La città come ecosistema

La città, dai tempi più antichi, è il territorio di aggregazione di popolazioni, di incontro di culture, di commerci e di potere. Dalla città “il re” emana i suoi ordini; nella città i mercanti trovano l’occasione per acquistare e vendere merci; nella città i sapienti hanno la possibilità di insegnare e studiare; nella città, nei tempi recenti, dopo la rivoluzione industriale, si sono insediate le fabbriche e la città ha attratto imprenditori e lavoratori. In alcune lingue, come il francese e l’italiano, il nome “cittadino” indica, per eccellenza, “la persona” umana.

Col passare del tempo le città sono diventate sempre più grandi come estensione, hanno inglobato boschi e terreni agricoli, hanno accolto una crescente popolazione e sono state attraversate da un crescente, spesso frenetico, talvolta caotico, flusso di persone e di oggetti materiali, di acqua e di energia. Non c’è da meravigliarsi che questi mutamenti abbiano attirato l’attenzione di letterati e sociologi e naturalisti, al punto da dar vita ad una disciplina, o ad un complesso di discipline di ricerca e di insegnamento, che si chiamano, appunto, “urbanistiche”.

La città è apparsa così come un organismo vivente la cui vita è analoga a quella di qualsiasi altro essere vivente, un vero e proprio “ecosistema” che, come qualsiasi essere vivente, assorbe dall’esterno gas e acqua e materiali che vengono metabolizzati fino a diventare scorie e rifiuti. Si può pertanto parlare di un metabolismo urbano di cui si possono misurare, in unità fisiche, di massa e di energia, i flussi di materia ed energia attraverso i confini di una città; dalla misura di tali flussi appare che anche la città, come qualsiasi ecosistema, possiede una capacità ricettiva – o carrying capacity – limitata nei confronti dei fenomeni vitali che si svolgono al suo interno.

Una migliore conoscenza di questo modello ha anche qualche utilità pratica perché permette di comprendere come migliorare la salute e il benessere degli abitanti umani, come conservare meglio le testimonianze del passato, come amministrare correttamente la città e il territorio circostante.

L’idea che la città sia un sistema vivente, un vero e proprio ecosistema, sia pure artificiale, è stata espressa da molti: Piccinato già nel 1942 parlava della “città come organismo”; Abel Wolman nel 1965 aveva descritto il “metabolismo delle città”; Jay Forrester nel libro “Urban dynamics” del 1969 applicò la dinamica dei sistemi all’analisi della città di Chicago; “ecosistema urbano” è il titolo di un libro di Nicoletti del 1978. Da allora sono apparsi tanti libri sullo stesso tema, si sono svolti congressi; in Italia due incontri presso l’Accademia dei Lincei nel 2001 e nel 2004, quest’ultimo sull’ecosistema della città di Roma.

Ai fini dell’analisi dei flussi di materia ed energia attraverso una città occorre fissare i confini fisici e geografici, ecologicamente significativi, della “città”. In alcune città – originariamente centri medievali delimitati da cerchia di mura e con alcune strade radiali di accesso – il confine del “centro storico” è comodo ai fini dell’analisi; in altre città il tessuto urbano è diffuso e addirittura è frammentato in quartieri che rappresentano sottosistemi dell’ecosistema complessivo: i quartieri sono spesso collegati fra loro e con il centro mediante dei “cordoni ombelicali”, vie di traffico soggette a particolare congestione in alcune ore del giorno. In altri casi si hanno delle conurbazioni (un termine “inventato” da Patrick Geddes), un territorio urbanizzato in forma quasi continua che si estende attraverso i confini amministrativi di vari comuni, ma che rappresenta un solo grande ecosistema.

Lungo l’Adriatico si pensi alla conurbazione rappresentata dalla zona fra Cervia, Rimini e Gabicce; alla fascia costiera pugliese che si estende, in modo praticamente continuo, per circa 140 km, da Barletta, attraverso molti altri paesi fino a Bari e continua, a sud-est, fino a Monopoli; lungo il Tirreno una conurbazione lunga 50 km attraversa tre province, da Bocca di Magra a Carrara, Massa, Forte dei Marmi, Viareggio. Gli esempi sono molto più numerosi.

Nella città la materia e l’energia sono “importate” sia dall’ambiente naturale (aria, acqua) “esterno” alla città, sia dalle attività produttive, pure esterne alla città. La materia e l’energia che entrano in una città alimentano sia le attività economiche che si svolgono all’interno della città stessa (negozi, officine, uffici, scuole), sia le attività di consumo delle famiglie e dei servizi: trasporti, riscaldamento e illuminazione degli edifici, eccetera.

Le città, in quanto ecosistemi, hanno, come si è già ricordato, una carrying capacity che, a sua volta, dipende dalla carrying capacity delle strade e degli spazi verdi; da tale carrying capacity dipende la quantità massima di popolazione, di traffico, di merci e rifiuti, di attività, che la città e il territorio possono sopportare. Se ci si avvicina o si supera la carrying capacity, una città va incontro ad un rapido aumento delle malattie, del malessere urbano, delle tensioni sociali.

