La CGIL di Bologna tra spinte innovative e ambientalismo timido. Nascita e attività dell’Associazione Gaia
[Nota: Questa ricerca è nata durante un Laboratorio che ho frequentato al secondo anno della Laurea Magistrale in Scienze Storiche dell’Università di Bologna. In tale Laboratorio abbiamo potuto effettuare un interessante confronto tra gli archivi di due importanti sindacati, la CGIL e la CISL, dal quale è emerso il diverso atteggiamento delle due organizzazioni nei confronti del proprio archivio. La CGIL ha infatti intrapreso quasi da subito la scelta di una conservazione che seguisse un metodo al di là dei cambi di dirigenza; ha scelto quindi che fossero fissati dei criteri e questo sicuramente ha prodotto un certo tipo di archivio. Molto diverso quello CISL, in cui i criteri di conservazione sono dipesi molto dalle personalità dirigenti, e questo ha portato alla formazione di un archivio molto più scarno e discontinuo di quello della CGIL. Le diverse decisioni prese sull’organizzazione del loro materiale ci dicono molto, credo, anche sulle scelte politiche e sulle caratteristiche della loro organizzazione locale e regionale. Decisi quindi di intraprendere una ricerca nell’Archivio Storico della CdL di Bologna e della CGIL Regionale E-R, che presenta una notevole mole di materiale e di tematiche che possono essere analizzate e messe in relazione da molteplici angolazioni. Scelsi di focalizzare la mia attenzione sul subfondo del Centro di Documentazione Ambientale, contenente la documentazione prodotta o raccolta dall’Associazione Gaia e concernente tematiche relative alla salvaguardia ambientale.]
1. Lavoro o ambiente?
La Rivoluzione Industriale modificò profondamente non solo i rapporti di lavoro ma anche i rapporti tra lavoro e ambiente, uomo e natura. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche diedero una spinta all’attività e alla protesta sindacale, che fin dalla fine dell’Ottocento si mobilitò sulla questione della tutela della salute e per migliorare le condizioni dell’ambiente di lavoro. Quasi da subito la dannosità dei processi produttivi e delle sostanze utilizzate fu evidente, ma le proteste e i discorsi restarono legati all’ambito igienico e medico: da tutelare era la salute del lavoratore e non l’ecosistema (se non in funzione della vita del lavoratore e delle lavoratrici, come ad esempio la qualità dell’aria) ((Claudio Falasca, Lavoro e ambiente. La CGIL e la transizione alla sostenibilità, Ediesse, Roma, 2012, pp. 33-42.)). Con il boom economico la situazione non migliorò: le risorse ambientali erano percepite ancor di più degli anni precedenti come risorse da sfruttare in maniera illimitata, e per i sindacati la priorità restò per molto tempo quella dell’assicurare il posto di lavoro a più persone possibili, e i diritti che venivano rivendicati erano legati al piano politico e sociale in senso stretto. Non che l’attenzione alla salute dei lavoratori fosse secondaria (nella prima fase del boom le condizioni di salute peggiorarono), ma ci si rese conto molto in ritardo dei danni catastrofici riversati sull’ambiente attraverso ad esempio la creazione dei poli industriali ((Ibidem , pp. 43-46.)). Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, la contrattazione sindacale si decentralizzò, si sviluppò la pratica della monetizzazione del rischio e vennero creati concetti come ambiente di lavoro. La pratica della monetizzazione fu presto però abbandonata in seguito alla scelta del preferire la prevenzione al risarcimento ((Ibidem , pp. 50-55.)). Gli anni Settanta segnarono un riposizionamento difensivo dell’azione sindacale, determinato da vari fattori tra cui la crisi economica, la ristrutturazione messa in atto dal sistema imprenditoriale (che ebbe come maggiori conseguenze la tecnologizzazione e la riterritorializzazione dei processi produttivi) e un ritorno alla contrattazione centralizzata. Questo portò ad un arretramento sul tema del rischio ambientale: il sindacato restò bloccato dal ricatto “o l’ambiente o il lavoro” aumentando così lo scollamento (problematica riscontrabile anche per i partiti di sinistra, non solo per la CGIL) con i nascenti movimenti ecologisti: all’orizzonte politico sindacale sfuggirono le problematiche legate all’ambiente esterno ((Ibidem , pp. 58-61.)). I movimenti ecologisti nacquero e maturarono con tempistiche molto diverse intorno al globo. Ci furono però alcuni momenti chiave se non altro per quel che concerne la base ideale: nel 1968 il Club di Roma, di stampo internazionale, si pose l’obiettivo di ipotizzare sistemi di sviluppo diversi da quelli dominanti, e nel 1972 vennero pubblicati Il cerchio da chiudere di Barry Commoner e I limiti dello sviluppo curato dall’MIT e testo simbolo dell’ambientalismo degli anni Settanta. In Italia associazioni ambientaliste nacquero già tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta (associazioni che per molto tempo restarono comunque concentrate solo sulla mera conservazione del territorio), ma solo negli anni Settanta prese vita un filone ambientalista nel PCI. Il boom di associazionismo di stampo ambientalista si affermò comunque negli anni Ottanta (anche perché la seconda metà degli anni Settanta fu pervasa da incidenti di notevole portata come l’esplosione del reattore della fabbrica chimica di Meda o la nube tossica di Seveso) ((Ibidem , pp. 62-66.)).
Il 1986, secondo Falasca, è un altro anno chiave poiché i contratti collettivi di quel periodo furono i primi a porre sul tavolo la questione del rischio ambientale e del bisogno di norme che regolamentarizzassero il rapporto fabbrica-territorio, l’uso delle risorse, ecc… Quello stesso anno, dopo tanti e incerti tentativi, venne istituito il Ministero dell’Ambiente e avvenne anche la tragedia di Chernobyl. Legambiente, una delle entità grazie alla quale in Italia si fece in parte luce sulla nube radioattiva di Chernobyl ((Come riportato anche nell’articolo “Sette anni un po’ più verdi”, pubblicato dal “il manifesto” del 9 gennaio 1987, “il manifesto” era stato inizialmente critico nei confronti di Legambiente. Andrea Poggio, Ambientalismo, Editrice Bibliografica, Milano, 1996, p. 79.)), spinse insieme ad altre associazioni e movimenti per una mobilitazione antinucleare. La risposta fu importante, migliaia di giovani si presentarono davanti ai cancelli delle grandi centrali (Latina, Brasimone, Montalto di Castro). Su tale questione sia il congresso del PCI che della CGIL si spaccarono a metà ((Ivi .)), arrivando però poi ad un avvicinamento nella lotta antinucleare ((Donatella della Porta e Mario Diani, Movimenti senza protesta? L’ambientalismo in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 14.)). Nell’ottobre del 1986 nacque anche, all’interno della CGIL di Bologna, il gruppo di lavoro Ambiente e Salute, che individuò tra i suoi compiti quello di armonizzare il lavoro del dipartimento sicurezza sociale e del dipartimento ambiente ((Arrigo Tolomelli, “Ipotesi per un programma di iniziative”, in “Prevenzione, salute e sicurezza”, fascicolo 13, busta 5. In Centro Innovazione e Formazione e INCA, con OggettoCentro Documentazione Ambientale.)). L’avvicinamento ai temi ambientali da parte dei partiti e movimenti di sinistra durante gli anni Ottanta è un fenomeno che può essere inserito in un contesto più ampio di quello italiano.
