L’imbroglio ecologico
Recensione a: Dario Paccino,“L’imbroglio ecologico”, Einaudi, 1972
Ecologia, 2, (7), 45-46 (novembre 1972)
Poche scienze come l’ecologia hanno malauguratamente degli addentellati con certi problemi pratici quali la conservazione dell’ambiente, lo studio degli inquinamenti, la sovrapopolazione umana, ecc. È per questo motivo che l’ecologia a differenza di tante altre scienze (direi quasi di tutte eccezion fatta per la fisica nucleare che ha permesso la creazione e l’impiego delle bombe termonucleari, e prima ancora di quella atomica) è chiamata spesso sotto accusa dagli ambienti più disparati. Ma mentre all’estero l’ecologia ha potuto svilupparsi in santa pace ed assumere un ruolo di scienza interdisciplinare di grande importanza, da noi non è ancora nata (c’è appena da un anno scarso una cattedra di ecologia :n una facoltà di scienze) e già tutti le saltano addosso incolpandola di tutti i delitti.
È questo il caso dell’«Imbroglio ecologico» di Paccino. Dice Cragg in “Nature” (vol. 236. 31 marzo 1972, p. 240) nella recensione del libro di Mc Hale «The ecological context»: «naturalmente quando si mette l’accento sulla parola ecologico nel titolo, io ho cercato dell’accuratezza nel contenuto ecologico del libro… Forse io ho assunto una visione troppo pessimistica dei pericoli che minacciano l’ecologia ora che essa è entrata nel dominio pubblico. Ma se l’ho fatto è perché credo che mentre essa ha molte lezioni per quelli interessati nella cura dell’ambiente, coloro che la dispensano non dovrebbero dimenticare i suoi limiti”. Lo stesso potrei dire io – senza con ciò volermi confrontare con un Cragg – a proposito dell’opera di Paccino.
Mi pare sia pretesa piuttosto ambiziosa quella di «sunteggiare la storia naturale (termine che l’autore preferisce – come vedremo dopo – all’ecologia) e quale dovrebbe essere insegnata nelle scuole dell’obbligo e secondaria come complemento della storia umana». Tanto più ambiziosa e strana in quanto l’autore – per quanto mi risulta – non è laureato in Scienze o materie affini che gli permettano di insegnare osservazioni scientifiche o scienze nella scuola secondaria. È errato dire (p. 11) che i viventi lasciano il posto ai loro discendenti: nel caso degli alberi la durata della vita dell’individuo, limitatamente ai suoi tessuti embrionali, non ha proprio limite (Tonzig, 1948, p. 1115); del resto le Briofite del genere Sphagnum in pratica continuano ad accrescersi senza che ci sia vera morte dell’individuo; lo stesso vale per gli stoloni di piante fanerogame.
Nemmeno tutti i viventi si riproducono: le caste degli insetti sociali non sono destinate alla riproduzione e pure sono degli esseri viventi. A pag. 12 dice che Bates sembra identificare ecologia e storia naturale: a parte il fatto che Bates, con tutto il rispetto dovutogli, non è una delle massime autorità mondiali in fatto di ecologia, la sua frase (almeno come è riportata da Paccino, in quanto non ho potuto perder il mio tempo per cercare il lavoro originale) è curiosa, perché dice: «Eppure sono due loro denominazioni per esattamente lo stesso oggetto, più o meno». Se è esattamente, non può esser più o meno, mi pare.
Forse si riesce a comprendere l’oscuro pensiero di Paccino in quanto egli (p. 12) per storia naturale intende biologia (o scienze biologiche), che realmente si occupa dei fenomeni e realtà da lui elencati (protoplasma, cellule… ecosistemi, biosfera), ma non vedo perché si tiri in ballo la storia naturale, che non vuol dire niente assolutamente e che nella migliore delle ipotesi comprende anche il mondo anorganico (compresa I’astronomia) che poco o punto ha a che vedere con l’ecologia.
Nego che i livelli ecologici di organizzazione siano l’altra faccia della stessa medaglia rispetto ai livelli biologici di organizzazione, perché mentre un organismo non può esser fatto a pezzi e sopravvivere, una comunità o una popolazione possono anche essere smembrate o suddivise ed i loro componenti possono benissimo continuare a vivere pacifici ed indisturbati, al caso ricostituendo, dopo un certo tempo, la popolazione o la comunità.
Il termine «bioecologico» usato molto spesso dal Paccino (da pag. 14 in poi) è per lo meno ridondanza, perché l’ecologia tratta solo di esseri viventi. È errato dire che nell’humus troviamo le rocce: l’humus è una parte della sostanza organica presente nel suolo, e solo in singoli casi (come quello del mull) l’humus è mescolato ad una certa quantità di parte inorganica, ma non rientra nella definizione di humus la parte inorganica del terreno. Le rocce per definizione non possono essere incandescenti (p. 17): la lava incandescente non è ancora una roccia. A pag. 28 si dà eccessiva importanza al manto forestale come modificatore del clima: mai la presenza di alberi può determinare da sola maggiori precipitazioni sì da cambiare un clima, diciamo da quello della macchia mediterranea – usando l’esempio scelto dal Paccino – a quello della foresta temperata decidua o di altro tipo.
