Le ibridazioni tra tecnologia e agricoltura. Riflessioni e domande ai pionieri del biologico – marzo 2020 – giugno 2021

Pochi giorni fa, il 26 ottobre 2021, Massimo Ceriani ci ha lasciati.

L’articolo che qui pubblichiamo rappresenta purtroppo l’ultimo contributo di Massimo Ceriani ad una riflessione, quella sull’agricoltura, intorno alla quale la nostra rivista, grazie all’impulso deciso di Giorgio Nebbia e di Pier Paolo Poggio, ha orientato ormai da un decennio una parte rilevante delle proprie energie, contribuendo a formare una rete di figure provenienti da storie molto diverse ma accomunate da due valori di base. Il primo valore condiviso è il grande rispetto per l’elemento umano in agricoltura, quell’Uomo che rischia di essere schiacciato, se non proprio eliminato, nello scontro “capitale” tra Tecnica e Natura. Il secondo valore di base è l’importanza dello studio critico della storia non soltanto perché questa deve essere preservata e divulgata nella sua complessità e autenticità, ma anche perché la conoscenza del passato -piuttosto che la narrativa dominante basata sul presente ed un futuro idealizzato e disumanizzato- è la base per comprendere le trasformazioni in atto, i punti di attrito, le contraddizioni, le resistenze. Massimo Ceriani ha rappresentato un nodo fondamentale di questa rete e ha contribuito con grande generosità alla riflessione sulle “tre agricolture”.

Nato nel 1950, studente in Architettura a Milano durante il ’68, di professione formatore presso l’Associazione Nazionale Centro IRI per la Formazione e l’Addestramento Professionale, militante di sinistra e attivista dell’ANPI Samarate-Verghera, Massimo Ceriani ha dedicato molti anni allo studio della storia locale e della resistenza antifascista. Ha iniziato ad occuparsi di agricoltura circa un decennio fa con la stessa ricerca caparbia della verità storica, con la stessa dedizione alle cause degli ultimi e alla salvaguardia dell’ambiente che hanno caratterizzato il suo attivismo e la sua ricerca nel locale. Il libro di interviste scritto con Giuseppe Canale “Contadini per scelta” e i suoi lavori di interviste pubblicati da Altronovecento sulle agricolture di pianura in trasformazione (numero 21 monografico) e sulla storia del biologico (in numero 42) rappresentano contributi di grandissimo valore.

Questo suo ultimo articolo, scritto senza preoccupazioni di forma ma solo di sostanza, con la fluidità e la libertà di chi non ha più nulla da temere, con la curiosità e l’energia di chi ha ancora tanta voglia di capire, ci introduce al centro di nuove questioni fondamentali, come quella del rapporto tra agricoltura biologica e nuove tecniche di modificazione genetica.

“Colto, brillante, spigoloso e complesso”, così lo ricordano i suoi amici dell’ANPI e così vogliamo ricordarlo anche noi di Altronovecento.

Massimo mancherà anche a noi, umanamente e culturalmente.

Chiediamo ai testimoni, lettori di sottolineare alcune parole chiave, di manifestare in sintesi pensieri che tengono il passato e il futuro, continuità e discontinuità, di riconoscere e presentare proposte che vale la pena portare avanti. Un impegno di poche pagine…

Nel momento in cui stavamo portando a sintesi l’articolo L’agricoltura biologica in Italia. Dai pionieri alle sfide di oggi (Appunti di ricerca, citazioni e frammenti di intervista, spunti dal seminario “Dove va il biologico?” del 18 gennaio 2020 a Valli Unite. in Altronovecento n. 42, 2020) ci siamo posti una domanda in riferimento all’affacciarsi del virus COVID:

Con il virus cosa sta cambiando?

Abbiamo letto un po’ di testi usciti nel 2020, alcuni libri di Aldo Schiavone, riflessioni di giornalisti del “Manifesto” e di “Domani” e altri scienziati.

Si ritornerà come prima …

Il virus ha fatto riapparire in tutta la sua drammaticità proprio la condizione delle “vita nuda”, condizione che non riguarda più solo chi era stato messo ai margini dalle accelerazioni della globalizzazione, ma riguarda tutti.