2. Comunismo e ambientalismo
Diversi studiosi, nell’indagare il rapporto tra paesi comunisti e questione ambientale, si sono domandati se il livello di sensibilità di questi fosse diverso da quello dei paesi capitalisti. Questa domanda ha però aperto un problema fondamentale per chi studia storia ambientale, ovvero che definizione dare al concetto di sensibilità ambientale. Secondo Douglas Weiner, finché mancheranno la completa conoscenza scientifica e le capacità tecniche per affrontare la questione ecologica, ci sarà sempre un gap tra le preoccupazioni, gli ideali e i risultati; conseguentemente ciò rende molto difficile assegnare un grado di ambientalismo ai diversi regimi politici ((Douglas Weiner, “Communism and Environment”, in The Cambridge History of Communism. 3. Endgames? Late Communism in Global Perspective, 1968 to the Present , a cura di Juliane Fürst, Silvio Pons e Mark Selden, Cambridge University Press, Cambridge, 2017, pp. 529-530.)).
Se si guarda all’Unione Sovietica, nella cui storia si sono susseguiti diversi modi di gestire il territorio e le risorse naturali, il 1986 fu un anno altrettanto chiave: l’incidente di Chernobyl non ebbe come conseguenza solo problemi economici e medici, ma aveva indebolito l’immagine dello Stato Sovietico. Non solo all’interno della comunità scientifica furono poste domande per una maggiore trasparenza, ma anche il pubblico si mobilitò su questioni come quella del Sibaral Canal. L’opposizione pubblica a tale opera cominciò negli anni Settanta e coinvolse sempre più frammenti della popolazione fino quando il 20 agosto del 1986, in conseguenza anche del recente incidente di Chernobyl, Gorbachev decise di cancellare il progetto. Secondo Weiner questa fu la prima ritirata politica del regime causata da resistenza popolare, un’opposizione pubblica costituita dall’intellighenzia liberale, dagli studenti, da nazionalisti russi e dal pubblico in generale ((Ibidem, p. 539.)). Gorbachev fu anche il promotore, in quegli stessi anni, del Goskompriroda, il nuovo Comitato di Stato per la Protezione Ambientale, una importante novità per il mondo sovietico ((Ibidem , p. 543.)). Allo stesso tempo, la domanda per una maggior trasparenza e accesso alle informazioni legata alle questioni ecologiche andò a inserirsi nella generale richiesta di riforme e un rafforzamento dei discorsi e dei movimenti per i diritti umani, i quali inspirarono la Glasnost di Gorbachev ((Juliane Fürst, Silvio Pons e Mark Selden, “Introduction”, in The Cambridge History of Communism. 3. ames? Late Communism in Global Perspective, 1968 to the Present , a cura di Juliane Fürst, Silvio Pons e Mark Selden, Cambridge University Press, Cambridge, 2017, p. 11.)).
Anche in Italia emerse un legame tra questione democratica e politiche ambientali: sia dai documenti di Legambiente che della CGIL il tema del rapporto tra struttura e contenuto emerge con molta frequenza. Come vedremo anche nel corso dell’articolo, la riorganizzazione strutturale della CGIL e la sua apertura verso l’esterno furono anch’essi temi centrali di quel periodo, e si legarono più volte alle questioni ambientali. Nella relazione ((“Le scelte per una nuova strategia e una nuova identità della CGIL: sindacato generale di programma, dei diritti e delle solidarietà. Soggetto sociale e politico autonomo per una nuova rappresentanza democratica e unitaria dei lavoratori”))di Duccio Campagnoli sul XII congresso della CGIL, tenuta al seminario del CD della CdLT di Bologna, egli affermò che
Occorre quindi rispondere alla, e misurarsi con, la crisi e la messa in discussione dei fondamenti e delle forme di un sindacato generale, confederale, soggetto sociale unitario di rappresentanza del lavoro e di trasformazione. Per questo, nel programma fondamentale, e al centro del nostro congresso, c’è la discussione innanzitutto di un progetto di nuova identità, di nuove regole di organizzazione e di rappresentanza, di una nuova cultura e di nuova strategia, che la CGIL vuole definire, portando a compimento la ricerca di questi anni ((Relazione di Duccio Campagnoli, Cà Vecchia – 2 aprile 1991., Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
Durante un seminario di formazione ambientale per quadri tenutosi nel 1990 (e che verrà approfondito successivamente), una serie di interventi intitolati Cultura e politica per l’ambiente: il ruolo del sindacato posero come fondamentale il legame tra democrazia e questione ambientale. Nel suo intervento, Anna Carli si interroga sul rapporto tra scienza e politica nell’epoca della democrazia di massa, e quindi della necessaria convivenza di quest’ultima con la democrazia degli esperti; le connessioni tra una politica attiva per l’ambiente e l’evoluzione dei rapporti democratici erano dunque sentiti come rilevanti tanto fuori quanto dentro la CGIL ((Giorgio Dal Fiume (a cura di), Ambiente e territorio. Appunti per una politica possibile, Ediesse, Roma, 1991, p. 112-113.)).
Il 1986 segnò quindi grandi novità per la sinistra. Non solo negli importanti appuntamenti CGIL susseguitisi nel dopo Chernobyl (la Conferenza programmatica a Chianciano nel 1989 e il XII Congresso confederale del 1991), emerse dai discorsi l’idea che, nonostante alcune resistenze, l’ambiente potesse essere riconsiderato in veste di una strategia per la sostenibilità e vissuto come un’opportunità, più che come un vincolo ((C. Falasca, op. cit., pp. 71-78. Il testo cita la relazione introduttiva di Bruno Trentin, l’allora segretario generale della CGIL, alla Conferenza Programmatica di Chianciano nel 1989.)); ma a detta di Della Porta e Diani, l’ingresso in scena di questa nuova classe politica ambientalista (che affondava le sue radici nei movimenti radicali degli anni Settanta ma era al contempo legata al mondo della sinistra storica), rese possibile un’alleanza fra diverse forme di rappresentanza politica, come quella che vide la convergenza di partiti di sinistra e sindacati nel fronte antinucleare((D. della Porta e M. Diani, op. cit., p. 14.)). Nel novembre 1986, in un documento del Dipartimento Territorio-Regioni indirizzato alle segreterie regionali CGIL e alle CdLT, veniva fatto il punto sulla lotta unitaria in ambito ambientale e il rapporto con le organizzazioni ambientaliste. Pur ammettendo di partire da approcci diversi, si riconosceva la necessità di superare l’apparente inconciliabilità di lotta ambientale e occupazionale e venivano delineati diversi temi (tra i quali il rapporto tra ambiente e pubblici poteri) che le organizzazioni sindacali e ambientaliste avrebbero potuto, sempre come soggetti autonomi, affrontare insieme. Successivamente, nel documento, è evidenziata l’importanza di affrontare la questione della discriminante democratica, ovvero che tipo di forme di lotta avrebbero dovuto caratterizzare le organizzazioni e i soggetti impegnati nella battaglia per l’ambiente. Vengono suggerite, dunque, le realtà con cui sviluppare tale percorso: “le organizzazioni ambientaliste con le quali si ritiene opportuno costruire un sistema di relazioni sono la Lega Ambiente, Italia nostra, il WWF e Amici della Terra che hanno solide caratteristiche nazionali. Riteniamo che un analogo lavoro vada avviato a livello regionale e territoriale per costruire relazioni non solo con le organizzazioni ambientaliste prima indicate, ma anche con strutture, organizzazioni, riviste, ecc., il cui ambito di intervento è a livello regionale o territoriale”((Circolare 26 novembre 1986, Archivio Storico CGIL, Archivio Confederale, Segreteria generale. Circolari, Volume 41.)).
