La politiche ambientali dell’Unione Europea
1. Introduzione e breve excursus storico
La cura e la difesa dell’ambiente furono oggetto di attenzione e di intervento governativo e amministrativo fin da epoche antiche per fronteggiare emergenze, calamità di varia natura oppure per eliminare o attenuare gli effetti nocivi o indesiderati legati alle attività umane. Tralasciando la descrizione e le preoccupazioni degli storici, dei filosofi e di altri personaggi appartenenti alle civiltà greca e romana riguardo alla deforestazione praticata per assicurarsi legname da costruzione o la segnalazione di fenomeni di desertificazione causati dalla pastorizia, si può ricordare che in Europa, sin dal Medioevo, divenne un problema sanitario e igienico di sempre maggior rilievo l’emissione dei fumi (oggetto persino di un trattato, Fumifugium, scritto dal letterato inglese John Evelyn nel 1661 per il proprio sovrano Carlo II). Diversi sono i provvedimenti e gli editti di cui si ha attestazione certa fin dal XIII secolo che comminavano pene severe a chi si rendeva responsabile di inquinare fiumi e laghi o escogitavano soluzioni per rendere più vivibili le città e i centri abitati tramite la costruzione di fognature e così via. La questione ambientale è quindi sempre esistita; inoltre l’introduzione di sostanze rilasciate nell’atmosfera o disperse nelle acque, lo sfruttamento intensivo dei terreni o di miniere, la caccia indiscriminata ad alcune specie animali o altri generi di modificazioni o influenze dell’uomo sull’ambiente hanno sempre avuto un impatto “transfrontaliero”, ossia capace di trasmettersi e propagarsi o comunque incidere sugli ecosistemi a prescindere dai confini statali o geografici attraverso gli elementi fisici e naturali. A partire dalla rivoluzione industriale e da un salto di qualità tecnologico impressionante queste ripercussioni sono aumentate e hanno progressivamente raggiunto proporzioni enormi tanto da giungere a creare addirittura cambiamenti climatici, attualmente in atto in tempi rapidi e con conseguenze gravi per intere popolazioni colpite, al giorno d’oggi, da eventi meteorologici disastrosi con maggior frequenza oppure da fenomeni quali la penuria di precipitazioni e l’incremento dei processi di desertificazione o ancora costrette a privarsi di importanti risorse naturali (acqua, flora e fauna) sempre più scarse o in via di estinzione. Lo sviluppo crescente e indiscriminato nei paesi industrializzati è frutto di una mentalità culturale nefasta, tendente ad esaltare il dominio dell’uomo sulla natura e sulle altre specie viventi, fiduciosa in un progresso continuo delle capacità e delle tecniche finalizzate alla produzione e al soddisfacimento dei bisogni, che si è cominciata ad affermare sin dal razionalismo cartesiano nel ’600, per trovare spazio nell’età dei Lumi e divenire paradigma fondante delle attività economiche nelle società del mondo occidentale. L’illusione di poter accedere a risorse potenzialmente illimitate, la pratica di usare l’ambiente senza preoccuparsi di contenere l’utilizzo di beni comunque scarsi, di reintegrare e rispettare i processi biologici naturali hanno contribuito all’aggravarsi dello stato del pianeta. A causa di gravissimi episodi di inquinamento manifestatisi in questo secolo è cominciata ad affiorare una sensibilità sempre maggiore volta alla correzione di questo modello di sviluppo, fondato esclusivamente sulla crescita economica e sul profitto a breve termine, e alla prevenzione di questi fenomeni, allo studio delle cause, delle interrelazioni tra fattori naturali e umani e conseguentemente alla ricerca di azioni da adottare per salvaguardare l’ambiente.
Un primo importante intervento legislativo in Europa, approvato dopo che lo smog londinese aveva provocato direttamente e indirettamente già migliaia di vittime, fu il Clean Air Act del 1956 in Gran Bretagna che provvide a limitare le emissioni tossico-nocive e a migliorare dopo alcuni anni la situazione esistente; nello stesso paese una decisa azione di risanamento e bonifica delle acque del Tamigi portò a buoni risultati.