Ha “generato” una contraddizione estrema, perché comprime drasticamente i legami di socialità ma porta a riscoprire, a ricercare il valore del mettersi in comune, di mettere al centro il tema della “comunità di destino”, che significa saper riconoscersi nello spaesamento e nella sofferenza dell’altro, nella fragilità.

Il virus genererà apertura o rinserramento, produrrà solidarietà o rabbia rancorosa, comunità o solitudine, nuova energia o isolamento. O anche, dopo un po’ di tempo, si annebbieranno le tensioni del “cambiamento” e si ritornerà come prima … Questi interrogativi per indicare lo scenario di qualche idea che può influenzare le pratiche di cittadini, agricoltori, sommersi e salvati, di istituzioni. E per ricollocare alcuni nodi cruciali relativi a società e tecnica.

Quali spazi per dispositivi di collaborazione?

Non basta la parola magica “comunità” Non basta la voglia di comunità che può tramutarsi in recinti e bastioni di differenze …oltre al vaccino, soluzione sociotecnica o nazionalista, occorre elaborare anticorpi sociali di un mondo che produca inclusione. Bisogna inventare nuovi dispositivi di collaborazione … un “nuovo umanesimo”.

Abbiamo anche ripreso alcuni spunti tratti da “Pro memoria per il dopo” del Forum Disuguaglianze /Diversità di Barca che sostengono che un “Progetto di costruzione del futuro” debba fondarsi su due risorse che rendono vitale il nostro paese: da un lato, l’Italia delle diversità, fatta di migliaia di presidi di imprenditorialità, creatività, impegno sociale e auto-organizzazione, frutto di rugosità naturale e di mescolamento culturale, sempre pronti a rigenerarsi, vicini al telaio ancora robusto dei Comuni; dall’altro lato, alcuni forti presidi strategicicapaci di indirizzare l’azione pubblica, le università, le imprese pubbliche, l’ossatura delle scuole, una parte della sanità, alcune isole dello Stato centrale. Spesso, queste due risorse vengono contrapposte in visioni parziali che puntano tutto su una sola delle due. Noi pensiamo che vadano giocate entrambe, liberando le energie che esse contengono. … Nel documento sono indicati alcuni ambiti prioritari: … azioni di solidarietà all’interno delle comunità territoriali e a livello nazionale; forme di auto-organizzazione e mutualismo; visibilità pubblica dei lavoratori e delle lavoratrici “essenziali”; emersione nelle nostre preferenze di “ciò che davvero vogliamo”; impegno delle organizzazioni di cittadinanza attiva per affiancare i più vulnerabili e propugnare idee; creatività imprenditoriale, innovazione nella pubblica amministrazione ….

È questo un quadro che ci può aiutare a mettere a fuoco le sfide dell’innovazione, le tecnologie, la ricerca, la sconnessione e i nessi tra sviluppo tecnologico e liberazione umana, : in particolare la tensione tra tecnica e natura, le ibridazioni tra ipertecnologia e contadinità e gli spazi di futuro nelle pratiche di collaborazione, fratellanza.

I volti del progresso: tecnica e natura, la grande trasformazione

Parlando del progresso tecnico, motore della storia, come suggerisce Aldo Schiavone in Progresso, Il Mulino, 2020: l’accelerazione è diventata il segno dei tempi. Il ‘900 con il vertiginoso aumento nel ritmo di cambiamento ha poggiato sulle scienze e le tecnologie, la televisione, gli antibiotici, la plastica, i transistor, l’elettronica, l’esplorazione lunare, l’intelligenza artificiale le nanotecnologie, la bioingegneria.

In un altro testo di Schiavone, Storia e destino, Einaudi, 2007, viene richiamato che quasi d’improvviso i conti del progresso avevano cominciato a non tornare: lo shock tremendo della guerra, la carneficina e l’indicibilità dello stermino. L’oscurarsi degli orizzonti, la tecnica non annunciava più un riscatto ma una condanna, con il dissociarsi dirompente tra la velocità dell’avanzamento della tecnica – l’inizio della terza rivoluzione industriale e l’incapacità del resto della storia umana nell’adeguarvisi: uno squilibrio crescente tra potenza tecnica e razionalità (ed etica) civile e politica.