Fu in questo contesto che nacque il Centro di documentazione sui problemi ambientali e Associazione Gaia.
3. Il “Centro di documentazione sui problemi ambientali” e la “meno burocratica” Associazione Gaia
Il Centro di documentazione e Associazione Gaia venne fondato sotto forma di associazione privata il 20 ottobre 1989 (ma esso raccolse materiale risalente anche al 1979). Esso nacque da una proposta della Camera del Lavoro di Bologna (parallelamente all’approvazione della piattaforma sull’ambiente), che aveva interesse nel creare un ente che avesse come obiettivo la riflessione e discussione delle tematiche ambientali e che potesse coordinare le piattaforme contrattuali a tema ambientale, anche per fornire supporto nell’affrontare le diverse questioni concernenti tale ambito. Esso doveva costituire un punto di riferimento formativo-informativo e tecnico-scientifico utile alle iniziative della piattaforma sull’ambiente. La scelta del nome e della forma di questa Associazione derivavano dal volerla far apparire meno “burocratica”, per cercare di coinvolgere soggetti esterni all’organizzazione sindacale (enti, associazioni, organizzazioni e singoli cittadini), anche perché, come scritto sopra, alcune parti della società erano già da tempo in fermento sulle tematiche ambientali. Come raccontano Franco Di Giangirolamo e Paolo Nerozzi, si decise per
un’associazione, e non un “tradizionale” proliferare di apparati e uffici, perché all’esigenza di potenziare le nostre strutture in funzione della continua crescita della complessità dei temi ambientali, e al loro attraversare trasversalmente tutti i nodi dell’agire politico-sindacale, abbiamo associato la convinzione che per ben attrezzarci rispetto ai problemi in campo dovevamo anche incentivare i rapporti con l’esterno: associazioni ambientaliste, referenti tecnico-scientifici, enti e istituti…
La contaminazione delle culture e delle esperienze e il confronto dei diversi punti di vista è senz’altro un mezzo efficace per aumentare la capacità di risposta complessiva dei soggetti sociali presenti su un territorio, arricchire la nostra capacità politica e la pratica rivendicativa. Abbiamo voluto che Gaia avviasse la sua attività con un impegno rilevante, seppure non esclusivo, sul terreno della formazione sindacale ((Giorgio Dal Fiume (a cura di), Ambiente e territorio. Appunti per una politica possibile, Ediesse, Roma, 1991, p. 5.)).
Bisognava cercare di entrare in un settore dove la presenza del sindacato non era scontata ((Ibidem , p. 6.)).
Erano soci di diritto i membri del direttivo della CdL e i membri della segreteria della CGIL Regionale. L’associazione venne accorpata, nel 1995, al Centro Innovazione e Formazione ((Ivi.)). In una lettera scritta nel 1994 alla Segreteria della CdL, all’INCA, al Centro di Innovazione e Formazione e alle Zone e Categorie, Giorgio Dal Fiume (presidente dell’Associazione Gaia), in vista dell’imminente accorpamento, descrisse la composizione del Centro, completamente rinnovato, diviso in archivio, biblioteca-emeroteca, sottolineando la possibilità di collegamenti con banche dati a tema ambientale tossicologico. Il suo intento era quello di facilitare la consultazione e l’utilizzo del materiale, e allegata alla lettera vi è infatti una meticolosa descrizione dell’organizzazione dei documenti. Essi sono suddivisi per Area (dalla A alla H), Tema (indicato con un numero da 1 a 9) e Provenienza (numeri da 1 a 11). Come Dal Fiume spiegò nella lettera
La registrazione/identificazione dei documenti avviene tramite un codice alfanumerico composto da tre cifre, che indicano in ordine: area, tema, provenienza. Per area s’intende una prima suddivisione dell’argomento ambiente in grossi capitoli generali […] Per tema – sottoclasse dell’area – s’intende l’oggetto specifico che tratta il documento. Per provenienza s’intende il luogo/ambito di produzione del documento ((Lettera e relazione del 23/03/1994 di Giorgio Dal Fiume a Segreteria CdL, Zone e Categorie, Centro Innovazione e Formazione e INCA, con Oggetto Centro Documentazione Ambientale. Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1. Contenuto nel subfondo Centro documentazione ambientale – Associazione Gaia.)).
Le Aree variano da Inquinamento industriale, adAgricoltura/Alimentazione, Rifiuti,Territorio, acque e controlli ambientali, Energia, ecc… Le provenienze mostrano la grande varietà di materiale presente, che deriva in molti casi da ambienti “altri” rispetto al sindacato:
La biblioteca-emeroteca contiene libri e riviste, suddivise nelle medesime aree dell’archivio, tra cui La nuova ecologia,Energia e innovazione, Capitalismo, natura e socialismo,Dossier ambiente, Lavoro e salute eMedicina Democratica ((Ivi.)). Il materiale raccolto è costituito (per lo più in copia) da: dispense, dossier, tesi di laurea, piani territoriali (con documentazione grafica), monografie, periodici, estratti di pubblicazioni e letteratura grigia in generale (( http://www.cittadegliarchivi.it/pages/getDetail/idIUnit:1957/archCode:ST0013#contenuto , ultima visualizzazione 15/12/2012.))
Il documento fondativo del Centro mostra sia le caratteristiche organizzative che quelle ideali:
Art. 3. L’associazione si propone di: approfondire i problemi riguardanti il rapporto sviluppo/ambiente ed ambiente/lavoro nei suoi vari aspetti; favorire la crescita delle conoscenze tecnico-culturali della struttura sindacale, necessarie a tutelare i lavoratori e i cittadini dalle contraddizioni innescate dalla “questione ambientale”, ed in particolare da quelle inerenti le attività produttive; stimolare metodi di conoscenza – divulgazione dei problemi ambientali ((Centro di Documentazione sui problemi ambientali – C.D.A. Statuto, Corrispondenza, fascicolo, 1 busta 1.))
