suo ambito significativo nelle valli bresciane-bergamasche.
L’arma da fuoco si è evoluta come un sistema oggettuale complesso sia dal punto di vista della progettualità che della esecuzione tecnica e, come dirà Laura Conti, le armi da fuoco «…hanno costituito il primo esempio, in tutta la storia dell’umanità di macchine capaci di produrre un movimento “da sole” cioè senza aver ricevuto questo movimento da fonti esterne» ((Laura Conti «Tecnologia dalle origini al 2000» Mondadori, Milano 1981, p.138)); e che tale macchina sino dai suoi esordi fosse in un qualche modo aliena e difficile da concettualizzare lo mostra il fatto che una seconda macchina capace di produrre moto senza riceverlo dall’esterno, la macchina a vapore, ha dovuto attendere altri quattro secoli per essere inventata.
Non era affatto intuitivo, a partire dalla polvere pirica, immaginare l’arma da fuoco e ciò ne ha reso lunga e difficile la sua elaborazione, introduzione e sviluppo. La polvere da sparo era conosciuta ancora nel sec. XIII e le prime “bombarde manesche”, ossia tenute a mano, appaiono nei primi decenni del secolo successivo. La difficoltà concettuale era di maneggiare una forza aliena come quella di un gas ad alta temperatura a cui si aggiungevano le difficoltà tecniche del suo controllo, di costruire un oggetto, una macchina che, per usare energia propria, richiedeva nuovi lavori, nuovi materiali, una nuova cultura della tecnica.
La canna, quella della bombarda prima, dell’archibugio poi e quindi quella del focile, era la parte essenziale della macchina che le era come costruita attorno; macchina complessa che deve usare la polvere da sparo, e già questa è un qualcosa che eccede il panorama tecnologico del XIII secolo. Vi deve essere un sistema di accensione della polvere, e poi la pallottola e un sistema di mira e quindi questa macchina la si deve tenere in mano e poterla manovrare da cui la necessità del calcio o della cassa; e per finire deve essere controllabile e non deve uccidere o ferire chi la sta usando. Per alcuni aspetti sembra un nuovo tipo di balestra, con questa condivide all’inizio il teniere, l’asta di legno che regge la parte metallica, e la leva di comando, oggi il grilletto; le analogie si fermano qua, l’arma da fuoco si differenzia in tutto e riesce ad imporsi sulla tradizionale e millenaria arma bianca unicamente per la sua maggiore capacità di uccidere.
Come ogni altra arma e forse più d’ogni altra, essa è partecipe della simbologia e della suggestione del potere; possedere un’arma è un’affermazione di potere su altri poiché si può disporre della loro vita sia questa di uomini o animali; essa è anche il luogo di un immaginario magico condiviso con la spada; come si riconosceva questa per l’eccellenza della “lama” tanto da essere pensata come un’individualità, cosi si riconosce quella per l’eccellenza della “canna”. Ma se tramite l’immaginario etico-estetico la canna può essere ricondotta alla cultura letteraria vicina alla sensibilità del tempo, essa resta pur sempre il condensato di una cultura tecnica che, patrimonio di pochi o di ristretti ambiti sociali, ha costituito l’antefatto necessario alla nostra tecnica scientifica di oggi. Al processo di sviluppo della tecnologia ha partecipato tutta l’area europea, ma per circa tre secoli dal XV al XVII esso ha insistito principalmente sulle Alpi bresciane ed in parte bergamasche.
La storia della “canna” s’identifica con lo sviluppo della siderurgia che, pur affondando le sue radici in remote antichità, ha svolto in Europa e specie in quei secoli un ruolo che solo oggi riusciamo a capire ed a valutare in quanto solo oggi la tecnica si pone alla nostra coscienza ed al nostro immaginario di uomini moderni non più come una categoria sostanzialmente in-culturale, o strumentale ma come categoria pervasiva ed anche formativa della nostra esistenza capace di condizionarla e di determinarne anche i valori al pari di altre consolidate e riconosciute categorie storiche.
Non ci è più possibile pensare di fare o conoscere la storia dell’uomo e delle società umane indipendentemente dalla tecnica e dalla sua storia sia come fatto materiale che culturale; ed altrettanto non ci è possibile pensare alla società umana senza la sua influenza sulla tecnica; ne viene che per conosce una società ed il suo sviluppo storico non si può oggi prescindere dalla tecnica, sia come cultura che come pratiche materiali.