Così anche Floriddi nel suo libro La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina 2017, analizza come sta mutando il nostro approccio alla realtà e la comprensione di noi stessi in un mondo sempre più connesso, dominato dalle nanotecnologie, l’Internet delle cose, il web 2.0, il cloud computing, i droni e le cyberguerre. L’Autore con questo volume prova ad evidenziare i rischi e le opportunità di questa trasformazione, suggerendo un approccio che sappia coniugare le realtà naturali e quelle artificiali in modo da affrontare con successo le sfide poste dalle tecnologie. Con l’avvento delle ICT siamo entrati, scrive Floriddi, nell’età dei big data. Che tipo di ambiente iperstorico stiamo costruendo per noi stessi e per le future generazioni, si domanda l’Autore? La risposta breve è: l’infosfera. La realtà sta cambiando e per non rimanere passivi dinanzi a questo cambiamento è necessario, secondo il filosofo, adottare nuovi linguaggi e definizioni, nuovi approcci capaci di conformarsi ad un mondo in costante trasformazione.

I volti del progresso: sconnessione e nesso tra sviluppo tecnologico e liberazione umana

ll disagio della nostra epoca, la rapidità onnivora dei cambiamenti, l’oscurarsi del futuro, la diffusa percezione della tecnologia come una minaccia prima che un’occasione; in questo troviamo scienza e tecnologia (ed economia) in fuga mentre il controllo politico, la responsabilità etica, la progettualità sociale reagiscono più lentamente.

Ci sono potenzialità che trascinano rischi e conflitti come nuove disuguaglianze e squilibri ecologici del pianeta. Al posto di una rinnovata fiducia nel progresso e alla percezione di un deficit di cultura e di svuotamento della politica … si presenta la fuga nel presente, un quotidiano senza alternative … Cominciamo tuttavia a essere consapevoli che i tempi richiedono un nuovo rapporto tra la nostra specie e il pianeta, tra noi e la vita.

Un’evidenza importante: la tendenza all’acquisizione di tecniche (e quindi il paradigma del progresso) in grado di padroneggiare, dominare con sempre maggiore efficacia e anche con disastri la natura che ci avvolge e ci fa esistere. È un tratto profondamente integrato nella specificità dell’umano (Rintracciare l’umano nell’uomo – Vito Mancuso, I Quattro maestri, Garzanti, 2020). Il nesso tra sviluppo tecnologico e liberazione umana rappresenta: l’autentico cuore della nostra storia. Quale direzione può essere presa? L’abisso dello sterminio, le molteplici soluzioni, l’idea del limite: scegliere quali tratti dell’umano meritano di essere salvati e portati oltre la nostra naturalità: quante diversità culturali e biologiche varrà la pena di conservare e quante di risolvere nel raggiungimento di coesione ed equilibri più maturi. La scelta – scrive ancora Schiavone in Progresso– dipende dal rapporto che ogni volta si realizza tra controllo e potenza, tra ragione e dominio.

È come se l’uomo, costantemente a contatto con la propria finitezza storica, si trovasse ad avere una possibilità di disporre della propria realtà biologica. Come scrive Paolo Benanti, Le macchine sapienti. Intelligenze artificiali e decisioni umane, Marietti, 2018, il tempo segna la tecnica e il mondo modificandone le possibilità e i limiti: viviamo costantemente nella dialettica tra il mondo dei nostri desideri e il mondo delle possibilità, definito qui e ora dalle nostre capacità e possibilità tecniche. Oggi, consapevoli della nostra fragilità, possiamo pensare ad una condizione che per alcuni versi può divenire transumana.

Riferendoci ora allo specifico di cibo agricoltura ambiente, il dibattito, la ricerca, le sfide dell’innovazione, le tecnologie sono procedute modificando gli scenari, i temi in campo, le direzioni della genetica applicata, le comunicazioni tra ricercatori e agricoltori e società.

Il panorama si è complessificato e merita di essere letto tra le opzioni e le tendenze espresse da ricercatori, dai Manifesti di grandi gruppi aziendali e i pensieri e progetti di alcuni nostri testimoni, l’esigenza di capire, di trovare spiegazioni evitando scorciatoie e ipotesi campate in aria

Richiamiamo tre eventi rilevanti.

La ricerca, l’innovazione, le frontiere dell’agricoltura di precisione e digitale: si può porre l’aut-aut tra “In campo con lo smartphone o con la zappa…” come hanno posto i responsabili di Bayer agrievolution in un recente convegno a Milano.