Nei Trattati di Roma del 1957, istitutivi delle Comunità europee, la protezione dell’ambiente non veniva contemplata tra le finalità delle nuove organizzazioni poiché da un lato non era considerata un problema prioritario e dall’altro l’integrazione europea si prefiggeva il compito di realizzare un mercato unico fondato sul principio della libera concorrenza. A partire dalla fine degli anni ’60 e dai primi anni ’70 l’aumento dei disastri ecologici determinò la formazione di una sensibilità ambientalista a livello locale e sopranazionale tra larghi strati dell’opinione pubblica, dovuta in particolare all’opera di educazione e promozione svolta (unitamente all’attività concreta di tutela e di denuncia nei confronti di abusi e danneggiamenti gravi e spesso irreparabili a luoghi, paesaggi, interi ecosistemi compromettendone le condizioni di vita di vegetali, animali e dell’uomo stesso) da scienziati (come la biologa Rachel Carson, autrice nel 1962 del celebre libro Primavera silenziosa che riuscì ad imporre all’attenzione le conseguenze nocive della permanenza di sostanze chimiche nella catena alimentare degli ecosistemi e successivamente a far bandire l’uso del DDT in agricoltura), movimenti, associazioni e gruppi ecologisti. Contemporaneamente iniziarono a delinearsi iniziative e politiche di intervento nei singoli paesi e a livello internazionale. Tra la fine degli anni ’70 e lungo gli anni ‘80 nacquero in Europa diversi partiti verdi che elessero loro rappresentanti al Parlamento Europeo a partire dal 1984 e riuscirono a costituire il primo Gruppo Verde al Parlamento Europeo nel 1989. Soprattutto a seguito del rischio nucleare e dopo l’incidente al reattore di Chernobyl con la dispersione di sostanze radioattive che fece scattare misure d’emergenza in tutto il continente, ma anche all’aumento di richiesta di politiche ambientali nazionali e internazionali, l’ecologia politica fece il suo ingresso nelle istituzioni, mentre contemporaneamente il numero e la consistenza di associazioni e movimenti ambientalisti ed ecologisti (in particolare il WWF, gli Amici della Terra e Greenpeace) conobbe una crescita senza eguali.
2. L’ambiente e la Comunità europea
Benché la tutela dell’ambiente esulasse dalla competenza dei Trattati, in ambito comunitario alcune misure di politica ambientale furono intraprese grazie all’attuazione congiunta di due articoli del Trattato C.E.E.: l’art. 100, che consentiva al Consiglio su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale, di stabilire direttive idonee a ravvicinare le legislazioni nazionali in funzione della realizzazione del mercato comune, e l’art. 235 che rendeva possibile un’analoga decisione riguardante azioni non rientrante negli scopi comunitari originari ma necessaria per poterli raggiungere. Tra il 1957 e il 1972 vennero infatti approvate 9 direttive e 1 regolamento riguardanti principalmente la determinazione di soglie massime di emissione per alcuni agenti inquinanti come i gas di scarico dei veicoli a motore e i rifiuti agricoli e industriali o limiti accettabili per l’inquinamento acustico.
Nel 1971 apparve un memorandum della Commissione europea indicante per la prima volta la protezione dell’ambiente come obiettivo della Comunità europea, pur in mancanza di norme in merito nei Trattati. Il 1972 rappresentò un anno di svolta: il 22 aprile venne proclamata negli Stati Uniti la Giornata della Terra (Earth Day) e per la prima volta a livello mondiale viene indicata come sfida la necessità di salvare gli equilibri naturali; a Stoccolma si riunì la 1° Conferenza mondiale sull’ambiente indetta dalle Nazione Unite e successivamente, in ottobre, al vertice europeo Parigi tra i capi di stato e di governo, i paesi della Comunità europea decisero di iniziare una politica ambientale comune, incaricando la Commissione di formare una struttura amministrativa ad hoc e di regolare la materia. Dal 1973 sono stati adottati, con risoluzioni del Consiglio su proposta della Commissione, 5 programmi d’azione europei che, tranne il primo molto dettagliato e rimasto in buona parte inattuato, hanno rappresentato quadri di riferimento generali, (ma non direttamente vincolanti, sotto il profilo giuridico, gli stati membri) recanti principi e finalità delle politiche di settore interessate sulla base dei quali implementare le politiche ambientali attraverso atti dotati di potere normativo differenziato (regolamenti, direttive, raccomandazioni).
Il primo programma d’azione comunitaria per l’ambiente (1973-1976) era incentrato sulla lotta all’inquinamento delle acque e dell’aria e volto sostanzialmente a eliminare o limitare gli effetti negativi prodotti, per esempio, dagli scarichi agricoli e industriali, dalle emissioni di gas nocivi e dall’inquinamento acustico, e inseriva un accenno al principio di sussidiarietà, successivamente divenuto un elemento essenziale per l’integrazione europea e le singole politiche, e all’urgenza di trovare soluzioni comuni per problemi ambientali internazionali (per esempio il fenomeno delle cosiddette piogge acide, particolarmente grave nella Schwarzwald, la Foresta Nera nella Repubblica Federale Tedesca). Nel 1975 una raccomandazione del Consiglio espose una serie di principi ai quali doveva ispirarsi una politica ambientale comune.