La tecnica quale categoria storica, per e con la quale valutare e capire l’evolversi della società umana, si differenzia e distingue in modo radicale da altre categorie storiche perché non è riconducibile alla trascendenza che dal di fuori o dal di sopra dell’uomo, naturalmente dato, muova la storia. La tecnica è l’esserci dell’uomo fabbrile, l’uomo fabbro che integrando in tutt’uno la mente e le capacità naturali del suo corpo martella e forma il metallo così come forma, più o meno coscientemente, il suo destino. La tecnica, quale insieme delle operazioni materiali,non è trascendibile e diventando categoria storica emancipa la storia dal finalismo metafisico, giustapposto all’uomo o alla società; con la tecnica la storia può essere interpretabile a partire dall’interno delle motivazioni sociali ove il fine, lo scopo, la ragione d’essere della società, è nel contempo sia il prodotto che il produttore del processo storico.
Non siamo di fronte al rovesciamento simmetrico del binomio scopo-strumento al loro scambio delle parti, ma all’assunzione di un concetto diverso ossia che lo scopo influisce sullo strumento, quanto questo su quello, ossia che la società influisce sulla tecnica, tanto quanto questa su quella, onde la storia è anche il risultato di tale interazione e reciprocità. Assumendo la tecnica come categoria storica, la si riconosce come categoria universale. Tale riconoscimento gli è sempre stato negato poichè si è negato l’esistenza di rapporti fondanti tra la società e la natura, quale realtà materiale; ovvero si negava che questi potessero avere valore euristico universale. La tecnica interpreta e realizza questi rapporti e senza cui la società, o le tante società umane, non potrebbe esistere; ma ciò posto si pone l’altro problema della scienza poiché anch’essa per essere alimentata dalla tecnica sarebbe non più, o non solo, il sapere dell’essere della natura o della materia, ma la forma più generale ed universale del sapere dei rapporti fra la società e la natura.
Nei secoli di cui si parla nel presente lavoro la tecnica non esisteva o meglio di essa non se ne aveva coscienza e quel tanto che ne veniva percepito era inteso quale attributo e specificità delle classi subalterne, letterariamente incolte e istituzionalmente dedite alla fatica del faber. La tecnica moderna quale coscienza e conoscenza dell’esatto operare per uno scopo materiale, si forma a partire dal secolo XVIII, come sottoprodotto della scienza, che s’intendeva pura poiché pensata come un sapere naturalistico avente fine a se stesso separato da ogni altro scopo. A circa due secoli di distanza, avvertiamo che tale distinzione è puramente nominale e non è più possibile pensare o fare scienza in modo disgiunto dai contesti culturali e sociali nei quali opera e dagli oggetti materiali di cui si serve, basti pensare alla funzione che gli strumenti di misura hanno avuto nella sua formazione e sviluppo come anche allo stimolo, ossia lo stile, che una classe economica in ascesa quale la borghesia le ha impresso. Altrettanto la tecnica è sempre più impregnata e dipendente dal sapere e dalla concettualizzazione della natura che la scienza produce. L’interazione tra scienza e società è oggetto di uno sviluppo dell’odierna epistemologia scientifica quando riconosce che il pensiero scientifico nasce all’interno della società e non è portato in essa dal di fuori ma, come sintetizza P.Rossi c’è stato uno sviluppo rispetto all’epoca che riteneva che il suo «scopo principale sarebbe consiistito nella formulazioni di verità riguardanti le leggi di natura. A questa tradizionale immagine ne è venuta subentrando un’altra che presenta la scienza in termini di attività sociale e che ha molte caratteristiche in comune con la sociologia della scienza»((Paolo Rossi «Introduzione» all’edizione italiana del libro di Ludwik Fleck : «Genesi e sviluppo di un fatto scientifico- per una teoria dello stile e del collettivo di pensiero» Il Mulino, Bologna 1983, p.13. Il testo di Fleck risale al 1935, e P. Rossi nel presentarlo tratteggia l’iter che questa tesi ha lasciato nel pensiero scientifico, da Thomas Kuhn con il suo ormai classico The Structure of Scientific Revolution, del 1962, a Paul Feyerabend, Michael Polanyi, ai precursori della sociologia del conoscenza e della formazione dei concetti Weber, Scheler, Mannheim fino a Merton. Si potrà obiettare che questi lavori sono datati, infatti l’ultimo di essi La scienza e la sociologia della conoscenza, di Michael Mulkai è del 1979, ma anche se oggi tale orientamento è posto in ombra si deve prendere atto che l’odierna epistemologia si rifà ampiamente e chiaramente agli input sociali.)).
