La via della microelettronica
Alle analogie della storia credo poco, però i recenti incontri diplomatici fra i governanti europei e cinesi, basati essenzialmente su problemi commerciali, mi hanno fatto tornare con la mente a duemila anni fa quando ci sono stati i primi rapporti fra l’impero romano, l’”Europa” di allora, e l’impero cinese, anche allora tecnicamente progredito e con forti aspirazioni all’espansione dei suoi commerci.
Duemila anni per vendere in occidente le merci cinesi – seta, minerali, spezie, giada, ferro, ceramiche – i funzionari cinesi dovevano avere informazioni su paesi lontani, sparsi su cinquemila chilometri di deserti e montagne, la “via della seta”, abitati da popoli spesso ostili, bellicosi, che parlavano lingue incomprensibili. La via del mare verso occidente richiedeva un lungo viaggio prima verso la Malesia, poi lungo le coste verso l’India, poi un lungo tratto di mare aperto fino all’attuale Somalia, e la Somalia era ancora lontana dal Mediterraneo dove abitavano popoli ricchi, potenziali clienti.
Duemila anni fa l’impero cinese aveva una efficiente e organizzatissima burocrazia – una specie della CIA americana di oggi – che raccoglieva e elaborava e schedava informazioni su tutti coloro che arrivavano in Cina e sulle notizie raccolte da viaggiatori, monaci buddisti, spedizioni militari nel loro cammino verso occidente. Spedizioni numerose soprattutto dal 100 avanti Cristo al duecento dopo Cristo durante la dinastia Han.
Mentre nella letteratura latina ci sono relativamente poche informazioni esatte sull’estremo oriente e sulle sue merci – uno dei pochi testi è un resoconto in greco del viaggio di un mercante che dall’Egitto è arrivato in India e a Ceylon nel primo secolo dopo Cristo – negli archivi cinesi ci sono numerosi resoconti di viaggi verso occidente attraverso i deserti e poi le montagne fino al Pakistan, all’Afghanistan, all’Iran e fino alle coste del Mediterraneo.
Una parte di questi testi è stata tradotta da studiosi occidentali a partire dall’Ottocento; quando nell’Università di Bari, nel corso di laurea in Lingue, si tenne per alcuni anni un corso di Storia del commercio con l’Oriente, unico in Italia e poi stranamente soppresso, si dovevano fare acrobazie per accedere alle fonti storiche cinesi. Oggi in Internet ci sono almeno due siti americani che contengono informazioni sulla storia della via della seta e che mettono a disposizione addirittura le traduzioni in inglese degli antichi testi cinesi. Un professore australiano, John Hill, da venti anni sta traducendo i più importanti resoconti cinesi sui paesi occidentali (per loro), con la descrizione delle merci scambiate.
Duemila anni fa Afghanistan e Iran erano occupati dal potente e organizzato impero dei Parti che facevano di tutto per impedire che romani e cinesi venissero a contatto per poter intercettare e monopolizzare, con lauti profitti, il traffico di merci mediterranee verso oriente e soprattutto di merci cinesi verso il Mediterraneo. La seta è rimasta una merce costosa e anche un po’ misteriosa fino a circa il seicento dopo Cristo quando alcuni monaci portarono via dalla Cina le uova del baco da seta e ne trasferirono la coltivazione a Bisanzio.
Oltre alla seta i cinesi possedevano conoscenze e tecniche di grande importanza per l’occidente, che sarebbero filtrate a poco a poco nel Mediterraneo e avrebbero contribuito alla civiltà del Medioevo e del Rinascimento europeo: la tecnica di fabbricazione della carta, la stampa a caratteri mobili, la polvere da sparo, la bussola. E l’Europa nei secoli recenti avrebbe esportato i perfezionamenti di tali tecniche verso la Cina e il Giappone contribuendo alla modernizzazione dei due grandi paesi.
Adesso Cina e Giappone – e gli altri paesi dell’estremo oriente – hanno a loro volta perfezionato le tecniche europee e stanno esportando le relative merci verso l’Europa. Non più la via della seta dall’Oriente all’Occidente, ma la via della microelettronica, della plastica, dei giocattoli, dei tessuti, con un successo e una intensità tali da costringere i governanti europei a chiedere alla Cina di porre dei limiti alle esportazioni verso l’Europa. Sarà perché i cinesi sono tanti, milleduecento milioni, rispetto ai meno di trecento milioni di europei, sarà perché il comunismo aveva abituato i cinesi ad una ferrea disciplina lavorativa, sarà l’aspirazione al guadagno per soddisfare la fame di consumi merceologici occidentali, sarà la capacità cinese di copiare le merci dell’occidente, sta di fatto che la Cina sta invadendo il mondo con i suoi prodotti.
L’attuale successo cinese deriva, infatti, da una rapida assimilazione della cultura occidentale, proprio come i viaggiatori cinesi di duemila anni fa portavano agli imperatori ogni novità appresa nei loro viaggi verso occidente lungo la via della seta. Molti cinesi hanno studiato nelle università inglesi e americane e russe; nelle pubblicazioni scientifiche internazionali si vede un numero crescente di autori con nomi chiaramente di origine orientale.
Noi europei e specialmente noi italiani facciamo troppo poco per conoscere e assimilare la cultura, le lingue, la mentalità dei paesi orientali. Ci sarebbe da aspettarsi che nelle nostre università ci fossero centinaia di studenti di lingua, cultura e storia cinese (ma anche indiana e giapponese), le premesse per capire le ragioni del successo dei grandi paesi orientali.
Fra gli stessi intellettuali italiani troppi sono ancora fermi a ridicolizzare Mao e la rivoluzione culturale, senza rendersi conto che la grande dura esperienza del comunismo cinese ha gettato le fondamenta di un nuovo impero commerciale, manifatturiero, scientifico e culturale con cui dovremo fare i conti nei prossimi decenni. Non credo che si possa frenare la concorrenza cinese e orientale con i divieti, frenando la via della microelettronica come i Parti cercavano di interrompere la via della seta; probabilmente bisogna cercare di capire i nostri concorrenti, cominciando da una migliore conoscenza della loro storia e specialmente della storia dei rapporti commerciali dei secoli passati, lontani e recenti.