Il secondo programma d’azione (1977-1981) si rivolse con più attenzione alla prevenzione e allo studio di un sistema di valutazione di impatto ambientale (VIA) che divenne oggetto di direttiva e perno della politica ambientale col terzo programma (1982-1986), adottato nel 1983, definitivamente diretto all’azione preventiva e alla salvaguardia delle risorse naturali (indipendentemente dalla loro valenza in riferimento al mercato comune), a integrare la politica ambientale nelle altre politiche comunitarie, sottolineandone l’importanza per l’occupazione e l’economia e individuando priorità e tipi di interventi adeguati alle specificità regionali. Nel 1980 anche la Corte di Giustizia europea era intervenuta sancendo definitivamente la compatibilità del ricorso all’art. 100 (riavvicinamento delle legislazioni nazionali) e all’art. 235 (poteri impliciti per il conseguimento delle finalità della Comunità) e la necessità di uniformare le legislazioni nazionali in materia di tutela ambientale per difendere la concorrenza, con la previsione di oneri per le imprese inquinanti (cause 91/79 e 92/79). Nel 1981 la Commissione costituì la Direzione Generale XI (DGXI), allo scopo di gestire le iniziative per la tutela ambientale in sostituzione dell’“Unità per la protezione dell’ambiente e dei consumatori” (sorta nel 1971) e si affermò gradatamente, con sempre maggior successo e risorse, come il principale “attore” del policy making ambientale comunitario. Se le prime direttive in materia ambientale rispecchiavano maggiormente la necessità di garantire norme e riferimenti comuni in omaggio ai principi del trattato CEE e soprattutto a garanzia della libera circolazione dei beni e delle merci, soprattutto negli anni ’80 i successivi provvedimenti (direttive e regolamenti) divennero importanti strumenti di impulso atti a stimolare significative e specifiche azioni di politica ambientale nei singoli paesi finendo sostanzialmente per investire un ampio spettro di settori d’intervento. La Corte di Giustizia tornò, senza equivoci, a definire la tutela dell’ambiente come “uno degli scopi essenziali della Comunità in una sentenza del 1985 (causa 240/83) e successivamente, chiamata a giudicare sull’ammissibilità di misure di tutela ambientale riguardo alla libertà di circolazione delle merci, ha contribuito notevolmente a chiarire e legittimare le politiche ambientali nazionali e comunitarie quali “esigenze imperative” capaci di imporre restrizioni alla libertà degli scambi, ritenendo per esempio legittime imposizioni fiscali applicabili a prodotti non biodegradabili o riconoscendo i rifiuti come beni. Ormai gli atti normativi comunitari emanati sono stati oltre 400 e più di 100 sono attualmente in vigore (tra le prime direttive quella sulla qualità delle acque di balneazione del 1975 e la direttiva “Seveso” del 1982 sui rischi di incidenti rilevanti nell’ambito di determinate attività industriali e più volte rivista e aggiornata) ma le infrazioni e le inadempienze da parte degli stati dell’UE sono anch’esse numerose.
Sempre più evidente nella legislazione europea era inoltre l’interdipendenza dei fenomeni, aventi incidenza ambientale e non circoscrivibili alla competenza dei singoli stati membri. Negli anni ’80 si avviò anche un serrato confronto tra paesi del Nord Europa (Repubblica Federale Tedesca, Danimarca e Paesi Bassi), dotati di normative ambientali più rigide e maggiormente interessati dall’esplodere dell’ecologia politica e dall’affermazione dei movimenti verdi, e quelli del Sud Europa (Francia, Italia) che, insieme alla Gran Bretagna erano contrari a maggiori vincoli e impegni. Un ostacolo notevole alla concreta attuazione di norme comunitarie era dovuta al principio dell’unanimità richiesto per le votazioni del Consiglio in tale materia, utilizzato dai paesi contrari a una tutela ambientale maggiore.
A partire dal terzo programma d’azione (1982-1986) iniziò una politica preventiva nei riguardi dell’ambiente: in questo periodo si segnala, infatti, la direttiva sull’impatto ambientale che risale al 1985, la quale poi modificata successivamente, istituiva un controllo e procedure rigorose per la realizzazione delle opere edilizie.
Nel novembre 1986, dopo il disastro nucleare di Chernobyl di alcuni mesi prima, l’esplosione di uno stabilimento industriale in Svizzera, nei pressi di Basilea, provocò il rilascio di oltre 30 tonnellate di sostanze chimiche nelle acque del Reno che arrivando in Germania, Francia e Paesi Bassi trascinarono con sé morte e distruzione per la flora e la fauna fluviale, creando forti problemi anche per l’approvvigionamento idrico umano e dimostrando ancora una volta il carattere transnazionale dei problemi ambientali.
