L’esperienza ecologista di Giorgio Nebbia

La sapienza e la consapevolezza ecologica di Giorgio Nebbia avevano origini lontane, con radici che affondavano solidamente nella ricerca e nel continuo nutrimento negli studi universitari.

Ma ancor più nella curiosità che li aveva mossi e che continuava ad alimentarli.

Ho appreso tutto questo dalla frequentazione, rada ma intensa, con lui.

Per me un Maestro, sin dal momento in cui, nel 1972, giovane liceale, decisi di mettere il mio desiderio di impegno e di militanza nell’associazionismo ambientale iscrivendomi alla Pro Natura.

Una decisione che ha poi segnato, via via, non solo il mio impegno militante, ma anche la mia vita fatta di conoscenza, consapevolezza, coscienza.

E che, sin da subito, mi ha fatto incontrare l’esperienza gandhiana della nonviolenza e di conseguenza dell’antimilitarismo.

Un insieme di convinzioni, maturate in un percorso che mi ha portato a incontrare persone determinanti, da Renzo Videsott a Bruno Peyronel, da Bruno Segre a Domenico Sereno Regis, da Valerio Giacomini a Dario Paccino, da Virginio Bettini ad Alex Langer.

Un cammino che mi ha illuminato e tra le personalità illuminanti ho incrociato, tra i primi, proprio Giorgio Nebbia e il suo pensiero razionale che rifuggiva l’emotività stimolata dalle situazioni aberranti che incrociavamo, con l’invito ad affrontarle con rigore logico e scientifico.

Era la stessa lezione di Valerio Giacomini, per evitare che il nascente ambientalismo che superava il naturalismo e proiettava verso l’ecologismo, si nutrisse di solidi riferimenti alle basi e all’insegnamento della scienza e alla critica della tecnocrazia.

Giorgio Nebbia è stato Maestro di ecologismo politico fondato sulle ragioni della scienza permeata tuttavia da coscienza, etica e morale.

Era, d’altra parte, il riflesso del suo percorso scientifico, umano e poi anche politico.

Giorgio mi diede la possibilità, nel 2016, di sintetizzarlo in un breve saggio-intervista Non superare la soglia edito dalle Edizioni del Gruppo Abele.

Vi raccontai il pensiero di un merceologo ecologista sul grande tema della ricerca di un futuro durevole e inclusivo. Fu per me uno specchio, e forse anche la ricerca di una conferma: che era valsa la pena dedicare decenni della mia vita all’impegno ecologista. Avevo seguito pulsioni giovanili che mai ebbero ad abbandonarmi. Ho sempre creduto e continuo a credere che non sia inutile battersi perché l’Umanità riesca infine a fare pace con il pianeta che la nutre e che continua ad avere la presunzione di poter dominare.

Ne è nato un modello sociale ed economico insostenibile perché basato su ingiustizia e ineguaglianza che sfrutta ed esclude i due terzi del pianeta che non hanno accesso a risorse e diritti fondamentali che si impongono come universali.

Questa constatazione è una delle cose che, non unico e non solo, Giorgio Nebbia ha portato nella mia consapevolezza giovanile.

Giorgio Nebbia, studioso e docente

Giorgio conosceva la lezione di quel gruppo di biologi e matematici incontratisi nella Parigi antinazista e antifascista. Una multinazionale di scienziati – l’americano Alfred Lotka, l’italiano Vito Volterra, il sovietico Georgy Gause, il russo-francese Vladimir Kostitzin – che descrisse con lucida preveggenza le leggi che regolano i rapporti delle diverse specie e popolazioni con il cibo e lo spazio disponibile, allertando sulla strada impercorribile – salvo il prevedibile collasso – che la società umana stava per imboccare accecata dalle “magnifiche sorti e progressive” che l’industrializzazione stava prospettando.

Crescita della popolazione, aumento delle attività economiche inquinanti e in progressiva erosione delle limitate risorse disponibili, indifferenza all’equilibrio tra questi parametri e predisposizione all’estinzione. Queste, sin da allora, le prospettive poco auspicabili per chi sapeva e voleva vedere.

Questi i segnali inquietanti da monitorare costantemente e da governare per sovvertire un destino altrimenti inevitabile la cui unica variabile erano i tempi nei quali si sarebbe manifestato.

Giorgio Nebbia coltiva questa consapevolezza da allievo di Walter Ciusa, docente di tecnologia dei cicli produttivi, ed inserisce il tema ambientale all’interno di una filosofia di pensiero e di azione che fa riferimento alla circolazione della vita.