L’articolo 4 dello statuto, che definisce i compiti dell’associazione, recita inoltre così:
L’associazione ha i seguenti compiti:
Promuovere iniziative di studio e di ricerca all’interno dei programmi di lavoro definiti dagli organi statutari e costruire rapporti di collaborazione con gli Enti di Ricerca e l’Università per favorire l’apertura di progetti ed obiettivi di ricerca e per valorizzare il ruolo del mondo del lavoro nell’affrontare le tematiche ambientali;
Raccogliere e socializzare i dati che si riferiscono ai rischi ambientali esistenti sul territorio, alle normative di legge, alle tecnologie “pulite”, all’assetto istituzionale e ai relativi poteri e competenze;
Favorire la diffusione delle conoscenze e la socializzazione delle esperienze di controllo sulle condizioni ambientali, con particolare attenzione alla qualificazione dell’iniziativa politica sindacale della CGIL.
Programmare e realizzare, a tutti i livelli, iniziative formative rivolte ai lavoratori, ai dirigenti sindacali e all’esterno, per favorire la crescita della coscienza e della conoscenza della problematica ambientale e la attiva partecipazione nella difesa della salute e nella promozione di una nuova qualità dell’ambiente;
Operare in direzione: della modificazione dei consumi e degli stili di vita incompatibili con le esigenze ambientali; della tutela dei consumatori, in particolare per ciò che concerne la qualità e la certificazione dei prodotti alimentari ((Ivi.)).
Obiettivi che denotano quindi uno sguardo sensibile alle tematiche ambientali (compreso il complesso tema dei consumi e stili di vita, ancora oggi molto attuale) e dai quali è anche possibile riconoscere un tentativo di coinvolgimento di esterni alle attività sindacali. La forma stessa del Centro fu pensata per coinvolgere interessi e conoscenze esterne al movimento sindacale, forse per colmare quello scollamento tra organizzazione dei lavoratori e movimenti ecologisti (molta attenzione venne data alle attività di Legambiente) accennata nel paragrafo precedente. Un documento che in questo senso cercava una soluzione al problema è Assetto delle competenze, informazione e partecipazione dei cittadini nella legislazione ambientale , testo prodotto dall’Associazione Gaia per un seminario sulla predizione dei guasti negli impianti e sistemi complessi (a cura di M. Pascariello e F. Testi), attraverso cui vennero proposte ad esempio modifiche sul referendum d’iniziativa popolare, per renderlo più facilmente effettuabile da parte dei cittadini e per non farlo scadere in strumento plebiscitario ((“Occorre allora che le norme contenute negli statuti comunali, siano formulate in maniera tale da evitare il rischio che il referendum finisca col divenire uno strumento di democrazia plebiscitaria. In tal senso la previsione dell’iniziativa popolare diviene assolutamente imprescindibile”)), in modo tale che esso si realizzi come strumento di concreta e utile iniziativa popolare. E se si va più nello specifico a leggere nei vari capitoli del documento ciò che emerge sono una serie di strategie per rendere più accessibili le informazioni ai cittadini, e come tale accesso e la co-gestione degli interessi ambientali siano in sé dei diritti degli stessi ( L’informazione ambientale e il diritto di accesso ai documenti amministrativi , Il diritto di partecipazione alla gestione degli interessi ambientali , per citarne un paio)((Assetto delle competenze, informazione e partecipazione dei cittadini nella legislazione ambientale, Corrispondenza, fascicolo, 1 busta 1.)). I tragici incidenti di Seveso, Chernobyl, Massa portarono alla luce l’esigenza di coniugare il bisogno di produrre con quella di tutelare l’ambiente, facendo quindi emergere una forte domanda di conoscenza ((Associazione Ambiente e Lavoro – Relazione di Cesare Mondini,Come informare cittadini e lavoratori, Ambiente di lavoro, fascicolo 5, busta 4, p. 1.)). Vi era l’idea che la sicurezza nascesse dalla conoscenza, e questo doveva valere sia per la personale formazione dei cittadini che per la costruzione della contrattazione sindacale in tema di sicurezza e salute (sia umana che ambientale) sui luoghi di lavoro ((Ivi, pp. 2-4; “I datori di lavoro…devono – rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi per prevenire i danni derivanti dai rischi predetti”.)). Principale compito del Centro Studi e Associazione Gaia divenne dunque quello di organizzare la formazione e raccogliere materiale.
Nei cinque anni di vita del Centro e Associazione venne raccolto materiale vario, oggi contenuto nelle 19 buste che compongono il fondo (55 fascicoli in tutto, con la presenza anche di verbali, lettere, atti di convegni, appunti scritti a mano o a macchina, interventi, documenti seminariali, articoli di giornale, fascicoli, manifesti e volantini), e che indicano un importante tentativo di formazione interna, atta a favorire un’azione più incisiva del sindacato sui temi ambientali. Tale approccio ebbe sia limiti che aspetti innovativi. Infatti non si possono ignorare interventi e documenti fuori anche dagli schemi più classici in cui fino ad allora si era mosso il sindacato per quanto riguardava le tematiche ambientali (poiché esulavano in un certo senso dai programmi minimi dell’azione sindacale sui temi ambientali, cercando anche di dare risposte molto ambiziose), come il progetto Università Popolare, il documento Il diritto al tempo libero (all’ozio), una lettera del giugno 1993 sugli RSU (Rifiuti Solidi Urbani) che esprimeva una nuova sensibilità verso “l’inutile” ((Documenti contenuti in Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
Il testo sul progetto di Università Popolare va anch’esso nell’ottica dell’apertura e coinvolgimento trasversale di vari soggetti su diverse tematiche:
È questa un’iniziativa particolare, nuova, non ancora formalizzata ma più volte discussa con D. Campagnoli, F. Di Giangirolamo, P. Mosconi, che si pone un obiettivo ambizioso: che la CdL di Bologna si faccia promotrice di una serie di incontri pubblici su temi diversi ma fra loro fortemente correlati, rivolti a studenti, lavoratori, sindacalisti, aventi l’obiettivo di analizzare alcuni aspetti caratterizzanti l’attuale fase di transizione e crisi politica, economia e sociale, e le dinamiche-prospettive in atto. E non in modo neutro, ma proponendo criteri di lettura orientati “a sinistra” e utili ad un “sindacato dei diritti e delle solidarietà”.
L’origine della proposta è nelle riflessioni teoriche connesse al rapporto Ambiente/Sviluppo, alle cause dell’attuale disoccupazione ed alle possibili soluzioni, o al tema Democrazia/Partecipazione/centralità del lavoro. Riflessioni che hanno accompagnato la realizzazione di una serie di iniziative GAIA/CdL: da alcuni aspetti della ricerca “Ciba Geigy” ad altri della proposta “Azienda Metropolitana Energetico Ambientale”; dai convegni sullo Sviluppo Sostenibile ai Corsi di Educazione allo Sviluppo, alla piattaforma socio-sanitaria ((Università Popolare (note per una proposta), Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
Il documento Il disagio e la velocità è una raccolta di pensieri e riflessioni dei lavoratori del centro Gaia e di Ritorno al Futuro, i quali miravano a collegare il disagio ambientale con quello sociale, e che consapevoli della
sfuggevolezza dei temi proposti” avevano l’obiettivo di inserirsi in un filone recente, “arguto e multidisciplinare […] che ritiene necessario – ai fini di uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile – mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo occidentale. […] Con l’obiettivo di giungere a un documento più complesso che ci aiuti a svolgere meglio il nostro lavoro, e a incontrare altre persone interessate a ragionare su idee innovative di progresso e qualità sociale, e possibilmente costruire idee-proposte di lavoro ((Il disagio della velocità. Pensieri per una discussione, Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
Mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo occidentale significava rivedere radicalmente alcuni dei concetti egemoni di allora, ovvero:
Il rapporto VELOCITÁ/CONSUMO come parametro dominante; La relazione di squilibrio tra MEMORIA (negativo) e FUTURO (positivo), fra TRADIZIONE (negat.)/MODERNITÁ (posit.), fra CONSERVAZIONE (negat.)/PROGRESSO (posit.) [e quindi fra Lento/Veloce, fra Stabile/Dinamico…]; Il parallelo rapporto di squilibrio, non integrazione e conflittualità tra l’INDIVIDUO (la Libertà) e LA COMUNITÁ (il Vincolo). […] Tramite questi pensieri ci proponiamo l’intento, noi che lavoriamo al Centro Ambiente GAIA/CGIL e a Ritorno al Futuro, di stimolare una riflessione, con l’obiettivo di giungere a un documento più complesso che ci aiuti a svolgere meglio il nostro lavoro, e a incontrare altre persone interessate a ragionare su idee innovative di progresso e qualità sociale, e possibilmente costruire idee-proposte di lavoro ((Ivi .)).