3. Il riconoscimento e l’affermazione della politica ambientale come obiettivo intersettoriale e indipendente
L’Atto Unico europeo adottato nel 1986 e in vigore dal 1987, stabilì l’ingresso ufficiale della politica ambientale tra gli obiettivi riconosciuti della Comunità europea, collocandola in un titolo specifico del Trattato (Titolo VII), riconoscendola come scopo “legittimo”, fissandone gli obiettivi (protezione e miglioramento della qualità dell’ambiente e della salute umana e utilizzo razionale delle risorse) e prevedendo l’assunzione delle decisioni del Consiglio a maggioranza qualificata quando fossero collegate al funzionamento del mercato unico (art. 100 A). Venne anche ammessa la possibilità per gli stati membri di introdurre nei propri ordinamenti limiti e standards più ecologici di quelli adottati in sede comunitaria e la valutazione della protezione ambientale come elemento fondamentale nelle altre politiche di settore (artt. 130 R, 130 S, 130 T). I principi basilari dell’azione a tutela dell’ambiente erano la prevenzione, la correzione alla fonte (intervento prioritario nel paese che produce ed esporta inquinamento), il concetto “chi inquina paga” e il principio di sussidiarietà.
Il quarto programma d’azione (1987-1992), influenzato dall’Atto unico europeo, raccolse tutte queste nuove indicazioni delineando un approccio globale per le politiche ambientali e ammettendo il ricorso a strumenti economici e fiscali per l’ottenimento di risultati più incisivi. Il periodo tra il marzo del 1987 e quello del 1988 venne proclamato “anno europeo per l’ambiente”. Tra il 1989 e il 1991 la produzione normativa e l’attività delle istituzioni in campo ambientale crebbero incessantemente, ma diventò più difficile un monitoraggio efficace sull’applicazione concreta delle disposizioni da parte degli stati. Il Consiglio europeo sull’ambiente di Dublino nel 1990 sottolineò il ruolo che la Comunità europea doveva svolgere nei negoziati per la risoluzione dei problemi ambientali internazionali (effetto serra e assottigliamento dello strato di ozono, cambiamento climatico, salvaguardia della biodiversità), in considerazione della sua posizione di autorità morale, economica e politica. Nel 1990 venne pubblicato il libro verde sull’ambiente urbano che presentò le azioni necessarie per migliorare la qualità della vita nei luoghi ove risiedeva oltre il 75% della popolazione europea e diverse sono state le iniziative della Commissione per la cooperazione con le grandi reti di città formatesi per attuare politiche urbane ecologiche e rafforzatasi con l’adozione della Carta di Aalborg per uno sviluppo durevole delle città nel 1994. Nel 1991, nel castello di Dobris vicino Praga, si svolse il primo incontro di tutti i ministri dell’Ambiente d’Europa che decise la stesura di un inventario completo e paneuropeo dei problemi ambientali.
Il Trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore nel novembre 1993, all’art. 2 sottolineava tra i fini della nascente Unione Europea (UE) “una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente”, introducendo il principio dello “sviluppo sostenibile”, definito ufficialmente per la prima volta a livello internazionale nel 1987 dal Rapporto della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo Our common future (Rapporto Brundtland)come lo sviluppo economico e sociale capace di soddisfare i bisogni presenti senza privare le generazioni future della possibilità di soddisfare i propri. Il Trattato di Maastricht dedicava l’intero Titolo XVI all’ambiente e sanciva definitivamente l’ambiente come politica comunitaria e non più solamente “azione”, applicando quale regola decisionale generale per le politiche ambientali la maggioranza qualificata (salvo limitate ma rilevanti eccezioni per le misure fiscali, l’assetto territoriale e il campo energetico).
La politica ambientale diventava pertanto una politica strutturale riconosciuta dell’UE.
4. L’Unione europea di fronte a nuove sfide
Con l’intento di uniformarsi a una nuova strategia di intervento a livello internazionale proposta dalla Conferenza mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992 (Earth Summit) e specificata nel documento noto come “Agenda 21”, contenente le linee guida per l’adozione di decisioni specifiche a livello locale, venne inaugurato il quinto programma d’azione europeo (1993-2000) dal titolo Per uno sviluppo durevole e sostenibile, volto ad approfondire ed estendere un approccio specifico alla prevenzione per il conseguimento di elevato grado di tutela ambientale imperniato su 6 elementi:
- integrazione delle scelte e degli obiettivi di tutela ambientale nelle altre politiche;
- compartecipazione e condivisione di responsabilità tra l’UE, gli stati europei, le imprese e la popolazione;
- ampliamento del potenziale repertorio di strumenti d’azione a favore dell’ambiente affiancando ai caratteristici sistemi di regolazione diretta legislativa e amministrativa (command and control) basati su sanzioni, misure di tipo economico (tasse, imposte, sussidi, accordi volontari ecc.);
- cambiamento dei modelli di consumo e di produzione;
- applicazione ed attuazione della normativa dell’UE;
- cooperazione internazionale nel quadro delle indicazioni provenienti dall’Agenda 21.