È come se, alla mattina, una città si gonfiasse per l’ingresso di persone e di merci dirette ai vari settori vitali: abitazioni, negozi, trasporti, uffici, fabbriche, attività artigianali, ospedali, eccetera. Nelle prime ore della giornata entra un flusso di alimenti, giornali, carburanti, destinati a negozi e distributori da cui la popolazione li preleva a mano a mano che entra e circola nella città: il flusso in entrata raggiunge un massimo fra le otto e le dieci; a questo punto la città è gonfia di persone, di attività e di vita e verso il pomeriggio e la sera comincia a sgonfiarsi quando i lavoratori tornano a casa. Il flusso di energia elettrica aumenta nelle prime ore della giornata e per tutta la giornata con un picco dalle 10 alle 18 per poi diminuire un poco, con un secondo picco per le attività serali e un declino la notte. Questi cicli vitali variano nelle varie stagioni dell’anno, nei vari giorni della settimana, raggiungono picchi nei giorni in cui ci sono eventi sportivi, nella stagione delle spese natalizie, con un rallentamento durante le vacanze estive.

Nel caso delle città turistiche si ha un aumento, molto intenso, della popolazione in una breve stagione, d’inverno o d’estate. Le variazioni della popolazione hanno effetti rilevanti ai fini della progettazione degli impianti che assicurano i servizi essenziali, come l’approvvigionamento idrico o le fognature e i depuratori. Nelle città turistiche, per esempio, acquedotti e fognature o trasporti, in grado di soddisfare le richieste nel periodo di massimo affollamento restano sottoutilizzati per i rimanenti mesi dell’anno; d’altra parte gli stessi servizi sufficienti per la popolazione “normale” sono insufficienti nei periodi di punta della presenza turistica.

Interessante, ai fini dell’analisi dell’ecosistema urbano, la presenza di un fiume o di reticoli di antichi canali sotterranei spesso ridotti a collettori delle acque di fogna il cui carico inquinante “esportano” a fiumi o città o al mare a valle

Tutte le merci che entrano in una città si trasformano, in genere in tempi brevi, in rifiuti solidi, liquidi, gassosi che restano in parte dentro la città (i fumi della combustione) e in parte vengono esportati nell’ambiente circostante. Ai fini dello stato di salute degli abitanti di una città è importante la misura dell’inquinamento atmosferico provocato per lo più dal traffico e dagli impianti di riscaldamento. Ci sono norme europee che impongono limiti alla quantità massima tollerabile di alcuni agenti inquinanti fra cui le polveri sottili, anche se sono soltanto alcune delle sostanze nocive alla salute. Il superamento delle soglie impone agli amministratori alcuni provvedimenti, tipo la limitazione del traffico in alcune zone della città o in alcuni giorni della settimana.

Il traffico di autoveicoli è una delle fonti di malessere urbano e la sua intensità e pressione può portare ad un collasso dell’ecosistema urbano, a fenomeni di caos, il fenomeno che si manifesta quando una “popolazione”, in questo caso di autoveicoli, si avvicina alla carrying capacity del territorio, nel nostro caso delle strade. La quantità e la tossicità dei gas inquinanti immessi nell’atmosfera non dipendono soltanto dal numero di autoveicoli in circolazione, ma anche dal modo in cui si muovono o occupano lo spazio urbano. Se circolano più automobili aumenta, naturalmente, la quantità dei gas di scarico e, nello stesso tempo, gli autoveicoli si muovono più lentamente, con continue frenate e accelerazioni il che fa aumentare ulteriormente i composti immessi nell’atmosfera e la loro velenosità.

La maggior parte degli autoveicoli che entrano nella città si fermano ai lati delle strade o nelle piazze e qui spesso restano talvolta alcuni minuti o poche ore o tutto il giorno; le automobili in sosta fanno diminuire lo spazio della strada disponibile al movimento, il quale si fa più lento, le soste ai semafori si fanno più lunghe ed è proprio in queste condizioni che il carburante brucia peggio e l’inquinamento aumenta.

Altre nocività ambientali derivano dalla massa delle merci che entrano nella città e che diventano, in tempi brevi, rifiuti solidi o liquidi. In prima approssimazione per ogni 100.000 abitanti si tratta di circa 50.000 tonnellate all’anno di materie solide e di 100 milioni di t/anno di acqua; queste ultime fuoriescono, con aggiunta di varie sostanze disciolte o sospese, e finiscono nelle fogne; le altre materie diventano circa 50.000 t/anno di rifiuti solidi provenienti dalle abitazioni, dai negozi, dagli uffici, eccetera, con composizione merceologica diversissima, di mese in mese, di quartiere in quartiere, il che ne rende difficile la raccolta separata e le operazioni di recupero di materia. Le soluzioni di discarica in cave o di combustione in inceneritori (con varianti più o meno ecologicamente e politicamente corrette) sono ancora prevalenti.

L’idea di analizzare una città come un ecosistema non ha soltanto interesse intellettuale e scientifico, ma è essenziale per una efficace politica della città.

Essa è utile, per esempio, per stabilire quali limitazioni vanno poste al traffico e alla sosta degli autoveicoli, dove localizzare le attività produttive, quali combustibili si possono usare per il riscaldamento, quali servizi collettivi vanno potenziati, quali prezzi vanno chiesti ai privati per avere dei benefici collettivi, come la diminuzione delle malattie, minore corrosione, minori costi di manutenzione, la possibilità di incontrarsi e comunicare.

La conoscenza dello “stato di salute” di una città, acquistata attraverso una analisi complessiva dell’ecosistema urbano, consentirebbe di avviare una politica urbana capace di far diventare più umana – o, forse, soltanto umana – “civile”, la vita nelle nostre città. Con vantaggio per la scienza ecologica e per il buongoverno della città.