La guerra per l’attenzione è iniziata
Da “Gli Asini” n. 99, maggio 2022 maggio, pp. 33-35.
Il 19 marzo a Parigi si sono incontrate un centinaio di persone presso il locale La Bellevilloise per un convegno organizzato da 14 associazioni: prendersi del tempo per discutere, in presenza, senza schermi, sul tema “La planète numérique est-elle viable?” (Il pianeta digitale è sostenibile?).
Associazioni della società civile, di militanti, basate quindi per lo più sul volontariato, benché molte siano di professionisti (psicoterapeute, psicologi, educatori, insegnanti, sociologi, economisti), che si sono incontrate per capire come il tempo schermo digitale sia un dispositivo di guerra economica (marketing) per catturare l’attenzione. La Bellevilloise è una grandissima palazzina fondata dopo la comune di Parigi nel 1877, tra le prime cooperative del movimento operaio, parigino e internazionalista, da sempre luogo di produzione e resistenza culturale, luogo di scambio tra produttori e consumatori, luogo ideale per questo convegno. Il tema della mattinata è “Come proteggere i giovani dalle reti sociali?”, quello del pomeriggio è “Il digitale: alleato o nemico della transizione ecologica?”, a cui segue un’ultima tavola rotonda “Attenzione e politica” con politici di tutti gli orientamenti.
I lavori iniziano subito facendo alzare tutti i partecipanti per indovinare quale percentuale di giovani diminuisce il suo tempo schermo quotidiano dopo aver vissuto l’esperienza dei “Dieci giorni senza schermi”, esperimento nato in Francia nel 1997 (dal 1997 al 2007 “Dieci giorni senza Tv”) grazie a Janine Busson-Baude e diffusosi poi in Canada, in Spagna e in tutta la Francia. Come fosse un gioco, i giovani provano ad acquisire più punti possibili evitando gli schermi la mattina, il pomeriggio, durante i pasti, la sera, ecc. La scuola propone attività ludiche parallele coinvolgendo genitori, quartiere e associazioni. Animatore di questa esperienza bellissima era il canadese Jacques Brodeur, che è morto l’anno scorso, ed è grazie a lui che sono entrato in questa rete mondiale. Promuove questa esperienza oggi Les Chevaliers du Web, associazione di sole donne, che aiuta bambini/e e ragazzi/e a mettere a fuoco qualcosa di semplicissimo: fuori dal web ci sono esperienze molto più umane e significative, che sono quelle per cui val la pena vivere.
È per questo che subito viene posta la questione che tornerà: “Quando si fa educazione sessuale è abbastanza ovvio che nessuno debba fare sesso con i bambini, ma perché quando si fa educazione digitale bisogna usare degli schermi?”. Non si tratta infatti di ragionare piuttosto sul senso e sui pericoli di attività digitali online? I temi su cui riflettere sono molti, ed è la riflessione ciò che caratterizza i dieci giorni senza schermi, così come il convegno senza videocamera. Per entrare al convegno, infatti, il cellulare deve essere messo in un borsello che viene sigillato. Bisogna essere tutti connessi all’avvenimento. Non basta silenziare il cellulare, si aiutano i partecipanti impedendolo fisicamente, ben sapendo che è l’oggetto a essere tossico, e che nemmeno Ulisse ha resistito al canto delle sirene: se ce l’hai, non puoi non usarlo.
Anne-Lise Ducanda – famosa in Francia per un video sull’autismo virtuale (la cui versione italiana su YouTube ha il titolo vidéo du Dr Ducanda en italien) che ha fatto discutere giornali e telegiornali – cura bambine/i dagli 11 mesi (sic!) ai 17 anni che si sono intossicati con gli schermi e che i genitori non riescono più a gestire. La prima cosa che fa è non colpevolizzare i genitori. Sostenere che i media non sono né buoni né cattivi ma che il problema è l’uso, significa colpevolizzare i genitori e assolvere Stato e corporation. Si tratta di capire invece che siamo di fronte a un sistema da cui è difficile sottrarsi. Anche quando ci troviamo in un locale con il nostro migliore amico che ci sta raccontando qualcosa di intimo, se c’è uno schermo, non potremo fare a meno di guardarlo. Gli schermi catturano l’attenzione riflessa (un tipo di attenzione che si attiva autonomamente per i pericoli, ed è comune ad altri mammiferi) e non quella focalizzata (tipicamente umana). L’attenzione riflessa è la stessa che si attiverebbe se nella sala una persona si alzasse e si mettesse a correre. Captati dallo schermo i bambini sono immobilizzati, ma il loro non è un normale sforzo attentivo, poiché sono coinvolte parti del cervello diverse: non è l’attenzione focalizzata che si esercita nel gioco e nemmeno l’attenzione condivisa del dialogo, ma l’attenzione riflessa di un animale di fronte a un pericolo o in procinto di attaccare una preda. È una calma che nei bambini piccoli non si osserva in nessuna altra circostanza del mondo reale. Ducanda presenta una serie di dati molto allarmanti di chi, come lei, lavora in prima linea nella cura dei bambini intossicati dagli schermi: più che raddoppio di suicidi e tentati suicidi solo negli ultimi due anni, diminuzione drastica del sonno, età media del primo film porno in Francia 8 anni, aumento di prostituzione infantile, pedofilia, ecc. Tanti e troppi dati impressionanti, che concorrono a formare quella che ha definito una “epidemia silenziosa”, quella di una “generazione schermo”.
