L’allume e le scomuniche merceologiche
Generalmente siamo portati a pensare che l’industrializzazione, il capitalismo e i monopoli siano fenomeni relativamente recenti, che risalgono al massimo all’inizio del 1700. Ci sono invece, soprattutto nel campo minerario, delle attività molto più antiche, ma già organizzate con criteri moderni. Una storia di questo genere riguarda la produzione dell’allume e la nascita della città di Allumiere, vicino Civitavecchia.
L’allume è noto fin dall’antichità: ne parla Plinio (23-79 d.C.) nella sua grande enciclopedia merceologica intitolata “Storia naturale” (che ha avuto finalmente una buona edizione italiana, pubblicata da Einaudi). L’allume era ed è una merce molto importante: è impiegato per fissare i colori sulle fibre tessili, per la concia delle pelli, in medicina, per rendere resistenti al fuoco i tessuti e il legno e, adesso, nella produzione della carta e nella depurazione delle acque.
L’allume è un sale costituito da solfato di ammonio e potassio con 24 molecole di acqua di cristallizzazione; si presenta in bei cristalli bianchi e trasparenti, solubili in acqua. Qualche lettore ricorderà forse di averne visto dei pezzi in casa, usati per fermare il sangue, e chiamati “allume di rocca”, forse dal nome di una città dell’Asia Minore. A causa della sua solubilità in acqua in genere l’allume non si trova in natura (le piogge l’avrebbero disciolto nel corso dei millenni), ma viene prodotto artificialmente per trasformazione di minerali di alluminio meno solubili, come la allumite o alunite, un solfato basico di alluminio e potassio.
Nel Medioevo l’allume era prodotto principalmente in Asia Minore dove si trovano grandi giacimenti di allumite; le imprese operavano con capitali e tecniche per lo più genovesi o veneziani e alcuni imprenditori industriali e finanziari avevano accumulate grandi fortune con questa materia prima essenziale, un vero materiale strategico.
Con la conquista dell’Asia Minore da parte dei Turchi di Maometto II, nella metà del 1400, le zone minerarie caddero nelle mani degli “infedeli”, creando difficoltà di approvvigionamento dell’allume alle industrie europee. Un certo Giovanni da Castro, o De Castro, costretto ad abbandonare la sua industria dell’allume in Asia Minore, girando per i monti della Tolfa, paese d’origine della madre, a nord ovest di Roma, nello stato pontificio, osservò nel terreno formazioni minerarie simili a quelle da cui veniva estratto l’allume in Turchia: anche le piante e i fiori erano simili. È questo uno dei primi esempi di applicazione della geobotanica, la scienza che consente di riconoscere i minerali sotterranei dai caratteri e dalla composizione delle piante esistenti in superficie.
De Castro prelevò il minerale, lo fece analizzare, condusse delle prove di estrazione dell’allume – oggi si direbbe che fece fare delle prove di laboratorio, ma siamo nella metà del 1400! – e vide che effettivamente, per trattamento del minerale, si poteva ottenere allume di buona qualità. De Castro propose al Papa di impiantare un’industria in concorrenza con i Turchi: Pio II (quell’Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464, che fu papa dal 1458 al 1464) capì subito l’importanza dell’impresa e gli affidò il monopolio della produzione e del commercio, riservandosi un’imposta sull’allume prodotto.
Nel 1463, appena dieci anni dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, l’allume “cristiano” era già prodotto industrialmente a Tolfa con l’impiego di alcune centinaia di operai. Il ciclo produttivo consisteva nell’escavazione dell’allumite, nel riscaldamento ad alta temperatura, in adatti forni, del solfato basico di alluminio e potassio. Il minerale “cotto” veniva poi trattato con acqua: il materiale inerte veniva separato e la soluzione acquosa veniva scaldata e concentrata fino a quando non cominciavano a separarsi i cristalli di allume.
Il papa Paolo II (1417-1471, papa dal 1464 al 1471) nell’aprile 1465 promulgò un anatema “merceologico” che imponeva ai cristiani di tutta Europa, pena la scomunica, di usare soltanto l’allume papale. La scusa era costituita dal fatto che i proventi delle imposte sull’allume erano destinati a finanziare una grande crociata contro i Turchi. Con questa imposta sulle esportazioni di una materia prima ottenuta in condizioni di monopolio i papi si procuravano soldi più o meno con la stessa logica con cui operano i paesi esportatori di petrolio.
L’unico concorrente importante era il regno di Napoli che produceva allume ricuperando i cristalli esistenti nella solfatara di Pozzuoli; nel 1470 il papa Paolo II e Ferdinando II di Napoli firmarono un accordo per regolare la produzione e la vendita dell’allume per 25 anni, una vera multinazionale monopolistica. Più tardi i papi ottennero la chiusura delle miniera di Pozzuoli per operare a Tolfa in condizioni di monopolio assoluto.
Ben presto, però, anche come ribellione ai papi di Roma, i paesi industriali del Nord, soprattutto l’Inghilterra e i Paesi Bassi, consumatori di allume, cercarono delle fonti alternative (anche con accodi con l’odiato “turco”) e si misero a produrre allume in concorrenza con quello papale. L’affare era considerato così importante che il “peccato” consistente nell’uso di allume diverso da quello dei papi era escluso da quelli condonabili a pagamento, previsti dall’indulgenza del 1517 di Leone X (Giovanni de’ Medici, 1475-1521, papa dal 1513 al 1521). Per inciso fu proprio questo documento papale che spinse l’indignato Martin Lutero (1483-1546) ad appendere, il 31 ottobre dello stesso anno, alle porte della chiesa di Wittenberg, le 95 tesi sulle indulgenze, da cui nacque la Riforma protestante.
