La Sovranità Alimentare: un progetto dall’Emilia Romagna

La Rete per la Sovranità Alimentare in Emilia Romagna comprende associazioni e singoli che si riconoscono in un documento scritto in prima battuta da tre realtà operanti nel territorio bolognese, le due cooperative Arvaia e Camilla, e l’associazione Campi Aperti per la Sovranità Alimentare, poi integrato e rielaborato da chi ha aderito in seguito. Arvaia è una CSA, Camilla un emporio di comunità, Campi Aperti un’associazione di cittadini e contadini che organizza mercati autogestiti di vendita diretta[1].

L’idea di scrivere un documento collettivo, e di fare rete intorno alle tematiche affrontate nel documento stesso, nasce da varie esigenze: la prima quella di provare a fare chiarezza su cosa significa sovranità alimentare in particolare quando parliamo dei nostri territori, la seconda quella di  aprire una comunicazione con le amministrazioni locali e regionali, perché mettano in atto una serie di strategie per favorire le reti alimentari contadine, e di rimuovere i numerosi ostacoli normativi al loro sviluppo.

La prima esigenza, ancora più sentita nel momento in cui un governo di destra rinomina un ministero aggiungendo la sovranità alimentare tra i suoi presunti scopi, è connessa in particolare al fatto che i movimenti che hanno definito questo concetto nascono e sono particolarmente radicati al di fuori dell’Europa, e non è quindi immediato capire “di cosa parliamo quando parliamo di sovranità alimentare” nei nostri territori. E altrettanto nebuloso può apparire il motivo per cui pensiamo che sia fondamentale promuoverla.

Prima di affrontare queste due tematiche che riprenderò in seguito penso sia importante chiarire brevemente alcuni concetti, in particolare cosa si intende per sistema alimentare e cosa intendiamo per reti alimentari contadine (RAC). Un sistema alimentare è “l’insieme delle attività che rientrano nella produzione, nella trasformazione e imballaggio del cibo, la sua distribuzione, vendita al dettaglio e consumo”. Le reti alimentari contadine sono tutti quei sistemi di produzione e consumo di cibo diversi dalla filiera industriale e dalla GDO. È una definizione fatta “per negazione”, ma questo è necessario in quanto le reti alimentari contadine costituiscono un numero imprecisato di sistemi alimentari, tanti e diversificati, che vanno dall’autoconsumo fino ai sistemi incentrati sulle aziende agricole che fanno vendita diretta in loco, nei mercati, nei negozi, nella ristorazione di prossimità e nei mercati. Comprendono anche le CSA (Comunità che Supporta l’Agricoltura) così come le realtà produttive formali e informali, gli orti urbani, gli empori di comunità, i gruppi di acquisto solidale e altro.

Alla diversificazione delle reti alimentari contadine corrisponde una sostanziale uniformità del sistema alimentare della filiera industriale, caratterizzato da un uso intensivo dei mezzi di produzione, da meccanizzazione spinta, input di tipo chimico ed energetico, acqua, sfruttamento del lavoro bracciantile, commercio globale del cibo, spinta trasformazione industriale dei prodotti alimentari. A questo sistema è strettamente connesso un forte accentramento del potere di acquisto (centrali di acquisto) e distribuzione (GDO e catene di fast food). All’interno delle filiere industriali le società transnazionali dominano tre settori: fornitura di input, commercio di commodities agricole e trasformazione, vendita di alimenti al dettaglio.

L’accentramento si traduce anche in un accentramento di potere decisionale, ed è per questo che la sovranità alimentare, che in estrema sintesi è il diritto delle comunità a compiere scelte intorno ai propri sistemi alimentari, si connette strettamente alla promozione e mantenimento delle reti alimentari contadine.        

Sempre più si diffonde la consapevolezza degli impatti che l’attività agricola ha sui territori e sulle società, meno diffusa invece è la consapevolezza che tali impatti non sono analizzabili, nelle cause così come nelle possibili soluzioni, senza prendere in considerazione l’intero sistema alimentare del quale l’attività di produzione primaria è solo una parte. Non è l’agricoltura da sola che porta il cibo nelle nostre case, è il sistema alimentare e gli impatti non sono dovuti solo all’agricoltura. In più le scelte intorno al tipo di agricoltura sono fortemente condizionate dal sistema nel quale quella data realtà produttiva agricola si colloca.          Parallelamente i sistemi agricoli non solo creano impatto, ma spesso sono i primi a subire gli effetti degli stessi impatti che hanno contribuito a creare, pensiamo ovviamente in primis al riscaldamento globale, con rischi sulla sicurezza alimentare delle popolazioni.         