Una concezione del rapporto tra l’Uomo e la Natura da cui scaturisce con forza l’insensatezza del concetto di crescita a oltranza, dogma dell’economia.

Sorge allora la necessità di indagare nuove strade che garantiscano alla nostra specie la continuità della vita da ricercare in una dimensione di armonia con l’ambiente che l’ha generata e in cui abita, ospite tra i tanti.

Ecco che emergono riflessioni sulla necessità di una decrescita, concetto proposto sino dal 1970 da Paul Erlich, ripreso due anni dopo da Georgescu Roegen, rafforzato dal Club di Roma con il noto rapporto sui limiti della crescita, perfezionato da Jacques Grinevald per l’antologia degli scritti di Georgescu Roegen e, infine, aggiornato da Serge Latouche e diffuso in Italia da Maurizio Pallante. Uno sforzo che se osserviamo i comportamenti individuali e sociali degli umani rischia di essere una fatica di Sisifo, giacché anche la nostra specie risponde alle leggi della crescita. È così che il suo destino appare segnato e destinato alla scomparsa così come evidenzia lo stesso Papa Francesco in una delle lettere a Eugenio Scalfari.

Giorgio Nebbia nel suo percorso di formazione approfondisce e constata la stretta connessione tra i comportamenti e il destino degli umani, già nel momento in cui, occupandosi di acqua, constata sin da allora come risulti risorsa tutt’altro che inesauribile; per questo esplora il tema della dissalazione, che utilizza l’energia solare, quale prospettiva da proporre per il futuro.

Quando, negli anni Settanta tiene il corso di merceologia all’Università di Bari si ispirerà al saggio Tecnica e Cultura di Lewis Mumford (1933) e subito dopo a La storia delle città dello stesso autore.

Nel Bollettino di Italia Nostra del 1976, con Alla ricerca di una società neotecnica, Giorgio Nebbia lancerà una provocazione intellettuale destinata a segnare un momento di riflessione importante che irrompe nel movimento ambientalista proponendo temi quali le risorse rinnovabili, il valore delle merci tra valore in se e valore di scambio…

Tema quanto mai vivo e attivo oggi nel momento in cui il conflitto in atto determinato dall’aggressione della Federazione Russa verso l’Ucraina coinvolge il mercato internazionale dei cereali (e dunque del cibo) rientrati tra le commodities. Nella globalizzazione guidata da un mercato che si immaginava potesse autoregolarsi (e si constata che così non è) queste risorse strategiche per la sopravvivenza di vaste aree del globo non possano essere gestite in termini di pure strategie di mercato e dunque di prezzi e di convenienze, indifferenti a doveri sovrani di solidarietà planetaria.

Giorgio Nebbia, divulgatore

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, quando quello che sarebbe diventato ambientalismo e poi ecologismo faceva riferimento alla consapevolezza che il naturalismo non era più sufficiente ma doveva richiedere interventi politici per difendere l’ambiente, apprendemmo l’importanza che il passaggio richiedeva solide basi scientifiche e conoscenze precise delle dinamiche ecologiche e delle conseguenze dei comportamenti umani – singoli e sociali – sulle stesse.

Fu un vento, che raggiunse l’Europa e il nostro Paese, spirato dagli Stati Uniti e dalla ricca letteratura che si sviluppò in quella stagione che Nebbia definì efficacemente «la primavera dell’ecologia».

Egli partecipa attivamente a questa “importazione” di conoscenza e di coscienza culturale e scientifica firmando introduzioni a opere importanti nella loro traduzione italiana, da La morte ecologica di Edward Goldsmith e Robert Allen a L’utopia o la morte di René Dumont a Far pace col pianeta di Barry Commoner.

Parallelamente conduce una personale azione divulgativa scrivendo in maniera continuativa su alcune testate nazionali, prima Il Giorno, Il Messaggero, poi La Gazzetta del Mezzogiorno ma collaborando anche a numerose altre testate da L’Unità a Il Manifesto, dal Liberazione a Il Mattino

Un impegno di cui sono testimonianza le undicimila schede bibliografiche sui temi ambientali ed energetici redatti per la rivista Inquinamento tra il 1977 e il 1994.

Ma non dobbiamo dimenticare il promotore di Cervia Ambiente o il direttore del quadrimestrale Ecologia politica: Capitalismo Natura Socialismo (preziose la pagine della rubrica Libri sommersi da lui curate) fino all’impegno nella Fondazione Meneghetti con Altronovecento.