Alla famiglia De Castro erano intanto succeduti, nella conduzione delle miniere e nella riscossione delle imposte per conto del papa, i Chigi che già avevano l’appalto delle tasse dello stato pontificio. Nel 1517 Leone X concesse ad Agostino Chigi lo sfruttamento delle coltivazioni, il che suscitò gravi contrasti con i Frangipane di Tolfa. Agostino Chigi riorganizzò la produzione dell’allume con criteri industriali più moderni; grazie a compiacenti leggi, a Tolfa furono attratti operai e tecnici, talvolta ex carcerati ai quali venivano condonati i reati commessi, e ben presto la popolazione della cittadina aumentò. Per evitare le continue liti fra gli operai immigrati e gli abitanti di Tolfa, i Chigi costruirono, a pochi chilometri di distanza, una “new town”, una città operaia in senso moderno, l’attuale Allumiere, indicata anche come “Allumiere delle sante crociate”. Ed effettivamente i proventi di questo monopolio finanziarono almeno in parte l’ultima crociata, organizzata da Pio V Ghisleri (1504-1572, papa dal 1566 al 1572), che, con la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, ridimensionò la presenza dei Turchi nel Mediterraneo.
La città comprendeva abitazioni e officine ed era dominata dal “palazzo camerale” il bell’edificio cinquecentesco ancora al centro dell’attuale Allumiere, dove avevano sede i magazzini, gli uffici delle imposte e le abitazioni dei dirigenti. I concessionari dell’allume potenziarono il porto di Civitavecchia, ma non perdevano occasione per frodare il papa, dirottando l’allume verso altri porti d’imbarco in cui si potevano evadere le imposte. Le tecniche di estrazione del minerale e di produzione dell’allume furono perfezionate a razionalizzate. L’acqua dei torrenti fu canalizzata e utilizzata per il trattamento del minerale: fu costruita una diga che consentiva di azionare un mulino. È ancora possibile riconoscere nel territorio, e in parte anche visitare, le miniere, i forni., e le “vasche” di lisciviazione dell’allume.
Si ebbero anche dei fenomeni di inquinamento ambientale, scoperti di recente da alcuni ricercatori che studiavano la zona per conto della Provincia di Roma; i residui della “cottura” dell’allume venivano scaricati sul greto di un torrente che così diventò impermeabile e si trasformò in una palude che solo più tardi è stata prosciugata e bonificata.
La fortuna di Allumiere raggiunse il suo massimo nel 1500; a partire dal 1600 i principali paesi consumatori di allume trovarono altre fonti di approvvigionamento e la produzione di Allumiere diminuì di importanza; questa produzione comunque era descritta ancora nei trattati minerari del 1700. La miniere passarono poi alla Camera Apostolica, poi ad una società francese e quindi alla Montecatini e furono abbandonate prima della II guerra mondiale.
Per finire vorrei citare quattro “libri sommersi”, molto interessanti, ma purtroppo difficilmente reperibili. Il primo è una storia dell’impresa di De Castro e dei suoi finanziatori portoghesi, anche in questo caso una vera multinazionale, ed è stato scritto da Gino Barbieri (1913-1990), per molti anni professore di Storia economica nelle Università di Bari e di Verona. Il libro è intitolato “Industria e politica mineraria nello stato pontificio dal ‘400 al ‘600”, Roma, Cremonese Libraio Editore, 1940, 278 pagine.
Il secondo libro, con molti capitoli dedicati proprio ad Allumiere, è stato commissionato da una ditta inglese di prodotti chimici, Peter Spence & Sons Ltd., al noto storico della tecnica Charles Singer (1876-1960) per celebrare, con una monografia sulla storia della loro principale merce, appunto l’allume, il centenario della fondazione. Il libro, un bel volume ricco di illustrazioni, è intitolato: “The earliest chemical industry. An essay in the historical relations of economics and technology as illustrated from the alum trade”, London, The Folio Society, 1948, 338 pagine. Verrà mai un giorno in cui una impresa industriale o commerciale italiana affiderà la divulgazione della storia delle sue merci – non quella delle sue imprese finanziarie, perché di storie economiche e finanziarie ce ne sono varie – a qualche storico come contributo al progresso dell’archeologia industriale e della storia della tecnica in Italia?
Il terzo libro sommerso, intitolato: “Le lumiere”, si deve a Riccardo Rinaldi, uno studioso di Allumiere che lo ha stampato a sue spese, nel 1978, come atto di amore per la propria terra. Ho avuto modo di acquistare il primo volume, quasi per caso, ad Allumiere e ne ho fatto una breve recensione su Quitouring, maggio 1979. Il libro meriterebbe di essere conosciuto e letto anche nelle scuole.
Infine molte utili notizie su Allumiere e sul suo ruolo nell’industria nascente sono contenute nel volume: Mario Di Carlo e altri (a cura di), “La società dell’allume. Cultura materiale, economia e territorio in un piccolo borgo”, Roma, Officina edizioni, 1984, 111 pagine, con molte illustrazioni. Il bel libro, ricco di notizie storiche e tecniche, fu pubblicato per conto dell’Assessorato alla sanità e all’ambiente della Provincia di Roma. Dove saranno finite le copie di questo libro?