L’industria del latte inquinato

La “pandemia silenziosa”

Un’estesa letteratura scientifica documenta da anni come con l’industrializzazione sia profondamente mutata la patogenesi anche nel nostro Paese: questa rivoluzione epidemica, consistente in una drastica riduzione delle tradizionali malattie acute infettive e in un altrettanto significativo incremento delle patologie cronico-degenerative (neoplastiche((Un primo importante studio generale che cerca di fare il punto sul rapporto tra tumori e inquinamento nel caso italiano è quello pubblicato dai medici oncologi: AA.VV., Progetto ambiente e tumori, Milano, Associazione italiana di oncologia medica, 2011. https://www.aiom.it/ambiente-e-tumori/)), neuro-degenerative, endocrino-metaboliche, cardiocircolatorie, immunomediate), appare sempre più chiaramente correlata alla repentina alterazione dell’ambiente prodotta dall’uomo((Su questa mutazione epidemica avvenuta a cavallo del “miracolo economico” si veda S. Luzzi, Il virus del benessere. Ambiente, salute e sviluppo nell’Italia repubblicana,Laterza, Roma-Bari 2009. Fondamentale per una prima analisi planetaria sistematica della relazione tra salute e ambiente è il primo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, pubblicato nel 1992, cui diede un importante contributo l’epidemiologo italiano Lorenzo Tomatis, in qualità di direttore della iarc: oms, Il nostro pianeta la nostra salute. Rapporto della Organizzazione Mondiale della Sanità su salute e ambiente, Città di Castello, Editoriale Eco, 1992. La recente epidemia o sindemia da sars-cov2 non sembra smentire il rapporto con la compromissione ambientale: su questo aspetto, fin da subito, ricercatori che lavorano al Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (unep) hanno messo insieme sei dati fattuali scientifici estremamente eloquenti. Cfr.: unep, Six nature facts related to coronaviruses, 8.4.2020. https://www.unenvironment.org/news-and-stories/story/six-nature-facts-related-coronaviruses.)).

Negli anni recenti sono giunte ulteriori importanti conferme scientifiche del potenziale “antibiologico” di diversi composti chimici largamente diffusi in ambiente che, oltre a danneggiare in generale il vivente, sono spesso presenti anche negli alimenti e insidiano direttamente la salute umana. Si tratta di un’azione molto subdola, non riducibile al consolidato schema “esposizione = insorgenza di tumori o altre patologie”: uno studio pubblicato sulla rivista “Teh Lancet”, nel 2006, riporta “prove epidemiologiche di deficit neurocomportamentali nei bambini con esposizioni prenatali a concentrazioni non tossiche per gli adulti. Per piombo, metilmercurio e pcb, la diffusa neurotossicità subclinica è stata documentata a livello internazionale”, e prosegue:

L’evidenza combinata suggerisce che i disturbi neurosviluppo-mentali causati da sostanze chimiche industriali hanno creato una pandemia silenziosa nella società moderna. Anche se queste sostanze chimiche potrebbero aver causato un alterato sviluppo cerebrale in milioni di bambini in tutto il mondo, i profondi effetti di una tale pandemia non sono evidenti sulla base delle statistiche sanitarie disponibili. Inoltre, come dimostrato da questa rassegna di studi, sono state riconosciute solo poche cause chimiche, per cui i pieni effetti delle nostre attività industriali potrebbero essere sostanzialmente maggiori di quelli attualmente riconosciuti. […] Le conseguenze di una pandemia di neurotossicità dello sviluppo vanno oltre i dati descrittivi per l’incidenza e la prevalenza di disturbi clinicamente diagnosticati. L’aumento del rischio del morbo di Parkinson o di altre malattie neurodegenerative è un’ulteriore potenziale conseguenza della pandemia. […] L’ampia portata dell’esposizione umana alle sostanze inquinanti sta ora diventando evidente dopo la raccolta sistematica di dati sulle quantità di queste sostanze presenti nell’ambiente e nei tessuti umani.