Dal pubblico qualcuno chiede se i bambini di oggi non abbiano più capacità di noi di autoregolarsi. Ducanda risponde che questo è vero solo in parte, perché le piattaforme e tutto ciò che c’è su internet sono strutturate dai meccanismi del marketing, si basano su algoritmi segreti finalizzati a catturare l’attenzione e tenere incollate le persone facendo profitti con pubblicità mirate. I contenuti che tengono incollati sono quelli che catturano le pulsioni, non quelli che attivano il senso critico.
Anne Alombert è membra del Consiglio nazionale per il digitale, una commissione critica voluta nel dicembre 2017 da Macron: sostiene che Gafam (Google, Apple, facebook, Amazon, Microsoft) sia il vero e principale problema: l’economia dell’attenzione sfrutta il cervello umano disponibile tra una pubblicità e l’altra per offrire più pubblicità. L’industria persuasiva non riguarda il digitale in generale, bisogna dare spazio ad altre esperienze di digitale che non siano quelle che fanno del cittadino un consumatore passivo; anche se le piattaforme sono oggi configurate dall’industria persuasiva, esistono delle tecnodifferenze, e la scuola dovrebbe essere uno spazio di formazione critica al digitale. Non possiamo lasciare il digitale creativo nelle mani di chi vuole asservire la società al marketing.
Gli altri interventi sono però molto più scettici: Dominique Bouiller, sociologo, parla di “riscaldamento digitale”, iniziando a porre correlazioni tra l’amplificazione della ritenzione dell’attenzione da parte delle industrie informatiche e il coinvolgimento in questo meccanismo di tutta la società, che diventa protagonista: tutti siamo primi attori quando pubblichiamo contenuti sui social. Da qui sorgono le difficoltà di un’autoeducazione morale.
Fabien Lebrun pone in risalto il problema ambientale: per costruire uno smartphone è richiesta l’estrazione di materie prime per le quali si combattono guerre tremende in Congo. Distruzione dell’ambiente, sfruttamento criminale, sfruttamento di bambini. L’odio per l’infanzia dell’industria informatica non ha limiti, anche perché le materie prime sono accaparrate in Africa dove tornano come rifiuti tossici dopo meno di due anni di utilizzo. In breve: guerre per le materie prime, guerra all’attenzione, guerre per lo smaltimento. Sarebbe plausibile – chiede qualcuno dal pubblico – di accusare le industrie del digitale per crimini contro l’umanità?
La discussione tra educazione critica e educazione senza media è forte. Ducanda sottolinea come più di 15 minuti al giorno prima dell’età scolare siano sufficienti a creare dipendenza, specialmente se garantiti quotidianamente. Dare uno schermo a tutti i bambini significa preconfigurare una dipendenza di massa più forte, e aumentare maggiormente il gap digitale: perché una famiglia benestante che usa i computer al lavoro saprà gestire meglio lo schermo di una che magari non parla francese e non sa proprio utilizzare questi mezzi.
L’intervallo ai convegni è il tempo dei migliori approfondimenti. Sabine Duflo lavora metà tempo in ospedale, metà nella formazione. Mi spiega che in ospedale tutti i casi di tentati suicidi o ricovero di adolescenti gravi sono legati a episodi di mancanza di connessione. C’è chi arriva dopo essere rimasto intrappolato nei meccanismi dei social, chi perché ha picchiato la madre che gli ha imposto di staccarsi dal tablet, chi perché non riesce a farne a meno e si chiude in camera. Una volta ospedalizzati, non possono più guardare nessun tipo di schermo, nemmeno la Tv. È qui che comincia una guarigione neanche tanto lenta (bastano tre settimane), alla fine della quale vogliono restare, o perché non hanno voglia di tornare a casa o perché hanno finalmente trovato veri amici con cui possono parlare. Secondo le parole di uno di questi ragazzi: “Qui non sono solo!”. Nei reparti ospedalieri di neuropsichiatria c’è forse meno solitudine che nella società? Senza accorgercene stiamo producendo un mondo in cui i giovani crescono isolati, si rifugiano negli schermi per questo motivo, aumentando con il tempo schermo il loro isolamento, in una società che è sempre più società senza contatti. Pranza con noi anche un giornalista, che vorrebbe essere intervistato perché è da due anni che ha buttato via il suo telefono: “Quando esco, esco! Per email e telefonate c’è tempo quando sono a casa”.