A proposito di ambientalismo e di comunicazione, di recente Nebbia metteva in guardia sull’uso e sull’abuso di termini quali ecologia, sostenibilità, decrescita, tutti a rischio di banalizzazione. Un monito nei confronti del tentativo in atto di neutralizzare la presa di coscienza collettiva sui temi ambientali e sulla necessità di porre rimedio alle ferite sempre più profonde inferte all’ambiente naturale. Ciò avviene nei modi e nelle forme più diverse. Ad esempio con il fideismo tecnocratico, riferimento piuttosto ripetuto, teso a convincere della possibilità che i danni ambientali possano trovare rimedio sempre, comunque e ovunque ricorrendo alla ricerca scientifica o all’innovazione tecnologica. Sull’antinquinamento si è organizzato un vero e proprio profilo economico. Il primo tentativo su vasta scala di rassicurare sulle possibilità di guarire il pianeta dall’inquinamento con interventi disinquinanti si ebbe a Torino (1974) con “Environment ‘74” il primo Salone Internazionale sull’Uomo e l’Ambiente e sui problemi dell’energia. Il manifesto reca il disegno di una donna nuda inginocchiata che abbraccia il pianeta e lo slogan recita: «Uno spettacolo per tutti, un avvenire eccitante, una natura da sogno».

Fortunatamente restò l’unica edizione, sbugiardato subito dalla reazione del movimento ambientalista che mise subito in evidenza l’ipocrisia di chi avrebbe voluto continuare ad inquinare con la promessa che il settore del disinquinamento avrebbe posto rimedio alle gravi compromissioni ambientali arrecate.

All’epoca dell’impegno contro il nucleare fu la stessa politica partitocratica ad attaccare frontalmente il movimento ambientalista sia in maniera diretta con l’accusa di ecoterrorismo (vi fece ricorso più volte il Presidente del Consiglio Bettino Craxi), sia facendo nascere per partenogenesi dall’interno degli stessi partiti, costole pseudo ecologiste con l’obiettivo di contrastare l’ambientalismo indipendente, libero e democratico che sarà all’origine della nascita dei Verdi come soggetto politico nuovo.

Ormai iscritto tra i pionieri dell’ecologia di Giorgio Nebbia va segnalata l’importante partecipazione alla Conferenza di Stoccolma 1972 in rappresentanza del Vaticano, una collaborazione che durerà fino al 1977/78.

Aveva partecipato alla predisposizione dell’intervento della Santa Sede e tra i materiali preparatori un documento contiene la traccia e anticipa i grandi temi che saranno alla base dell’enciclica Laudato si’, vera e propria “carta” di dottrina sociale della Chiesa.

Ma l’amico Luigi Piccioni ci informa che purtroppo il documento non è stato sinora rintracciato. Ed è un peccato perché, con molta probabilità, potrebbe contenere in nuce gli argomenti poi inseriti anche in alcune Encicliche precedenti in cui appaiono, sia pure a volte in filigrana, riferimenti importanti al tema del rapporto dell’Uomo e delle sue attività con l’ambiente naturale e le risorse della Terra.

Nell’inarrestabile aggravarsi della condizioni del pianeta, oggi evidenziatesi con il drammatico riscaldamento planetario, dal Vaticano si è alzato un autorevole grido di allarme specifico proprio con l’enciclica Laudato si’ che fa continuamente riferimento al Creato ma che assume valore assoluto, ben oltre quello spirituale e metafisico.

Indubbiamente Giorgio Nebbia sarebbe stato un efficiente testimone della strategia ambientalista del Vaticano a guida papa Bergoglio. Dalla Laudato si’ a Fratelli tutti, sino all’impegno per L’Economia di Francesco, una delle voci oggi più autorevoli a sostegno di un ambientalismo radicale che si faccia carico di una rivoluzione etica che non può che partire da un’altrettanto radicale trasformazione dell’economia e delle dinamiche di mercato senza la quale tutto appare vano.

Un ambientalismo dell’impegno che produca una vera e propria conversione ecologica e che non si accontenti dei “bla bla bla” è la strada che Giorgio Nebbia e i suoi tanti discepoli presenti in molti soggetti ambientalisti hanno percorso e continuano a battersi perché sia imboccata da tutti i decisori politici, economici, informativi.

In tempi recenti, come accennato, è lo stesso abuso lessicale a sostenere il tentativo di snaturare termini nati proprio in ambito ecologista.