Tuttavia, il riconoscimento delle associazioni causali potrebbe essere difficile perché le esposizioni variano nel tempo, più di una sostanza potrebbe avere un effetto, la vulnerabilità individuale varia e altri fattori possono influenzare gli studi epidemiologici verso l’ipotesi nulla, soprattutto quando il risultato potrebbe non essere riconosciuto per diversi anni, o addirittura decenni. La popolazione a rischio di neurotossicità subclinica da sostanze chimiche industriali è molto vasta((P. Grandejean, P.J. Landrigan, “Developmental neurotoxicity of industrial chemicals”, www.thelancet.com, 8.11.2006.)).

È la prima volta che viene coniato il termine “pandemia silenziosa” che da allora verrà ripreso e sviluppato evidenziando come i danni a livello epigenetico possono essere trasmessi per via ereditaria anche alle successive generazioni((La “pandemia silenziosa” verrà ripresa nel 2007 dalla Harvard School of Public per indicare le trasformazioni (epi)genomiche che avvengono nelle prime fasi di sviluppo del feto e del bambino per l’esposizione a metalli pesanti e ad interferenti endocrini quali ipa, diossine, pcb. Cfr. E. Burgio, “Pandemia silenziosa. Trasformazioni ambientali, climatiche, epidemiche”,in “Scienza e Democrazia/Science and Democracy”,www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem (2008). Ernesto Burgio, pediatra, si è particolarmente dedicato agli studi di epigenetica e biologia molecolare, come presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale, costituitasi nel 2015, e membro del consiglio scientifico dell’European Cancer and Environment Research Institute di Bruxelles. http://eceri-institute.org/en/eceri-scientific-board_24.html.)). In seguito verranno aggiunti ulteriori approfondimenti sui cosiddetti interferenti endocrini. Si tratta di un gruppo numeroso di sostanze chimiche (mercurio, arsenico, diossine, pcb, alcuni pesticidi e farmaci…) che possono alterare il normale equilibrio ormonale, accendendo, spegnendo oppure modificando i segnali inviati dagli ormoni e causando effetti avversi in un organismo, nella sua discendenza o in un sotto gruppo di popolazione. Occorre infatti tener presente che il sistema endocrino partecipa al controllo e alla regolazione di numerose funzioni fisiologiche dell’organismo quali la riproduzione, l’immunità, il metabolismo e il comportamento. Questi sono alcuni aspetti tipici dell’azione tossica particolarmente insidiosa di questi interferenti endocrini: provocano effetti sul tessuto o su un organo, anche a dosi più basse di quelle che causano tossicità generale; hanno un effetto più marcato a seconda del periodo della vita in cui l’organismo è esposto, ad esempio nei periodi critici in cui il sistema endocrino svolge un ruolo chiave come la gravidanza, lo sviluppo, l’accrescimento; la comparsa degli effetti può avvenire anche in periodi della vita diversi da quelli in cui è avvenuta l’esposizione, ad esempio per una esposizione durante le vita fetale potrebbero manifestarsi effetti nel periodo della pubertà; si può verificare la trasmissione dell’effetto anche alle generazioni future; di fronte all’esposizione della popolazione a varie sostanze chimiche è ancora poco noto l’effetto miscela((issalute, Interferenti endocrini, Roma, 19.6.2019. https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/i/interferenti-endocrini#link-approfondimento)). Va annotato che in alcuni tra i siti industriali più inquinati una recente indagine epidemiologica sviluppata dall’Istituto superiore di sanità ha preso in esame gli interferenti endocrini e quattro tumori maligni endocrino-correlati (alla tiroide, al testicolo, alla prostata e alla mammella), rilevando il maggior numero di eccessi statisticamente significativi dei tumori in studio nei siti Brescia Caffaro, Porto Torres e Taranto (per tre tumori), Bacino del Chienti e Laghi di Mantova (per due tumori, non statisticamente significativo per un tumore)((Interferenti endocrini e tumori maligni endocrino-correlati, in sentieri. Quinto rapporto, in “Epidemiologia & Prevenzione”, a. 43, n. 2-3, marzo-giugno 2019, p. 177.)).

