La giovane generazione dei fisici e il rinnovamento delle scienze in Italia negli anni Settanta

Abstract

La contestazione studentesca del 1968 e le successive lotte operaie e sociali in Italia ebbero un forte riflesso tra gli scienziati e i tecnici. La giovane generazione dei fisici, oltre a partecipare in parte a quelle lotte, manifestò negli anni Settanta una crescente insoddisfazione verso i contenuti e l’organizzazione della ricerca scientifica, e cercò attivamente di costruire delle alternative nuove. Si aprì un decennio di profondi fermenti, nel quale si produssero forti cambiamenti nell’assetto e nei contenuti della ricerca scientifica italiana. In una prima fase, alcuni giovani fisici, in genere impegnati nella fisica delle alte energie, individuarono nei fondamenti della meccanica quantistica una via per sottoporre a critica la base di tutta la fisica moderna. Contemporaneamente, alcuni di loro svilupparono critiche verso l’approccio scientifico dominante, e alcuni cercarono di aprire nuove strade collegandosi direttamente con le lotte operaie per la difesa della salute. Allo stesso tempo essi svilupparono un’attività nuova di storia della fisica, con un’impostazione radicale ispirata direttamente a Marx, per collegare in termini storico materialisti le radici dello sviluppo della fisica moderna agli interessi e alle scelte delle fasi di sviluppo del capitalismo. Inoltre l’impegno politico e sociale di alcuni di loro si collegò alle nascenti lotte contro lo sviluppo dell’energia nucleare, che in Italia fu una delle radici dello sviluppo dell’ambientalismo, contro la guerra e per il disarmo nucleare. In generale il contesto delle discipline scientifiche ricevette un profondo rinnovamento.

Il vento rinnovatore del ’68 si riflette nella ricerca scientifica

La contestazione studentesca del ’68 catalizzò in molti paesi lotte e rivendicazioni del personale tecnico e ricercatore e si legò alle più generali lotte e rivendicazioni operaie (in Italia l’Autunno caldo ) e sociali. I giovani laureati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta portarono le nuove istanze politiche anche a livello professionale all’interno delle università e dei laboratori, impegnandosi per un rinnovamento dei campi di ricerca.

In questo contesto e dietro questi stimoli, la giovane generazione di fisici italiani maturò una crescente insoddisfazione per i settori di ricerca dominanti nei quali si era formata (in Italia prevaleva in modo quasi assoluto la fisica delle alte energie, a scapito di altri settori più legati a possibili applicazioni produttive), e negli anni Settanta avviò programmi di ricerca nuovi che risultarono in effetti innovativi. Molti di essi svilupparono un impegno politico diretto a fianco delle lotte operaie, spesso in stretta collaborazione con gli studenti, cercando anche motivazioni dirette per il rinnovamento delle loro discipline. Sul piano professionale, in una prima fase alcuni dei giovani fisici individuarono nella ricerca sui fondamenti della meccanica quantistica (FMQ) una via per sottoporre a critica la base di tutta la fisica moderna. Ma parallelamente molti di loro esplicitarono in termini concreti la profonda insoddisfazione per l’impostazione e la dinamica della ricerca nella fisica delle alte energie. E lo sforzo di capire il nesso tra lo sviluppo della scienza moderna, matematica e formale, e quello del capitalismo li portò ad impostare un’attività innovativa di ricerca nella storia della fisica e della scienza, sebbene fossero privi di una preparazione in campo storico. In Italia era consolidata una scuola di storia della scienza di ispirazione marxista, ma era appannaggio di studiosi di formazione umanistica, ai quali mancavano gli strumenti tecnici e formali per capire la scienza moderna. Per di più questa scuola aderiva alla concezione della scienza moderna come attività di indagine della natura sostanzialmente indipendente dalla società e dagli interessi di classe. I giovani fisici, unitamente a giovani matematici, impostarono un approccio storico originale e radicale, ispirato al metodo del Materialismo Storico di Marx, quale egli aveva sviluppato nella critica dell’economia politica, coniugandolo invece alla storia delle scienze naturali collocata nel contesto sociale ed economico.

Parallelamente a queste attività e iniziative, molti dei giovani laureati si impegnarono nei movimenti contro i programmi di sviluppo dell’energia nucleare per usi civili, sui problemi ambientali, e nei movimenti pacifisti e per il disarmo nucleare durante la “crisi degli Euromissili” della prima metà degli anni Ottanta.

In generale in tutte le discipline la giovane generazione di laureati tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta portò una ventata di rinnovamento nelle impostazioni e nei contenuti che, malgrado il generale riflusso degli anni Ottanta, lasciò in molti casi effetti duraturi, e comunque cambiò e arricchì il panorama della ricerca e delle discipline scientifiche in Italia. Basti pensare, ad esempio, alla rivoluzione nella psichiatria italiana portata avanti da Franco Basaglia (1924-1980) e da molti altri, che ovviamente esula, come altri campi, dalla nostra ricostruzione. La vittoria del 4 dicembre 2016 contro la riforma costituzionale di Renzi lascia senz’altro aperto il compito di attuare la Costituzione Italiana: ma è il caso di ricordare le grandi riforme che a seguito delle lotte popolari degli anni Settanta portarono all’attuazione di aspetti fondamentali. Ci piace riportare testualmente a questo proposito le parole di una mail di Anna Picciolini del 21 giugno 2017((Anna Picciolini (Firenze), mail, 21 giugno 2017)) : “In quegli anni, falsamente e ingenerosamente definiti “anni di piombo”, furono approvate una ventina di leggi che attuarono la Costituzione in alcuni dei suoi principi fondamentali. Vi risparmio l’elenco.
Queste leggi avevano in comune una caratteristica, oltre a quella di rendere effettivi alcuni dei diritti sanciti nella Carta: erano le leggi dell’«I care», del «mi importa di te», della solidarietà. … A partire dagli anni ’80-’90 sono state a poco a poco abrogate o pesantemente modificate. Le strutture che erano state costituite sono state smantellate, trasformando critiche, pur legittime, in condanne senza appello. Quelle (poche) ancora vigenti sono state e sono tutt’ora attaccate in tutti i modi. Valga per tutte l’esempio della L. 194, resa inoperante dall’obiezione di coscienza”.

Cercheremo qui di tracciare un quadro generale dei fermenti e delle innovazioni in campo scientifico negli anni Settanta, anche se la nostra ricostruzione è incentrata sul ruolo della nuova generazione dei fisici (e in parte matematici) che si laureò nel decennio 1965-1975, e risentirà inevitabilmente della nostra formazione e della nostra esperienza incentrata a Firenze, anche se la maggior parte degli sviluppi che discuteremo ebbe un respiro nazionale. Semmai furono molto carenti in quegli anni i contatti e i collegamenti internazionali, salvo alcuni casi: negli anni Settanta la tensione politica, ed anche gli obiettivi politici, erano fortemente polarizzati sulle vicende italiane.

La nostra ricostruzione ha alle spalle una ricerca che è stata sviluppata in una pubblicazione (Baracca, Bergia e Del Santo 2017), che per certi aspetti relativi alla fisica è più approfondita ma ha un respiro meno generale. Segnaliamo anche una precedente pubblicazione collettiva nella quale alcuni dei protagonisti di queste vicende hanno impostato una prima analisi che abbracciava diverse discipline, “Il ’68 e la Scienza” (Guerraggio, 2010).

Fu una fase politica che ebbe aspetti entusiasmanti per molti di loro. Malgrado il riflusso successivo, quel decennio portò una salutare ventata di rinnovamento negli ammuffiti ambienti accademici italiani, ed aprì spazi e interessi per nuove attività. Si affermarono nuovi punti di vista in aperta rottura con le concezioni del passato, in particolare la cosiddettanon neutralità della scienza e la responsabilità sociale degli scienziati, temi che furono approfonditi e riempiti di contenuti, ed anche di obiettivi, al di là della loro formulazione come slogan. E si sedimentò una sensibilità nuova verso i problemi dell’ambiente e della guerra.

Intrecci delle iniziative e dell’impegno in campo scientifico e politico

Dopo la contestazione studentesca e l’Autunno caldo, si estese la necessità di un collegamento tra il movimento studentesco e quello operaio. Le nuove forme di organizzazione e di espressione diretta all’interno e fuori dalle fabbriche, i Consigli di Fabbrica e i Consigli di Zona (prima metalmeccanici poi intercategoriali), offrirono le sedi idonee per questo collegamento, che spesso coinvolse anche i giovani ricercatori.

Questi collegamenti non avevano solo un significato di solidarietà nelle lotte, ma portarono molti medici e fisici a cercare verifiche concrete della parzialità e del carattere di classe delle conoscenze scientifiche ufficiali (paragrafo 5).

Il tema della non neutralità della scienza, introdotto dalla contestazione studentesca del ’68 un po’ come uno slogan, cominciò a venire riempito di contenuti specifici. Una forte impressione fu sollevata dall’articolo di Marcello Cini del 1969 sulla Rivista del Manifesto “Il satellite della Luna: mito e realtà dei programmi spaziali”, che per la prima volta ((Cini aveva tenuto nel 1968 una relazione all’Istituto Gramsci, in cui criticava la concezione della scienza e della tecnica come strumenti neutrali del progresso della società, indipendenti dai rapporti sociali, e dei progressi scientifici come dipendenti da una loro dinamica interna soggetta a proprie leggi.)) smontava le motivazioni scientifiche dei programmi spaziali (allora il programma Apollo) e sottolineava la priorità degli obiettivi militari e politici, estendendo l’analisi all’uso capitalistico della scienza e al rapporto tra forze produttive e capitale:

“Come negare che oggi saremmo di fronte ad una scienza diversa, come contenuti, metodi, importanza stessa delle diverse discipline se la ricerca negli Stati Uniti non fosse stata negli ultimi vent’anni condizionata in larga parte dalle necessità economiche, politiche e militari di espansione del capitalismo?”((M. Cini, “Il Satellite della Luna”, Il Manifesto Rivista, settembre 1969, p. 62. Per capire il potenziale di rottura di queste idee tra i giovani fisici può essere utile riportare le parole con le ricorda Giorgio Parisi, oggi uno dei fisici italiani più conosciuti: “Queste osservazioni di Cini crearono un grande scandalo nel mondo scientifico. Io avevo ventuno anni e come tanti della mia generazione avevo letto moltissimi romanzi di fantascienza: lo sbarco dell’uomo sulla Luna ci sembrava l’inizio di una fase di esplorazione e colonizzazione prima del nostro satellite e poi degli altri pianeti. Ci rendevamo conto che le critiche di Cini avevano qualcosa di vero, ma ai nostri occhi implicava solo che le grandi potenze facevano qualcosa di giusto per motivi sbagliati, e che dal punto di vista generale, per l’evoluzione dell’umanità, quella colonizzazione dello spazio era una via assolutamente inevitabile. Ci pareva in qualche modo che Cini non afferrasse di stare di fronte all’alba dell’era spaziale, e che si concentrasse su particolari contingenti senza coglierne la novità. Il suo pareva, in fondo, un discorso limitato in prospettiva.” (G. Parisi, “La traiettoria di un fisico anomalo”, in E. Gagliasso et al. (eds.), “Per una scienza critica”, ETS, Pisa, 2015).))

Negli anni Settanta questa tesi venne articolata in analisi via via più concrete, ricostruendo i concreti interessi economici e sociali che avevano condotto ai contenuti scientifici attuali.

Un altro dei temi più sentiti era la lotta all’imperialismo, e la parola d’ordine era “L’imperialismo si combatte sul luogo di lavoro”, da cui derivava un impegno contro l’autoritarismo accademico e per battere strade innovative. In quel decennio vennero istituiti i Consigli di Facoltà e di Corso di Laurea, aperti ai Professori Incaricati sia pure limitatamente a certi argomenti, nei quali le istanze anti-autoritarie cominciarono ad esprimersi.

Un aspetto che sembra opportuno sottolineare è che negli anni Settanta tutti i giovani laureati avevano rapporti di lavoro molto precari, vari tipi di borse di studio, assegni o contratti di ricerca a termine, al più erano professori incaricati annuali e dovevano ogni anno fare domanda di rinnovo (il che offriva ai cattedratici vari modi per eliminare i più “scomodi”), anche se all’inizio del decennio vi era stato un provvedimento di stabilizzazione dei professori incaricati che aveva comunque carattere provvisorio. Ma questa situazione precaria non limitò in alcun modo la loro carica di contestazione: vi era cioè una solidarietà dei precari, l’idea che le lotte erano di tutti, compresi gli operai, che probabilmente oggi è assente. Quando la spinta della massa dei precari nelle università divenne insostenibile, venne bandito nel 1980 un concorso di idoneità per essere assunti nel nuovo ruolo dei professori associati, nel quale peraltro alcuni dei più scomodi e meno graditi all’establishment furono eliminati.

Anche l’internazionalismo giocava per molti giovani un ruolo importante. Cresceva l’opposizione alla guerra degli USA al Vietnam (Vitale 1976), che impiegava nuovi metodi scientifici di morte (come il famigerato agente Orange e la barriera elettronica tra nord e sud del paese per impedire il passaggio dei Vietcong). Si costituirono molti gruppi “Scienza per il Vietnam”, che si proponevano, anche in modo velleitario, di fornire un supporto ai vietnamiti sul fronte scientifico, e intanto spingevano ad occuparsi di temi scientifici nuovi e non accademici, e del problema delle compromissioni della comunità scientifica con i militari.

Giovani scienziati italiani intervennero professionalmente a Cuba per sostenere lo sforzo della Rivoluzione per sviluppare una scienza moderna. Un gruppo di fisici soprattutto dell’Università di Napoli, guidato da Bruno Vitale, organizzò dei corsi estivi di formazione degli insegnanti, paralleli a corsi scientifici tenuti dagli scienziati francesi tra il 1968 e il 1973. Numerosi giovani biologi italiani (Bruno Colombo, Paolo Amati ed altri) promossero corsi di genetica((È opportuno precisare che la Rivoluzione cubana si appoggiò pesantemente (anche se non solo) all’Unione Sovietica, che nel campo della fisica e della tecnologia era tra i paesi più avanzati al mondo, ma era al contrario rimasta tagliata fuori dai progressi decisivi della biologia molecolare e della genetica (la struttura a doppia elica del DNA venne identificata nel 1943 da Watson e Crick) per una precisa scelta ideologica dovuta alle teorie dell’agronomo Lysenko, appoggiato da Stalin (“affare Lysenko”).)) e su altri argomenti di carattere biologico, ed ebbero un ruolo fondamentale nei primi anni Settanta nella formazione della generazione dei biologi e genetisti cubani che negli anni Ottanta hanno sviluppato il campo molto avanzato della biotecnologia a Cuba (Baracca e Franconi 2016, pp. 47-51). Per quanto riguarda le scienze biologiche, che esulano dal nostro campo d’indagine, è opportuno ricordare il dibattito molto acceso che si sviluppò in Italia dopo la pubblicazione nel 1971 del saggio di Jaques Monod, Il caso e la necessità((Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Edizioni Mondadori, Milano, 1971.)) .