Ammoniva Giorgio Nebbia: «Ormai le parole “ecologia” ed “ecologico” sono entrate nel linguaggio comune per indicare le cose più svariate, in generale “cose buone”: la benzina ecologi- ca, le patate ecologiche, la casa ecologica, al punto che molti si sono dimenticati l’origine vera e il significato di ecologia». Allo stesso modo, commentava, nascono sia in ambito scientifico che umanistico discipline cui è appiccicato, di volta in volta, l’aggettivo ecologico quasi ad accreditarsi con la tendenza in atto di porre attenzione al tema ambientale.

Lo stesso accade oggi per sostenibile, al punto che tutto è sostenibile; al termine ecosistema applicato a dimensioni le più improbabili e, ancor più di recente a transizione ecologica e a resilienza.

Un fenomeno di banalizzazione che ha indotto CasaComune (l’iniziativa nata dal Gruppo Abele e da Libera per diffondere il messaggio e le pratiche dell’enciclica Laudato si’) a redigere un elenco di parole manipolate, esautorate dal loro significato, rubate, che ha definito “parole trappola”: biologico, green, resilienza, riciclare, sostenibile, transizione ecologica; altre invece (compensazione, crescita, emergenza) sono state inserite tra quelle “pericolose” per la loro equivocità.

Da riscoprire, invece, quelle della conversione ecologica: bonifica, conversione, cura, limite, riconversione, vincolo.

La messa in guardia sulla banalizzazione dell’ecologia si configura un po’ come eredità intellettuale del Giorgio Nebbia ambientalista. Un avvertimento per non lasciare che si ingannino i cittadini, la comunità, un invito a fare opera di controinformazione e, dunque, di verità.

Giorgio Nebbia politico

Iscritto e dirigente del WWF, di Italia Nostra, di Pro Natura non fece mai mancare il suo contributo anche con scritti di approfondimento e di riflessione sulle relative testate informative.

C’è però un momento in cui il coinvolgimento nell’associazionismo, nella testimonianza, nell’impegno didattico e divulgativo, nella militanza movimentista, non appaiono più sufficienti.

Una molla spinge verso l’impegno politico, lo scenario che, solo, sembra offrire prospettive perchè idee, ideali e partecipazione, possano portare a qualche risultato.

Bisogna sporcarsi le mani in un contesto che viene descritto come poco raccomandabile ma che, alla fine è l’unico dal quale possono venire azioni concrete per dare prospettive alle speranze.

L’ho pensato quando mi sono speso per la nascita dei Verdi anche nel nostro Paese dopo che già si erano costituiti come soggetti politici in Germania e Francia.

La stessa convinzione doveva averla maturata Giorgio Nebbia, tuffatosi in politica dal 1983 al 1992, prima alla Camera dei Deputati poi al Senato della Repubblica, come Indipendente nelle liste della sinistra. Negli stessi anni (1985-87) non mancò di impegnarsi nel Consiglio Comunale di Massa Carrara per la battaglia contro la Farmoplant e subito dopo la vittoria nel referendum locale si dimise.

Fu riferimento prezioso nell’impegno antinucleare spendendosi sui territori dei siti destinati agli impianti previsti dal Piano Energetico Nazionale: Avetrana/Carovigno, Montaldo di Castro, Viadana.

Un impegno tutto giocato su un’opposizione basata su rigorose e solide basi scientifiche, ma destinato a risultare vincente solo grazie al tragico incidente di Chernobyl del 1986, che suggellò il risultato del Referendum dell’anno successivo.

Il Movimento antinucleare poggiava le sue argomentazioni sul contributo di specialisti quali Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Virginio Bettini, Floriano Villa, Gianni Silvestrini, Fabrizio Giovenale, Mario Fazio e tanti altri che si opposero contestando con metodo e dati scientifici le prospettive messe in atto con il Piano Energetico Nazionale del 1974 che prevedeva 20 mila MegaWatt di potenza nucleare entro gli anni Ottanta.

Per opporsi a questa prospettiva, ad alto rischio, nel giugno del 1977 nasceva il Comitato di lotta antinucleare per l’energia popolare che come alternativa alle scelte governative proponeva il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, a cominciare dal solare e dall’eolico.

Prospettive trattate con sufficienza quando non derise. Così abbiamo pagato ritardi di decenni, scelte energetiche ci affrancherebbero, oggi, almeno in parte dalle dipendenze dai paesi produttori e, soprattutto, sarebbero utili alle politiche di resilienza nei confronti del riscaldamento del pianeta e dei consumi climalteranti.