Dunque la “pandemia silenziosa” causata da sostanze chimiche tossiche starebbe agendo proprio avvelenando lentamente le radici della vita. Nello scenario delle “pandemie” da inquinamento si potrebbe inscrivere anche il fenomeno, rilevato solo recentemente, di micro residui di plastica diffusi in tutte le acque superficiali e di falda fino a contaminare la stessa acqua che beviamo. Recentissima è la scoperta della presenza delle microplastiche anche nell’organismo umano a opera di ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam che hanno analizzato campioni di sangue di 22 donatori anonimi, tutti adulti sani, trovandovi particelle di plastica in 17 di loro: la metà delle provette conteneva plastica pet, un terzo polistirene e un quarto polietilene e alcuni dei campioni anche due o tre tipi insieme. La scoperta mostra che le microplastiche possono depositarsi nei nostri organi: un dato che preoccupa, considerati i danni che possono causare alle cellule umane((H. A. Leslie, M. J. M. van Velzen, S. H. Brandsma, A. DickVethaak, J. J. Garcia-Vallejo, M. H. Lamoree, “Discovery and quantification of plastic particle pollution in human blood”, “Environment International“, vol. 163, maggio 2022, 107199. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412022001258.)). Insomma siamo di fronte ad un fenomeno dal valore altamente simbolico di come l’inquinamento ambientale abbia assunto una diffusione ubiquitaria ed irreversibile, intaccando la fonte primaria della nostra vita. Come si può facilmente dedurre le matrici ambientali risultano ormai diffusamente compromesse da innumerevoli composti chimici tossici destinati ad alimentare la moderna “pandemia silenziosa”.

Le diossine, supertossiche, contaminano il latte materno

È in questo contesto che agli inizi di questo secolo si sviluppa una particolare attenzione su una classe di centinaia di sostanze, fra di loro “imparentate” sia per composizione chimica (composti organici del cloro, a partire da due molecole di benzene), sia perché molto stabili e non degradabili in ambiente, sia perché inclini ad essere accumulate negli organismi viventi attraverso la catena alimentare, sia, infine, per la potente tossicità (cancerogeni certi per l’uomo, interferenti endocrini, patogeni a carico di diversi organi): le policlorodibenzodiossine, pcdd, sbrigativamente chiamate diossine, i policlorodibenzofurani, pcdf e i policlorobifenili, pcb. Questi composti erano saliti alla ribalta internazionale a metà degli anni Settanta, quando emerse che il defoliante impiegato dagli usa nella guerra in Vietnam, l’agente Orange, era contaminato da diossine((Risalgono alla seconda metà degli anni Sessanta le prime denunce della guerra chimica usa: R. Ferrucci, “La guerra chimica nel Vietnam e il diritto internazionale”, “Democrazia e diritto: rivista critica di diritto e giurisprudenza”, n. 1, 1965; M. Sakka, Vietnam, guerra chimica e batteriologica, Roma, Veutro, 1969; Sud Vietnam: sei anni di guerra chimica, 1964-1971. Documento dell’Ufficio di informazione della delegazione del governo rivoluzionario provvisorio della Repubblica del Sud Vietnam alla Conferenza di Parigi, Reggio Emilia, Sezioni comuniste Togliatti e C. Campoli, s. d. [anni ‘70]. Ma solo con il nuovo secolo vengono pubblicati gli studi scientifici internazionali che analizzano e documentano l’inquinamento da diossine ereditato dalla guerra: A. Schecter e Le Cao Dai, “Dioxin Contamination in Vietnam”, agosto 2001, http://www.ghorganics.com/Dioxin%20Contamination%20in%20Vietnam.htm; Hatfield, “Identification of New Agent Orange / Dioxin Contamination Hot Spots in Southern Vietnam”, gennaio 2006. http://www.hatfieldgroup.com/services/contaminant-monitoring-agent-orange/hatfield-agent-orange-reports-andpresentations/; A. Schecter, Le Cao Dai, O. Päpke, J. Prange, J. D. Constable, M. Matsuda, Vu Duc Thao, A. L. Piskac, “Recent Dioxin Contamination From Agent Orange in Residents of a Southern Vietnam City”, “Journal of Occupational and Environmental Medicine”, vol. 43, maggio 2011, pp. 435-443.)) e quando il 10 luglio 1976 scoppiò un reattore per la produzione di triclorofenolo all’Icmesa di Seveso diffondendo nell’ambiente circostante una nube di diversi chilogrammi della più tossica delle diossine, la 2,3,7,8tetracloro-p-dibenzodiossina((Su Seveso la letteratura è sterminata. Ci si limita qui a segnalare il primo studio sull’inquinamento da diossine indotto in ambiente: C. Dilworth, V. Scatturin, “Mappatura dell’inquinamento da diossina nel disastro Icmesa”, “Sapere”, n. 848, giugno-agosto 1982, pp. 75-80 (dossier 1982. Seveso sei anni dopo).)). Nei decenni successivi si scoprì che anche altre diossine, alcuni dibenzofurani e dodici pcb, chiamati “dioxine-like”, pcb-dl avevano tossicità analoga alla diossina di Seveso, anche se in gradi diversi, per cui l’Organizzazione mondiale della sanità introdusse la metodologia della “tossicità equivalente”, who-teq, per misurare, con la sommatoria ponderata dei diversi congeneri, l’intensità tossica della contaminazione indotta da questa classe di inquinanti, ritenuta tra le più pericolose per la salute umana.