Il Ceo di Syngenta: ognuno deve fare la sua parte. La sostenibilità ambientale deve diventare una nostra priorità. Contadini, politica, organizzazioni ambientalistiche devono provare a parlarsi senza prevenzioni …

Il Manifesto Bio “2030” del Sana di Bologna 2019 promosso da diversi Enti … nei suoi 10 punti contempla sia la valenza che le implicazioni del modello agro ecologico, caratterizzato da un approccio sistemico e “locale/solidale”, sia la necessità di innovare e sperimentare l’agricoltura di precisione, con i big data, i droni, i plantoidi, la genetica delle sementi, presentandole come il toccasana per risolvere i problemi dell’agricoltura convenzionale, il consumo di acqua, i farmaci, la produttività.

Il Festival Food & Science dell’ottobre 2020 a Mantova – promosso da Confagricoltura Mantova, ideato da FRAME – Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Regione Lombardia, Comune di Mantova, Camera di Commercio di Mantova, Syngenta, Gruppo Tea – si è interrogato sui diversi significati della parola Metamorfosi, intesa come respiro e flusso costante di ogni ecosistema, ma anche come trasformazione impressa dalla mano dell’uomo, con conseguenze sempre più difficili da controllare. Sarà l’occasione anche per riflettere sulle conseguenze e l’impatto dell’attuale emergenza sanitaria sia sul comparto agroalimentare, sia sui nostri stili di vita e di approccio all’ambiente. Tra medicina e agricoltura, alimentazione, tecnologia e innovazione, il Festival declina, attraverso conferenze, laboratori, mostre e spettacoli, il tema secondo molteplici prospettive, evidenziando quella più generale metamorfosi culturale che si rende sempre più necessaria, ovvero l’urgenza di rivedere il modo in cui interagiamo con la natura, di diventare attori capaci di scelte all’insegna della sostenibilità. Questo cambiamento è e sarà sia una sfida per il singolo e per la società sia un’occasione di scoperta del potenziale che spesso proprio le metamorfosi dischiudono.

Al proposito c’è un documento della Società Italiana di Genetica Agraria (SIGA), Considerazioni riguardo la tecnica del genome editing per il miglioramento genetico delle colture agrarie, 2016, www.geneticagraria.it. in cui si sostiene nel panorama dell’agricoltura “convenzionale una visione, nota come “intensificazione sostenibile” o “intensificazione ecologica”. Il concetto di “Sustainable Intensification” viene espresso per la prima volta nel 1997 da Gordon Conway, Presidente della Rockefeller Foundation dal 1998 al 2004. Nel suo libro dal titolo “The Doubly Green Revolution”: food for all in the 21th Century”, Conway prospetta di rigenerare la Rivoluzione Verde attraverso le tecnologie, sia quelle convenzionali che le biotecnologie, volte ad aumentare le rese in maniera ecologica per sostenere l’aumento della popolazione umana previsto fino al 2050.

Le strategie indicate per coniugare produttività e sostenibilità sono variegate, quali ad esempio l’agricoltura di conservazione, che minimizza l’impatto ambientale e il consumo di suolo, o l’”agricoltura di precisione”, che utilizza dati e strumenti digitali per rendere più efficienti i processi produttivi, o ancora il miglioramento genetico delle colture, che sfrutta le moderne biotecnologie agrarie per introdurre nelle piante caratteristiche ritenute desiderabili.

Una delle possibili risposte fornite dal mondo della ricerca, quella su cui sembra si stia concentrando la maggiore attenzione: la genetica applicata all’agricoltura È stata soprattutto l’invenzione del metodo CRISPR-Cas9, agli inizi degli anni Duemila (l’invenzione di questo metodo di “taglia incolla” dei filamenti di DNA è in realtà più recente: tra il 2012 e il 2013) a portare alla ribalta queste nuove tecnologie, che vengono da molti definite rivoluzionarie per le loro potenziali applicazioni.

Anche il miglioramento genetico può seguire diversi approcci. In particolare, negli ultimi decenni, accanto a quello “convenzionale” si è cominciato a diffondere un altro approccio detto “partecipativo-evolutivo”.