Ancora nel maggio del 2008, in carica il quarto Governo Berlusconi, si insisteva nella costruzione di un gruppo di centrali nucleari di presunta nuova generazione, sicure, competitive, nel rispetto dell’ambiente (?), la cui prima pietra si sarebbe dovuta porre nel 2013.

Il Movimento antinucleare poggiava su solide basi scientifiche garantite da personalità come Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Virginio Bettini, Floriano Villa, Gianni Silvestrini, Fabrizio Giovenale, Mario Fazio, e tanti altri che si opposero contestando con metodo e dati scientifici le prospettive messe in atto con il Piano Energetico Nazionale del 1974 che prevedeva 20 mila MegaWatt di potenza nucleare entro gli anni Ottanta.

Per opporsi a questa prospettiva, ad alto rischio, nel giugno del 1977 nasceva il “Comitato di lotta antinucleare per l’energia popolare” che come alternativa alle scelte governative proponeva il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, a cominciare dal solare e dall’eolico.

Prospettive trattate con sufficienza quando non derise. Così abbiamo pagato ritardi di decenni, scelte energetiche ci affrancherebbero, oggi, almeno in parte dalle dipendenze dai paesi produttori e, soprattutto, sarebbero utili alle politiche di resilienza nei confronti del riscaldamento del pianeta e dei consumi climalteranti.

La retorica, falsa e non supportata da alcun dato scientifico, delle nuove generazioni sicure, pulite e dunque ambientalmente compatibili, perdura tuttora, nucleare di fissione compreso. Siccome si pone in questa occasione l’enfasi sulla militanza anti nuclearista di Giorgio, vale qui la pena sottolineare che il nucleare che sembrava essere sconfitto da un referendum popolare, sta infatti tornando in circolazione e i suoi avvocati lo presentano oggi come la soluzione ecologica, senza anidride carbonica e effetto serra, per produrre elettricità. E parlano, sconsideratamente, di nuove generazioni pulite ben al di là da venire.

Resta da aggiungere che oggi, con il tragico fragore delle armi nel cuore dell’Europa, dovremmo impegnarci, con ancora più determinazione per la messa al bando del nucleare militare. Un terreno di lotta in cui pacifismo e ambientalismo trovano un naturale anello di congiunzione.

Invece, nel secondo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato Internazionale per la messa al bando delle armi nucleari – adottato dall’Onu il 7 luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021 – ancora una volta dobbiamo chiedere al nostro Paese di ratificarlo.

Giorgio Nebbia si pronunciò anche, in tempi più recenti, su analoghi insensati progetti. Ad esempio il traforo di base tra Italia e Francia per l’Alta Velocità Ferroviaria, che lo ha visto schierato a fianco dei protagonisti della protesta No Tav in Valle di Susa. E la sua opinione, nettamente negativa, si è fatta sentire anche per il progettato ponte sullo Stretto di Messina.

Giorgio Nebbia storico

«Il passato è prologo» è l’arguta e pluricitata frase che William Shakespeare fa pronunciare ad Antonio ne La Tempesta e che è stata riprodotta sul frontone degli Archivi Nazionali di Washington.

Fu spesso citata da Giorgio Nebbia che intuì la necessità e l’importanza di storicizzare le azioni del movimento ambientalista destinate alla dispersione a causa dei numerosi soggetti, a volte numericamente esigui e spesso effimeri, impegnati nelle mille e mille battaglie per difendere l’ambiente naturale.

Scrisse così, nell’introduzione al mio volume nel quale avevo deciso di raccontare la storia della Pro Natura che mi aveva accolto negli anni del Liceo:

Abbastanza curiosamente il movimento di difesa della natura e dell’ambiente rischia di non lasciare una sua storia. Decenni di lotte per salvare un bosco o contro una raffineria, per difendere una spiaggia o contro le centrali nucleari, o per la creazione e la difesa di un parco, sono ormai confinati spesso nella mente e nel ricordo dei protagonisti, in qualche articolo di giornale, benché abbiano avuto, nel momento della lotta, grande risonanza ed abbiano risparmiato al paese errori, danni maggiori, costi economici. Va salutata perciò con gratitudine una storia di un pezzo importante del movimento di difesa della natura, del movimento “ecologico”, per usare un termine che, nonostante la sua ambiguità, è forse più comprensibile all’opinione pubblica. (…) In genere all’inizio si aggregano piccoli gruppi di persone di cultura medio-alta, di orientamento politico progressista, che identificano e propagandano dei “valori” estranei alla cultura e al potere dominante: il valore del verde, della natura, degli animali che con noi dividono questo pianeta; ma anche i valori della nonviolenza, di nuovi diritti che non hanno ancora spazio nei codici tradizionali. (…) All’interno dei gruppi e delle associazioni esiste una grande mobilità: capita così che l’attenzione per un problema dopo qualche tempo diminuisca anche perché i militanti del movimento ecologico sono volontari e spesso abbandonano l’impegno originale per dedicarsi o ritornare al lavoro, agli studi, alla professione. Gli avversari, gli inquinatori, i saccheggiatori del territorio hanno studiato attentamente questa dinamica e sanno che se soltanto hanno pazienza, la contestazione scompare e gli lascia mani libere per le loro azioni contro l’ambiente. Gli stessi avversari sanno bene utilizzare il linguaggio della contestazione ecologica per mascherarsi da amici della natura; non abbiamo forse le benzine e le merci ecologiche e verdi? non vediamo i grandi inquinatori proporsi come disinquinatori e sponsorizzare iniziative ecologiche? o non si sono visti, come assessori all’ambiente, uomini politici che sono stati ciechi davanti agli attentati alla natura, quando non li hanno addirittura promossi? (…) la presente opera è stata realizzata perché l’autore ha potuto mettere le mani negli archivi di Pro Natura Torino, e perché questi archivi esistono.

Purtroppo questa è una situazione abbastanza rara: gran parte della documentazione, dei ciclostilati-in-proprio, dei manifesti di molte lotte sono andati perduti. Credo che sarebbe utile avere un archivio storico nazionale del movimento ecologico, del tipo di quelli del movimento operaio o delle lotte di Liberazione; ci hanno provato, finora senza successo, la fondazione CerviaAmbiente; il Centro di studi ambientali di Pietrasanta; un Centro di iniziativa sui fiumi, vissuto qualche anno a Jesi e poi defunto. La sopravvivenza della capacità di lottare per la difesa dei valori naturali – e perciò umani – compromessi dalla speculazione, dalla avidità, dalla sete di profitto, dipende dalla capacità di ricordare e conoscere le lotte passate, di riconoscere anche le raffinate tecniche del nemico. Solo per fare un esempio, il nucleare, che sembrava sconfitto da un referendum popolare, sta tornando in circolazione e adesso i suoi avvocati lo presentano come la soluzione ecologica, senza anidride carbonica e effetto serra, per produrre elettricità! (…) Il libro di Walter Giuliano è, per quanto ne so, il primo del genere in Italia e si pone sulla scia dei libri americani di storia dei movimenti popolari. (…) va perciò salutato come un importante contributo alla conservazione della memoria storica di una delle pagine più interessanti delle lotte civili e democratiche in Italia. E chi sa che, dopo averlo letto, qualche ente pubblico o fondazione investa un po’ di spazio e di soldi per la raccolta del molto materiale di documentazione delle lotte ecologiche che rischia di andare disperso.

Da allora sono scesi in campo molti specialisti. Storici che, con metodo, hanno cominciato ad occuparsi della storia del movimento ambientalista, un impegno diffuso e disinteressato che, per decenni, ha seminato conoscenza nelle scuole, nelle pubblica informazione, tra le classi dirigenti e politiche tra i cittadini, con la speranza che si trasformasse in consapevolezza e coscienza.

Molti risultati sono stati ottenuti, dalla difesa del territorio con l’istituzione delle aree protette che salvaguardano oltre il 10% dei paesaggi e della biodiversità della penisola, alla difesa dei fiumi, del mare, del patrimonio storico culturale, delle città soffocate dagli inquinamenti.

Ancora troppo poco. Ma a questo dobbiamo aggiungere quel che si è seminato e che mantiene vivo e alimenta un movimento che non difende interessi particolari, ma la salute, il benessere e il futuro di tutti i cittadini. Vedere le generazioni più giovani aggregarsi nelle battaglie contro il riscaldamento del pianeta e per l’ambiente, attorno alla figura simbolica di Greta Thunberg, per chiedere atti concreti per fermare le emissioni di CO2 ed evitare l’estinzione della specie umana, lascia nel cuore e nella mente uno spiraglio di speranza ed alimenta lo stimolo ad esserci ancora, sempre.