Intanto i giovani fisici maturavano un crescente malessere per il campo di ricerca in cui si erano prevalentemente laureati, la fisica delle particelle elementari, e in cui continuavano a operare. Questo li condusse a cercare attività alternative di carattere più fondamentale (paragrafo 3). Alcuni di essi svilupparono anche critiche molto articolate della dinamica di ricerca nella fisica delle particelle elementari (paragrafo 4). Un’analisi anche superficiale dell’attrezzatura scientifica dei nostri laboratori indicava che una percentuale altissima veniva acquistata negli Stati Uniti. Il predominio assoluto della fisica delle alte energie affermatosi nel dopoguerra cominciò ad incrinarsi e si aprì la strada ad uno sviluppo più equilibrato con altri settori, come la fisica della materia e dello stato solido, che indubbiamente potevano avere applicazioni tecniche e industriali alla portata di un paese come l’Italia (una concisa ricostruzione della storia della fisica in Italia che ne analizza anche gli squilibri è presentata in Baracca 2017).

Ma l’insoddisfazione verso i settori scientifici dominanti, e la loro critica spinsero ad interrogarsi su come essi si erano costituiti, quali fossero i meccanismi di sviluppo della scienza e che ruolo giocassero gli interessi economici e produttivi, in una parola gli interessi di classe. Prima della contestazione studentesca la scienza veniva presentata come un prodotto a-storico, indipendente da condizionamenti da parte della struttura economica e degli interessi di classe. Questa fu la molla che fece partire un’attività di storia della scienza con un’impostazione ispirata al materialismo storico di Marx (paragrafo 6).

Nel frattempo nasceva una nuova sensibilità verso i problemi ambientali (paragrafo 10). Il 1972 vide da un lato il rapporto del Club di Roma che sottolineava I Limiti dello Sviluppo, che prediceva che nel futuro la crescita economica non sarebbe potuta continuare indefinitamente, e dall’altro la stroncatura da sinistra dell’ecologia con L’Imbroglio Ecologico di Dario Paccino (Paccino 1972). Ma l’improvvisa crisi petrolifera del 1973 colse di sorpresa tutto il mondo e drammatizzò la situazione, mostrando che l’energia sulla Terra non è inesauribile e a basso costo, come si era tacitamente assunto. Questo evento indusse un ripensamento e una riformulazione degli stessi concetti energetici, secondo criteri di efficienza. Nell’ambientalismo italiano è rimasta a lungo una divaricazione fra una posizione che si richiama in qualche modo al marxismo, o comunque insiste sull’importanza delle divisioni di classe, ed un’impostazione ambientale più fondamentalista (v. paragrafo 10).

Con la crisi energetica ripresero vigore i programmi di sviluppo dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica, fermi in Italia dallo “scandalo Ippolito” del 1963, che diedero vita al movimento anti-nucleare, e aprirono forti contraddizioni nelle posizioni nucleariste predominanti tra i fisici italiani e anche nella sinistra (paragrafo 9).

A partire dal 1974 giocò un ruolo molto importante nel collegare tutti questi problemi e movimenti la nuova serie della rivista Sapere che l’editore Dedalo affidò alla direzione di Giulio Maccacaro, un medico del lavoro fortemente impegnato a fianco degli operai e le loro lotte, il quale raccolse attorno a sè un folto gruppo di operai, tecnici, medici e studiosi di varie discipline, dando luogo a una vero laboratorio di elaborazione politica e scientifica (paragrafo 7).

Alla fine del decennio esplose la cosiddetta “crisi degli Euromissili” che portò all’installazione dei nuovi missili nucleari a medio raggio Pershing e Cruise in Europa, in particolare a Comiso, in Sicilia, e avvicinò in modo drammatico la minaccia di una guerra nucleare: questo mobilitò un imponente movimento per la pace e il disarmo nucleare, e all’inizio degli anni Ottanta vide anche un crescente impegno dei fisici italiani (paragrafo 12).

Ma ritorniamo all’interno delle università e ai fisici alla fine degli anni Sessanta.

I giovani fisici e la SIF: ripresa di interesse per i FMQ in Italia

Per quanto riguarda le attività dei fisici, è opportuno precisare che in una prima fase, tra il 1968 e il 1973, essi si trovarono ad operare sul piano professionale all’interno della Società Italiana di Fisica (SIF), dove ebbero le occasioni di incontrarsi, discutere e organizzarsi nei Congressi annuali, nelle Assemblee Generali e (come vedremo) nei corsi estivi di Varenna del 1970 e del 1972, che ebbero origine anche nei nuovi fermenti. Da questo ambiente molti di essi si staccarono progressivamente dopo il 1972, creando spazi autonomi e sviluppando le prime iniziative e attività proprie.

Il malessere e le prime forme di contestazione dei giovani fisici

Come dicevamo, la maggior parte dei giovani fisici si era laureata su argomenti legati alla fisica delle particelle elementari, che nella prodigiosa ripresa scientifica del dopoguerra dominava nettamente il panorama della ricerca in Italia (v. ad es. Baracca 2017, Cap. 5): quelli di loro che avevano potuto proseguire un rapporto (sia pure precario) con l’università continuavano a fare ricerca in questo campo. Ma verso la fine degli anni Sessanta cominciò a prendere forma un crescente malessere verso la stessa impostazione concettuale della ricerca in questo campo, che si basava sullo sviluppo di macchine acceleratrici sempre più potenti, sulla produzione di processi ad energia sempre più grandi (che metteva in luce, tra le altre cose, l’esistenza di una pletora inesauribile di particelle nuove che non meritavano più il nome originario di “elementari”, da cui derivò il nuovo nome di Fisica delle Alte Energie), e sull’elaborazione di “modelli” sempre nuovi che utilizzavano numerosi parametri e sembravano non poter convergere mai verso quella teoria generale che si dichiarava di voler cercare. ((Marcello Cini ricorda che già all’inizio degli anni Sessanta “la fisica teorica stava cambiando. La concorrenza diventava sfrenata. Se avevi un’idea, scoprivi che altre sei persone ci stavano lavorando sopra. […] Quando eravamo pochi, anche il nostro lavoro aveva un senso. Ma una volta diventai tanti, veniva da domandarsi a che cosa servisse” (M. Cini, Dialoghi di un cattivo maestro, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 98).))

La prima manifestazione esplicita di questo malessere venne espressa da Franco Selleri (1936-2013), allora all’Università di Bologna, in un intervento sul Bollettino della SIF (Selleri 1970) dal titolo provocatorio “La piramide azteca della fisica teorica delle particelle elementari”, nel quale egli rilevava “lo stato quasi disastroso di questa ricerca”, che egli attribuiva al forte controllo dei capi, paragonando

l’intera fisica teorica delle alte energie ad una piramide azteca [e assumeva] che questa struttura tende a crescere e a preservare nelle migliori condizioni il suo gradino superiore (quello dei grandi capi) (Selleri 1970, p. 14).

Questo attacco di Selleri cadde in un ambiente molto sensibile, sollevò dibattiti e stimolò ulteriori iniziative (paragrafo 4): ma andiamo con ordine. Infatti, parallelamente a questo malessere maturavano le prime ricerche di un’alternativa concreta.

La teoria alla base di moltissimi degli sviluppi della fisica contemporanea è la Meccanica Quantistica (MQ), una teoria assolutamente astratta che ha messo da parte il determinismo ottocentesco ed era stata criticata già negli anni Trenta da alcuni dei suoi fondatori (Schrödinger e Einstein), secondo i quali essa non poteva essere la teoria fisica fondamentale: si era sviluppato un acceso dibattito sulla MQ, che però nel dopoguerra si era spento dietro un atteggiamento pragmatico sintetizzato nell’imperativo “zitto e calcola” ((Di fatto l’origine della presente ricerca venne stimolata agli inizi dal libro di David Kaiser Come gli hippie hanno salvato la fisica (Kaiser 2011, edizione italiana 2012), nel quale con grande completezza egli ricostruisce la ripresa dell’interesse per i FMQ negli Stati Uniti alla metà degli anni ’70, quando la crisi portò a drastici tagli alla ricerca con la conseguente crisi d’identità e difficoltà d’impiego dei giovani ricercatori, ed incrinò il mito della ricerca scientifica: la cosa che ci spinse ad una prima ricostruzione (Baracca, Bergia e Del Santo, 2017) fu la constatazione che in Italia l’interesse verso i FMQ nacque circa 10 anni prima che negli USA (e forse non era mai morto) e diede origine a uno specifico campo di ricerca in fisica, che costituì una prima forma di critica e contestazione interne alla ricerca dominante. Infatti il clima in Italia fu completamente diverso rispetto a quello degli USA, in particolare fu fortemente politicizzato. Per inciso, è opportuno osservare che l’interesse per i FMQ in Italia non era mai morto (anche se Enrico Fermi, che introdusse la MQ in Italia negli anni Venti, era a dir poco indifferente per tutte le questioni di fondamenti, filosofiche a metodologiche): Piero Caldirola (1914-1984) aveva scritto nel 1961 una voce sull’Enciclopedia Treccani (Quantistica, MeccanicaEnciclopedia Italiana, III a Appendice, XXVIII, p. 592; App. II, 11, p. 634) e i suoi allievi avevano pubblicato nel 1962 un’interpretazione del processo della misura in MQ che ricevette attenzione a livello internazionale (v. Baracca, Bergia e Del Santo 2017).)). Lo stesso Franco Selleri cominciò così a interessarsi del problema dei FMQ, pubblicando già nel 1969 un primo lavoro, mentre nel giugno-luglio tenne un ciclo di lezioni al centro di ricerca di Frascati, nel quale esprimeva l’idea che la MQ è una teoria dogmatica perché gli assiomi non sono testabili sperimentalmente, e formulava un “postulato realistico” secondo il quale la particella è sempre associata a un´onda oggettivamente esistente (come una barca e l’onda su un lago), identificando l’onda con una variabile nascosta (non osservabile).

La contestazione studentesca e la SIF

Intanto la SIF era investita dall’aria di contestazione: nell’ottobre del 1968 l’assemblea dei soci al Congresso della SIF a Roma “viene interrotta bruscamente dopo che un rappresentante del Movimento Studentesco chiede la parola e seguono tumulti” (Bollettino SIF n. 62, 21 Ottobre 1968, p. 7).

Nel 1969 Selleri venne eletto nel Consiglio di Presidenza della SIF, di cui già faceva parte Marcello Cini (1923-2012), e da quella sede promosse e sviluppò importanti iniziative: nello stesso anno propose di organizzare alla Scuola Internazionale “Enrico Fermi” di Varenna, sul lago di Como, per l’estate 1970 un corso sui FMQ, e in un’altra seduta avanzò invece la proposta che testimonia l’intreccio di molteplici stimoli diversi, e cioè che la SIF rinunciasse al finanziamento della NATO – intesa come organizzazione militare – di 13 milioni di Lire: nel 55o Congresso della SIF a Bari l’Assemblea dei soci discusse a lungo la mozione ed infine l’approvò (per dettagli su questi sviluppi rimandiamo a Baracca, Bergia e Del Santo 2017). Nel 1970 furono prese dalla SIF altre decisioni molto significative: mentre ancora Selleri proponeva di organizzare a Varenna anche un corso innovativo sulla Storia della Fisica, il Consiglio di Presidenza decise di organizzare in giugno due giornate di studio a Firenze su la Scienza nella Società Capitalistica ( SIF, Ed. 1971), che furono molto partecipate dai giovani fisici e offrirono un terreno concreto di confronto di posizioni diverse ed anche un’occasione per l’espressione di critiche e dissensi espliciti.

Il corso di Varenna del 1970 sui Fondamenti della Meccanica Quantistica

Intanto si svolse nell’estate 1970 il corso di Varenna sui FMQ, con i docenti più qualificati nel campo (D’Espagnat 1971). A quel corso parteciparono molti dei giovani fisici inquieti, desiderosi di spiegazioni e risposte non formali e che, formatisi nel clima del movimento del ’68, erano inclini a contestare le concezioni tradizionali((Oltre a Selleri, che era Segretario del corso e tenne una lezione, Angelo Baracca, Vincenzo Capasso, Gianni De Franceschi, Carlo De Marzo, Donato Fortunato, Gianni Mattioli, Alessandro Pascolini, Marta Restignoli, Tito Tonietti (un matematico), Livio Triolo, Luigi Solombrino. Capasso e Fortunato erano giovani allievi di Selleri, che nel frattempo si era trasferito da Bologna a Bari.)) . Il corso, della durata di 2 settimane, fu molto importante perché i giovani fisici tennero autonome riunioni serali nelle quali discussero animatamente le loro critiche radicali all’ideologia dell’assoluta oggettività della scienza e soprattutto i legami tra scienza e società. Fu una vera fucina di idee ed essi decisero di scrivere un documento fortemente critico in inglese, “ Notes on the connection between science and society” (AA. VV. 1970), che venne distribuito a docenti e studenti all’ingresso della lezione. Questo scritto, anche se non fu inserito negli Atti della scuola, fu il primo esperimento di stesura collettiva di un documento organico, generale e condiviso che sviluppava, tra i vari concetti critici innovativi, quello che la scienza non è neutrale, ma riproduce gli schemi e gli interessi materiali della classe dominante (con riferimento esplicito alla collusione della fisica con l’industria bellica). Poiché questo documento è reperibile solo negli Archivi della SIF a Bologna, ne riportiamo alcuni passi salienti (non li traduciamo, anche se la lingua inglese lascia a desiderare, perché testimonia in modo più diretto questo primo sforzo):

It is instead extremely important to realize that science is certainly not neutral […]

The structures of a scientific theory reproduce the categories of the culture of the dominant classes.

[…] we have experienced this fact even in the discussions of the school of physics “E. Fermi” on the FMQ: the poverty of the philosophical background pushes people towards an attempt to separate Physics from Philosophy with an evidently arbitrary and artificial procedure.

[…] We have considered to some extent the role of our consciousness in photon polarization experiments, but we have not considered our consciousness involvement in phenomena such as the explosion of the atomic bomb.

[…] The limitation of the individual consciousness to laboratory activity, disregarding any judgement of the social application of research, results in indiscriminate support for all applications of science (e.g., atomic bomb, chemical and bacteriological warfare).

[…] The scientist’s incapacity to control the product of his research facilitates its cultural manipulations and the creation of consensus.

[…] This mystification is formalized in the powerful theory (“scientism”) which assumes the intrinsic ability of science to solve all the human problems.

[…] Now we conclude that a pre-decision is strongly needed concerning the social structure in which men live and act. That is, a pre-decision on the historical and social role of the scientist, on his responsibility, on the fact that no concept or activity is neutral.” (VV. AA. 1970).