Il tema centrale è quello degli esperti scientifici e del loro ruolo nel dibattito pubblico italiano sulle biotecnologie agrarie oltre che l’importanza nella transizione verso un sistema agroalimentare più efficiente di non prescindere da una rivalutazione del ruolo dei contadini. Un approccio che sembra essere in grado di affrontare tutte queste problematiche e che sta guadagnando un consenso crescente tra gli agricoltori di tutto il mondo è l’agroecologia.

La transizione verso un sistema agroalimentare più efficiente non può prescindere da una rivalutazione del ruolo dei contadini. Un approccio che sembra essere in grado di affrontare in maniera “integrata” le problematiche di clima, agricoltura e cibo – appare sempre più chiaro il nesso strettissimo tra tutto questo “vivente” e noi stessi. (azienda biodiversa), e che sta guadagnando un consenso crescente tra gli agricoltori di tutto il mondo è l’agroecologia. Tale approccio sfrutta la naturale capacità degli organismi viventi di evolversi, invece che cercare di raggiungere lo stesso scopo attraverso tecnologie inventate dall’uomo. Ciò avviene seminando miscugli di semi con corredi genetici diversi, anche se della stessa coltura, popolazioni evolutive, che anno dopo anno, attraverso gli incroci che avvengono naturalmente, si evolvono a livello genetico adattandosi alle condizioni climatiche, al tipo di suolo e alle pratiche agronomiche del luogo di coltivazione. All’interno di una popolazione saranno le piante più adatte a prevalere man mano che il clima si trasforma, e “senza bisogno di sapere adesso quanto più caldo farà e quanto meno pioverà in futuro”. Esattamente l’opposto di ciò che accade in un campo di una varietà moderna, dove le piante sono tutte geneticamente uguali e quindi non possono evolvere, se seminate da sole. L’uniformità rende le colture incapaci di reagire alle variazioni dell’ambiente, e quindi più vulnerabili: è dimostrato, come sostiene S. Ceccarelli, in Mescolate contadini, mescolate, che la condizione fondamentale per adattare l’agricoltura ai cambiamenti climatici è proprio la diversità.

Si misurano anche posizioni diverse, ad esempio Luigi Cattivelli Direttore del Genomics Research Centre del CREA, sostiene che Il futuro dell’agricoltura non sarà solo di una cosa, l’agricoltura non è mai stata e in futuro sarà sempre di meno omogenea, perché le condizioni in cui fai agricoltura sono molto diverse. Occorre cogliere il fatto che deve per forza esistere una agricoltura variegata. Anche in un grande Paese agricolo come l’Italia, che ha un sacco di produzioni importanti per cui è grande nel mondo, deve per forza esserci un’agricoltura che ha molti aspetti, molte facce. È la diversificazione la parola chiave.

Paolo Barbieri nell’intervista / tesi di Elena Pomat Agricoltura sostenibile e biotecnologie di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici. Il ruolo degli esperti scientifici nel dibattito pubblico italiano, giugno 2018, sostiene che abbiamo tre frecce nella nostra faretra, quando parliamo di agrobiodiversità: la diversità genetica, quella di specie e quella di habitat. (esiste poi una diversità di aziende agricole) È possibile che determinati obiettivi si raggiungano più facilmente giocando sul livello di diversità genetica, in altri casi è più facile o più semplice o magari meno costoso arrivarci da un altro punto di vista, giocando per esempio l’altra freccia della diversità di specie, che vuol dire in senso pratico cambiare la rotazione delle colture in modo da far emergere la potenzialità produttiva del cereale o della coltura di riferimento che è importante per gli agricoltori. O più spesso ci si arriva attraverso una combinazione tra diversi tipi di diversità, attraverso per esempio il miglioramento genetico partecipativo, che si sposa all’implementazione in campo di alcune pratiche agroecologiche

Nelle nostre interviste a Valli Unite il tema della tecnica risulta essere poco trattato se non letto con un certo disagio, tra ipertecnologia e pre-modernità. Cosa dicono alcuni nostri testimoni in estrema sintesi lo si può leggere nell’articolo di Altronovecento, n. 42. Accenniamo ad alcuni testimoni e idee le cui posizioni si articolano posizionandosi storicamente e in relazione alle diversità dei contesti.