Nego che biologia ed ecologia siano astratte (p. 35): l’autore dimentica l’esistenza di una biologia e di un’ecologia applicate. Errata è l’affermazione che «raramente chi tratta di ecologia nei suoi riflessi sociali si riferisce ad uomini reali, operanti nelle diverse società storiche»; quando Moroni studia la consanguineità delle isole Eolie parla di uomini reali; quando io ho studiato assieme ad un urbanista l’ecologia umana dei Colli Euganei mi sono riferito a gruppi di lavoratori in carne ed ossa e Galpin nel suo saggio del 1915 sulla sociologia rurale parla di una realtà molto concreta.
Apodittica mi sembra la frase (p. 14) a proposito della cessazione delle esplosioni nucleari del sole: «il giorno che cesseranno cesserà la vita sulla terra». Ma dove l’autore dimostra veramente di non intendersi di biologia è allorché considera il cancro (pag. 145) come dovuto tout court a delle mutazioni, si che per lui ci sono mutazioni genetiche parallele a quelle oncogene, e sostanze mutagene oncogenetiche. Purtroppo l’eziopatogenesi del cancro non si conosce ancora e quindi attribuire tutte le forme di cancro a delle mutazioni è assai poco corretto da un punto dì vista scientifico. E che si tratti di una profonda convinzione dell’autore è dimostrato dal fatto che ci ritorna a pag. 179, dove dice chiaramente che i cancerogeni sono dei mutageni.
A pag. 186 Paccino, dimostrando di aver idee assai poco chiare in fatto di ecologia e di ecologi, dice che l’ecologia «non è la scienza delle scienze, e tanto meno il nuovo vangelo politico, ma semplicemente storia naturale e tutela dell’organizzazione ambientale per la sopravvivenza e la salute delle presenti e future generazioni». Nessuno di noi ecologi (veri) dice che l’ecologia è la scienza delle scienze, e secondo me non è compito dell’ecologia (o per lo meno non compito precipuo) la tutela dell’organizzazione ambientale. Esiste se Paccino non lo sa un’igiene ed una igiene del lavoro, fino dal 1945 esisteva un’igiene coloniale, esiste un’igíene scolastica, ecc. ecc. che se fatte seriamente e da persone preparate assommano in sé gran parte di quelli che Paccino e tanti altri come lui (vedi le mie recensioni ai libri di Nicholson e di Ghiglioni) dovrebbero essere a tutti i costi compiti dell’ecologia.
Già nell’introduzione cogliamo qualcosa di stridente o di falso: perché l’ecologo deve avere i piedi sulla terra e le altre scienze, come l’astronomia, la cibernetica, la citologia, la stessa genetica pura e la stessa fisica pura possono occuparsi di quello che vogliono, senza che I’ultimo arrivato gli venga a dire quello che devono fare ? È forse l’ecologo più disgraziato degli altri studiosi, o il più importante? Ronfani dice infatti che l’ecologia è scienza di prima necessità, ma io lo nego, come si può vedere dal mio articolo scritto in questa rivista (n. 2, 1 novembre 1971, p. 1).
Nell’insieme il libro di Paccino può essere considerato più che altro una messa a punto, in un contesto politico che ovviamente non tutti accettano, degli aspetti sociali, politici ed economici dell’ecologia applicata alla protezione dell’ambiente sia naturale che umano e alla conservazione in generale del pianeta Terra. Il titolo è però molto vago: l’ecologia è una scienza e come tutte le scienze può essere applicata bene o male, a seconda della coscienza e della preparazionedi chi la applica. Non solo, ma essa rimane scienza e oggi per fortuna in rapida espansione (l’Italia purtroppo rappresenta un’eccezione) anche se non tutti gli ecologi tengono i piedi sulla terra per fare un piacere a Paccino.
Per concludere, Paccino usa l’ecologia per attaccare un sistema polìtico – quello capitalistico – facendo passare l’ecologia per un frutto di questo sistema che serve solo al padrone (l’imbroglio ecologico)((Vedi anche il cenno all’opera di Paccino fatto da «L’Arena» del 9 luglio 1972 a cura di A. Berardinelli)). Che ci sia gente o governi che si servono dell’ecologia per i loro scopi più o meno personali, bassi o no, è sicuro. Ma mischiare politica e scienza come fa Paccino mi sembra eccessivo. È solo da dire che è un peccato che l’ecologia si presti o si sia prestata ad essere strumentalizzata e commerciata da gente che non sapeva nemmeno cosa significasse la parola ecologia. Ma la colpa è anche del pubblico che ci ha creduto.
È solo da augurarsi che in Italia si cominci a fare dell’ecologia «vera», che non è nè fascista nè socialista, come non sono fasciste o socialiste la genetica, la fisiologia o la biochimica. E per finire mi sia lecito ricordare ancora una volta Cragg, secondo il quale «i libri su soggetti ambientali sono così numerosi che essi pongono la minaccia non tanto agli alberi che forniscono la carta, quanto alla credibilità degli environmentalists. Il risultato è che la legittima preoccupazione di mantenere un certo grado di qualità dell’ambiente corre il rischio di essere ignorata causa asserzioni esagerate o per lo meno non provate che ricevono tanta pubblicità».