Il corso di Varenna sui FMQ costituì una cosa nuova a livello internazionale, ma ebbe un impatto importante in Italia, poiché alcuni dei partecipanti italiani svilupparono negli anni successivi un’intensa attività di ricerca sui FMQ, sulla quale qui non ci dilunghiamo (v. Baracca, Bergia e Del Santo, 2017).

La critica radicale alla fisica delle alte energie

L’attacco sferrato da Selleri nel 1970 alla fisica delle alte energie, di cui abbiamo detto nel paragrafo precedente, cadde in un ambiente molto sensibile, sollevò dibattiti e stimolò ulteriori iniziative, che citiamo sinteticamente perché testimoniano che la critica si sviluppò fino a prendere una forma sistematica. Vi furono infatti delle manifestazioni concrete nei congressi della SIF, dove nel 1970 Paolo Guidoni, dell’Università di Roma, svolse una relazione generale di taglio critico, e nel 1071 a L’aquila Baracca e Silvio Bergia presentarono due comunicazioni nelle quali presentavano un primo sviluppo documentato delle critiche anticipate da Selleri, le quali raccolsero un’affluenza eccezionale e diedero luogo ad una discussione che si prolungò nelle ore serali.

Baracca e Bergia misero poi a frutto questa pars destruens sviluppando un’analisi molto circostanziata della dinamica e dell’organizzazione della fisica delle alte energie in un libro dal titolo evocativo La Spirale delle Alte Energi(Baracca e Bergia 1976), nel quale partivano da una critica dell’assunto di base di tutto questo campo di ricerca che la spiegazione dei fenomeni delle particelle elementari fosse da ricercare mediante la costruzione di macchine acceleratrici e di apparati di misura sempre più giganteschi, mentre la teoria atomica era stata formulata considerando l’atomo più semplice, quello di idrogeno((È doveroso dire che queste critiche, che in diversi modi si esprimevano con un’insoddisfazione diffusa anche in altri paesi, non consideravano una linea di ricerca più fondamentale che si stava sviluppando in quegli stessi anni ma era allora minoritaria e non generalmente considerata: essa in realtà aveva condotto nel 1968 Seldon Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam a proporre un’unificazione delle interazioni debole e elettromagnetica (“teoria elettrodebole”, che fruttò loro il Premio Nobel nel 1979), ma non vi erano allora conferme sperimentali, poiché la teoria prediceva per i quanti dell’interazione debole, chiamati bosoni W, una massa enorme che non era possibile rivelare con le energie raggiungibili dagli acceleratori. Solo nel 1983 Carlo Rubbia confermò l’esistenza della particella W, che gli fruttò il Premio Nobel nel 1984 [per chi volesse un’introduzione semplice a questi problemi può vedere il manuale di fisica per i Licei di A. Baracca, M. Fischetti e R. Rigatti, Fisica e Realtà, Vol. 3 Il Mondo della Fisica Moderna, paragrafo 37.6, pag. 438 e segg.))  .

Di fatto, sia Selleri che Baracca e Bergia abbandonarono completamente l’attività di ricerca in questo campo, e altrettanto fecero diversi altri.

Il collegamento operai-studenti e le attività sulla nocività in fabbrica

Alcuni giovani fisici e medici in diverse sedi lavoravano direttamente con le realtà operaie dei Consigli di Fabbrica e intervenivano nelle fabbriche, insieme ai Consigli di Fabbrica e i gruppi operai omogenei, sui problemi dei danni alla salute provocati dal ciclo e dai ritmi produttivi, eseguendo misure dei fattori nocivi (rumore, polveri): con queste misure essi verificavano da un lato l’inadeguatezza delle conoscenze scientifiche ufficiali, e dall’altro come la classe operaia organizzata fosse portatrice di un sapere alternativo, ancorché non codificato. Già alla fine degli anni Sessanta un gruppo di studenti di medicina di Firenze prese parte attiva alle lotte della fabbrica Stice. Il “Comitato Politico degli Studenti di Fisica” di Firenze lavorava con i Consigli di Fabbrica insieme con qualche docente, ed entrò a far parte organicamente del Consiglio di Zona dell’Osmannoro (zona industriale ovest di Firenze), partecipando e intervenendo nelle assemblee di fabbrica, e stabilì anche un rapporto con il Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza, i cui componenti, con faticosi spostamenti, garantirono la loro presenza a diverse assemblee studentesche.

Una cosa che è rimasta impressa a uno degli autori (A.B.) è che, sebbene nei movimenti e nelle assemblee in generale si manifestasse ben presto l’affermazione di leader, nell’attività del Comitato Politico degli studenti di Firenze (nella componente estranea al PCI che si affermò immediatamente) non vi era assolutamente nessuna rivalità o competitività, ma l’impegno e il lavoro venivano ripartiti a ciascuno secondo le proprie disponibilità e messo in comune, come pure l’organizzazione e la gestione delle assemblee e dei documenti.

Nella ricerca di un terreno specifico di collaborazione, il Consiglio di Fabbrica del Nuovo Pignone di Firenze lanciò la proposta agli studenti di proporre che un corso di laboratorio per la laurea in Fisica venisse svolto nelle fabbriche sui fattori di nocività: la resistenza dei cattedratici (molti dei quali facevano riferimento al PCI, venivano chiamati allora “Baroni rossi”) fu fortissima, puntando sull’argomento che non c’erano competenze sufficienti per impostare un laboratorio rigoroso((Vi era stata un’esperienza precorritrice all’inizio del decennio (gli studenti avevano già rapporti con i Consigli di Fabbrica) quando Baracca, trovandosi assegnato come compito didattico di svolgere le esercitazioni del corso di Fisica per gli studenti di Scienze Biologiche, propose al titolare del corso, Salvatore Romano, il quale accettò, di provare un esperimento innovativo, approfondendo con gli studenti un singolo argomento, la dinamica dei fluidi, e facendo progettare loro un flussimetro, sia pure rudimentale, per raccogliere le polveri disperse nell’ambiente su una membrana micropori. Gli studenti approfondirono i vari tipi di apparati, ne progettarono un tipo semplice costituito da un tubo di vetro a tronco di cono, calcolando le sezioni giuste, e trovarono anche un artigiano che lo realizzasse. Il flussimetro fu provato con successo proprio nell’ultimo giorno del corso di esercitazioni. Gli studenti che parteciparono a quell’esperienza furono molto gratificati da questo lavoro creativo e rimasero entusiasti. Si trattò di un esperimento isolato, ma il laboratorio degli studenti di fisica sulla nocività ambientale ne fu un proseguimento ideale, che li portò all’interno delle fabbriche a contatto diretto con gli operai.)) , ma davanti alla determinazione del Consiglio di Fabbrica essi furono costretti a cedere obtorto collo, e nel 1976 il corso partì, con la collaborazione di due docenti, su misure dei livelli di rumore e della concentrazione di polveri nell’ambiente. Gli studenti iscritti al laboratorio furono fortemente stimolati, realizzando di stare svolgendo un’attività nuova e creativa, anziché eseguire misure di routine con strumentazione standard. L’impegno degli studenti e dei docenti produsse anche due tesi di laurea sui due argomenti, che svilupparono un’attività sperimentale originale. Negli anni successivi, con il netto riflusso del movimento, il laboratorio progressivamente decadde e perse la sua carica innovatrice, ma rimase per un tempo considerevole uno spazio di lavoro più libero e creativo.

La piattaforma del metalmeccanici del 1973 per il rinnovo del contratto di lavoro conteneva, ed ottenne, la rivendicazione dei “Corsi delle 150 ore” (ovvero il diritto dei lavoratori a beneficiare di 150 ore annuali, a carico dell’azienda, per studiare qualsiasi argomento fosse di loto interesse). Negli anni successivi vennero organizzati anche in molti atenei corsi universitari elle 150 ore, per la maggior parte su argomenti di carattere umanistico, per l’oggettiva difficoltà di individuare tematiche scientifiche idonee. Un primo corso universitario delle 150 ore di argomento scientifico venne organizzato all’Istituto di Fisica di Roma nel 1975, coordinato da Marcello Cini. A Firenze venne promosso nel 1976, con docenti di Fisica e di Chimica, un corso sui vari fattori di nocività sul lavoro.

A Firenze si costituì anche nei primi anni Settanta un “Collettivo di Controinformazione Scienza” formato da studenti di diverse facoltà – principalmente fisica, chimica, biologia e agraria – e con la partecipazione di qualche professore (il fisico Angelo Baracca e il chimico Enzo Tiezzi), nel quale vennero affrontati vari problemi: in particolare, dopo molte riunioni di approfondimento, fu e stampato e diffuso un libretto dal titolo esplicito L’Imbroglio Alimentare . Ovviamente è molto plausibile che iniziative del genere vi siano state anche in altre città.

L’avvio dell’interesse per la storia della fisica

La critica all’assetto capitalistico della scienza condusse ben presto a superare la formulazione della non neutralità per cercare la specificazione dei contenuti scientifici concreti e delle scelte della scienza nel corso dello sviluppo sociale. Ancora una volta fu Selleri a proporre alla SIF fin dal 1969 un corso della Scuola Internazionale di Varenna di storia della fisica, che poi ebbe luogo nell’estate del 1972.

Ma intanto verso il 1971 (purtroppo nessuno conserva ormai ricordi precisi o documenti) si costituì un collettivo nazionale auto-organizzato che riunì giovani fisici e matematici e svolse intense discussioni per impostare una ricostruzione della storia della scienza ispirata alla critica dell’economia politica di Marx. Questo iniziale lavoro di discussione e di elaborazione si incrociò appunto con il corso di Varenna (Weiner 1977), che vide di nuovo una partecipazione, anche più ampia, dei giovani fisici e di alcuni matematici e laureati in altre discipline. Il corso, che come sempre vantava docenti di alto valore internazionale, spaziò dalle origini della MQ allo sviluppo della teoria atomica, della fisica dello stato solido, dell’elettrodinamica quantistica e di altri temi storici, delle relazioni tra scienza e tecnologia, nonché di politica e affari internazionali. Come era avvenuto nel corso del 1970, i giovani partecipanti tennero tra di loro intense e vivaci riunioni serali, ma il loro progetto di scrivere anche questa volta un documento fortemente critico sulla scienza, la sua storia e i suoi legami con la società venne abilmente evitato dalla direzione della scuola che, memore dell’esperienza del corso del 1970, concesse invece una seduta serale di discussione fra tutti i partecipanti sulla responsabilità sociale degli scienziati, nella quale uno dei temi affrontati fu il coinvolgimento dei fisici nello sviluppo degli armamenti (la guerra nel Vietnam era drammaticamente attuale).

Dai partecipanti della scuola sorse comunque un documento scritto contro il coinvolgimento degli scienziati nella guerra nel Vietnam che fu firmato da 58 di essi e che ebbe ricadute successive: venne firmato da molti dei partecipanti ai corsi estivi di Trieste e all’assemblea annuale dei soci della SIF dell’autunno 1972, e tradotto e pubblicato da Levy-Leblond (Levy-Leblond 1973), il quale però non riuscì a farlo pubblicare in una rivista internazionale (Vitale 1976).

Questo corso di Varenna incentivò l’interesse di molti giovani fisici (e matematici) verso un’attività di ricerca storica. Il collettivo nazionale auto-organizzato aggregò molti di essi, i quali svilupparono le prime ricerche.

L’esperienza della rivista Sapere (1974-1977), una fucina di elaborazione politica sulla scienza

Un ruolo fondamentale ebbe una iniziativa editoriale di una nuova serie della rivista mensile Sapere, che esisteva dal 1935 e che l’editore Dedalo nel 1974 affidaò alla direzione di Giulio Maccacaro (1924-1977), un medico direttamente impegnato a fianco delle lotte operaie per la salute((Si vedano: Attualità del pensiero e dell’opera di Giulio Maccacaro. Costruzione della scienza del lavoro, della salute, dell’ambiente salubre , Castellanza, Centro per la Salute Giulio A. Maccacaro, 1988; “Un ricordo di Giulio A. Maccacaro”, in Guerraggio 2010, pagg. 41-47; e Mara 2010)) . Maccacaro riunì nella redazione un ampio collettivo di realtà operaie (in particolare il Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza), di medici e di ricercatori di diverse discipline, dando vita a un’esperienza estremamente originale e vivace, un vero laboratorio di elaborazione politica sulla scienza e i suoi rapporti con il capitalismo. Il lavoro di Maccacaro e del collettivo portò sulla rivista tutti i problemi scottanti dell’Italia di quegli anni con articoli incisivi ed ampi dossier a più voci con taglio interdisciplinare, dal disastro di Seveso del 10 luglio 1976, ai danni alla salute degli operai nelle fabbriche, alla medicina e i farmaci, all’inquinamento ambientale, al problema energetico. Una serie di monografie e articoli sui programmi di energia nucleare e i problemi che essi ponevano costituì una vera novità nel panorama italiano (paragrafo 9).

Pensiamo che sia importante osservare che l’interesse

per i problemi dell’inquinamento ambientale e i danni da esso provocati si sviluppò in Italia partendo dai problemi dei cicli produttivi e dei loro effetti nocivi, cioè incentrandoli sulle fabbriche ed estendendoli alle popolazioni e ai territori (v. anche il paragrafo 10).

I giovani fisici e matematici pubblicarono su Sapere un gran numero di articoli sui risultati che andavano ottenendo nelle loro ricerche di storia della fisica e della matematica: fu un primo momento di ampia diffusione di questa tematica, che raggiunse molti insegnanti delle scuole secondarie, stimolando impostazioni didattiche innovative.

Dopo la prematura scomparsa di Maccacaro, con la sua autorevolezza nel promuovere e coordinare il lavoro, il collettivo redazionale proseguì per qualche anno questa esperienza (si veda ad esempio il paragrafo 9), finché l’editore Dedalo ricondusse la rivista nell’alveo tradizionale di diffusione della cultura scientifica.

Medicina Democratica

È necessario ricordare una rilevante e duratura ricaduta di questo processo, cioè la nascita di Medicina Democratica (MD), Movimento di Lotta per la Salute (il suo logo rappresenta il profilo di un medico fra quello di due operai; recentemente è stato aggiunto un profilo femminile). Essa nacque da un appello sottoscritto da diversi medici, ricercatori, operatori della prevenzione e diversi consigli di fabbrica, e si costituì nel 1976. I lavoratori del Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale del Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza ne furono – e lo sono rimasti anche dopo il 1981, quando molti di loro furono licenziati insieme ad altri lavoratori per l’opposizione al processo di ristrutturazione dell’azienda – i principali animatori, unitamente a Giulio Maccacaro. Nel 1976 Maccacaro fondò la rivista Epidemiologia e Prevenzione.