Il quinto programma d’azione, costituito da una risoluzione, un programma e un rapporto sullo stato dell’ambiente riferito al 1992, si focalizzava su 5 aree di interesse strategico (industria, energia, agricoltura, trasporti e turismo) adottando una strategia integrata d’intervento, non più impostata per categorie di inquinamento ma volta ad affrontare complessivamente alcune precise priorità: cambiamento climatico, acidificazione e qualità dell’aria; tutela della biodiversità; gestione delle risorse idriche, ambiente urbano; zone costiere; gestione dei rifiuti. Erano anche individuati tre settori che richiedevano una “gestione del rischio”: i rischi industriali, la sicurezza nucleare e la protezione radioattiva e la protezione civile e le urgenze ambientali. Al principio della prevenzione, già presente, si aggiungeva quello di precauzione, era dato maggior spazio all’informazione ambientale e allo sviluppo di statistiche e ricerche e aumentava la tipologia dei meccanismi finanziari a supporto delle politiche ambientali. Inoltre veniva introdotto la valutazione ambientale strategica (VAS) nella gestione dei fondi strutturali dell’UE ed erano incrementati i Fondi di coesione per progetti ambientali
Diretto ispiratore del quinto programma, il Libro bianco della Commissione europea del 1993, Crescita, competitività e occupazione il noto “Rapporto Delors”, aveva suggerito una prospettiva politica a sostegno dell’occupazione che introduceva le politiche ambientali come una delle nuove frontiere del lavoro, prevedeva la diminuzione dei consumi energetici e la contemporanea allocazione delle risorse in base ai bisogni.
Negli anni ’90 sono proseguiti importanti progressi nell’adozione di strumenti e politiche in campo ambientale.
Nel marzo 1992 è nata l’Ecolabel, l’etichetta ecologica frutto di un sistema di certificazione di prodotti e servizi attestante la compatibilità con l’ambiente (ed in particolare il basso inquinamento delle acque e atmosferico, il basso livello di emissione di gas a effetto serra e basso impiego di energia elettrica), effettuato su richiesta dei fabbricanti o degli eventuali importatori e che ha una durata di circa tre anni (il logo prescelto è stato quello della margherita). Attualmente le categorie merceologiche coinvolte nell’Ecolabel sono le seguenti: fazzoletti di carta, macchine lavastoviglie, macchine lavatrici, frigoriferi, emendanti per suoli, materassi, pitture e vernici per interni, calzature, tessili, personal computer, computer portatili, detersivi da bucato, detergenti per lavastoviglie, carta da copia, lampadine elettriche.
Nel maggio 1992 è stato creato il programma LIFE, unico programma dell’UE esclusivamente preposto a sostenere iniziative ambientali e ormai entrato in una terza fase di implementazione (le prime due, dal 1992 al 1995 e dal 1996 al 1999 hanno utilizzato fondi rispettivamente di 400 e 450 milioni di euro) che copre l’arco temporale che va dal 2000 al 2004 su tre settori di intervento: LIFE-Natura per la conservazione di habitat naturali e di flora e fauna selvatiche di particolare interesse per l’UE in attuazione di convenzioni internazionali come quella dell’ONU sulla diversità biologica e l’Agenda 21, adottati al Vertice di Rio de Janeiro nel 1992; LIFE-Ambiente che promuove azioni innovative e dimostrative fondate sulla collaborazione fra industria e comunità locali e volte sia a ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi che a stimolare un intervento ecologico e di pianificazione degli enti pubblici; LIFE-Paesi terzi concepito per la cooperazione ambientale con i paesi confinanti e per la creazione di capacità amministrative, strutture di gestione e azioni dimostrative soprattutto nell’area mediterranea e baltica. LIFE contribuisce al finanziamento ai singoli progetti normalmente per il 50% dei costi e fino al 75% in certi casi.