Oltre ai casi clamorosi, già citati, di Seveso e del Vietnam, emergono altre situazioni determinate da eventi imprevisti, come a Yusho in Giappone nel 1968((S. Katsuki, “Preface to Yusho Kenkyu Houkokushu”, “Fukuoka Igakkukai Zasshi”, vol. 60, 1969, pp. 403-407,)) o in Belgio nel 1999((N. van Larebeke, L. Hens, P. Schepens, A. Covaci, J. Baeyens, K. Everaert, J. L. Bernheim, R. Vlietinck, G. De Poorter, “The belgian, PCB and dioxin incident of january-june 1999: exposure data and potencial impact on health”,”Environmental health perspectives”, vol. 109, marzo 2001, pp. 265-273)), con la contaminazione accidentale da pcb di mangimi per pesci e per polli, con il nuovo secolo si cominciò a porre l’attenzione su processi industriali che potevano dar luogo ad emissioni di diossine: innanzitutto le fabbriche di pcb, in Italia la Caffaro di Brescia, l’unica che li ha prodotti per quasi cinquanta anni, fino al 1984, per di più in pieno centro urbano, ma anche le industrie siderurgiche sia da minerale che da rottame, gli inceneritori di rifiuti e altri processi chimici che potevano emettere come contaminanti secondari “indesiderati” questi composti.

Di norma il percorso nei vari siti sospetti di soffrire di questo grave inquinamento si è sviluppato testando le emissioni in atmosfera o in scarico idrico in corpo superficiale alla ricerca di diossine e/o pcb. Quindi si è proceduto all’analisi dei terreni destinati a ricevere le ricadute di queste emissioni e, immediatamente dopo, sulla scorta del noto potere di bioaccumulazione e magnificazione nella catena alimentare di queste sostanze, la ricerca ha interessato i vegetali e gli animali, ma soprattutto gli alimenti destinati al consumo umano: latte, formaggi, uova, carni.

Ed infine, le analisi hanno coinvolto i sieri umani, il sangue e, in certi casi, anche il latte materno. Il latte materno è particolarmente simbolico, anche perché richiama direttamente quanto più sopra si è trattato a proposito della “pandemia silenziosa” e del veicolo subdolo che la può trasmettere da madre a figlio. E questa contaminazione risulta davvero inquietante, perché si tratta di un siero per eccellenza vitale e carico di proprietà salutari e disturba, come un pugno nello stomaco, che la sua purezza immacolata possa essere macchiata da molecole così “antibiologiche”, definite scientificamente xenobiotiche, estranee, se non nemiche della vita.