Dal suo inizio MD, come movimento e come organizzazione, si è occupata della salute nei luoghi di lavoro, facendo inchieste e rivendicando l’applicazione delle leggi sulla sicurezza e salute in ogni luogo di lavoro. La metodologia di Medicina Democratica si caratterizza per il coinvolgimento immediato dei lavoratori interessati, raccogliendo in modo puntuale e scientifico i dati di nocività (rischi e danni) sui quali poi chiedere agli enti pubblici preposti una validazione oggettiva (visite ed indagini diagnostiche e analisi ambientali strumentali). La sua caratteristica peculiare è essere un’organizzazione – i cui membri agiscono a livello volontario, senza chiedere alcun compenso personale – che è formata da medici, ricercatori ed altri tecnici della prevenzione e della sanità, e di altre discipline, insieme ai più svariati soggetti, cittadini utenti del Servizio Sanitario Nazionale.

MD sempre dal suo inizio e ancora oggi ha particolarmente lavorato sui cancerogeni professionali, affermando al seguito degli studi di Maccacaro e di Lorenzo Tomatis (1929-2007), direttore per 10 anni della Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC), che non esiste per gli agenti tossici cancerogeni, teratogeni e mutageni alcun valore limite (MAC o TLV) al di sotto del quale la salute degli esposti possa essere salvaguardata.

Uno dei primi interventi di MD, dal 1977, ha riguardato il riconoscimento dei danni da amianto, che poi si è enormemente ampliato: nel 1989 MD ha costituito a Casale Monferrato l’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA).

MD ha collaborato con parlamentari su molte importanti proposte di legge, da cui sono uscite provvedimenti che hanno costituito svolte storiche in Italia, la legge 833/78 istitutiva del servizio sanitario nazionale e la legge 257/92 per la cessazione dell’impiego dell’amianto. Dagli anni Novanta MD è stata promotrice delle più grandi vertenze legali a tutela del diritto alla salute dei lavoratori e delle popolazioni a rischio: il processo contro Montedison/ENI per i lavoratori di Porto Marghera morti di cancro per esposizione al CVM; contro l’Eternit di Casale Monferrato per i lavoratori e i cittadini morti a causa di esposizione ad amianto. Da denunce da parte di esponenti di MD sono partiti i processi contro la ex Anic di Manfredonia (arsenico) e contro la ex Enichem di Brindisi (amianto). In tutti questi casi, MD è stata riconosciuta parte civile. In questa veste ha partecipato al processo contro la ThyssenKrupp di Torino per l’atroce morte di 7 lavoratori, e a quello per l’incidente ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 che causò 32 vittime.

Dopo la chiusura da parte dell’editore Dedalo dell’esperienza innovativa della serie di Sapere, i componenti della redazione riuscirono ad aprire nel 1983 un’altra rivista, SE Scienza Esperienza, che ne ricalcò il taglio e sopravvisse fino al 1988.

Nel paragrafo 8 discuteremo anche altre iniziative editoriali.

Le iniziative più consistenti di storia e critica della scienza, e l’avvio di un’attività professionale nuova per molti fisici.

Maturavano intanto le iniziative più impegnative nella seconda metà degli anni Settanta del gruppo più coeso che si era formato dal collettivo che si era occupato di storia della fisica (e della scienza).

I giovani fisici e matematici e lo scontro con la scuola tradizionale

È necessario precisare a questo punto che in Italia si era consolidata da tempo una scuola di alto spessore culturale di storia della scienza di impostazione marxista attorno alla figura di Ludovico Geymonat (1908-1991), e di altri studiosi quali Paolo Rossi Monti (1923-2012), Lucio Colletti (1924-2001), Lucio Lombardo Radice (1916-1982) ed Ettore Casari, tutti di formazione umanistica (tranne il matematico Lombardo Radice). Per di più, tutti facevano riferimento, o erano addirittura iscritti, al PCI, che aveva una notevole tradizione storica e culturale: basta ricordare i nomi di Eugenio Garin (1909-2004), Ernesto Ragionieri (1926-1975), Giuseppe Vacca, che ebbero un ruolo centrale anche nel plasmare l’ideologia del PCI. In un primo tempo alcuni dei giovani fisici che si avventuravano in questo campo sul quale non avevano una preparazione precedente trassero ispirazione o cercarono anche di stabilire contatti o collaborazioni con loro: in particolare i libri di Lucio Colletti, Il marxismo e Hegel (1969), e di Rossi Monti, Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica (1969), e i suoi studi su Francis Bacon inquadrati nella situazione culturale della sua epoca, riscossero un vivo interesse, anche sul piano metodologico, e fecero pensare inizialmente a possibili convergenze.

Ma ben presto si manifestarono le profonde differenze rispetto all’impostazione e le posizioni radicali, anche se ancora in formazione, dei giovani fisici e matematici((Non si può mancare di ricordare che negli anni Sessanta vi erano state in Italia iniziative importanti di ripresa del marxismo, anche se esse ebbero una ricaduta molto limitata sul percorso dei giovani fisici e matematici i quali si concentrarono sull’analisi e critica delle scienze, ma indicano come molti fermenti e impostazioni critiche siano stati precedenti al ’68. Raniero Panzieri (1921-1964), socialista di sinistra di formazione, all’inizio degli anni Sessanta diede vita a Torino all’esperienza originale e autonoma dei Quaderni Rossi: Vittorio Foa ha scritto che «reintrodusse, in forma non scolastica o accademica ma militante, il marxismo teorico in Italia». Panzieri liberò Marx da schemi dottrinari, e lo riattualizzò per interpretare il capitalismo contemporaneo e trarne strumenti per le lotte sociali: egli anticipò la critica alla visione apologetica del progresso tecnico-scientifico radicata nella tradizione marxista, sostenendo che le forze produttive non sono neutre ma plasmate dai rapporti di produzione. Nel 1962, in pieno miracolo economico, era poi stata fondata a Piacenza la rivista trimestrale Quaderni Piacentini, diretta da Piergiorgio Bellocchio (si veda ad esempio http://www.ferraguti.it/vetr-227-quaderni ), una rivista politica di sinistra, non legata ai partiti, che nel giro di alcuni anni divenne un punto di riferimento per la cultura italiana più giovane e innovativa negli anni Sessanta e Settanta, e si offrì come punto d’incontro e di dibattito della “nuova sinistra”.)) . La radice del dissenso stava nell’adesione da parte della scuola di Geymonat al materialismo dialettico, che secondo i giovani scienziati comportava una subalternità all’ideologia di un’assoluta oggettività della scienza, e quindi una sua legittimazione, in quanto trascurava i legami tra la scienza e la società capitalista nell’elaborazione scientifica. Essi contrapponevano invece il materialismo storico che aveva sotteso la critica di Marx all’economia politica.

Le polemiche raggiunsero punte molto accese, che trovarono espressione sul quotidiano comunista Il Manifesto e sulla rivista Sapere, e testimoniano della passione politica che in quegli si rifletteva anche sul dibattito culturale e ideologico ((Sul Manifesto (ci risulta difficile precisare la data) Enrico Bellone (1938-2011), uno dei più noti allievi di Geymonat, polemizzò, con un riferimento non casuale alle lotte operaie, con l’affermazione grossolana che “Se anche 200.000 metalmeccanici si concentrassero in Piazza San Babila, non cambierebbero il valore dell’accelerazione di gravità”, affermazione a rigore errata anche dal punto di vista fisico. Una polemica di Enrico Bellone sulla rivista Sapere alla fine del 1977 ricevette una risposta puntuale ma al vetriolo che si concludeva con parole: “Ti salutiamo col pugno chiuso (ma scusaci era solo un crampo!)” (Angelo Baracca, Saverio Craparo, Roberto Livi, Marco Pettini, Antonio Politi e Stefano Ruffo, “Nemici per la pelle”, Sapere, febbraio 1978, p. 20-21).)) .

Nei primi anni Settanta vennero svolte a Roma due tesi di laurea (Sandro Petruccioli e Carlo Tarsitani) che analizzavano i percorsi scientifici di Maxwell e di Poincaré con una disamina puntuale dei loro approccio metodologico sulla base dei testi scientifici, e Gianni Battimelli si laureò con una tesi su Einstein. Nel 1973-74 Baracca collaborò a una tesi di laurea in fisica (nell’indirizzo didattico poi scomparso, difficilmente sarebbe stata accettata allora a Firenze come tesi in indirizzi di laurea più “seri”!), nella quale venne sviluppato uno studio approfondito della nascita dei concetti di lavoro e di energia e della macchina a vapore nell’Inghilterra del XVIIIo secolo collegandoli contestualmente nei fermenti sociali e produttivi della Prima Rivoluzione Industriale (Baracca e Rigatti 1974): questa ricerca era genuinamente concepita come una sorta di rodaggio, che avrebbe poi effettivamente condotto all’analisi degli sviluppi della scienza nelle successive fasi di crescente complessità del capitalismo.

Le prime pubblicazioni e le prime iniziative importanti: lo sviluppo di un programma generale

Su un piano di un confronto sulla sostanza dei problemi e delle analisi apparvero tra il 1974 e il 1976 alcuni volumi emblematici: da un lato il volume di Geymonat con i più diretti collaboratori Attualità del Materialismo Dialettico (Bellone et al. 1974); e dall’altra parte il volume di Marcello Cini, Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio L’Ape e l’Architetto (Ciccotti et al. 1976; si veda anche l’articolo di commento di Cini 2010), il cui titolo si richiamava esplicitamente al famoso paragone di Marx per sottolineare un punto di vista storico materialista genuinamente “marxiano”. Si sviluppò un dibattito molto vivace, ci furono commentatori italiani, tra cui Lucio Colletti e Giorgio Bocca, che trovarono la tesi della non neutralità della scienza completamente intollerabile e cercarono di smontarla con una serie di banalità impressionanti, del tipo “i corpi cadono sotto l’azione della forza di gravità sia nei paesi socialisti sia nei paesi capitalisti”((Citato da Giorgio Parisi, La lotta contro l’ortodossia, in G.Ciccotti-M. Cini-M. De Maria-G. Jona Lasinio, L’Ape e l’Architetto, op. cit., II ed., FrancoAngeli, Milano 2011, p. 299.)) .

Mentre Angelo Baracca e Arcangelo Rossi proponevano (Baracca e Rossi 1976) un approccio all’analisi delle scienze della natura come estensione dell’analisi che Marx aveva sviluppato per l’economia politica, utilizzando il concetto di “astrazione storicamente determinata” proposto da Gaetano Della Volpe. Si deve osservare di nuovo che i componenti della scuola di Geymonat e gli altri studiosi che ne condividevano in qualche modo l’impostazione erano tutti di formazione umanistica, mentre la nuova corrente che si stava formando era di formazione fisica (A. Baracca, G. Battimelli, S. Bergia, G. Ciccotti, M. De Maria, C. De Marzo, E. Donini, A. Russo) o matematica (G. Jona Lasinio, T. Tonietti), con l’eccezione di Arcangelo Rossi, filosofo della scienza.

Intanto prendevano forma le prime iniziative ufficiali di rilievo promosse dai giovani fisici e matematici. A Lecce nel 1975 si svolse un primo convegno, dal titolo “Aspetti strutturali e ideologici nel rapporto tra scienze fisiche e matematiche” (Donini et al. 1977), che richiamò un foltissimo e animato gruppo di giovani fisici e matematici (molti dei quali alloggiarono nei giorni del convegno nella pineta che vi era allora accanto all’istituto di Fisica di Lecce).

Baracca nello sviluppo delle sue ricerche di storia della scienza in relazione con lo sviluppo successivo del capitalismo nell’Ottocento produsse due libri, con livelli di approfondimento crescenti, il primo con Roberto Livi, Natura e Storia, scienza e sviluppo del capitalismo nell’Ottocento (Baracca e ivi 1976), ed un secondo con Stefano Ruffo e Arturo Russo, Scienza e Industria 1848-1915, gli Sviluppi Scientifici Connessi alla Seconda Rivoluzione Industriale (Baracca, Ruffo e Russo 1979). Mentre Carlo De Marzo scrisse un libro monografico su Maxwell (De Marzo 1978). Arcangelo Rossi tratteggiò una densa ricostruzione delle svolte metodologiche della scienza dal Settecento ad oggi nell’introduzione di un libro antologico in collaborazione con Baracca (Baracca e Rossi 1978).

Il passo successivo da compiere nel progetto di ricostruzione delle radici della scienza moderna e del processo di progressiva formalizzazione e astrazione era l’analisi della nascita e dello sviluppo della “bestia nera”, la MQ, dal 1900 alla Germania di Weimar. Nel settembre 1979 venne organizzato a Lecce un Workshop sul tema “Fisica e società negli anni Venti” (M. De Maria et al. 1980) con la partecipazione per la prima volta di alcuni specialisti di levatura internazionale (John Heilbron e Paul Forman) e della storica Ester Fano. Comparvero poi alcuni studi molto circostanziati sull’argomento (Donini 1979; Baracca, Livi e Ruffo 1979-1980; Donini 1982; questi studi erano stati preceduti da vari articoli scritti su Sapere).

Nel frattempo Silvio Bergia entrò nel “Progetto Relatività” promosso da Giulio Cortini con finalità didattiche, per la diffusione della relatività nelle scuole secondarie.

Il concetto generale della non neutralità della scienza, che era stato agli inizi un’affermazione ideologica e quasi rituale, prendeva forme molto concrete, collegando le scelte e gli indirizzi delle discipline scientifiche con gli sviluppi produttivi e le spinte verso innovazioni tecnologiche dovute alla formazione della classe borghese imprenditoriale, alle sue successive articolazioni, e alle contraddizioni tra gli interessi delle sue componenti. L’idea di fondo, che rompeva radicalmente con la concezione ufficiale della scienza, era che gli interessi di classe si riflettono non solo nelle scelte e nelle trasformazioni della scienza, ma negli stessi contenuti e concetti più specifici e formali . Questa concezione si basava, come si è detto, su una lettura di Marx che rompeva con il ruolo centrale assegnato alle forze produttive dalla corrente dominante del marxismo, ma le concepiva come plasmate dai rapporti di produzione: la non neutralità della scienza si collegava alla non neutralità delle forze produttive. Così ad esempio il concetto di lavoro nella fisica nacque quando il lavoro si oggettivò nella Prima Rivoluzione Industriale del Settecento come categoria sociale con la formazione della classe dei capitalisti che estraeva il profitto dallo sfruttamento della forza lavoro degli operai (Baracca e Rigatti 1974). O la spinta verso la matematizzazione e l’astrazione nella fisica si sviluppò nella seconda metà dell’Ottocento con l’esigenza della classe capitalistica di potere progettare e programmare in modo sistematico l’innovazione che era stata fino ad allora lasciata all’ingegnosità degli inventori, facendone una forza produttiva della Seconda Rivoluzione Industriale di fine Ottocento (Baracca, Ruffo e Russo 1979).