Nel 1994 è divenuta operativa l’Agenzia Europea dell’Ambiente (European Environment Agency, EEA), con sede a Copenhagen e incaricata di fornire informazioni, studi, misurazioni e controlli agli stati e a paesi terzi. Dallo stesso anno l’ambiente e lo sviluppo durevole sono entrati a far parte degli obiettivi dei fondi strutturali: il Fondo sociale europeo finanzia azioni di formazione; il Fondo europeo di sviluppo regionale progetti che riguardano sia la protezione dell’ambiente che lo sviluppo regionale; il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia misure di sostegno alla Politica agricola comune includendo incentivi all’agricoltura biologica e all’utilizzo di pesticidi; lo Strumento finanziario di orientamento alla pesca opere di ingegneria sulle acque costiere e l’acquacoltura. Molti programmi comunitari hanno peraltro contribuito alla crescita di politiche ambientali, in vari campi, inclusi quello della ricerca e dell’energia.
Nell’aprile 1995 è entrato in vigore un regolamento che istituisce un sistema comunitario di ecogestione e audit (Environmental Management and Audit System Regulation – EMAS), organizzato per permettere alle industrie la volontaria sottomissione a un controllo sulle procedure di gestione da parte di un soggetto indipendente al fine di ottenere un’attestazione di ecocompatibilità attraverso le fasi seguenti e con il coinvolgimento dei dipendenti e delle parti interessate: esame preliminare; formulazione di una politica e un programma in materia ambientale; costituzione di un sistema di gestione ambientale; verifica del processo; redazione di una dichiarazione ambientale; verifica e registrazione da parte di terzi; utilizzo del logo.
Nel Trattato di Amsterdam del 1997, in vigore dal 1° maggio 1999, la politica ambientale trova riconfermato il ruolo di contesto prioritario nella previsione della promozione dello sviluppo sostenibile (art. 2); in particolare, all’art. 6, è ribadita l’inclusione di tale politica in tutti i settori, mentre l’art. 95 è garante della salvaguardia di leggi e disposizioni nazionali più rispettose dell’ambiente, precedenti o successive a misure di armonizzazione comunitaria, purché non lesive nei confronti degli altri stati e sottoposte al vaglio della Commissione; gli artt. 174-176, infine, definiscono le modalità di attuazione e le procedure, ora semplificate a due, con l’estensione della codecisione a tutte le materie, salvo il mantenimento dell’unanimità per l’approvazione di disposizioni in tema di tributi, di assetto territoriale e di approvvigionamento energetico.
Il Trattato individua i seguenti obiettivi della politica dell’UE in campo ambientale per ottenere “un elevato livello di tutela”: salvaguardia, difesa e miglioramento dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzo moderato e razionale delle risorse naturali (analisi del rapporto costi-benefici e valutazioni di ecoefficienza nelle attività produttive); promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi ambientali regionali e mondiali. Numerosi e riguardanti un vasto insieme di tematiche sono gli strumenti e le disposizioni dell’UE in campo ambientale (per un’analisi approfondita si rimanda ai libri e agli articoli segnalati in bibliografia).
Con il Protocollo di Kyoto, strumento applicativo della Convenzione sui cambiamenti climatici stilata al vertice di Rio de Janeiro, l’UE ha assunto un impegno rilevante e ambizioso in merito alla riduzione delle emissioni di gas serra: si prevede la diminuzione dell’8% delle emissioni entro il 2008-2010 rispetto alle emissioni del 1990, ma mentre alcuni paesi stanno avanzando verso questo obiettivo, altri invece hanno visto aggravarsi l’inquinamento prodotto da questi fattori.
Il quinto programma d’azione ha fatto registrare miglioramenti per quanto concerne la diminuzione delle piogge acide che colpivano laghi e foreste grazie alla riduzioni delle emissioni di anidride solforosa e dell’inquinamento atmosferico dovuto al mercurio e piombo, dopo l’eliminazione di questo metallo dalle benzine (a seguito di una direttiva del 1985 che obbligava gli Stati membri a distribuire la benzina verde dall’ottobre 1989), mentre con l’attuazione delle direttive del Programma “Autoil” a partire dal 1998 (l’Autoil I sul trasporto stradale e, nel 1999, l’Autoil II riguardante complessivamente la politica dai trasporti) dovrebbero scendere anche le concentrazioni nell’aria di altre sostanze inquinanti. Anche l’uso di vari pesticidi e prodotti chimici pericolosi è diminuito notevolmente, è aumentato progressivamente il riciclo dei rifiuti industriali e domestici ed è complessivamente migliorato il trattamento delle acque reflue che ha consentito il risanamento di fiumi e laghi. Tuttavia in altri campi (difesa del patrimonio naturale e biodiversità, nonostante la direttiva Habitat e l’avvio della costituzione di una rete ecologica europea, Natura 2000) i pericoli e i danni si sono accentuati anche a seguito della progressiva introduzione di nuovi potenziali elementi di perturbazione come gli organismi geneticamente modificati (OGM) nell’ambiente, oggetto di controversie e di una recente direttiva comunitaria. Il Consiglio europeo sull’ambiente di Cardiff nel giugno 1998 ha indirizzato alla Commissione un impulso per procedere ad un’integrazione più incisiva delle politiche ambientali nelle politiche di settore, individuando un programma di scadenze e strategie.
