La morte ce la siamo inventata noi
Un giorno del 1925 il grande matematico Vito Volterra (1860-1940) ascoltava una conversazione che si svolgeva nella stanza accanto fra il fidanzato della figlia, Umberto D’Ancona (1896-1964), giovane professore di biologia marina, e uno dei futuri cognati. D’Ancona raccontava di avere esaminato le statistiche che l’imperiale regio governo registrava accuratamente, da alcuni decenni, sulla qualità e quantità del pescato venduto sui mercati delle città adriatiche sotto l’Austria. Durante la Prima guerra mondiale (1914-1918) l’Adriatico era stato teatro di scontri militari e le attività di pesca erano molto diminuite. Nello stesso periodo il pesce pescato e venduto era rappresentato in prevalenza da squali, palombo, smeriglio, altri selaci predatori, il cui numero era cresciuto perché era aumentato il numero delle prede, lasciate in pace dalla pesca. L’aumento della disponibilità di cibo per i predatori ne aveva fatto aumentare il numero, come aveva previsto la teoria della lotta per l’esistenza formulata da Charles Darwin (1809-1882) circa mezzo secolo prima. Nei precedenti decenni “normali” i pescatori raccoglievano un gran numero di pesci “prede” e la popolazione dei predatori era di conseguenza basso, per la scarsità del cibo loro disponibile. Le popolazioni delle prede e dei predatori erano, così, soggette a oscillazioni periodiche che, sosteneva D’Ancona, avrebbero potuto essere descritte con una qualche “legge” matematica.
Volterra intervenne e cominciò così, fra i due studiosi, quello più anziano e quello più giovane, una lunga collaborazione. Volterra elaborò, negli anni 1925-1940, le “leggi” matematiche che descrivono come variano le popolazioni di animali che occupano lo stesso territorio, quando si dividono lo stesso cibo scarso (concorrenza), quando una popolazione si nutre degli individui dell’altra (predatori-prede), quando gli individui di una specie scambiano sostanze utili con quelli dell’altra (simbiosi, mutualismo, una forma di collaborazione), quando gli individui di una specie si nutrono dei prodotti di decomposizione e di rifiuto dell’altra (saprofitismo), eccetera.
Quando Volterra – uno degli undici professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo nel 1929 – fu radiato dall’Università e espulso dall’Accademia dei Lincei (divenuta accademia d’Italia) l’opera che riassume i contributi di Volterra dovette essere pubblicata senza il suo nome, ma col nome di D’Ancona. Si tratta di “La lotta per l’esistenza”, Torino, Einaudi, 1942, un raro bellissimo libro.
Gli anni Trenta del nostro secolo rappresentano l’età dell’oro della biologia matematica, secondo la felice definizione che ne ha dato il prof. Francesco M. Scudo; senza la comprensione della dinamica delle popolazioni non è possibile capire molti fatti relativi al tema di questo fascicolo, soprattutto quelli della vita e della morte.
Il conflitto per il “gusto” di sopraffare e fare soffrire e uccidere altri esseri viventi, la “morte” stessa, sono concetti squisitamente umani, quindi recentissimi, databili a pochi milioni, se non a poche decine di migliaia di anni fa, rispetto ai 3500 milioni di anni di esistenza della vita sulla Terra. La vita ha l’unica funzione di propagare la vita; nella natura non esiste la morte, ma una grande circolazione di materia e di energia che ha come fine la vita.
I grandi cicli della natura, come è ben noto ai lettori di questa rivista, cominciano col Sole, l’unica vera fonte di vita, e con poche sostanze chimicamente molto semplici come l’anidride carbonica tratta dall’atmosfera, l’acqua tratta dall’atmosfera o dal suolo, pochi sali inorganici tratti dalle acque o del terreno.
La prima grande rivoluzione della vita è cominciata, appunto circa 3500 milioni di anni fa, quando l’atmosfera e i mari e i continenti del pianeta erano diversissimi da quelli attuali. Con un meccanismo spiegabile per via chimica e fisica, le scariche elettriche dei lampi e la radiazione visibile e ultravioletta del Sole hanno fatto sì che alcune piccole molecole , semplicissime (metano, ammoniaca, idrogeno, ossido di carbonio, acqua) presenti nell’aria si unissero generando molecole chimicamente più complesse, simili agli amminoacidi che sono le pietre costitutive delle proteine e quindi della vita.