Dagli indirizzi, come nell’intervista a Brescacin, sui progetti di ricerca della Fondazione Ecor alle posizioni di Francesco Torriani (Progetto Bio cereals 4.0 MIPAAF): la digitalizzazione e il discorso dell’agricoltura di precisione con le sue forti e complesse implicazioni, culturali, etiche, politiche e professionali, organizzative. Dalle aperture della Coop. Terra e il cielo: “Ogni tecnologia va studiata per vedere i pro e i contro. Il drone che va a impollinare inquieta anche me, ma se va a misurare i confini può essere un metodo valido”, alla metafora di Irisbio della Mongolfiera: il cestello dell’agricoltura ancorato alla terra e guida del pallone-industria … Alle intransigenze come dice Antonio Corbari di Aiab “negli anni ‘80 c’erano gli intransigenti e quelli che lo erano meno …” o la storia dei poderi occupati di Renzo Garrone a Monte Peglia …

Va sottolineata la complessità della riflessione di esperti come Giorgio Nebbia e Pier Paolo Poggio e Alberto Berton in vari articoli su natura e tecnica in Altronovecento: La costruzione di filiere e di iniziative che hanno a che fare con la capacità delle comunità di favorire “ecosistemi sociali ed economici” favorevoli alla nascita e promozione di attività in grado di ricombinare risorse differenti, incrociare bisogni e desideri emergenti, fare alleanze. Le condizioni basilari riguardano la definizione di elementi di policies che stimolino ecosistemi favorevoli all’innovazione e inclusivi e la necessità di ripensare l’uso delle tecnologie e del digitale in maniera funzionale alle aziende e al contesto locale e non solo per aumentare il potenziale mercato. Sono questioni complicate che implicano da una parte la capacità di rappresentare in maniera complessa il territorio definendone la vocazione, la forza di rilanciare dispositivi di mediazione sociale che metabolizzino i flussi lunghi (informativi, economici, umani) che attraversano i luoghi e dall’altra la gestione dell’innovazione tecnologica, il guardare in faccia le tecnologie e la digitalizzazione. considerando inoltre i tempi del miglioramento genetico spinti, forzati da quelli del cambiamento ambientale.

Nei contesti di innovazione civica che operano secondo pratiche collaborative, di ricerca di nuove modalità di intermediazione – dopo qualche decennio di lodi alla disintermediazione – in un’inedita ottica di produzione di valore condiviso con la propria comunità e che rendono i luoghi capaci di realizzare sperimentazioni evolutive si devono affrontare contemporaneamente scelte di innovazione tecnologica e di superamento del difficile rapporto tra ecologia e tecnica come si è manifestato nel Novecento e come si presenta oggi nelle sue più dure implicazioni …

Al di là delle valutazioni strettamente scientifiche, sono state soprattutto considerazioni di carattere socio-economico ed etico a muovere , negli anni ‘90, gli oppositori delle piante transgeniche: organizzazioni non governative e ambientaliste, movimenti di cittadini e piccoli agricoltori, associazioni per i diritti dei popoli indigeni, che vedono negli OGM uno strumento con cui le multinazionali dell’agroalimentare controllano il mercato delle sementi e continuano a imporre un modello di agricoltura industriale palesemente insostenibile. Queste realtà, quasi sempre nate dal basso, difendono il diritto delle comunità locali alla sovranità alimentare, che per i contadini significa decidere cosa coltivare e a chi venderlo in base alle proprie esigenze e non a quelle delle aziende biotech.

Tuttavia il percorso è accidentato, e come afferma Michele Morgante, docente di Genetica all’università di Udine e direttore scientifico dell’istituto di Genomica applicata, richiamando il suo libro, I semi del futuro, è decisivo stabilire lo spartiacque tra mutagenesi tradizionale e non-tradizionale, e far si che ci sia un grosso sforzo congiunto tra mondo della ricerca e mondo della produzione per produrre da un lato quella “scienza” che ci consenta di sfruttare al meglio le potenzialità dell’editing per scoprire tutti quei geni che controllano le caratteristiche che vogliamo migliorare, e dall’altro lato è fondamentale che gli agricoltori accettino queste tecnologie e le comunichino correttamente ai consumatori. 