Nell’aprile 2001 si è svolta la prima edizione della “Green Week”, che dopo aver coinvolto nella sua elaborazione numerosi soggetti della società civile, enti, cittadini la Commissione Europea ha varato il sesto programma d’azione comunitario per l’ambiente (2001-2010), denominato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” che ha individuato quali priorità urgenti quattro settori di impegno: il cambiamento climatico, la protezione della natura e della biodiversità, la salute e la qualità della vita, la gestione delle risorse naturali e dei rifiuti. Il nuovo programma ha introdotto anche nuove modalità di intervento come le partnership con i soggetti coinvolti nella tutela dell’ambiente, dagli enti locali di gestione territoriale alle industrie e alle realtà produttive con le quali è previsto soprattutto il ricorso agli accordi volontari.
Tenendo conto dei progressi avvenuti nel tentativo di rendere efficaci regolamenti, direttive (come quella sulla VIA più volte rivista e modificata), programmi (dal settore dell’energia a quelli per organizzare reti di siti ecologici ecc.) e strumenti finanziari, l’UE si trova di fronte a sfide sempre più complesse e in una difficile collocazione internazionale, frutto della ancor fragile propria debolezza istituzionale, pur difendendo posizioni e azioni importanti, fatica a impostare quel “cambiamento di rotta” urgente per alleviare i problemi ambientali. Dopo la prima metà degli anni ’90, la Commissione e in particolare la DGXI si sono dimostrate più interessate all’adozione di misure ricorrendo alla concertazione e alla mediazione con altri soggetti istituzionali e con lobbies economiche per una gestione complessiva delle principali problematiche (global governance), di fronte al rischio di vedere respinte innovazioni ritenute troppo radicali (come la tassa europea sul biossido di carbonio e sull’energia, attuabile, in quanto strumento fiscale, solo con voto unanime del Consiglio e proposta senza successo già nel 1992 dalla Commissione) ma che sarebbero molto importanti per dotare un approccio globale e coerente e per favorire un nuovo sistema di relazioni economiche compatibili con la protezione dell’ambiente e la redistribuzione delle risorse.
Il principio dell’unanimità resiste ancora nella politica ambientale dell’UE in particolari ambiti di decisioni di vitale importanza che rimangono quindi totalmente di competenza nazionale (fiscalità ambientale, pianificazione del territorio, destinazione dei suoli, scelte di politica energetica aventi particolare incidenza sulla scelta tra diverse fonti di approvvigionamento di uno stato membro) mentre richiederebbero una politica comune flessibile ma coordinata. Anche per la politica ambientale si riaffaccia dunque l’annosa e fondamentale questione delle riforme istituzionali dell’UE che dovrebbe portare all’assunzione di una più definita, netta, univoca identità della stessa Unione che mostra già una netta diversità di vedute in questo campo rispetto agli Stati Uniti riguardo agli impegni internazionali per la riduzione dell’inquinamento provocante l’effetto serra e che si batte per la ratifica del Protocollo di Kyoto (1997) e alla necessità di regolamentare il commercio e il ricorso alle biotecnologie per evitare gravi ripercussioni ambientali e sociali.
La prospettiva della tutela ambientale ha assunto carattere costituzionale nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ufficialmente recepita al vertice di Nizza (dicembre 2000) dai paesi membri. Nel Preambolo della Carta, infatti, figura tra gli obiettivi comunitari quello di “promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile”. All’art. 37 della stessa viene affermato che “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
Se il vertice mondiale sull’ambiente di Johannesburg, tenutosi a dieci anni da quello di Rio de Janeiro, dal 26 agosto al 4 settembre 2002, ha prodotto scarsi risultati a livello internazionale, l’UE continua ad essere una delle organizzazioni internazionali più attive in campo ambientale, ma deve anche progredire soprattutto per prevenire disastri e situazioni di degrado e applicare complessivamente alle proprie politiche il principio di precauzione, come purtroppo hanno dimostrato i recenti naufragi delle petroliere Erika, avvenuto sulle coste della Bretagna nel 1999, e Prestige al largo della Galizia alla fine del 2002.
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D. FILIPPONE, G. MARTIGNETTI, S. PROCOPIO, G. SALIO, Internet per l’ambiente, Torino, UTET Libreria, 2001
b) articoli e saggi:
B. R. ALLENBY, Environmental Security: Concept and Implementation, in “International Political Science Review, vol. 21, n. 1, January 2000, pp. 5-21.