Un progetto radicalmente innovativo alternativo alla tradizionale “divulgazione scientifica”, incentrato sulla relazione scienza-potere

Riteniamo che sia molto rilevante sottolineare e discutere un aspetto che dimostra la radicalità delle posizioni che stiamo discutendo riguardanti la critica della scienza. Oggi siamo invasi da saggi che si prefiggono di diffondere in termini largamente comprensibili (comunemente si usa il termine “divulgare”), nonché attraenti, di solito laudativi le concezioni scientifiche, le loro implicazioni per la nostra vita e per la nostra concezione del mondo: il tutto sotteso da una concezione (ideologia) di un’assoluta oggettività della scienza, motivandone i cambiamenti come evoluzione verso un’adesione a nuovi fatti sperimentali o soluzione di problemi sorti all’interno stesso delle teorie scientifiche. Le iniziative degli anni Settanta di cui parliamo avevano finalità assai differenti, sottendevano un progetto di comprensione integrale dello sviluppo e dell’assetto delle scienze ispirato al loro ruolo nella società capitalistica avanzata, al loro uso come forze produttive finalizzate all’aumento dei profitti e allo sfruttamento della forza lavoro degli operai, con il fine di un’appropriazione e un controllo da parte dei soggetti subalterni. Ci sembra insomma (sperando di non travisare troppo le posizioni, che senz’altro presentavano diverse articolazioni) che questo progetto fosse antitetico all’impostazione della cosiddetta “divulgazione” scientifica.

Ci sembra di poter dire, in estrema sinesi, che la cosiddetta “divulgazione” era vista come una sottile e subdola propaganda scientista, che dà una “illusione” di comprensione superficiale di concezioni e realizzazioni scientifiche estremamente complesse e formali, spesso teoricamente molto astratte, ma si arresta – ovviamente – agli aspetti qualitativi (pertanto superficiali), e non consente di cogliere la vera sostanza degli sviluppi scientifici moderni.

Il progetto, che potremmo chiamare alternativo, sosteneva che fosse necessario dichiarare molto apertamente l’impossibilità per le persone di comune cultura di capire realmente e dominare, sia pure in maniera non approfondita, i contenuti scientifici, fornendo loro invece la ricostruzione, su una base storico-materialista delle motivazioni materiali, degli interessi di classe e dei cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, che sono stati all’origine dei cambiamenti scientifici.

Valga come esempio quello riportato in precedenza della nascita dei concetti formali di lavoro e di energia contestualmente con lo sviluppo nel corso della Prima Rivoluzione Industriale del XVIIIo secolo alla formazione di una classe sociale che estrae il profitto dallo sfruttamento del lavoro della classe operaia: il lavoro, dunque, come rapporto di classe, e per questo prima di allora non era riconosciuto e formalizzato come tale. Questo rapporto, di sfruttamento della forza lavoro, sostanzia il concetto, accessibile a tutti, prima della definizione scientifica di “prodotto della forza per lo spostamento”.

Ovviamente le cose sono estremamente più complesse via via che la scienza è diventata più formale e matematizzata, e i suoi strumenti di indagine più raffinati. Ma tanto più l’impostazione è valida. Da qui si sviluppava il progetto di ricostruzione storico materialistica dell’evoluzione delle trasformazioni della scienza moderna e contemporanea. Il progetto di fondo, molto ambizioso, era superare per questa via la profonda ignoranza in campo scientifico della popolazione italiana, e costruire una cultura, una consapevolezza scientifica di base, ma di massa, fondata su una conoscenza dei legami sostanziali delle scienze con lo sviluppo capitalistico.

Questa impostazione comportava la concreta contestazione del potere della cosiddetta “comunità scientifica”, che si fonda sulla dicotomia tra “l’esperto” e “la persona comune”, ovvero il fatto che gli scienziati “sanno”, mentre i comuni mortali possono solo ascoltare e intuire, in modo qualitativo, e accettare. Mentre, riprendendo un esempio già discusso, il gruppo operaio omogeneo in fabbrica è portatore di un sapere antagonista, che elimina la nocività del ciclo produttivo contrastando le condizioni di sfruttamento.

Forse non è necessario dire che questo progetto, pur avendo avuto sviluppi molto importanti che abbiamo succintamente discusso, è non solo rimasto minoritario, ma sembra oggi del tutto “fuori moda”, mentre imperversa una cultura che non esitiamo a definire scientista. Anche se è necessario dire che moltissime cose sono cambiate profondamente rispetto agli anni Settanta, e la fiducia nei confronti della scienza vacilla, anche se spesso ha lasciato il posto a posizioni scettiche, addirittura antiscientifiche, che non rientravano in alcun modo nelle posizioni della contestazione di quel decennio.

Proposte di rinnovamento della didattica

Queste elaborazioni non si limitavano a formulazioni generali o ricostruzioni storiche, ma si cercò di trasferirle anche in una diversa impostazione della didattica delle materie fisiche. L’idea era che la ricostruzione della problematica che aveva portato i fisici del passato ad introdurre le grandi idee scientifiche possa aiutare gli studenti a comprenderne la natura e i contenuti. Così Baracca impostò in modo innovativo l’insegnamento della meccanica statistica ripercorrendone l’evoluzione, inquadrata nel contesto economico sociale, per individuare il pieno significato delle svolte che si sono succedute e chiarirne il nuovo contenuto fisico che esse hanno introdotto. Gli studenti che a Firenze frequentavano il suo corso all’inizio degli anni Settanta (che in gran parte afferivano o facevano riferimento al Comitato Politico degli Studenti, paragrafo 2) ebbero un’influenza molto importante nell’indurlo a sviluppare questa impostazione ed a verificarne concretamente l’efficacia didattica: dopo varie versioni ciclostilate, venne pubblicato il volume Manuale Critico di Meccanica Statistica (Baracca 1980).

Vi furono numerose iniziative di collaborazioni interdisciplinari di didattica (ad esempio con il Cisid, del quale però non riusciamo a trovare traccia), in particolare per una didattica integrata delle scienze, con incontri e cicli di conferenze. A scopo didattico, vennero raccolti in un volumetto le ricostruzioni storiche della nascita dei concetti energetici e le caratteristiche dell’empirismo inglese e il razionalismo francese nel Settecento (Baracca e Rossi 1977).

Interventi coordinati sulla scienza sul “Quotidiano dei Lavoratori” (1978-1979)

Verso la fine degli anni Settanta Baracca riuscì promuovere e coordinare una serie di interventi sulle scienze sul Quotidiano del Lavoratori, pur non essendo egli formalmente appartenente alla formazione politica Avanguardia Operaia. Sarebbe interessante una ricerca completa sui numeri del giornale, che per il momento non siamo in grado di effettuare: riportiamo indicazioni tratte da qualche lettera manoscritta inviata da Baracca ai collaboratori. La preparazione con i collaboratori coinvolti e la redazione del giornale fu piuttosto laboriosa, anche perché una volta aperta la serie era necessario assicurare una continuità. Il programma era molto ambizioso, potenzialmente mettere a fuoco una strategia sui problemi della scienza in vista dei contratti di categoria dei lavoratori, i cambiamenti dell’organizzazione del lavoro e la ristrutturazione industriale, le prospettive di riforma della scuola e della didattica((Lettera di Baracca ai compagni del 12 giugno 1978.)) . Si individuavano diversi settori, da quelli di origine operaia (le 150 ore in diverse città), a quelli sulla nocività nelle fabbriche, a contributi di impostazione più teorica (facenti capo sostanzialmente ai componenti del collettivo di storia e critica della scienza), al settore della didattica. Nel luglio del 1978 venne organizzata e registrata a Milano una discussione tra Luigi Mara, Mario Maringelli, Carlo Carnevale e Baracca destinata mettere a fuoco i temi e ad aprire il ciclo e la discussione, previsti per settembre((Lettera di Baracca ai compagni del 13 luglio 1978.)).

La rivista Testi e Contesti

Con lo svilupparsi e il sedimentarsi di queste attività, maturò l’esigenza da parte del gruppo di storia della scienza di dotarsi di uno strumento di livello adeguato di elaborazione e di confronto, che consentisse di sviluppare le idee con la profondità adeguata e senza limiti di spazio. Così venne fondata nel 1979 la rivista quadrimestrale Testi e Contesti, quaderni di scienze, storia e società, di cui uscirono 9 numeri prima della chiusura nel 1983 (vedi la ricostruzione commentata dei singoli fascicoli di Rossi 2010).

Senza entrare in troppi dettagli sulla rivista in questa sede, non manca di colpire l’evoluzione dei temi che vennero trattati. Fino al n. 6, del marzo 1982, vennero approfonditi temi di carattere storico, critico e metodologico, estendendo le collaborazioni ai settori della chimica, della biologia e della medicina. Ma dal n.7, del maggio 1982, il taglio e i contenuti cominciarono a cambiare, affrontando temi più politici, ed anche cercando di dare continuità agli argomenti trattati nei numeri precedenti. Intanto vi era la novità di una Presentazione di inquadramento degli articoli del fascicolo e di collegamento con quelli precedenti, a firma di Angelo Baracca e Arcangelo Rossi, nella quale si annunciava l’apertura della nuova tematica di grande attualità “scienza e guerra” (con un articolo con questo titolo di Michelangelo De Maria e Giorgio Parisi, pagg. 19-28), e la pubblicazione di un’analisi del Gruppo di Igiene e Prevenzione del Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza (paragrafi 6 e 7), denunciando al contempo il drammatico attacco a quell’esperienza(( L’impegno di Baracca nei confronti del Consiglio di Fabbrica della Montedison di Castellanza proseguì negli anni successivi, in particolare in occasione di un altro attacco nel 1986, durante il quale Baracca coordinò interventi con Marcello Cini e Giovanni Berlinguer, e scrisse un intervento di denuncia sul Manifesto (A. Baracca, “Castellanza, lo scandalo infinito”, 4 ottobre 1986).)). Nel n. 8, del novembre 1982, sempre dotato di una Presentazione a firma di Angelo Baracca (che si impegnò in modo particolare per la sopravvivenza e il rilancio della rivista), il tema “scienza e guerra” veniva ripreso con un articolo di Giovanni Salio “Scienza, tecnologia e guerra” (pagg. 9-28).

Malgrado le intenzioni di rilanciare la rivista e la dichiarazione della Presentazione che la rivista avrebbe continuato ad uscire, il n. 9, del marzo 1983, mostrava una crisi già nella veste editoriale più dimessa. Ma i temi politici prendevano nettamente il sopravvento. Circa metà del fascicolo era occupato da articoli sul tema “scienza e guerra” (vi torneremo nel paragrafo 12); due articoli prendevano una posizione netta contro la riforma della scuola secondaria superiore (Carlo Bianciardi e Tiziano Pera). Ma l’esperienza di Testi e Contesti era alla fine: il fallimento di una campagna di abbonamenti abbastanza vasta portò alla chiusura quando il n. 10 era già composto e le bozze corrette.

Il convegno internazionale del 1980 su “La Ristrutturazione delle Scienze tra le due Guerre Mondiali”

Nel frattempo, con le prime estensioni che abbiamo ricordato della ricostruzione dello sviluppo della fisica all’introduzione della meccanica quantistica (Donini 1979; Baracca, Livi e Ruffo 1979-1980), era maturato il progetto ambizioso di organizzare un convegno internazionale di alto livello sulla “Ristrutturazione delle Scienze tra la Due Guerre Mondiali”. Lo sforzo fu enorme, il convegno ebbe luogo dal 23 giugno al 3 luglio (9 giorni effettivi di lavoro) 1980 tra Firenze e Roma ((Una soluzione originale ma anche laboriosa, dovuta al fatto che il finanziamento era stato ottenuto in parte a Firenze e in parte a Roma: nel weekend di intervallo del 28-29 giugno i relatori stranieri vennero portati da Firenze a Roma effettuando una gita organizzata in Umbria. Le sessioni di Firenze si svolsero nell’Auditorium della Federazione dei Lavoratori delle Officine Galileo, dotata anche di impianti sportivi che vennero messi a disposizione dei partecipanti fuori dagli orari del convegno. Nella settimana fiorentina vennero lasciati una mattina e un pomeriggio liberi, e a Roma un pomeriggio.)) con il titolo “Recasting Sciences Between the Two World Wars”. Il taglio del convegno fu esplicitamente multidisciplinare, con la partecipazione degli specialisti italiani e stranieri più qualificati nei vari campi: storici, storici della scienza, scienziati di varie discipline, economisti, logici, architetti. Si cercò di garantire la partecipazione di studiosi italiani di diverse tendenze, per avere un confronto più ampio possibile. L’ultima giornata fu dedicata alle scienze in Italia durante il fascismo. Si cercò di garantire uno spazio considerevole per le discussioni (vi fu anche una tavola rotonda sulle scelte economiche tra le due guerre mondiali). Per qualche studioso straniero che non poté essere presente furono forniti ai partecipanti le relazioni scritte. Si cercò di garantire anche un’ampia partecipazione di studenti, ai quali fu possibile assegnare rimborsi e procurare alloggi economici in collegi.

Questo convegno ufficializzò l’ingresso dei giovani storici della scienza italiani nell’ambiente accademico internazionale. Non fu possibile pubblicare integralmente gli Atti del convegno: tre anni dopo venne pubblicata la traduzione italiana delle relazioni più importanti (Battimelli et al. 1983).

Il convegno ebbe un seguito nel maggio 1982 con un incontro di tre giorni a Roma su “Lo sviluppo delle scienze in Italia negli anni Venti e Trenta”, anch’esso con un taglio interdisciplinare, che vide un interessante confronto con i maggiori scienziati italiani viventi di quegli anni (Edoardo Amaldi, Giuseppe Montalenti, Adiano Buzzati Traverso e Bruno Rossi).

Gli anni Settanta segnarono l’affermarsi in Italia anche negli ambienti accademici dell’attività in storia della fisica, in cui i giovani fisici e matematici ebbero un ruolo decisivo, ma contribuirono anche le altre scuole di cui abbiamo parlato. Questa affermazione ebbe degli effetti duraturi, non solo per la nascita di una disciplina che in passato non esisteva, ma portò anche all’introduzione innovativa di un corso apposito nel curriculum di studi per la Laurea in Fisica.

Iniziative editoriali specifiche successive

Chiusa l’esperienza di Testi e Contesti, nel 1984 prese vita per iniziativa dei fisici e matematici dell’Università di Roma “La Sapienza” una rivista con caratteristiche più specifiche ed accademiche, la Rivista di Storia della Scienza. Ne furono pubblicate due serie: la prima, diretta da Mario Grilli, dal 1984 al 1986, tre volumi con tre numeri per anno; la seconda, diretta da Giorgio Israel, dal 1993 al 1996, quattro volumi con due numeri per anno((Siamo grati per queste informazioni a Giovanni Battimelli.)) .

La nascita del movimento anti-nucleare e l’impegno di studenti e scienziati, fino a Chernobyl e al referendum del 1987.

Come abbiamo anticipato nel paragrafo 2, la seconda metà degli anni Settanta vide la nascita di movimenti popolari contro il rilancio del programmi di energia nucleare civile per la produzione di energia elettrica (che avevano subito una brusca battuta d’arresto dopo lo scandalo Ippolito e il relativo processo nei primi anni Sessanta), nei quali giocarono un ruolo importante studenti di fisica e pochi docenti, che si posero un contrasto fortissimo con la comunità dei fisici, che allora erano, con sparute eccezioni, favorevoli all’energia nucleare.