Non si trattava ancora di forme della vita, che avrebbe dovuto aspettare alcune centinaia di milioni di anni per comparire, ma si trattava dei materiali chimici, inanimati, che sarebbero stati necessari per la vita. Queste molecole furono trascinate dalle piogge nei mari (quelli che si trovavano sulla superficie della Terra “allora”), e i mari si trasformarono in una specie di “brodo primitivo”, ricco di molecole organiche (nelle quali carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto erano combinati fra loro chimicamente).
Mentre, sia pure con pazienza e tempo, la formazione delle molecole di tale brodo primitivo può essere simulata e riprodotta in laboratorio (come fece l’americano Miller nei primi anni cinquanta), il meccanismo della successiva “seconda rivoluzione”, quella della “vita” vera e propria, è ancora misterioso. Sta di fatto che, a un certo punto, alcune delle molecole organiche iniziali cominciarono ad aggregarsi in modo da “riprodursi”, generando forme simili a se stesse. Un credente interpreterà ciò come dovuto a un intervento del suo dio, un ateo come dovuto al caso: ognuno risolva il problema come crede. Intorno a 3000 milioni di anni fa sono esistiti – e ne sono state trovate le tracce fossili – organismi “vivi”. Forse la vita è cominciata nel mare, utilizzando le materie prime disponibili; più tardi probabilmente una parte degli organismi viventi, piccolissimi, costituiti da una sola o da poche cellule, sono “sbarcati” sulle terre emerse. Sarebbe comunque stato necessario aspettare altri 2000 o 2500 milioni di anni per arrivare ad avere organismi capaci di crescere e moltiplicarsi con meccanismi chimici simili a quelli dei vegetali attuali.
I biologi del secolo scorso, davanti a questa “meraviglia” di fabbriche “naturali”, capaci di assorbire anidride carbonica e acqua e di formare il proprio ”corpo” liberando ossigeno, gli hanno assegnato il nome, squisitamente “economico”, “manifatturiero”, di organismi “produttori”, usato ancora oggi per i vegetali fotosintetici.
Queste piccole (possono essere organismi microscopici) o grandi (possono essere alberi secolari) fabbriche di vita hanno un proprio ciclo, di ore o di secoli. Crescono, aumentano di peso continuamente, poi, finita la loro funzione vitale, lasciano cadere al suolo o nei mari le proprie scorie – i tronchi, le foglie, eccetera – che subiscono l’attacco di organismi “decompositori” i quali scompongono le molecole organiche delle scorie e le trasformano in gas di nuovo immessi nell’atmosfera, in sali lasciati nel terreno. Le scorie, quelle che gli esseri umani, con la loro limitata fantasia e conoscenza chiamerebbero “rifiuti”, diventano così disponibili per la continuazione della vita secondo cicli senza fine. “Le foglie morte” è un bel titolo per una poesia o una canzone, ma è un’espressione del tutto priva di senso dal punto di vista biologico; le foglie, finita la loro funzione di grandi vele, collettori di energia solare e di gas atmosferici, sono ancora una miniera per altre forme di vita.
In tempi ancora imprecisati, nel lungo cammino evolutivo del pianeta, alcuni organismi viventi si sono impigriti, o hanno perso l’abitudine, o la capacità, di “fabbricare” il proprio corpo con processi simili a quelli fotosintetici adottati dai vegetali, e hanno trovato più comodo nutrirsi di altri organismi., soprattutto vegetali. Gli animali, gli organismi che dipendono da altri per il loro cibo, sono stati chiamati, dai biologi dell’Ottocento (ancora una volta con un termine preso in prestito dai commerci e dall’economia), “consumatori”.
Gli animali !”acquistano” (naturalmente senza pagare niente in soldi) le molecole organiche dei vegetali, “acquistano” dall’aria l’ossigeno (si, proprio lo stesso gas che è il ”rifiuto” della fotosintesi vegetale) e trasformano le molecole introdotto nel proprio organismo in altre molecole. Questa trasformazione di cibo – metabolismo, appunto – genera l’energia vitale e genera altri ”rifiuti” che finiscono come gas (anidride carbonica e vapore acqueo) nell’atmosfera o che costituiscono gli escrementi i quali finiscono nel terreno o nelle acque.