Disagio sociale e ambientale erano visti dunque come connessi tra loro e furono la base per una discussione che aveva l’ambizione di ampliarsi alla fisica moderna, la filosofia della complessità e il pensiero ambientalista, in modo da mettere in discussione paradigmi della società contemporanea come l’esaltazione della modernità e del progresso in contrapposizione alla “lentezza”, alla memoria o alla tradizione.
Il documento sul diritto al tempo libero (o meglio all’ozio, come specificato nel documento stesso) non aveva come focus semplicemente la questione della riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, ma aggiungeva una componente nuova: a detta degli autori, la riduzione non era più parte di quel dibattito che negli anni Settanta divise sindacato e confederazioni. Il punto di partenza era rimasto sì quello di trasformare in tempo la crescita della produttività del lavoro, ma
il punto innovativo del ragionamento risulta nei valori identificati con la “prosperità” e che qualificano l’uso del tempo liberato. Sostituendo al “diritto ai consumi” un “diritto al tempo libero”, si sposta l’attenzione sulla qualità delle relazioni, della vita affettiva, del sistema sociale; cioè sui beni immateriali collegati assai più alle scelte politiche che alle forze del mercato […] La posta, anche politica, di una nostra iniziativa in questa direzione è alta. C’è infatti una stretta connessione tra un ridisegno degli orari a livello territoriale e lo sviluppo di modelli di democrazia decentrata, l’attribuzione di risorse agli enti locali, la valorizzazione di un localismo né antisolidale né reazionario ((Il diritto al tempo libero (all’ozio), Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
Anche qui erano centrali i temi della democrazia e della rappresentanza. Proprio in quegli anni era in corso una discussione sulla nuova struttura organizzativa della Camera del Lavoro di Bologna. In una bozza del documento sul nuovo assetto della CdLT, era rimarcata l’essenzialità del fatto che le scelte alla base della nuova struttura organizzativa non restassero semplici soluzioni di adeguamento burocratico, ma che invece cercassero effettivamente di cambiare il modo di lavorare, il rapporto tra le strutture e con i lavoratori ((La struttura organizzativa della camera del lavoro di Bologna, Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)). Nell’elencare l’insieme di diritti obiettivo della contrattazione e difesa sindacale, il diritto al controllo ambientale e alla tutela e sicurezza nei posti di lavoro è elencato insieme al diritto di lavoro, diritto alla formazione e di intervento. Vi sono diversi accenni alla tutela ambientale e all’importanza della sinergia con i compagni del dipartimento sicurezza sociale e del dipartimento ambiente ((Ivi.)).
Bologna si era già mostrata una città attiva sui temi ambientali quando, nel 1981, Legambiente e La nuova ecologia promossero un’assemblea e una mostra per illustrare l’impegno ambientalista, coinvolgendo più di quaranta associazioni e gruppi di diversa natura, dando il via all’esperienza di Arcipelago Verde, coordinamento che durò tre anni ((P. Poggi, op. cit., p. 72.)). Nel 1988 Legambiente nazionale diffuse la Carta degli intenti per un coordinamento nazionale ecologia – lavoro , con la quale la Lega tentava di promuovere un’alleanza tra movimenti ambientalisti e organizzazioni sindacali, in modo da “sviluppare un ambientalismo che rapporti il valore della salvaguardia del nostro ecosistema, compromesso e minacciato, alla solidarietà e alla giustizia sociale” ((Lega per l’Ambiente, Carta degli intenti per un coordinamento nazionale ecologia-lavoro , 20 febbraio 1988, Ambiente di lavoro, fascicolo 5, busta 4.)). Per evitare che le battaglie ambientaliste si trasformassero in conflitti tra movimenti e cittadini da un lato e lavoratori dall’altro, Legambiente sosteneva che andasse costruita una solidarietà avente come base la convinzione che “la salute (anche all’interno dei posti di lavoro), la sicurezza dei cittadini e l’integrità dell’ambiente sono gli obiettivi prioritari di qualsiasi battaglia, rispetto ai quali non può valere nessuna forma di ricatto, neppure quello occupazionale” ((Ivi .)). Questo documento pone l’attenzione sulla questione democratica e sul “chi decide”, promuovendo l’importanza dei referendum d’iniziativa popolare per contrastare le lobby industriali e i grandi potentati economici. Legambiente riconosceva sì, soprattutto a seguito dell’esperienza del referendum antinucleare, una maggiore sensibilità tra i lavoratori, ma la spinta al cambiamento ancora troppo flebile, soprattutto nel sindacato ((Ivi .)), che necessitava dunque di “trovare espressione attraverso adeguate forme di partecipazione e di democrazia” ((Ivi .)). L’aiuto del sindacato era richiesto soprattutto per raggiungere i luoghi di lavoro e di contrattazione, con la proposta di utilizzare anche le 150 ore come strumento di sviluppo e diffusione di una coscienza ecologista ((Ivi .)). Legambiente a Bologna non fu esente dal criticare la sinistra ( “In particolare la capacità di risposta che la sinistra riesce ad articolare è spesso frammentaria, non si fonda su una reale tradizione di lavoro sui temi ambientali, è superficiale e si risolve talvolta in una azione strumentale nei confronti degli ambientalisti che gli capitano a tiro” ((Lega per l’Ambiente, Presentazione piattaforma e documento della lega per l’ambiente in relazione alle elezioni amministrative. Conferenza stampa 27 aprile 1990 , in Politica, movimenti ambientalisti, fascicolo 48, busta 17.))) e dal rivendicare un proprio spazio di autonomia, ma sempre ammettendo la disponibilità a collaborare con tutta la società civile e gli organi intermedi. Il loro spazio autonomo doveva diventare “un luogo nel quale sia possibile riflettere sui problemi anziché sulle posizioni. Occorre includere, non escludere. Dare delle risposte all’emergere di una domanda di qualità ambientale espressa dalla società civile” ((Ivi.)).