E così, in alcuni dei siti ritenuti più critici, sono state ricercate le diossine nel latte materno, in particolare nel primo decennio del nuovo secolo. Riportiamo di seguito i risultati di alcuni studi significativi che riguardano Venezia, in relazione al polo petrolchimico di Porto Marghera, Taranto per il noto polo siderurgico dell’ex Ilva, Duisburg, nel cuore della Ruhr,vasta regione tedesca già fitta di miniere e imprese siderurgiche, Caserta epicentro della “Terra dei fuochi” punteggiata da discariche illegali, Brescia per la Caffaro produttrice di pcb ed il Vietnam per il caso dell’agente Orange, in aree prossime ad aeroporti impiegati dagli usa durante la guerra:

WHO-TEQs VE 1 VE 2 VE 3 TA DB CA BS Vietnam1
Bien Hoa
Vietnam2
Da Nang
PCDD/DFs 14,8 13,7 11,6 13,8 5,99 – 5,38 30 17
max 39,6
38,9
max 263
PCBs-DL 19,3 18,9 12,3 13,4 4,02 – 8,77 116
Total TEQs 34,2 33 25 29 27,3 10,0 – 14,2 147 17 – 39,6 38,9 – 263
TABELLA 1: Diossine e pcb dioxin-like nel latte materno (pgwhoteq/g di grasso)

• A Venezia 3 pool

-VE1: 10 campioni con dieta povera di pesce;

-VE2: 13 campioni con dieta mediamente ricca di pesce;

-VE3: 6 con dieta ricca di pesce((A. M. Ingelido e al, “Polychlorinated biphenyls (PCBs) and polybrominated diphenyl ethers (PBDEs) in milk from Italian women living in Rome and Venice”, “Chemosphere”, vol. 67, 2008, pp. 301-306)).

• A Taranto,TA 3 puerpere residenti nei pressi dell’Ilva((V. Ascalone, “Diossine e PCB nel latte materno a Taranto. Alcune comparazioni”, Taranto 14.4.2008, http://www.hcmagazine. it/autoimg/35. jpg)).

• A Duisburg, DB, (Ruhr – Germania), 169 campioni, età 19-42 anni, area altamente industrializzata((Wittsiepe J. e al, “PCDD/F and dioxin-like PCB in human blod and milk from German mothers”, “Chemosphere”, vol. 67, 2008, pp. 286-294.)).

• A Caserta, CA, 52 puerpere residenti in aree a rischio della Campania((Istituto Superiore di Sanità, Sebiorec. Rapporto finale, dicembre 2010, p. 93.)).

• A Brescia, BS, una donna al terzo mese di allattamento, consumatrice di alimenti del “sito Brescia-Caffaro”((Turrio-Baldassarri L. e al., “PCDD/F and PCB in human serum of differently exposed population groups of an Italian city”, “Chemosphere”, vol. 73, 2008, pp. 228-234.)).

• In Vietnam1 aereobase di Bien Hoa 15 campioni di donne residenti nei dintorni((Hatfield, Environmental and Human Health Assessment of Dioxin Contamination at Bien Hoa Airbase, Viet Nam, agosto 2011.)).

• In Vietnam2 aereobase di Da Nang, 14 campioni di donne residenti nei dintorni((Hatfield, Comprehensive Assessment of Dioxin Contamination in Da Nang Airport, Viet Nam: Environmental Levels, Human Exposure and Options for Mitigating Impacts, Viet Nam, novembre 2009.)).

È interessante notare che queste indagini sono state effettuate quasi contemporaneamente agli inizi del nuovo secolo, e quindi i risultati possono essere messi a confronto. Sappiamo che siamo di fronte a sostanze che, purtroppo, hanno ormai contaminato l’intero pianeta e che si ritrovano persino nel grasso degli orsi polari((R. Furlani, “Troppi veleni, l’orso diventa bisex”, “Corriere della Sera”, 3 settembre 2000.)). Nei tessuti di alcuni delfini del Mediterraneo morti a seguito di un’epidemia virale verificatasi nel 1990 e nel 1991 erano stati riscontrati livelli di pcb particolarmente elevati. Ciò fu messo in relazione con l’attacco virale che ne aveva causato la morte, in relazione al potere immunosoppressivo di questi composti che avrebbe favorito l’estendersi dell’epidemia con l’eliminazione di oltre 4000 esemplari((A. Borrell, A. Aguilar, “Pollution by pcbs in striped dolphins affected by the Western Mediterranean Epizootic”, Procedings of the Mediterranean striped dolphin mortality International Woorkshop, Palma de Mallorca, 4-5 November 1991, Greenpeace Mediterranean Sea Project, 1991, pp. 121-126.)).