I vegetali non sono l’unico cibo per gli animali; alcuni, di maggiori dimensioni, si nutrono di altri: è il caso dei predatori carnivori che si nutrono delle prede. La volpe uccide il coniglio per nutrirsi, ma non odia il coniglio; forse il coniglio non è contento di essere mangiato, e cerca di evitarlo con la fuga, ma le molecole del suo corpo non muoiono, diventano cibo per la propagazione della vita e le stesse sue spoglie vengono decomposte e rigenerano altre molecole e così via. Così, sempre al fine della vita, interagiscono le popolazioni di animali e vegetali con “leggi” del tipo di quelle di Volterra, ricordate all’inizio. Le popolazioni di produttori – consumatori – decompositori rappresentano gli attori del grande bellissimo e terribile dramma che si svolge sul palcoscenico della vita, il cui fine, come dicevo, è la continuazione di se stessa.
Tutte le cose sono cambiate quando alcuni membri di una particolare specie di animali, insieme erbivori e carnivori, i nostri antichi predecessori, si sono stancati di raccogliere bacche e radici e foglie e di cacciare per procurarsi il cibo, e si sono fermati, coltivando alcune specie di vegetali e allevando alcune specie di animali. Circa diecimila anni fa si sono formate le prime comunità di proprietari della terra, dei pascoli e degli animali, e chi non aveva niente ha dovuto vendere il proprio lavoro o il proprio corpo o ha cercato di conquistare con la forza uno spazio al sole, oppure ha cercato di conquistare con la violenza il sale o i minerali utili; ne è nata una società che uccide per portare via e opprimere, uccide, con odio, gli animali usati come cibo e gli altri esseri umani “nemici” nella concorrenza per i beni scarsi: cibo, acqua, terra coltivabile, minerali.
I più arroganti fra i nuovi arroganti animali-umani hanno cominciato a credere che il proprio corpo “morto” dovesse essere conservato e sepolto , talvolta suntuosamente, e addirittura adorato dai sudditi; a questi tempi lontani va fatta, a mio parere, risalire l’idea stessa della “morte”, con tutti i conseguenti miti della resurrezione, di sopravvivenza in un “al di là”, eccetera, con un profondo crescente sradicamento e alienazione dall’unica cosa che conta, il ciclo della vita naturale.
Le scorie del corpo o quelle delle merci sono state degradate a “rifiuti”, sono state rifiutate, nascoste con vergogna, fino a quando si è scoperto che erano fonti di inquinamento, eccetera eccetera, tutte cose che i lettori della rivista ben conoscono. Ma la rivoluzione umana ha gettato le basi anche dell’odio nella caccia, non più fonte di alimenti, ma di divertimento, di sport; della violenza nel trasporto e nell’uccisione degli animali da macello, non organismi viventi, ma merci e fonti di carne; della violenza contro le acque e l’aria, non fonti di materia per la vita, ma ricettacoli “economici” e poco costosi per le scorie e i rifiuti “perduti”, sottratti al grande ciclo della vita.
Chi osserva il quadro della circolazione della materia e dell’energia nella biosfera e nella tecnosfera vede che la prima “funziona” con cicli chiusi; la seconda “funziona” con cicli che lasciano alle spalle “buchi” e caverne di cave e miniere abbandonata e svuotate, e impoverimento della vita nelle sue specie vegetali e animali, e alla fine genera bubboni e montagne di scorie, di rifiuti, di “morte”, che rendono sempre meno utilizzabili per la vita anche i grandi corpi naturali di aria, atmosfera, mari.
La vita e la morte sono parole entrate nel linguaggio quotidiano umano, ma in modo profondamente divergente dal significato che esse hanno nella natura. Non parlano con commossa voce in favore della vita quelle stesse persone che, col loro comportamento e con le loro leggi, incentivano la moltiplicazione delle merci, la cui produzione e consumo accelerano l’impoverimento e la contaminazione delle fonti della vita ? che tollerano le violazioni delle leggi sulla sicurezza nei posti di lavoro e sulle strade, violazioni che sono fonti di morte e di dolore? che non fanno niente per combattere le contaminazioni del cibo e dell’acqua, fonti di dolori e malattie?
Oh, so bene che tali violazioni sono rese “necessarie” per ragioni economiche, di concorrenza internazionale, per assicurare ricchezza e occupazione; si abbia però almeno il coraggio di non parlare nel nome della vita, quando l’economia e i comportamenti e le leggi sono organizzati e predisposti nel nome della morte.