Compito del Centro Gaia fu anche quello di studiare eventuali inchieste esterne come il progetto Nuove ipotesi sulla gestione dei rifiuti urbano/industriali tra industria e territorio: gestione del packaging e coprogettazione. Progetto di ricerca/intervento nel campo emiliano, o di proporre studi al Centro Innovazione e Formazione (CIF). Lo statuto del CIF definiva le sue finalità come formative, l’intento era quello di sviluppare e valorizzare le professionalità e sostenere i processi innovativi, in collaborazione con i progetti mirati relativi ad ambiente, donne e handicap e promuovendo un sistema di relazioni per facilitare la connessione con competenze esterne all’ambito sindacale ((CIF – Centro per l’Innovazione e la Formazione – CdLT Bologna. Programma di attività 90. Esecutivo CdLT del 28 marzo 90, Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1, p. 1.)). Su iniziativa del Centro Gaia e della FLAI, il CIF diede inizio al primo esperimento di integrazione in un corso di tematiche ambientali, sia generali che specifiche di settore (es.: agro-alimentare), utilizzando lo spazio delle 150 ore, prevedendo un’approfondita analisi dei risultati in modo da produrre un sistema modulare (riproducibile e aggiornabile), in modo da renderlo estendibile ad altre categorie;
vogliamo comunque ricordare che le sollecitazioni di nostri interventi sugli aspetti che riguardano la condizione femminile e le tematiche ambientali, per evitare parcellizzazioni nelle iniziative, devono pervenirci dal coordinamento e dal centro d’iniziativa delle donne e dal centro d’iniziativa per l’ambiente. Noi siamo comunque interessati a seguire le iniziative che queste strutture organizzano, per rendere più efficace il nostro contributo alle ricerche e poter con conoscenza di causa contribuire propositativamente, specie per le conoscenze acquisite attraverso gli osservatori, a tale attività ((Ibidem , p. 8.)).
A giugno dello stesso anno, il Centro Gaia e lo Spi-San Donato organizzarono due giornate di informazione e discussione intitolate Alimentazione e Salute – Agricoltura ed Ambiente, un’attività inserita del più ampio progetto di Gaia Per la riconversione ecologica dell’agricoltura. L’obiettivo delle giornate, che videro la partecipazione di 240 attivisti, era quello di confrontare questione ambientale e sanitaria con i temi riguardanti la ristorazione collettiva: “è ovvio ricordare come sui temi ambiente/salute una diffusa consapevolezza individuale dei problemi e dei modi per affrontarli costituisca una base importante per le relative politiche sindacali. Gaia è a disposizione per ciò, e per altri possibili agganci relativi al progetto allegato, come il contatto con CdF e Commissioni Mensa per iniziative d’informazione/formazione e per sperimentare l’utilizzo di prodotti biologici/a lotta integrata nelle mense interne” ((Per una riconversione ecologica dell’agricoltura. Piattaforma territoriale , fascicolo 22, busta 6. La piattaforma venne presentata anche come specifico contributo della CdLT alla discussione sul referendum sui pesticidi del 1990)).
Una conseguenza di questo documento fu la proposta, nel maggio del 1991, di organizzazione un corso di formazione, da presentare alla Provincia, sull’utilizzo di prodotti di qualità nelle mense collettive e sul necessario aggiornamento degli addetti del settore delle loro conoscenze relative a metodi di cottura e nutrizione ((Giorgio Dal Fiume, Presentazione progetto: “cambiare la produzione tramite il consumo”, fascicolo 22, busta 6.)). Questa formazione andava a inserirsi in un progetto più ampio, avente come obiettivo quello di stimolare, attraverso il consumo organizzato di prodotti di qualità (da agricoltura biologica e lotta integrata), l’utilizzo di pratiche agricole ad impatto ambientale basso. La ristorazione collettiva era vista come il punto di leva migliore per affrontare una serie di problemi, sì diversi, ma legati tra loro, come l’inquinamento delle acque, la fertilità dei suoli, il calo di qualificazione del lavoro nel comparto agricolo e l’alimentazione dannosa per la saluta. Tra gli obiettivi del progetto figuravano anche: stimolare le istituzioni pubbliche a predisporre incentivi e fornire assistenza tecnica, favorire la prevenzione sanitaria e di educazione alimentare, stimolare la partecipazione nei luoghi di lavoro (anche attraverso il coinvolgimento dei consigli di fabbrica)((Ivi .)).
Il lavoro svolto da Gaia nel corso dell’anno si era rivolto principalmente al costruire rapporti con aziende e i dopolavoro e a costruire iniziative con associazioni ambientaliste (venne criticata la scarsa risposta degli Enti Locali):
• Convegno “Alimentazione e Salute” (maggio ’90)
• Introduzione (luglio ’90) di prodotti biologici alla C.I.M.A. di Castenaso (350 dipendenti), esperienza positiva che si è confermata ed allargata nel tempo;
• Contatti coi comuni di S. Giorgio di Piano, Granarolo, Crevalcore;
• il 3 giugno ’91 parte la sperimentazione all’O.T.E./F.S. (450 dip.), dopo contatti col DLF, assemblea/dibattito con diversi relatori, effettuazione del questionario (in corso);
• Contatti con CdF Unipol, Coop, Sip per inizio percorso sperimentazione;
• Organizzazione, col Comune di Pieve di Cento di un incontro (12 maggio ’91) di discussione tra comuni della provincia di Bologna, Usl, Provincia, Asam, consorzio Produttori Biologici “il salto”, Lega per l’Ambiente e WWF rispetto alla proposta CGIL. Pareri positivi e presa d’impegni rispetto allo sviluppo della proposta; visita di 250 pensionati (in accordo con lo SPI Roveri, il 5 e 7 giugno ’91) ad un’azienda biologica della provincia di Bologna, con incontro/dibattito sul tema “Alimentazione e Salute-Agricoltura e Ambiente”, pranzo biologico, visita all’azienda ed al parco annesso;
• Partecipazione – con altre associazioni ambientaliste, il consorzio “il Salto”, associazioni di Consumatori ecc…, ad un coordinamento di promozione del biologico, di garanzia sul controllo della normativa, e dell’attività di incentivazione (anche legislativa) degli Enti Locali;
• Predisposizione, assieme all’Ecap, dell’ipotesi di un corso di aggiornamento sul tema “Alimentazione e salute: rapporto tra qualità dei cibi, agricoltura, inquinamento ambientale, rivolto a membri delle Commissioni mense, cuochi e delegati, tramite finanziamento della Provincia ((Ivi .)).