Dunque, per apprezzare compiutamente l’intensità della contaminazione del latte materno, avremmo bisogno di un valore medio di confronto ricavato da studi molto estesi sulla popolazione umana, che a quanto risulterebbe, non sono stati effettuati. Abbiamo però disponibile una importante rassegna di 161 studi pubblicati a livello internazionale tra il 1989 e il 2010 riguardanti la contaminazione del sangue umano della popolazione non direttamente esposta in nazioni sviluppate che danno come valore medio di 13,2 pg who-teq/gr di grasso((D. Consonni, R. Sindaco, P. A. Bertazzi, “Blood levels of dioxins, furans, dioxin-like PCBs, and TEQs in general populations: A review, 1989–2010”, “Environment International”, vol. 44, 2012, p. 156.)).

Il caso del Sin Brescia-Caffaro

Dalla tabella sopra riportata emergono due dati clamorosi: il caso di Brescia con 147 pg who-teq/gr di grasso e quello più elevato in assoluto registrato a Da Nang in Vietnam, 263 pg who-teq. A questo proposito è forse necessario ricordare che sia l’agente Orange che i pcb prodotti a Brescia dalla Caffaro erano esclusivo brevetto della multinazionale chimica Monsanto, la stessa che da alcuni anni, inglobata nella Bayer, si trova al centro della clamorosa controversia sull’erbicida glifosato((Un’inchiesta pubblicata su “The Guardian” ha messo a confronto il rapporto scientifico dell’efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, con i dossier finanziati da Monsanto e presentati per richiedere il rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida dalla Glyphosate Task Force, un consorzio di aziende che commercializzano il glifosato. Circa 100 pagine su 4.300 sono risultate uguali a quelle dei documenti Monsanto. Si tratta proprio delle pagine che trattano il nesso tra glifosato e genotossicità (la capacità di danneggiare il dna umano), cancerogenicità e pericolosità per l’apparato riproduttivo). Cfr.: A. Nelsen, “EU report on weedkiller safety copied text from Monsanto study”, “The Guardian”, 15 settembre 2017 https://www.theguardian.com/environment/2017/sep/15/eu-report-on-weedkiller-safety-copied-text-from-monsanto-study.)).

Sul caso di Brescia((Per chi intendesse approfondire le vicende del sito inquinato di interesse nazionale Brescia-Caffaro: M. Ruzzenenti, Un secolo di cloro e… PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia, Milano, Jaca Book, 2001; Id., Veleni negati. Il caso Caffaro,Milano, Jaca Book, 2021; http://www.ambientebrescia.it/Caffaro.html.)), in particolare, è necessario soffermarsi per valutare come siano stati possibili livelli così elevati di contaminazione del latte materno. La signora indagata, proveniva da una famiglia di piccoli agricoltori i quali, convinti di nutrirsi di cibi genuini in quanto prodotti in proprio e con metodi colturali fondamentalmente tradizionali, si erano sempre alimentati inconsapevolmente di prodotti della zona più inquinata dagli scarichi Caffaro che sversavano pcb e diossine nella roggia impiegata per l’irrigazione. Quando nel 2001, in seguito alla pubblicazione del libro sulla storia secolare della Caffaro, si “scoprì” il gravissimo inquinamento da pcb e diossine prodotto dalla Caffaro stessa in una zona estesa della città, interessante circa 25.000 abitanti, venti bovini allevati da quel contadino vennero inceneriti, con numerosi altri animali da cortile, perché troppo contaminati mentre ogni attività agricola venne vietata. La famiglia, composta da 3 membri, nel 2001 risultò tutta con il sangue contaminato da pcb (ng/ml) a livelli elevatissimi, anche tenendo conto del limite alto individuato come “normale” dall’asl di Brescia per il caso Caffaro, cioè 15 ng/ml di sangue((asl di Brescia, Esito prime indagini svolte dal Dipartimento di Prevenzione dell’asl di Brescia su alimenti e persone della Zona a Sud Ovest della Ditta Caffaro e siti limitrofi nel periodo settembre 2001 – febbraio 2002, Brescia, febbraio 2002.)):