E. GERELLI, Il vantaggio competitivo dell’ecologia, “Il Sole 24 ore”, 13 dicembre 2000.
G. GRIMALDI, Tasse ambientali e fiscalità ecologica: considerazioni generali e attuazioni in Europa, in “I Temi”, anno VI, n. 22, dicembre 2000, pp. 9-27.
G. MATTIOLI, Europa e ambiente. La Carta, un anno dopo, “.eco”, anno XIII, n. 9, novembre-dicembre 2001 (nuova serie), p. 9.
– Politiche ambientali dell’Unione Europea
a) libri:
D. JUDGE (a cura di), A Green Dimension for the European Community: Political Issues and Processes, London, Frank Cass, 1993 (contiene indicazioni su politiche ambientali, azione degli organi comunitari, movimenti ambientali, partiti verdi, meccanismi decisionali ecc – in parte superato da alcune evoluzioni ma interessante per l’approfondimento generale sui diversi attori e soggetti non istituzionali).
A. NUCARA, L’ambiente e l’Unione Europea. La fiscalità ambientale e il libero commercio, Roma, Gangemi, 1999.
L. KRÄMER, Manuale del diritto comunitario per l’ambiente, Milano, Giuffré, 2002
b) pubblicazioni ufficiali, comunicazioni, resoconti, documenti, articoli, paper, saggi:
Commissione europea, L’Unione Europea e l’ambiente, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1998.
Commissione europea, Comunicazione “L’ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro”, 2000.
Commissione europea, Comunicazione del principio di precauzione, Bruxelles, 2 febbraio 2000.
Commissione europea, Libro bianco sulla responsabilità per i danni all’ambiente, Bruxelles, 9 febbraio 2000 (Com. 2000/66).
Commissione europea, Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta. Sesto programma di azione comunitario per l’ambiente 2001-2010 (comunicazione della Commissione), Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2001.
Consiglio Ambiente, Conclusioni del Consiglio adottate il 30 marzo 2000 nella Comunicazione della Commissione “L’ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro”, 2000.
Consiglio Ambiente, Conclusioni del Consiglio del 22 giugno 2000. Strategia comunitaria in materia di cambiamenti climatici, 2000.
European Environment Agency, L’ambiente nell’Europa alla fine del secolo, 1999.
A. MAJOCCHI, Verso un modello di sviluppo sostenibile nel quadro europeo, in F. Citterio , L. Vaccaro (a cura di), Quale federalismo per quale Europa. Il contributo della tradizione cristiana, Brescia, Morcelliana, 1996, pp.447-458 (volume disponibile presso il D.I.R.E. sez. storica).
P. MADDALENA, L’ambiente valore costituzionale nell’ordinamento comunitario, paper presentato a Venezia, scuola estiva AUSE, 1998.
M. BRUSASCO-MACKENZIE, Sustainable Development Perspectives & Futures – The European Union’s Contribution to Environment Policy & Sustainable Development, European Commission, DG XI (Environment, Nuclear Safety and Civil Protection) Adviser responsible for the follow up of the Rio Summit (paper completed in September 1999, pp. 15.
S. CAVATORTO, La costruzione comunitaria della politica ambientale e gli impatti sul modello italiano, in “Affari sociali internazionali”, n. 2, 2000, pp. 189-204.
G. PORCU, Tutela dell’ambiente e processi di sviluppo, in “I Temi”, anno VI, n. 21, settembre 2000, pp. 57-66 (a proposito del Regolamento istitutivo dell’EMAS).
A. BEGHINI, Le politiche ambientali dell’Unione europea e l’occupazione, in “Affari sociali internazionali”, n. 1, 2001, pp. 157-167.
– Siti Internet e pubblicazioni
Per informazioni sulla Direzione Generale XI (Ambiente, sicurezza nucleare e protezione civile) della Commissione europea consultare il sito http://europa.eu.int/comm/environment/index_it.htm
Per consultare il rapporto sui risultati del quinto programma d’azione si veda il sito:
http://europa.eu.int/comm/environment/newprg/index/htm
“L’Ambiente per gli europei”, pubblicazione bimestrale disponibile in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola e italiana a cura dell’unità Comunicazione e società civile della Direzione generale dell’ambiente della Commissione Europea (l’abbonamento può essere richiesto gratuitamente per via telematica al seguente indirizzo:
http://europa.eu.int/comm/environment/new/efe/order/subscribe.htm – o anche per via fax inviando le proprie generalità via posta o via fax a DG Ambiente, unità Comunicazione e società civile, Rue de la Loi 200, B-1049 Bruxelles;
fax (32-2) 2969560.
European Environment Agency (EEA) – sito Internet: http://www.eea.eu.int