Giorgio Dal Fiume, nella conclusione della presentazione del progetto, affermava come esso avrebbe contribuito a portare la CGIL all’avanguardia rispetto ai temi ambiente-prevenzione-salute, rendendola efficacie sia nel rapporto con Enti Locali, che con le associazioni ambientaliste ed i tecnici di settore (oltre che con lavoratori e pensionati, mostratisi entusiasti quando coinvolti). A detta di Dal Fiume, una maggior “ufficializzazione” del progetto avrebbe portato a un maggior coinvolgimento delle strutture interne ancora non attivatesi e all’organizzazione di più iniziative pubbliche, promosse da Gaia, che presentassero il ruolo fondamentale del sindacato e i risultati ottenuti ((Ivi .)). Il 1990-1991 fu un periodo di intensa attività per Gaia, che riuscì a pubblicare gli interventi, con annesso questionario di verifica, del corso di formazione ambientale per quadri e dirigenti sindacali tenutosi nel 1990 presso la scuola sindacale Ca’ Vecchia di Bologna, dove parteciparono dirigenti e quadri delle Camere del lavoro di Bologna Ravenna, Ferrara, Faenza e Imola (ovvero quelle di riferimento al bacino idrografico del Reno). Lo studio e la realizzazione del modulo formativo per sindacalisti vennero commissionati a Gaia dalla CGIL di Bologna e Regionale, in modo da poterli sperimentare concretamente nella realtà regionale.
La struttura del corso era seminariale, pensata per incrociare apporti ed esperienze diverse (di relatori e partecipanti), scaturita dai bisogni formativi risultanti dalla pratica sindacale in atto, e non da un’elaborazione teorica slegata dalla pratica ((G. Dal Fiume (a cura di), Ambiente e territorio, op. cit., pp. 8-9.)). Il corso prese quindi spunto dall’applicazione della legge 183 e fu incentrato sulla gestione dell’acqua e del territorio: in tal modo si voleva partire da un caso concreto per ricercare poi le conoscenze utili per valutare gli impatti ambientali nel loro insieme e con le loro connessioni ((Ibidem , p. 6.)). Per Dal Fiume, la formazione intesa come ricerca di risposte utili al malfunzionamento dell’esistente andava legata ad una formazione
che sia un profondo interrogarsi sull’origine del “problema ambiente”, cioè sul dove e come si forma la domanda. […] Una simile impostazione ci sembra ancor più utile e importante se il referente è il sindacato: il contenuto della formazione deve infatti connettersi a un insieme vasto e complesso di campi d’azione, e, soprattutto, ad un ruolo che non può rinunciare a intervenire sulle contraddizioni dell’esistente, come momento di concreto progresso sociale. Siamo convinti che la questione ambientale rappresenti una forte leva in questo senso e che contenga un’alta potenzialità di azione politica ((Ibidem , pp. 7-8.)).
Nel novembre 1993, la Camera del Lavoro di Bologna promosse il convegno Sviluppo sostenibile: sinistra e sindacato fra diritto e limiti allo sviluppo , che poneva come obiettivo quello di coniugare la dimensione reale dei problemi economici e sociali attuali con il dibattito teorico sullo sviluppo sostenibile, ragionando sul ruolo della CGIL. Nell’introduzione agli atti del convegno, Franco di Giangirolamo, della Segreteria della CdL di Bologna e uno dei promotori di Gaia, affermava la necessità di dare sostanza al binomio “sviluppo sostenibile”, onde evitare che restasse un’etichetta vuota (come accaduto a Rio de Janeiro). La CGIL doveva rimanere vigile per impedire che l’ecologismo diventasse un’arma neoimperialista nelle mani del nord del mondo e quindi, sulla scia di quanto emerso dal congresso precedente, era fondamentale legare il concetto di sviluppo sostenibile ai problemi del sud del mondo ((Ibidem , p. 14)). Come evidenziato anche in un documento prodotto in un Workshop tenutosi a Cervia nel settembre del 1993 (una riflessione successiva alla Conferenza di Rio del 1992), la CGIL doveva prendere coscienza del proprio ruolo e rendere più incisiva la propria iniziativa verso le politiche economiche soprattutto nel sostenere un modello di sviluppo che considerasse la tutela ambientale una componente fondamentale dello sviluppo stesso ((Luigi Rambelli, Occupazione, riconversione dell’apparato produttivo e ruolo del sindacato , Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)). Di Giangirolamo si connette a tale ragionamento affermando che solo cambiando le proprie priorità politiche rivendicative, coinvolgendo i lavoratori nei nuovi progetti, la CGIL sarà in grado di affrontare la questione a livello nazionale e internazionale. Nell’introduzione agli atti egli affermò: “credo che per un’organizzazione sindacale come la CGIL, per tutte le organizzazioni sindacali, ci sia un terreno di sfida aperto – particolarmente difficile e complesso per fare della qualità della vita, del lavoro e dell’ambiente, i pilastri sui quali costruire una capacità propositiva e progettuale” ((Giorgio Dal Fiume (a cura di), Alla ricerca dello sviluppo sostenibile, I tascabiliEDIESSE, Roma, 1994, p. 18.)).
Su altri temi l’azione sindacale restò maggiormente inserita nell’egemonia culturale e politica caratterizzante quell’epoca: questo lo si può evincere ad esempio in un documento contenuto in E3.7, Plastica – Carta, sulle iniziative intraprese in vari territori per quanto riguarda raccolta, riciclaggio e problematiche legate a plastica e carta. Il documento aveva l’obiettivo di trovare una posizione unitaria tra CGIL, CISL e UIL sui temi dei rifiuti e del riciclo: la discussione fu però molto limitata a shopper e bottiglie e la difesa ambientale rimase un obiettivo strettamente subordinato alla difesa dell’occupazione e della produzione. Non parve possibile trovare una soluzione all’impasse tra limitazione dell’usa e getta e aumento della produzione ((Plastica – Carta, E3.7 Inquinamento da rifiuti, fascicoli 33-34, busta 13. In un documento della Federazione Unitaria Lavoratori Chimici, situato nella medesima busta, venne usato il termine “mistificazione” in relazione all’allarmismo nei confronti dei contenitori di plastica. Non mancano anche articoli con interviste a lavoratori preoccupati per il loro posto di lavoro e critici delle misure antiplastica intraprese dai comuni. L’Associazione Gaia si trovò schiacciata tra queste posizioni.)). Anche nella relazione di Duccio Campagnoli ad un seminario del XII Congresso CGIL (quello del 1991, citato nel paragrafo precedente) si può notare da un lato un’apertura e un interesse verso nuove soluzioni, come ad esempio il tema della riconversione industriale; ma quando si trattò di ripercorrere la crisi e le azioni degli anni Settanta e Ottanta il ragionamento emerso non andò a toccare la tematica ambientale, in tema di qualità industriale e innovazione, e rimase invece focalizzato al mero ambito contrattuale (( Relazione di Duccio Campagnoli, seminario C:D: della CdLT di Bologna. XII Congresso CGIL, Corrispondenza, fascicolo 1, busta 1.)).
L’importanza del problema rifiuti, soprattutto la plastica e in particolare il packaging, era comunque sentita, dal momento che il materiale a riguardo è abbondante e vario (con presenza di un gran numero di articoli di giornale e approfondimenti scientifici), come era rilevante il tema della pianificazione (ad esempio in Nota sulla Legge Regionale: “Disciplina dello smaltimento dei rifiuti”, approvata 1/6/94, di cui si elogia l’organicità ma di cui si critica l’ignorare “completamente la società civile economica-sociale”, poiché non risulta previsto uno strumento partecipativo per un confronto tra società civile e istituzioni ((Nota sulla Legge Regionale: “Disciplina dello smaltimento dei rifiuti” approvata 1/6/94, E3.7 Inquinamento da rifiuti, fascicoli 33-34, busta 13.))).