Il Piano Energetico Nazionale, gli studenti di Firenze e il libro “I Nucleodollari”

La crisi petrolifera che esplose nel 1973 ridiede forza al rilancio dei programmi nucleari per la produzione di energia elettrica, che non si erano ripresi.

Una prima esperienza è molto significativa perché mostra la vitalità della componente studentesca e la sua capacità di affrontare ed elaborare tematiche complesse in modo innovativo, più vitale ed efficace rispetto ad un sapere scientifico appiattito, spesso in modo acritico, su concezioni standard. Delle attività del Comitato Politico degli studenti di fisica di Firenze abbiamo parlato nel paragrafo 2. Nel 1975 alcuni suoi componenti si trovarono a partecipare a un convegno pubblico dell’ENEL a Firenze sul nuovo Piano Energetico Nazionale (PEN), al quale erano presenti alcuni professori ordinari di Fisica vicini al PCI, e improvvisarono un intervento critico (erano ormai abituati ad intervenire in affollate assemblee di fabbrica) che venne paternalisticamente criticato per molte imprecisioni e improvvisazioni dai loro professori. In qualche modo punti nel vivo, ed interessati ad approfondire l’argomento, riuscirono a procurarsi il testo del PEN e formarono un gruppo di lavoro (ne faceva parte anche uno studente di Architettura, Vallerini) che per più di un anno si riunì una sera alla settimana, suddividendosi tra i componenti le tematiche da studiare e approfondire (queste vicende sono ricostruite in Angelo Baracca et al. 2017). La ricerca fu a tutto campo sul materiale che riuscirono a reperire pubblicato (non c’era internet), affrontando anche il tema delle fonti rinnovabili di energia, e chiedendo incontri con qualche esperto fuori Firenze. Nel 1977 pubblicarono un libro con il titolo emblematico I Nucleodollari, che fu il primo in Italia con un taglio generale (Ciliberto et al. 1977). È significativa l’ampiezza dei temi affrontati nel libro: il modello energetico dell’Occidente e il caso italiano; il ciclo dell’uranio; le tipologie dei reattori nucleari di potenza, statunitensi e canadese; il significato politico-economico e i costi della scelta nucleare; il Programma Energetico Nazionale; i vari aspetti di impatto ambientale, inquinamento termico e radioattivo; le fonti alternative; i reattori veloci “breeder” al plutonio; il problema delle scorie. Nelle Conclusioni si affermava, guardando ad una prospettiva di capovolgimento dei rapporti di classe che in quegli anni appariva attuale:

Quindi la tendenza a sostituire l’energia convenzionale con quella nucleare non può essere semplicemente razionalizzata ma deve essere interamente respinta. …

Pur avendo espresso finora un giudizio pesantemente negativo sulla prospettiva di sostituire (anche gradualmente) il petrolio con l’energia nucleare, non si deve credere che ciò ci autorizzi a parlare di un’energia nucleare di per sé ‘cattiva’. È un falso problema ricercare fonti intrinsecamente buone; dobbiamo piuttosto analizzare a fondo gli stretti collegamenti (sempre esistenti) fra modalità di impiego proposte e rapporti di produzione nella società.

Se abbiamo riscontrato delle incompatibilità tra la costruzione di ‘queste centrali’ e l’esistenza di una società socialista, ciò costituisce evidentemente un’ulteriore prova della ‘non neutralità’ della scienza che tende a riprodurre, questa volta in maniera nemmeno troppo mediata, le condizioni di sfruttamento della classe operaia.” (I Nucleodollari , pag. 185)

Dopo la pubblicazione del libro la presenza di questi studenti venne richiesta quali “esperti di parte popolare” in varie situazioni in cui si progettava la localizzazione di una centrale nucleare ed erano sorti comitati in opposizione (Pisa, Varese, Casalmaggiore, Genova, Cremona: purtroppo non ne è rimasta una memoria dettagliata), e dove si trovarono a confrontarsi anche con esperti o tecnici dell’ENEL senza incontrare particolari difficoltà (si veda la ricostruzione di Baracca et al. 2016).

Il Piano Energetico Nazionale, gli studenti di Firenze e il libro “I Nucleodollari”

Nasceva in Italia il movimento antinucleare, che fu la vera culla dell’ambientalismo italiano (paragrafo 10). Vi furono grandi manifestazioni di carattere nazionale, in particolare a Montalto di Castro, in Maremma, designata come localizzazione della quinta centrale nucleare italiana. l movimento antinucleare italiano fu forse il primo filone dell’ambientalismo a stabilire rapporti con gli analoghi movimenti negli altri paesi europei: in Francia, Germania, Svizzera e Spagna((Siamo grati a Giorgio Ferrari per queste informazioni. In particolare ci ha segnalato il progetto di database “materiali per l’analisi di opposizione” (MAO), http://www.mao-projekt.de/Inhalt/AKW.shtml , che contiene articoli con informazioni sulla storia delle proteste contro la costruzione di centrali nucleari, lo stoccaggio dei rifiuti nucleari, ecc. Si ceda anche la discussione nel lavoro di Giorgio Nebbioa, 1994, p. 21 e segg.)) .

Alla fine degli anni Settanta era stato presentato negli Stati Uniti il “Rapporto Rasmussen” che valutava, sulla base di analisi tecniche, la probabilità di un incidente grave in una centrale nucleare dell’ordine di uno su un milione. Nel 1978 la rivista Sapere (dopo la scomparsa di Maccacaro) entrò in campo pesantemente con una raffica di articoli e numeri speciali sul rischio nucleare((“Il rischio nucleare. Leggiamo criticamente il Rapporto Rasmussen”, Sapere n. 809, marzo 1978; “Energia. Il nucleare: una scelta imposta”, Sapere n. 810, numero speciale, aprile-maggio 1978 (un’estesa monografia di 160 pagine; per una serie di problemi un saggio degli autori dei Nucleodollari non venne inserito); “Energia. Le condizioni per l’alternativa”, Sapere n. 813, numero speciale, settembre-ottobre 1978 (94 pagine); “Energia. Il dibattito nel movimento” Sapere n. 815, numero speciale, dicembre 1978; “Il rischio nucleare. Lo scheletro nell’armadio”, Sapere n. 819, numero speciale, giugno 1979.)) , che partì proprio, nel marzo 1978, con una serrata analisi critica del rapporto Rasmussen e della sottovalutazione dei rischi di incidenti, e successivamente analizzò a tutto campo i problemi dell’energia, sia quella nucleare che le alternative possibili.

Appena un anno dopo, nella notte del 28 marzo 1979, si verificò il più grave incidente mai avvenuto in una centrale nucleare statunitense, nel 2 o reattore della centrale di Three Mile Island, ad Harrisburg in Pennsylvania, che era in funzione da appena tre mesi. L’incidente fu classificato a livello 5 della scala INES della IAEA (incidente con significative conseguenze all’esterno dell’impianto), si ebbe la fusione parziale del nocciolo, si rimase per vari giorni con il fiato sospeso per il pericolo che il vessel d’acciaio non resistesse all’altissima pressione generata dalla bolla di idrogeno, con il rischio di un disastro che avrebbe potuto forse essere paragonabile a quello di Chernobyl di 7 anni dopo: vi fu comunque il rilascio di una quantità significativa di radiazioni (gas nobili e iodio-131), anche se non vi furono morti accertate fra i lavoratori della centrale e – secondo la versione ufficiale, come sempre rassicurante – nella popolazione del circondario direttamente attribuibili all’incidente((Studi più recenti accreditano una versione un po’ diversa. Nel periodo compreso fra il 1984 e il 1988 il tasso di mortalità aumentò da 0,84 (valore misurato nel periodo compreso fra il 1980 e il 1984) a 1,13 nei bambini, dovuto a leucemia infantile in 34 contee vicine al luogo dell’incidente.)). In ogni caso, l’incidente fece crollare nell’opinione pubblica il mito della sicurezza del nucleare e diede un fortissimo impulso e seguito al movimento antinucleare.

Intanto gli studenti di Firenze passarono ad essere laureati, verso la fine degli anni Settanta, il gruppo dei Nucleodollari per forza di cose si dissolse, e Baracca raccolse la loro eredità e da allora ha svolto un impegno costante contro l’energia elettronucleare, chiamato in numerose scuole, da amministrazioni locali e comitati per partecipare a dibattiti, confrontandosi costantemente con tecnici dell’ENEL a con ingegneri e progettisti nucleari.

L’inchiesta del Gruppo regionale di DP sul reattore veloce PEC del Brasimone

Questo suo ruolo, e il suo impegno nel movimento pacifista e per il disarmo nucleare (paragrafo 10), portarono il partito di Democrazia Proletaria a proporre a Baracca di candidarsi come capolista in Toscana alle elezioni regionali del 1985. Una volta eletto, egli fissò come uno degli obiettivi prioritari del gruppo regionale un’azione contro il progetto del reattore veloce di ricerca PEC (Prova Elementi Combustibile, per il programma francese di reattori veloci di potenza, al quale l’Italia partecipava con il 30%) in costruzione nel centro del Brasimone, in mezzo all’Appennino tosco-emiliano, in una zona estremamente critica nel caso di un incidente, ed anche per i trasporti di materiale radioattivo. Venne così avviata, insieme al partito di DP dell’Emilia Romagna, un’accurata indagine, con incontri con le amministrazioni locali e le USL della zona, nella quale venne appurato che non vi era nessuna preparazione alla prospettiva dell’entrata in funzione di un reattore nucleare veloce al plutonio: non esisteva nessun dato sullo stato di salute della popolazione e non vi erano le condizioni per svolgere una rilevazione; non erano mai stato presi in considerazione i problemi connessi al PEC, in particolare la necessità di monitorare particolari patologie dei gruppi di popolazione esposti, né si era in grado di avviare rapidamente questo processo (poco dopo la conclusione dell’’indagine arrivarono al Brasimone 13,5 tonnellate di uranio, mentre secondo i piani ufficiali la prima carica di plutonio sarebbe potuta arrivare nel 1987, vanificando la possibilità di creare un database socio-sanitario precedente); vi era carenza di personale qualificato; non esisteva neanche uno schema di piano d’emergenza, e non vi era nessuno studio sui possibili effetti socio-economici di un incidente nucleare (che nel cuore dell’Appennino settentrionale avrebbe potuto dividere in due la penisola tagliando le vie di comunicazione). Il momento culminante dell’indagine fu un’ispezione della delegazione tosco-emiliana di DP al centro del Brasimone e un incontro con gli ingegneri nucleari progettisti del PEC: della delegazione di DP facevano parte, oltre a Baracca, i fisici Paolo Bartolomei, dell’ENEA e di DP di Bologna, e Giorgio Cortellessa, dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma. L’incontro si protrasse per 6 ore, incalzando gli ingegneri con domande stringenti, che li costrinsero tra le altre cose ad ammettere che il contenitore d’acciaio del reattore (ereditato da un precedente progetto poi abbandonato di un reattore organico), limitava ad uno il numero di canali di prova rispetto ai tre previsti all’origine, ed effettivamente offriva spazi di manovra piuttosto ristretti, che avrebbero creato gravissimi problemi nel caso di incidenti. Dal testo registrato dell’incontrO:

DP  Qui si dà l’impressione, da disegni non quotati, che [… ci siano spazi] talmente stretti che questa sia stata una delle ragioni per cui tre canali si sono ridotti a uno, non tanto perché ci sia stato un cambio di filosofia ma perché non ci entravano … non c’è ancora una progettazione finale, tale da potere assicurare che c’entra tutto nel reattore.

[…]

ENEA  … certamente vale quello che lei dice, cioè è estremamente avventuroso pensare di far stare tre circuiti indipendenti negli spazi limitati che ci sono all’interno del contenitore metallico. Il discorso del contenitore metallico lo conoscete bene, sapete che era qui [dal progetto precedente], è chiaro che il contenitore metallico è il vincolo costoso sia per quanto riguarda la sistemazione impiantistica e l’affollamento degli impianti, sia per quanto riguarda adesso i problemi di montaggio tanto delle tubazioni e dei componenti, quanto della strumentazione. È proprio un problema di accessibilità ai componenti che ci siamo trovati.

DP – “Non è pericoloso avere un affollamento di questo genere?

ENEA – Non è una soluzione ottimale, senza dubbio, dal punto di vista delle manutenzioni e più direttamente dal punto di vista della sicurezza impone di risolvere dei problemi specifici. (Libro bianco, pagg. 43-47)

Dall’intera indagine venne preparato un Libro bianco del gruppo consiliare di DP in Regione Toscana ((Libro bianco sul reattore nucleare PEC del Brasimone , Gruppo Consiliare di Democrazia Proletaria, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 1986.)) , che venne presentato alla stampa, vennero promossi incontri con gli altri gruppi consiliari per illustrare i risultati, la cui consistenza e serietà vanne da tutti riconosciuta, ed ebbe luogo un dibattito specifico in Consiglio Regionale.

Questa azione cadde in un momento estremamente critico, nel quale il vento a livello nazionale stava cambiando: il 9-13 aprile 1986 si svolse il XVII congresso del PCI, tradizionalmente a favore dei programmi nucleari, nel quale venne presentata una mozione anti-nucleare che ottenne quasi il 50% dei voti.

Appena due settimane dopo, il 26 aprile 1986, avvenne lo spaventoso incidente di Chernobyl, che diffuse su tutta l’Europa una nube radioattiva. Baracca fu coinvolto in moltissimi incontri ed assemblee.

L’8-9 novembre 1987 si tennero cinque referendum, tre dei quali riguardavano l’energia nucleare. Nessuno dei tre quesiti chiedeva l’abolizione o la chiusura delle centrali nucleari (i referendum in Italia sono solo abrogativi di norme di legge vigenti), ma l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un Comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio, l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali per la presenza sui loro territori di centrali nucleari, e l’abrogazione della possibilità per l’ENEL di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari. I votanti furono il 65,1% degli aventi diritto, con un’altissima percentuale di schede nulle o bianche che andarono dal 12,4% al 13,4% i tre quesiti furono approvati rispettivamente con l’80,6%, il 79,7%, e il 71,9%. Ma di fatto i programmi nucleari in Italia furono chiusi.

Il dibattito tra ambientalisti e marxisti

Nel 1973 esplose la prima grande crisi energetica, quando i paesi arabi “chiusero i rubinetti del petrolio” dopo la guerra israelo-palestinese: questo distrusse per sempre il presupposto, quasi tacito, che l’energia fosse praticamente inesauribile e a basso costo, e spinse la comunità scientifica a definire nuovi concetti di efficienza energetica e di uso dell’energia riferiti direttamente al secondo principio della termodinamica (Baracca 2010). Si sviluppò anche un’attività didattica innovativa, per l’insegnamento nelle scuole dei concetti energetici incentrato sui rendimenti e gli sprechi. Molti docenti universitari e di scuole secondarie ottennero un interesse del Ministero della Pubblica Istruzione, che nel 1981 istituì un Comitato Scuola-Energia, il quale promosse vari incontri e portò alla pubblicazione di una serie di agili manuali didattici (uno che adottava un’impostazione storica fu Angelo Baracca e Ugo Besson, 1990((L’elaborazione di Baracca per un radicale rinnovamento dell’impostazione e dei contenuti della didattica lo portò durante gli anni Novanta e elaborare un manuale di fisica innovativo per i Licei: A. Baracca, M. Fischetti e R. Rigatti, Fisica e Realtà, 3 Voll., Cappelli, Bologna, 1999.)) ).