Nel pomeriggio, Fabrice Flipo decostruisce il mito dell’immaterialità del digitale che favorisce una transizione ecologica: guardando al passato, la digitalizzazione ha favorito una maggiore circolazione delle merci su scala globale; con l’e-commerce anziché uscire per acquisti, ogni singola merce viene ordinata e consegnata a casa. Il digitale viene presentato sempre come la soluzione dei problemi e mai come il problema da risolvere. È una formula magica di un pensiero magico che garantisce sempre un futuro migliore, distruggendo il presente.
Xavier Verne è ingegnere e direttore della digitalizzazione presso la Sncf. Ci spiega che prima o poi dovremo fare delle scelte e darci delle priorità: rete fissa con fibra o mobile con 5G? Prima o poi dovremo dare priorità nell’uso dell’energia, la questione non è se la crescita rallenterà ma se lo faremo scegliendo noi o subendo le scelte altrui! Questo tema della sovranità nazionale di fronte alle multinazionali dell’informatica ritorna fino all’ultima tavola rotonda, dove sono convocate personalità politiche di tutti gli schieramenti. Il gruppo di associazioni ha scritto delle tesi da trasformare in disegni di legge.
Un certo numero di enti locali e agenzie sanitarie regionali stanno già finanziando iniziative di prevenzione dei rischi legati alla sovraesposizione agli schermi, in primis quelli per la salute (grandi ritardi nello sviluppo, disturbi del comportamento, del sonno, del linguaggio, ritardi scolastici, ecc.), nonché l’esposizione a violenza, molestie informatiche e pornografia. Pertanto il documento invita “le autorità pubbliche a intensificare gli sforzi in questa direzione, con tutte le istituzioni […] Occorre quindi fare un forte sforzo di sensibilizzazione, pur rispettando tre condizioni: 1) La consapevolezza deve riguardare il ‘mondo educativo’ in senso lato: gli alunni, ma anche i genitori e la comunità educativa, compresi gli insegnanti, il management e la medicina scolastica; 2) Le associazioni o enti sollecitati devono essere imperativamente in grado di dimostrare l’assenza di conflitto di interessi, ovvero non essere finanziate dall’industria digitale, che ha investito nel campo della prevenzione per meglio influenzarla; 3) portare un messaggio di prevenzione coerente”.
In cosa consiste questo messaggio?
Deve essere un messaggio umano ambizioso all’altezza dei tempi. Un nuovo messaggio:
- Nessuno schermo prima dei 5 anni: in linea con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, invitando a “meno schermo possibile” prima dei 5 anni.
- Non più di un’ora al giorno prima dei 10 anni.
- Nessuno smartphone prima dei 15 anni: il solo accesso a internet tra i giovani li espone inesorabilmente a contenuti inappropriati.
- Sensibilizzare tramite la campagna dei 4 passi:
- niente schermo in camera da letto
- nessuno schermo al mattino
- nessuno schermo durante i pasti
- nessuno schermo prima di dormire
Inoltre si chiede di incoraggiare la Sfida senza schermo o Sfida disconnessione, per aumentare la consapevolezza. Dimenticavo: il 67% dei ragazzi dopo questa sfida diminuisce il tempo schermo! Il documento è pieno di idee eccezionali, come il promuovere l’uso dei telefoni senza internet per i giovani sotto i 15 anni. Ma anche di parole d’ordine semplici: impedire che i libri stampati vengano eliminati dalle scuole, come stanno già iniziando a sperimentare alcuni istituti.
Mi tocca tornare a casa. Dal treno passo per la val di Susa, in aprile i suoi torrenti alpini sono incredibilmente secchi, non piove da 100 giorni. So anche che i vecchi su quei monti sono tristi. Oggi però non ho più dubbi: è il riscaldamento digitale non il “cambiamento” climatico. La guerra del neoliberismo all’umanità era già iniziata trent’anni fa, una volta terminata la terza guerra mondiale, quella fredda. La quarta è una guerra che non disdegna i conflitti per confini e materie prime, mascherandosi di nazionalismo. Il neoliberismo distrugge i popoli. La quarta guerra è una guerra contro l’umanità, si combatte anche dentro al corpo dell’individuo, nella formazione della sua mente assorbente, si combatte per catturarne l’attenzione, si combatte per distruggere il tessuto comunitario umano, per isolare e formare consumatori.
Quando torno in Italia e parlo della epidemia silenziosa del digitale nella fascia d’età 0-6 anni molti ancora non ci vogliono credere. Le maestre che incontro nei corsi di formazione che conduco nelle scuole dell’infanzia invece contano cinque o sei bambini/e per classe aventi i sintomi della esposizione precoce e prolungata agli schermi, l’epidemia silenziosa. Poi la domanda più ricorrente: cosa può fare una povera mamma che deve fare le pulizie se non piazzare la figlia davanti a uno schermo? E i genitori che han dovuto lavorare con i figli a casa? E i ragazzi costretti dalle scuole a stare su internet? La pandemia ha accelerato la digitalizzazione, adesso è importante che intorno alla rivista “Gli Asini” [e alla rivista “Altronovecento”, aggiungiamo noi. Ndr] nasca un gruppo di azione di allerta digitale, capace di fare controinformazione critica all’altezza dei tempi: il riscaldamento digitale come problema educativo e politico.