I percorsi di approfondimento sviluppati da Gaia erano molteplici e prendevano in certi casi le mosse da particolari avvenimenti di cronaca in grado di stimolare discussioni e riflessioni più generali. Ad esempio, il fascicolo 13 è composto in buona parte da materiale che ripercorre gli eventi legati alla Karin B, e che hanno riscosso molta attenzione nazionale e internazionale alla fine degli anni Ottanta. Non solo vi sono raccolti molti articoli di vari giornali che all’epoca seguirono la vicenda, ma vi sono conservati anche documenti istituzionali (ad esempio lettere del Presidente della Regione E-R al Ministro dell’Ambiente, del Coordinamento della Protezione Civile e a quello degli Affari Regionali ((Prot. n. 2813, Bologna 19 agosto 1988, E3.7Inquinamento da rifiuti, fascicoli 33-34, busta 13 .))) e documenti legati all’attività sindacale che possono permettere, dunque, una ricostruzione non solo dei meri fatti ma anche del grado di partecipazione e delle posizioni ufficiali della CGIL bolognese ed emiliano romagnola, e persino di CISL e UIL (che si coordinarono tra loro e che parteciparono unitariamente alla Commissione Consultiva, o che interpellarono in modo univoco il Sindaco di Castel Maggiore per la questione della discarica dei rifiuti speciali)((Documenti contenuti in E3.7 Inquinamento da rifiuti, fascicoli 33-34, busta 13.)).
Gli avvenimenti della Karin B portarono dunque a raccogliere materiale e aprire una riflessione inerente da un lato alla gestione dei rifiuti tossici e pericolosi, dall’altro al rapporto tra istituzioni, salvaguardia ambientale e della salute della comunità.
Come già anticipato, nel 1995 l’Associazione Gaia venne accorpata al Centro Innovazione e Formazione con cui collaborava già dalla sua nascita. La confluenza nel CIF risultò come lo sbocco naturale di Gaia, che aveva sicuramente portato avanti i suoi obiettivi formativi e di raccolta materiale, ma che non era stata in grado di consolidarsi come realtà associativa, non riuscendo ad attrarre una solida partecipazione esterna alla realtà sindacale.
L’esperienza dell’Associazione Gaia può essere letta come un tentativo di apertura del Sindacato sia nel ripensamento della tematica ambientale, ci fu infatti un importante sforzo nel tentare di essere innovativi e soprattutto ricettivi nei confronti dei diversi approcci alla questione ecologica, sia nel cercare di raccogliere contributi anche esterni e provenienti dal mondo dei movimenti ambientalisti (soprattutto Legambiente). Si cercò di sensibilizzare iscritti e dirigenti, proponendo percorsi di formazione e dibattito, cercando anche di mettere in discussione paradigmi egemoni e complessi da scalfire. L’esperienza fu però alquanto timida (i focus principali restarono quelli della sicurezza e della salute e non si riuscì a sciogliere la tensione tra ambiente e lavoro) e il ruolo di Gaia si esaurì nel giro di pochi anni; questo accadde forse anche per un affievolimento o timidezza generale dell’azione del sindacato in quegli anni nei confronti di tali tematiche. Infatti, dopo una prima fase (dalla fine anni Settanta agli anni Ottanta) in cui l’ambientalismo italiano si avvicinò ai movimenti pacifista e femminista, e ai sindacati nella fase post-Chernobyl, si aprì una fase di proteste più eterogenee e locali, che difficilmente riuscirono a integrarsi in un progetto complessivo. Fu proprio durante gli anni Novanta che si ebbe l’insorgere di varie questioni (quella migratoria, quella morale, quella criminale, spesso trattate in prospettiva neopopulista), che oscurarono la questione ambientale, che perse terreno rispetto alla forte ascesa registrata negli anni Ottanta ((D. della Porta e M. Diani, op. cit., pp. 18-19.)). Questo non significò una totale assenza di attività da parte delle associazioni ambientaliste (che ripresero con forza nelle occasioni di Seattle e Genova), ma fu comunque un momento di riflusso della protesta, che affievolì anche la carica innovativa, che si basava in parte sulla forza e centralità dei movimenti ambientalisti, del Centro e Associazione Gaia. Questa esperienza è però prova di quel legame, citato all’inizio, tra mobilitazione ambientale, partecipazione pubblica e questione democratica.
Appendice – L’Archivio Storico
Un primo riordino dell’Archivio Storico della Camera del Lavoro si ebbe alla fine degli anni Settanta, su indicazione del sindacato generale che diffuse una guida: I centri di documentazione del Sindacato. Impianto e utilizzazione (maggio 1977). Il materiale riordinato comprendeva quello presente negli uffici e cantine della Camera del Lavoro del capoluogo, materiale dato dalle Camere del Lavoro provinciali e quello donato da attivisti e dirigenti. Per quanto dunque ci sia stata una attenzione alla sistemazione dell’Archivio, vi erano comunque delle problematiche, comunemente riscontrabili in un archivio sindacale, come la casualità della conservazione e la raccolta dei documenti. Non che mancassero le carte o l’attenzione alla conservazione; il vero problema era comprenderne la logica formativa, la certezza di collocare il singolo documento nel contesto che lo ha visto nascere ((Camera del lavoro territoriale di Bologna – Centro documentazione-archivio storico , Il lavoro in Archivio. Volume I (Le carte dell’Archivio storico della Camera del Lavoro di Bologna e della Cgil Regionale), Bologna, Coop Musea s.c.r.l. editrice, 1995, pp. 14-16.)). Da quello che è emerso con il secondo riordino questa attenzione alla logica formativa non c’è stata e ora è presente una quantità di materiale che non forma un archivio in senso stretto “se cioè per archivio si intende un complesso organico di documenti prodotti o comunque acquisiti durante lo svolgimento della propria attività da un ente, […], nelle sue diverse articolazioni” ((Ibidem , p. 15.)). Una prima inventariazione provvisoria venne fatta nel 1992, e nel 1994 si procedette a una ricognizione più sistematica. Nel 1995 fu pubblicato Il lavoro in Archivio, Volume I (Le carte dell’Archivio storico della Camera del Lavoro di Bologna e della Cgil Regionale) il quale, nonostante il lavoro di inventariazione non fosse ancora del tutto completato (di alcuni fondi si danno solo gli estremi cronologici e la consistenza), dà una buona descrizione, generale e sintetica, dei fondi e delle scelte di riordino, oltre che l’inventario completo di alcuni fondi ((Ibidem , pp. 16-18.)). I singoli fondi sono presentati a partire da: le strutture territoriali (orizzontali) a livello provinciale, seguite dalle strutture provinciali (verticali o di categoria) presenti ancora oggi nella CGIL, e dentro ogni Federazione di categoria sono inseriti fondi delle strutture esistenti in precedenza e confluite in esse ((Ibidem , p. 19.)).
La documentazione presente comprende materiale raccolta a partire dalla ricostituzione del sindacato nel secondo dopo guerra ( “salvo rare eccezioni”) fino ai giorni nostri, e l’archivio è corrente ((Ibidem , p. 13.))