Con la crisi energetica ripresero vigore i programmi di sviluppo dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica, che come abbiamo visto (paragrafo 9), diedero vita al movimento anti-nucleare, vero antesignano della sensibilità ambientale. Cominciarono anche ad aprirsi contraddizioni nelle posizioni nucleariste predominanti tra i fisici italiani e anche nella sinistra.

Contestualmente a questi processi si formò una nuova consapevolezza dei problemi ambientali. Il libro di Rachel Carson del 1962, Primavera Silenziosa, era stato un precursore dell’allarme per i problemi dell’inquinamento ambientale. In Italia una vera sensibilità ambientale tardò a consolidarsi, ma dai primi anni Settanta l’ecologia cominciò a fare opinione pubblica. Come scrive Giorgio Nebbia: “A partire dal 1968, con le lotte operaie, cominciò anche a crescere, in maniera del tutto indipendente dalla contestazione ecologica ‘borghese’, una contestazione ecologica operaia attraverso lotte in fabbrica per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Si trattava di battersi contro le nocività dell’ambiente ‘all’interno’ delle fabbriche, in parallelo all’altra contestazione che era rivolta contro le nocività all’ambiente provocate fuori dalle fabbriche e dai campi. Alcune rivendicazioni furono accolte nello Statuto dei lavoratori del 1970” (Nebbia, 1994, p. 15). Ma le due ecologie non si sono incontrate se non occasionalmente.

Nel 1968 si era costituito in cosiddetto “Club di Roma” (dal luogo della prima riunione), il cui rapporto del 1972 I Limiti dello Sviluppo((Osserva giustamente Nebbia che il libro era in realtà intitolato “I limiti alla crescita” (“The limits to growth”; “Halte à la croissance ?”) ma nella traduzione italiana il titolo divenne, impropriamente, “I limiti dello sviluppo”.)), sollevò una forte impressione, in quanto prediceva che nel futuro la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. In Italia si levò nello stesso anno una critica di sinistra del contenuto ideologico dell’ecologia, con il libro di Dario Paccino (1918-2005), L’Imbroglio Ecologico, nel quale l’autore denunciava l’ipocrisia dell’improvviso interesse per l’ecologia dei paesi ricchi e industriali a fronte dei devastanti inquinamenti, le guerre, lo sfruttamento dei poveri attuati dai paesi ricchi((Una viva ricostruzione del percorso intellettuale e dell’impegno politico di Dario Paccino è presentato da Giorgio Nebbia, “L’imbroglio ecologico ha quarant’anni”, La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 settembre 2012.)) .

Un’impostazione radicale sui problemi ambientali e sanitari riferiti ai cicli produttivi e allo sfruttamento del lavoro venne sviluppato dal 1974 dalla nuova serie della rivista Sapere (paragrafo 7). Il drammatico disastro dello stabilimento Icmesa di Meda, a nord di Milano, del 19 luglio 1976 impresse un’accelerazione all’interesse per i problemi dell’ambiente: dallo stabilimento in seguito ad un incidente ad un reattore chimico, uscì una nuvola bianca contenente, fra l’altro, alcuni Kg di “diossina” (TCDD) che, trasportata dal vento, ricadde nel territorio del vicino paese di Seveso((Laura Conti, Visto da Seveso, Feltrinelli, 1977. Osserva Giorgio Nebbia: “Molti altri incidenti, in precedenza, avevano provocato morti e feriti e danni, ma l’evento di Seveso aveva tutti gli elementi per destare l’attenzione; si trattava di una fabbrica in mezzo alle abitazioni; di una produzione abbastanza banale e quasi nessuno sapeva che potesse dar luogo alla formazione di diossina; la diossina e’ uscita dal camino, insieme ad altre sostanze, perché mancavano i filtri. Poche settimane dopo, nel settembre 1976, dallo stabilimento petrolchimico di Manfredonia, in un altro incidente, uscivano nell’ambiente esterno 10 tonnellate di composti arsenicali” (Nebbia, “Chimica e segreti”, Capitalismo, Natura, Socialismo3, (9), 1993). E sottolinea anche giustamente: “Durante la guerra nel Vietnam … grandi quantità di erbicidi contenenti 2,4,5-T greggio, contaminati da diossina, erano stati spruzzati su decine di migliaia di ettari per distruggere la giungla che offriva rifugio al nemico o ai partigiani Viet Cong. Ben presto sono stati osservati, oltre ai danni ecologici della distruzione di grandi estensioni di foresta tropicale, anche i danni biologici dovuti al contatto con la diossina non solo nella popolazione civile, ma anche negli stessi soldati americani. Ancora dopo molti anni i veterani malati continuano a fare causa al governo per i danni provocati dall’uso di erbicidi contaminati con diossina.” (Nebbia, 1994, p. 20).)) .

Ma come si è detto, a nostro parere questo interesse in Italia era nato soprattutto come proiezione sul territorio dei problemi delle fabbriche e della nocività del ciclo produttivo sulla salute operaia, per cui rimase un contrasto fra due impostazioni (ciascuna con varie articolazioni), una che riconduceva questi problemi alla scontro di classe e declinava il marxismo in senso ambientale (pur riconoscendo i limiti dell’elaborazione di Marx in questo senso((Questo tema si legava naturalmente a quello dell’analisi storico materialista della scienza, come estensione dell’analisi di Marx dell’economia (paragrafo 8).)) ), e l’altra ispirata ad una visione più fondamentalista e integrale della natura, che trasse nuova forza dai movimenti anti-nucleari. La componente marxista insisteva sulla necessità di trasformare i rapporti di produzione per trasformare quelli con la natura. Così, alla “coscienza di specie” che sostenevano gli ambientalisti veniva contrapposta la “coscienza di classe” ((Fra i documenti che riusciamo per ora a recuperare segnaliamo come abbastanza emblematico a questo riguardo un inserto di 4 pagine del Manifesto, “La Talpa Giovedì” (vedi nel seguito di questo paragrafo), del 14 febbraio 1985 dal titolo “L’ecologia politica”. Tra gli articoli anche qualificati, tra gli altri di Fritjof Capra e Sergio Bologna, l’articolo di Baracca “Homo oeconomicus” esordiva con: ”Il verde non è rosso”.)) . Queste due impostazioni si confrontarono, a volte animatamente, sia sul Manifesto che su Sapere.

L’ala ambientalista si era nutrita dei libri di Barry Commoner ( Il cerchio da chiudere. La natura, l’uomo e la tecnologia, Garzanti, 1972), dai quali aveva tratto (o meglio forzato) conclusioni catastrofiste sulla prossimità e inevitabilità del collasso ambientale, che Commoner aveva previsto nel giro di qualche decennio. Lo sviluppo della polemica su queste posizioni potrò Baracca e il chimico Enzo Tiezzi (1938-2010), che aveva studiato con Commoner negli USA, ad indire il 12 aprile 1981 a Firenze una giornata di studio dal titolo “Le lotte ambientali tra movimento e rapporti di produzione”, chiamando a partecipare gli esponenti italiani di varie discipline più noti e coinvolti nelle questioni ambientali((Laura Conti, Federico Butera, Giorgio Pizziolo e Rita Micarelli, Andrea Poggio, Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Ricardo Basosi, Marcello Cini, Antonino Drago, Walter Ganapini, Alberto L’Abate, Tiziano Pera, Ermete Realacci, Gianni Silvestrini, Enrico Testa ed altri.)): i testi delle relazioni vennero pubblicati con il titolo suggestivo Entropia e potere (Baracca e Tiezzi 1981).

In un convegno successivo a Palermo il 18-21 settembre 1981 (con la partecipazione di alcuni degli stessi protagonisti((Federico Butera, Laura Conti, Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Gianni Silvestrini, Enrico Testa, Enzo Tiezzi.)) ), dove Laura Conti si era rifatta all’analisi marxiana, Baracca riprendeva i temi della sfida posta dalla nuova complessità dei problemi, la centralità del tema del potere capitalistico sulla natura, e la necessità di sviluppare ulteriormente l’analisi di Marx((A. Baracca, “Contro Prigogine”, intervento al Convegno “Energia, Ambiente e Trasformazioni Ambientali”, Palermo, 18-21 settembre 1981, p. 27-39.)) (l’intervento prendeva come esempio tipico dei rischi di generalizzazioni non fondate l’entusiasmo che vi era per le idee di Prigogine, che discuteremo nel prossimo paragrafo).

Un aspetto delle polemiche che soprattutto gli scienziati, in particolare i fisici impegnati sui problemi ambientali contestavano agli ambientalisti puri era di mescolare argomenti che avevano livelli di rigore molto diversi fra loro, generalizzando ragionamenti rigorosi e dimostrati ad ambiti di fenomeni nei quali quelle conclusioni non erano affatto stringenti ma pure ipotesi.

Questo aspetto fu all’origine, per esempio, di un dibattito specifico ed emblematico che nei primi anni Ottanta si sviluppò sulle idee di Prigogine (paragrafo 11).

Come sintesi ci sembra molto pertinente un passo di un messaggio che ci ha inviato Giorgio Nebbia: “Secondo me negli anni successivi ci furono battaglie ambientali, successi anche, ma ormai in parte assorbite dal potere politico; il ministero dell’ambiente faceva ‘cose buone’, riforme, nasceva l’età della sostenibilità, l’ambientalismo scientifico (non bisogna sempre dire no), i problemi ecologici venivano trattati dalla stampa e dalla televisione, ma era finita l’età delle ‘rivoluzioni’, l’aspirazione a cambiare il sistema economico, la ‘contestazione’ del potere che sembrava permeare i primi anni settanta” ((Giorgio Nebbia, mail inviata agli autori.)) .

Il dibattito sulle posizioni di Prigogine

Alla fine degli anni Settanta la pubblicazione in Italia di due libri di Ilya Prigogine((Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Longanesi, Milano, 1979; Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino, 1981))  destò un vivissimo interesse nei settori intellettuali più diversi, ma anche qualche riserva che vale la pena registrare perché in Italia sono molto comuni le passioni travolgenti che poi si spengono lasciando nella sostanza poche tracce. I due libri avevano singolarmente lo stesso titolo italiano, ma erano molto diversi fra loro, anche se alla base vi era un concetto comune. Il primo libro era una raccolta di saggi di Prigogine, ma qualcuno anche con altri collaboratori, il cui contenuto era a volte ripetitivo, ma il cui livello era diverso, alcuni contenendo anche formule matematiche piuttosto complesse. Il secondo libro – di cui era coautrice la filosofa (laureata originariamente in chimica) belga Isabelle Stengers – aveva una struttura assai diversa, si configurava come una ricostruzione organica dell’evoluzione della scienza con un respiro culturale più generale, anche se alla base vi era il medesimo concetto.

Il concetto di fondo di Prigogine è che in un sistema lontano dall’equilibrio le fluttuazioni che sono sempre presenti si amplificano e modificano lo stato del sistema, ma in determinate condizioni – se il sistema è attraversato da un flusso costante di energia – conducono a un nuovo stato “ordinato”, ad una nuova organizzazione del sistema, che Prigogine chiama una “struttura dissipativa”, introducendo il concetto suggestivo di “ordine mediante il disordine”. Era senza dubbio una concezione affascinante: basti pensare che un essere vivente è, dal punto di vista fisico, un sistema che si mantiene lontano dall’equilibrio (che è la morte) grazie ad un flusso di energia (e di materia, e di informazione).

Le idee di Prigogine furono salutate come una nuova strada verso l’unificazione del sapere, ebbero recensioni entusiaste, egli ricevette interviste((“Il sogno di Visnù”, intervista a I. Prigogine di Enrico Filippini, Repubblica Cultura, 25 maggio 1982.)) , vennero pubblicati suoi articoli((I. Prigogine, “Entropia”, Il Globo, 28 maggio 1982; I. Prigogine, “Il tempo ritrovato”, Rinascita, n. 21, p. 33-35, 4 giugno 1982.)) , sulle sue idee vennero redatti dei dossier(( “Il mondo in una formula?”, dossier a cura di Pier Daniele Napolitani e Alfoso Iacono, con un dibattito tra Isabelle Stengers, J.L. Deneubourg (matematico e etnologo) e L. Brening (fisico), Pace e Guerra, n. 8, p. 82-87, maggio 1982.)) : di questi articoli Baracca forniva un commento critico nel corso di un appassionato intervento sul n. 8 di Testi e Contesti del novembre 1982 (si veda nelle Conclusioni), definendo senza mezzi termini “cialtroneschi” gli articoli di Prigogine su Rinascita e sul Globo e la sua intervista su La Repubblica, ma giudicando invece “stimolante” e “largamente condivisibile” la discussione pubblicata da Pace e Guerra, nella quale si argomentava che “i modelli matematici nelle scienze sociali non possono mai essere oggettivi, ma contengono solo ciò che vi si mette dentro, [e] la trasposizione al sociale della teoria delle catastrofi o delle strutture dissipative è spesso ingiustificata”((A. Baracca, “Testi per contesti difficili”, Testi e Contesti, n. 8, pag. 66, novembre 1982.)) .

Non a caso il grande interesse ed entusiasmo diffusi non coinvolsero i fisici, i quali conoscevano i fenomeni discussi da Prigogine, e non consideravano nuovo il suo approccio alla meccanica statistica dei fenomeni di non equilibrio (vi erano già altre trattazioni equivalenti a quella elaborata da Prigogine) e diffidavano delle generalizzazioni che non fossero dimostrate in modo rigoroso((A. Vulpiani, “Qualche osservazione sulla nuova dinamica di Ilya Prigogine”, Testi e Contesti, n. 7, maggio 1981.)) . Del resto, Prigogine aveva sì ricevuto il premio Nobel nel 1977, ma per la chimica.