Integrando la scienza con la tecnica si completa tale stile di pensiero e si supera un residuale concetto del primato della scienza come come la tesi che lo strumento realizza gli scopi che gli sono posti dallo spirito; si avverte sempre di più che tale categorizzazione gerarchica è insufficiente a controllare la realtà mentre lo strumento e la cultura che vi è sottesa è sempre più influente e, oltre a realizzarli, seleziona gli scopi. È obsoleta l’idea che la tecnica, in quanto mero strumento, debba produrre ciò che la società domanda, oggi è la tecnica che sollecita e provoca la domanda onde tutto quanto può essere fatto può anche essere domandato.
Superata la divisione tra scienza e tecnica scompare la distinzione tra scopo e strumento e la tecnica scientifica o la scienza applicata si scopre essere categoria della storia, in forza della quale è possibile e necessario interpretare e conoscere le vicende umane. Col moderno sviluppo della scienza è superato l’ideale di un sapere solo intellettuale, scisso dalla materialità degli oggetti, dalla cultura della loro fabbrilità, come dalla storia della sua formazione; la dicotomia scienza-tecnica ove quest’ultima sia subordinata alla prima è sempre meno proponibile, si attenua e sfuma la distinzione tra scopo e strumento che il pensiero metafisico greco con Platone ed Aristotele, aveva ipostatizzato nella separazione della techne dal nous, ove la causa materiale ossia la tecnica è ininfluente sulla causa formale: lo spirito, e sulla determinazione dello scopo.
Nelle alpi bresciane e bergamasche, in modo perspicuo nei secoli tra il XIV e XVIII, prende avvio e si sviluppa una realtà tecnico-sociale che può essere letta ed interpretata a partire da questa ottica e rivelare la sua originalità e valenza storica. È un caso emblematico non solo italiano ma anche europeo che l’interpretazione sociale della cultura tecnica può verificare anche la validità del metodo adottato. Da questa lettura la storia assume prospettive e rilievi altrimenti insospettabili; come quando si colorano col computer le mappe digitali fotografate dai satelliti, ad ogni colorazione si rilevano informazioni altrimenti invisibili, così è con l’applicazione di nuove categorie interpretative quando queste nascono dall’interno dei processi sociali. Nei secoli in oggetto non vi è stato il Rinascimento italiano caratterizzito solo dalle lettere e dalle arti, ma si è avuto anche il rinascimento tecnologico senza del quale anche il primo non avrebbe potuto espandersi, ma che a sua volta ha avuto incrementi dal primo. Ancora una volta siamo di fronte a una fenomenologia sociale di tipo interattivo, ove due o più settori della realtà si determinano vicendevolmente e vicendevolmente s’incrementano e si sviluppano.
Quindi il ripercorrere gli itinerari tecnologici dei nostri antenati per arrivare a costruire tutti quei manufatti, quegli oggetti di ferro che hanno costituito ed ancora oggi costituiscono lo zoccolo duro della nostra civiltà. Ma anche individuare e ricostruire i vuoti mancanti, la dove non è rimasta memoria dei processi tecnologici ma che pure dovevano esserci stati per produrre gli stadi successivi. È come una scala a cui mancando dei gradini, vengono ricostruiti ipotizzando i processi che siano in grado di colmare i vuoti, oppure avanzando delle ipotesi, ossia operando in modo induttivo lasciando a lavori futuri di verificarne o meno le possibilità.
È una storia che non raccoglie ed espone unicamente i singoli procedimenti tecnici o i singoli strumenti ma che, tramite questi, ambisce a ricostruire i processi culturali e sociali che hanno portato allo sviluppo ed al formarsi nelle valli bresciano-bergamasche, nei secoli indicati, di un polo siderurgico d’importanza europea.
Piano della ricerca
a) Il ferro
b) Il “distretto metallurgico” nel triangolo ipotetico, Schilpario-Bagolino-Brescia con epicentro Gardone v/Trompia; la cultura europea del ferro
c) Dal fuoco basso al canecchio, al fuoco grosso
d) La filiera: dal minerale al manufatto: “la canna”, sua eccellenza tecnologica, strutturazione tecnico-sociale della filiera. Valutazione del peso tecnologico del distretto, tramite una stima della potenza installata. Nascita della lavorazione a freddo del ferro.
e) Diffusione europea della cultura del distretto metallurgico
f) I dati di b) e c) si saldano nella figura dell’artista-commerciante.
g) Decadenza del distretto sec. XVIII. XIX.