Le direzioni della genetica applicata: dagli anni ‘70 con i primi organismi transgenici – i prodotti delle biotecnologie agrarie come il pomodoro flava (Flavr-Savr) , la soia resistente all’erbicida roundup, il mais Bt resistente agli insetti, il golden rice – si è passati alla seconda generazione degli NBT, al genoma editing. Il CREA presenta il manifesto “Prima i geni”: liberiamo il futuro dell’agricoltura italiana.Con SIGA il manifesto “Prima i geni”, dodici tesi per dimostrare che le nuove tecnologie di miglioramento genetico devono rimanere accessibili a tutti l’agricoltura Italiana ha un’opportunità straordinaria per riscattarsi dalla crisi degli ultimi anni. Il manifesto “Prima i geni” vuole unire istituzioni, ricerca e mondo agricolo intorno a un obiettivo comune: far sì che le tecniche di genome editing individuino una via italiana all’innovazione in agricoltura.

Secondo gli scienziati italiani che hanno firmato nel 2017 l’Appello Prima igeni. Liberiamo il futuro dell’agricoltura, «il genome editing permette di “democratizzare” il miglioramento genetico, che è lo strumento principale per realizzare il modello agricolo da loro ritenuto desiderabile I pareri favorevoli alle nuove biotecnologie vengono dal mondo scientifico (Associazione nazionale biotecnologi italiani e singoli ricercatori) e politico (ministro delle Politiche agricole), con motivazioni inerenti soprattutto la competitività economica delle aziende italiane, la sostenibilità ambientale e l’adattamento al cambiamento climatico, mentre i giudizi più critici sono delle associazioni ambientaliste, che evidenziano i rischi e le incertezze legati agli OGM, oltre agli interessi commerciali che vi sottostanno.

Spunti per qualche domanda – piccola inchiesta sul dopo Covid

  • Sui valori, cultura:

Alcune priorità e pensieri cambiati da allora. Con che cosa non si è fatto i conti? Cosa dobbiamo portare con noi per abitare il futuro e cosa dobbiamo abbandonare?

Il contrasto tra OGM anni Novanta e il Crispr bio editing del 2000.

I terreni dello scontro. Quali istanze contrapposte quali alleanze possibili ritenete centrali e la necessità di costruire collegamenti con gruppi istituzioni e movimenti non solo riferibili ai soggetti contadini o agroindutriali (a movimenti quali Fridays For future, le Sardine, il Forum Uguaglianza e diversità, Consorzio Marchebio – Syquillà – Fondazione Ecor, Rete Humus, Consorzio Biodiversitas, Rete semi rurali) per influenzare i decisori dal basso e fungere da collegamento con la società, i ricercatori, praticando forme di comunicazione come i Festival, i Bioblitz dell’Associazione Biodiversitas secondo pratiche partecipative …

Sentiamo l’esigenza di comprendere il tempo che stiamo vivendo?

A che punto siamo sulla narrazione e le pratiche di sviluppo locale necessarie allo sviluppo dell’agricoltura biologica?

  • Sulle condizioni e prospettive:

Gli storici porranno all’attenzione a questo ventesimo secolo, più precisamente al decennio che è appena cominciato, così ha scritto Primo Levi nel risvolto di copertina del Il vizio di forma ( 1971):

Nel giro di pochi anni, quasi da un giorno all’altro, ci siamo accorti che qualcosa di definitivo è successo, o sta per succedere … Non c’è indice che non si sia impennato: la popolazione mondiale, il DDT nel grasso dei pinguini, l’anidride carbonica nell’atmosfera, il piombo nelle nostre vene. Mentre metà del mondo attende ancora i benefici della tecnica, l’altra metà ha toccato il suolo lunare, ed è intossicata dai rifiuti accumulati in pochi lustri: ma non c’è scelta, all’Arcadia non si ritorna, ancora dalla tecnica potrà venire l’emendamento del “vizio di forma”.

Le parole citate di Primo Levi tengono aperto il discorso e assegnano alla responsabilità delle persone e delle società una prospettiva di ricerca e di cambiamento tra scelte differenti.

(Note di Alberto Berton sulla genetica)

Per ragioni etiche, politiche ed economiche il movimento biologico dalla seconda metà degli anni ‘90 in poi ha fatto del NO agli OGM una sorta di bandiera (e di etichetta), ponendo un confine netto tra i metodi biologici e le tecniche di manipolazione genetica.