Ma a questo punto torniamo alla nostra domanda iniziale, cosa è e perché promuovere la sovranità alimentare? Perché sostenere le RAC? La filiera industriale non è sinonimo di progresso, di abbondanza di cibo, di efficienza e modernità? Le RAC non sono sinonimo di arretratezza, fame, scarsità?

Particolarmente illuminante a questo proposito è il rapporto dell’ETC Group intitolato “Chi ci nutrirà?” che mette a confronto filiera agroindustriale e RAC. Tra i tanti dati ne scelgo alcuni, che indicano alcuni dei danni che la filiera industriale provoca:

  • perdita di suolo fertile per 75 miliardi di tonnellate/anno dovute alle monocolture;
  • perdita di humus e parte microbiologicamente attiva con conseguente riduzione della CO2 contenuta nei suoli;
  • deforestazione: 7,5 milioni di ha di foreste distrutte ogni anno;
  • biodiversità: 16 specie coltivate costituiscono l’86% del cibo industriale, contro le 7000 specie coltivate dai contadini, semplificazione degli ecosistemi, drastica riduzione delle varietà coltivate;
  • inquinamento dell’aria aria: l’agricoltura contribuisce per il 44-57% alle emissioni, di queste l’ 85-90% dalla filiera industriale, insieme al 90% dei combustibili fossili usati in agricoltura, e all’80% dell’acqua usata in agricoltura;
  • sprechi: per la FAO 14% spreco pre vendita, altri dati fino al 50% di spreco complessivo;
  • 1/3 della plastica in mare proveniente da imballaggi del cibo industriale;
  • impatto sulla salute: 220.000 morti/anno tra gli addetti per avvelenamento, e inoltre 30% della popolazione mondiale sovrappeso o obesa, a causa di cibo ricco di sale, zucchero, grassi saturi, additivi;
  • squilibri sociali da una parte per la chiusura delle piccole realtà agricole, dall’altra per lo sfruttamento bracciantile.

Tutto questo per fornire cibo a meno del 30% della popolazione mondiale.

Analizzare il problema degli impatti a partire dai sistemi alimentari ci aiuta ad avere un diverso punto di vista sulla vasta gamma di problematiche connesse al tema “come sfamare la popolazione senza distruggere il pianeta”.

Nelle RAC le comunità posso esprimere scelte diverse dalla devastazione sopra descritta, perché non si tratta di quanti km fa il cibo, ma di quanto le scelte su produzione, distribuzione e consumo di quel cibo sono vicine alle comunità, ai territori, agli ecosistemi che subiscono le conseguenze di queste scelte.

Se le comunità scelgono, questa è Sovranità Alimentare. Non si tratta di promuovere arretratezza, si tratta invece di sottrarre potere al sistema capitalista che per estrarre e accumulare valore, crea filiere non sostenibili da tanti punti di vista, e di provare a redistribuire questo potere nella collettività. Una collettività che sappia mettere insieme i vari bisogni, cibo, salute, giustizia sociale, territorio. Pensiamo che le RAC siano il solo luogo dove sia possibile esprimere quelle relazioni di cura tra persone, tra esseri viventi non umani animali e vegetali e verso i territori, necessarie per trovare una risposta alle tante questioni da affrontare nel momento presente. Ritrovare nuovi equilibri, esprimere la capacità di rispondere alle sempre più frequenti perturbazioni, sono attività che richiedono un forte coinvolgimento sociale e che fanno fatica ad esprimersi in filiere fondate su una logica di profitto, quali quelle industriali.

La promozione delle reti alimentari contadine avviene attraverso il lavoro e le relazioni di tutte le persone che in vario modo partecipano a queste reti, ma d’altra parte le istituzioni a vari livelli possono interferire con il loro sviluppo oppure promuoverlo in vari modi. Il documento che abbiamo scritto approfondisce in particolare questi aspetti, si pone in un’ottica di dialogo con le istituzioni nella speranza che i temi trattati possano entrare nelle agende politiche dei decisori istituzionali.

Disegno di Sara Garagnani.

[1] Progetto per la sovranità alimentare, Bologna, 19 marzo 2021, https://www.campiaperti.org/progetto-per-la-sovranita-alimentare/