Un dibattito specifico si sviluppò in modo anche acceso su Alfabeta: due articoli molto positivi su Prigogine e concetti correlati((Gianluca Bocchi, “L’arricchimento della natura”, e Mario Galzigna, “Il gioco delle perle di vetro”, Alfabeta, p. 4-7, novembre 1981.)) ebbero una replica da due fisici, Angelo Baracca e Angelo Vulpiani ((A. Baracca e A. Vulpiani, “Contro Prigogine”, Alfabeta, n. 37, p. 7-8, giugno 1982.)) , i quali opposero a questo entusiasmo una serrata critica senza mezzi termini, ribadendo la non originalità delle idee di Prigogine, i diversi livelli di rigore delle sue argomentazioni, la sua interpretazione ideologica che equivale a introdurre forze vitalistiche che guidano le fluttuazioni, le generalizzazioni ingiustificate, la non necessità delle sue deduzioni e conclusioni. Dopo una replica molto dura di Antonio Signorino((Antonio Signorino “Per Prigogne”, Alfabeta, n. 41, ottobre 1982.)) (che arrivava a paragonare Prigogine a Einstein!), che tacciava Baracca e Vulpiani di una posizione ideologica, questi ultimi proposero succintamente otto punti da discutere, riportando la discussione sui diversi livelli di rigore e di dimostrabilità, e auspicando una prosecuzione del confronto ((A. Baracca e A. Vulpiani, “Otto punti”, Alfabeta, n. 44, p. 23, gennaio 1983.)) , che però sembra essersi poi spento (nello stesso fascicolo vi fu intervento di Sergio Manghi 44 ). La critica di Baracca, che abbiamo citato nel paragrafo precedente((A. Baracca, “Contro Prigogine”, intervento al Convegno “Energia, Ambiente e Trasformazioni Ambientali”, Palermo, 18-21 settembre 1981, p. 27-39.)) , insisteva soprattutto sugli aspetti ideologici e non fondati delle concezioni di Prigogine.

Gli inserti “La Talpa del Giovedì” sul Manifesto

Attorno al 1980 il quotidiano Il Manifesto inaugurò la pubblicazione di inserti di quattro pagine dedicati a temi specifici denominati “La Talpa del giovedì”. Nel 1981 Baracca propose e curò una “Talpa” dedicata interamente ai temi legati al dibattito su Prigogine, nella quale vennero riprodotti brani scelti dagli articoli di Testi e Contesti, articoli specifici di Gagliasso e Napolitani, una Scheda di esposizione del tema, e interviste a Lavenda e Liquori.

Dalla crisi degli Euromissili al movimento per il disarmo nucleare

Nei primi anni Ottanta i fisici italiani furono molto attivi nel corso della “crisi degli Euromissili”, che portò il mondo sull’orlo di una guerra nucleare, e presero iniziative che lasciarono un’eredità a lungo termine. In Italia si sviluppò, come in tutta Europa, un grande movimento pacifista che aveva come primo obiettivo il disarmo nucleare. Vi furono a Roma due manifestazioni a carattere nazionale imponenti. Vari fisici italiani furono molto attivi in questo movimento.

Un segno di questo coinvolgimento si coglie anche negli ultimi due numeri della rivista Testi e Contesti (paragrafo 8): dopo l’apertura della tematica “scienza e guerra” nel n. 8 (novembre 1982), il n 9 (marzo 1983) pubblicò due articoli che presentavano dichiaratamente posizioni diverse sulla responsabilità degli scienziati impegnati nello sviluppo delle armi nucleari, al fine di sviluppare a allargare il confronto: a un articolo di Roberto Fieschi che ricostruiva il contributo degli scienziati nella corsa agli armamenti nucleari, si contrapponeva una denuncia più decisa di Baracca delle complicità degli scienziati((Roberto Fieschi, “Gli scienziati e la corsa agli armamenti nucleari”; Angelo Baracca, “Dottor Stranamore: eccezione o vocazione?” (il titolo era volutamente polemico).)) :si aggiungeva poi un’ampia scheda informativa (di 15 pagine) sui dettagli delle forze nucleari e missilistiche degli USA e dell’URSS, forse la prima del genere pubblicata in Italia.

La nascita e le attività dell’Unione degli Scienziati Per Il Disarmo (USPID) a Firenze

Nei 1981 un gruppo di fisici italiani (fra i quali alcuni di quelli citati in precedenza e impegnati nella storia e critica della scienza) convinsero Edoardo Amaldi a spendere il suo nome per opporsi all’installazione dei nuovi missili a raggio intermedio statunitensi a Comiso, in Sicilia: venne quindi lanciata nella comunità dei fisici una petizione che aveva Amaldi come primo firmatario, raccolse un migliaio di adesioni e venne consegnata al Presidente della Repubblica. Sull’onda di quella mobilitazione costituirono nel 1982 la “Unione degli Scienziati Per Il Disarmo” (USPID). L’USPID si articolò immediatamente in sezioni locali, alcune delle quali svolsero una notevole attività (tra l’altro, l’USPID ottenne l’assegnazione di obiettori di coscienza per svolgere il periodo di servizio civile presso l’associazione).

Molte sezioni dell’USPID svilupparono un’intensa attività. La sezione di Firenze fu animata da Baracca, Roberto Livi e Stefano Ruffo (che si erano laureati con Baracca): venne presieduta da Roberto Livi, produsse e distribuì un documento che descriveva gli effetti di un’esplosione nucleare, organizzò molti incontri nelle scuole e cittadini. A Firenze fu indipendentemente fondato nel 1984 anche il “Forum per i Problemi della Pace e della Guerra”, un’organizzazione che aveva posizioni più accademiche (erano presenti docenti di diverse discipline) e meno radicali, più vicine a quelle del PCI: in particolare la menzione dei problemi “della pace e della guerra” suonava ambigua, per lo meno per molto membri fiorentini dell’USPID, ma un contrasto fra le due associazioni appariva assurdo e controproducente, soprattutto in quella fase politica molto delicata e pericolosa. Ruffo tenne i contati con il Forum. Questa collaborazione produsse un articolo pubblicato sui Quaderni del Forum((Stefano Ruffo, “La proliferazione orizzontale delle armi nucleari e l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare”, Quaderni del Forum per i problemi della pace e della guerra 4 (December 1987): 1.)) , che esaminava i pericoli crescenti di dual-use della tecnologia nucleare a seguito dell’espansione dei programmi nucleari civili, per i rischi di diversione di materiale fissile, in relazione al plutonio contenuto nel combustibile esaurito dei reattori, e discuteva la praticabilità di un ciclo nucleare basato su materiale reactor-grade: questo tema contribuì a collegare tra loro i movimenti contro il nucleare militare e civile.

Negli anni Settanta si era andata formando una sensibilità dei lavoratori delle fabbriche belliche contro la produzione di armi o sistemi militari, e nella seconda metà del decennio nacquero i primi coordinamenti di delegati delle fabbriche militari, in seno alla FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici, a quel tempo unitaria), in particolare in Lombardia((Siamo grati a Elio Pagani per averci inviato queste notizie, che indubbiamente meritano un approfondimento da parte sua e dei suoi compagni di quelle lotte.)) . Si svilupparono anche incontri europei di delegati del settore bellico, nell’ambito della FEM (Federazione Europea Metalmeccanici). Nascevano in alcune regioni Osservatori sull’industria bellica. Nel 1980 nacque il movimento END (European Nuclear Disarmament) e nel 1982 fu organizzata la prima Convenzione Europea per il Disarmo Nucleare a Bruxelles, seguita da altre conferenze annuali fono al 1991. Si manifestarono anche episodi di esplicite obiezioni di lavoratori a lavorare per produzioni belliche. Si sviluppò la richiesta di una legge che disciplinasse l’esportazione indiscriminata di armi, e cominciarono a svilupparsi vertenze e progetti specifici per la riconversione di industrie belliche a produzioni civili.

In questo contesto, la sezione di Firenze dell’USPID sviluppò verso la fine degli anni Ottanta un programma di ricerca in collaborazione con il Consiglio di Fabbrica delle Officine Galileo di Firenze, appoggiato dalla Regione Toscana, per elaborare sulla base dei lavori scientifici esistenti proposte concrete e qualificate per una riconversione della produzione dei sensori all’infrarosso che la fabbrica produceva per i militari a una produzione per usi civili. La ricerca raccolse 18 schede e proposte di ricercatori e tecnici, in gran parte dell’Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche del CNR di Firenze, ma anche di altre istituzioni, sedi e discipline, per applicazioni nei campi della geologia, agricoltura, beni culturali, protezione ambientale, energetica, sanità, trasporti, protezione civile, studio dei materiali e rischi di natura chimica in ambienti di lavoro((Unione Scienziati per il Disarmo Sezione di Firenze, Fondazione Lavoratori Officine Galileo, Regione Toscana Giunta Regionale Ufficio Ricerca, Applicazioni Civili delle Tecnologie I.R. Sviluppate per Usi Militari ,Firenze, 1989.)) .

Conclusioni

Non intendiamo a questo punto trarre conclusioni generali sugli anni Settanta. La nostra ricostruzione, senza dubbio parziale e lacunosa, era concentrata su aspetti specifici, anche se spesso ci siamo addentrati in generalizzazioni. Che alla fine del decennio e con gli anni Ottanta la situazione politica sia cambiata radicalmente, e molte prospettive di rinnovamento siano tramontate, ci sembra un fatto ampiamente assodato e condiviso, e non cercheremo certo qui di analizzarne le cause.

Ci sembra appropriato al tema di questa nostra ricostruzione concludere con alcune osservazioni che registrava la rivista Testi e Contesti. Il n. 7, del maggio 1982, era aperto da un articolo di Silvio Bergia dal titolo emblematico “Ragazzi, la ricreazione è finita: l’università ridiventa una cosa seria”:

“Quello che sta prendendo corpo in questi mesi è una (mini–, ma non tanto) riforma dell’università […]

[…] non si può non cogliere, sia nella legge, sia soprattutto nelle modalità di attuazione, aspetti che sono piuttosto descrivibili in termini di restaurazione; restaurazione di un clima e di una prassi che gli anni roventi tra il ’68 e il ’74, grosso modo, avevano rimesso in discussione.” ((Silvio Bergia, “Ragazzi, la ricreazione è finita: l’università ridiventa una cosa seria” Testi e Contesti, n. 7, pp. 9-16, maggio 1982.))

Su queste considerazioni di Bergia risuonavano in modo sinistro due interventi sull’ultimo numero di Testi e Contesti, n. 9 del marzo 1983, sulla riforma della scuola secondaria superiore dai titoli significativi: “La riforma e l’indifferenza” (Carlo Bianciardi) e “La riforma della scuola secondaria superiore; ovvero: nulla si crea, nulla si distrugge” (Tiziano Pera).

Quanto a un bilancio del decennio trascorso, Baracca proponeva sul n. 8 di Testi e Contesti del novembre 1982 una riflessione su “i nostri compiti”:

“Grava su di noi un’eredità difficile: quella di un decennio di contestazioni e di lotte, non privo di valenze anche per quanto concerne la ricerca scientifica e le scienze stesse. […]

Da un lato si potrebbe sostenere a buon diritto che, almeno per il nostro campo specifico, questo decennio a conti fatti ha inciso ben poco: oggi nella didattica e nella ricerca si respira un’aria poco diversa da quella degli anni ’60, per di più avvelenata da un clima di rivalsa dell’ establishment (si veda l’intervento di Bergia sul n. 7 [citazione precedente]). D’altro lato, tuttavia, ci si potrebbe chiedere quanto i vari aspetti della vita della ‘comunità scientifica’ dipendano, nel bene e nel male, dalle vicende di questo decennio.

Credo sia necessario, a questo punto, che io enunci la mia personale convinzione: e cioè che eravamo riusciti a capire effettivamente, in termini sostanzialmente corretti, una serie di cose di importanza politica fondamentale e a suscitare, sull’onda della spinta del movimento, una reale disponibilità in larghi strati di ricercatori e di docenti ad una pratica diversa. Ma a questo livello non disprezzabile di comprensione della realtà, o di certi suoi aspetti, non ha corrisposto comunque una uguale capacità di proposta in positivo: con la conseguenza che le disponibilità che avevamo suscitato si sono logorate e sono rifluite nella pratica tradizionale e che l’intero sistema si è riorganizzato ed ha reagito, riuscendo a batterci sul tempo, ristrutturandosi in modo così radicale da vanificare gli strumenti di comprensione che avevamo acquisito.”((Angelo Baracca, “Testi per contesti difficili (se non fosse troppo ambizioso il titolo: CHE FARE?), Testi e Contesti, n. 8, pp. 59-74, novembre 1982.))

In questa situazione Baracca riaffermava la necessità di ribadire il “primato della politica”, coniugandolo in maniera ancora più stretta con lo sforzo di ristabilire un controllo sulle trasformazioni profonde in atto nelle discipline scientifiche: in tal senso Baracca denunciava come un grave limite una sorta di biforcazione, da un lato il ripiegamento di molti colleghi nell’alveo della ricerca ufficiale, sia pure in parte in campi nuovi quali i sistemi complessi con possibili implicazioni ambientali, ma accettandone l’impostazione in modo in sostanza acritico, e dall’altro invece l’abbandono della ricerca attiva in fisica. Entrambe le posizioni erano viste come una resa di fronte alla rivoluzione scientifica in atto, una rinuncia a mantenere un controllo su una scienza che stava cambiando, simile alla perdita di controllo della classe operaia sulla ristrutturazione produttiva.

Entrambi questi scopi – potremmo porre a conclusione – non sono stati raggiunti!

Ringraziamenti

  • Questa ricerca – che rimane in progress, sperando che anche altri vorranno integrarla e/o estenderla per altri aspetti – è lo sviluppo di un precedente lavoro, Baracca, Bergia e Del Santo, 2017, più volte citato e valgono pertanto i ringraziamenti già fatti in quella sede.
  • Per questo sviluppo, molto più ampio e completo, dobbiamo esprimere i nostri ringraziamenti:
  • Giovanni Battimelli ha conservato e condiviso documenti relativi alla attività del gruppo di storia della fisica degli anni Settanta, molta corrispondenza, il Congresso a Firenze-Roma del 1980, Testi e Contesti. I documenti esistenti verranno conservati presso l’Archivio del 68 a Firenze.
  • Fulvio Deri ha materialmente accolto i suddetti documenti all’Archivio del 68 di Firenze.
  • Giorgio Ferrari ci ha fornito informazioni e ricordi molto importanti sui primi sviluppi del movimento antinucleare in Italia e sui legami che esso ha avuto a livello internazionale.
  • Giorgio Nebbia ci ha fornito informazioni importanti sulla nascita e gli sviluppi dell’ambientalismo in Italia.
  • Elio Pagani ci ha comunicato i suoi ricordi sulle vertenze nella fabbriche di produzioni belliche e le lotte pacifiste.
  • Giorgio Parisi, dell’Università di Roma “La Sapienza”, ci ha gentilmente fatto conoscere un suo scritto, che abbiamo citato, dal quale abbiamo tratto spunti interessanti.
  • Di Anna Picciolini, di Firenze, abbiamo utilizzato e citato brani di una mail che ci sono sembrati molto importanti e significativi (nota 1).
  • Con Arcangelo Rossi abbiamo avuto scambi frequenti di approfondimento fin dalla presentazione della primissima versione della presente ricerca al Congresso della Società Italiana di Storia della Scienza e dell’Astronomia a Firenze nel 2014.

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  • Angelo Baracca – Università degli Studi di Firenze – angelo.baracca@gmail.com