La recentissima scoperta di nuovi metodi di editing genomico (il CRISPR innanzitutto) sta creando delle tensioni provenienti sia dall’interno che dall’esterno del variegato mondo biologico. Urs Niggli, direttore del FIBL, il più importante istituto di ricerca in agricoltura biologica al mondo, si è di recente espresso a favore del CRISPR e del genome editing.

https://www.fibl.org/fileadmin/documents/it/cronaca/2020/bioattualita_1019_intervista_niggli.pdf

Niggli ha poi lasciato l’incarico di direttore che ha tenuto per 30 anni al FIBL:

https://www.fibl.org/it/infoteca/notizie/dopo-30-anni-il-direttore-del-fibl-svizzera-lascia-il-suo-incarico

È dal 2012 che la coppia Pamela Ronald, una genetista, e suo marito, Raoul Adamchak, un agricoltore biologico, promuove la visione di un agricoltura “ecologica” che unisce (come loro in matrimonio) agricoltura biologica e OGM.

https://oxford.universitypressscholarship.com/view/10.1093/acprof:oso/9780195301755.001.0001/acprof-9780195301755

Con l’arrivo delle New Breeding Techniques (NBTs) questa visione del matrimonio tra BIO e NBTs sta acquisendo diversi sostenitori all’esterno del mondo del biologico, che premono quindi sui suoi confini.

Il contesto generale è quello della storica sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha equiparato NBTs e OGM ai fini dell’etichettatura e della tracciabilità.

C’è chi dice che il BIO senza NBTs non potrà raggiungere gli obiettivi del Farm to Fork (la strategia Farm to Fork-F2F è il piano decennale messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente). In realtà il BIO soffre di una carenza strutturale di proprie sementi, utilizzando da decenni in deroga sementi convenzionali adatte alla agricoltura industriale e non a quella biologica. Questo a causa della totale assenza di una seria politica rivolta allo sviluppo di sementi per il biologico.

Alcune creature delle NBTs sarebbero difficilmente rintracciabili e quindi per il BIO, allo stato di fatto, senza etichettatura e tracciabilità, sarebbe impossibile garantire l’integrità del prodotto biologico come non OGM. In questo contesto, il biologico deveserrare i suoi confini ribadendo e rinnovando il divieto di OGM e NBTs. È importante inoltre (per l’integrità del prodotto biologico) etichettare e tracciare le sementi da NBTs (del resto equiparate ad OGM).

È del resto quello che sta avvenendo. La cosa positiva è l’apertura di rinnovate riflessioni circa il miglioramento genetico per il biologico.

Collegandomi al titolo di questo scritto, ricordo che Albert Howard e Gabrielle Matthaei, che formano la coppia di scienziati che avvia l’Organic Agriculture, erano dei genetisti, degli ibridatori.

Dopo qualche decennio di studio della genetica delle piante, i coniugi Howard rivoluzionano la ricerca focalizzandosi sul rapporto ecologico PIANTA-SUOLO, attribuendo alla corretta gestione della fertilità del suolo il pilastro di una agricoltura sostenibile, ovvero capace di riprodursi nel tempo senza esaurire le risorse che la sostengono.

Questo per sottolineare l’importanza del SUOLO, come del CLIMA, e quindi dell’ambiente, oltre che della PIANTA.

Ritornando al miglioramento genetico, credo che per il biologico oggi ci sia un enorme lavoro da fare utilizzando i metodi classici della selezione e dell’incrocio uniti alle nuove conoscenze che provengono dalla genomica e metodi AVANZATI quali il MARKER-AIDED SELECTION ( La selezione assistita da marcatori, nota anche come MAS, è una tecnica di selezione genetica applicata alle piante e agli animali che permette di migliorare caratteri d’interesse, attraverso l’impiego di marcatori morfologici, biochimici e genetici).

Trovo poi molto interessanti i metodi di miglioramento partecipato di Ceccarelli.

Sarebbe auspicabile inoltre una sperimentazione delle sementi volta alla loro valutazione delle nel senso della ECOLOGIA AGRARIA di Girolamo Azzi, che intende il rendimento come risultato dell’interazione tra PIANTA e AMBIENTE (dove ambiente è composta dal suolo e dal clima).

Insomma sarebbe auspicabile l’ecologia quella vera.

In realtà in Italia il nostro CREA, parlando di sostenibilità, sta investendo tutto su CRISPR e digitalizzazione. Contemporaneamente sta dissipando l’eredità di Draghetti e Azzi, i padri dell’agroecologia quella vera.