Residenti cascina 1 (M a. 69) 296 (F a. 82) 474 (F a. 57) 131

Una figlia di quella famiglia, da tempo coniugata e residente fuori dal “sito Caffaro”, risultava anch’essa contaminata, come i suoi figli, in quanto si alimentavano con prodotti provenienti dalla cascina 1.

Consumatori alimenti cascina 1 (F a. 30) 26,9 (F a. 8) 32,9 (M a. 7) 80,4

Nel 2003 la signora (F a. 30) partoriva un figlio, N.: alla madre prelevarono il latte per controllarne la contaminazione; la famiglia chiese reiteratamente di conoscere i risultati, ma l’asl continuò a tergiversare; solo nel 2008, su una rivista scientifica internazionale((Turrio-Baldassarri L. e al., PCDD/F and PCB…cit.)) apparvero i risultati pubblicati dai membri del Comitato tecnico scientifico dell’asl. Il dato è anonimo, ma non sembra esservi dubbio alcuno che si tratti della signora (F a. 30) consumatrice di alimenti della cascina 1. Ebbene è nel latte di questa madre che vennero trovati i famosi 147 pg who-teq di diossine e pcb-dl per grammo di grasso (superando i 6 pg who-teq il latte vaccino deve essere distrutto!). I livelli, come si è visto, sono altissimi, senza confronti con altri siti italiani inquinati noti in letteratura, assimilabili solo a quelli più elevati riscontrati in Vietnam. A quella madre non era stato detto nulla, né prima del parto, né dopo. Ha continuato, ignara, per un anno ad allattare amorevolmente il suo bambino. Il latte materno è benefico, ma anche a quell’elevatissimo livello di contaminazione e per un così lungo periodo? Sta di fatto che il figlio N., nato il 7 settembre 2003, non dovrebbe essere contaminato, perché la sua famiglia, da quando la madre si è sposata, vive fuori dal “sito Caffaro”, oltre il fiume Mella, e dal 2001 tutti hanno sospeso l’alimentazione con i cibi inquinati provenienti dalla cascina 1 della propria famiglia d’origine. Ma ecco i risultati delle analisi sul figlio N., alimentato per un anno (settembre 2003- settembre 2004) da quel latte:

1. Prelievo del 5 aprile 2005, codice 321427, referto del 14 aprile 2005((Asl Brescia, Dipartimento Prevenzione, 20 luglio 2005.))

[…] Nota LINFOCITOSI

Esami biochimici […]

AST 59 U/L 15 – 37

Ormonologia

Prolattina 21,40 ng/ml U/L 2,5-17,00

Totale T4 19,6 μg/dl U/L 4,5-12,5

Totale T3 243 μg/dl U/L 70-170

PCB (Richiesta 04059000)

ng/ml 29,4

  1. Analisi del 7 giungo 2007((Clinica Pediatrica Università di Brescia, esito accertamenti 30 luglio 2007.))
  2. PCB

ng/ml 23,6

3. Analisi del 13 giugno 2008((Clinica Pediatrica Università di Brescia, esito accertamenti 15 luglio 2008.))

PCB

ng/ml 22,4

L’ormonologia non sarebbe più stata indagata, o per lo meno non risulterebbe più comunicata alla famiglia, né sarebbe mai stato spiegato perché nelle analisi del 5 aprile 2005 molti parametri fossero fuori norma e che significato ciò avesse.

Quando in seguito all’inchiesta di Presadiretta del 31 marzo 2013((Alcuni stralci dell’inchiesta qui: https://www.youtube.com/watch?v=gzwzM1v6gY0.)) fu “riscoperto” il caso Caffaro, l’asl dell’epoca, da tempo dormiente, decise di compiere un’indagine più approfondita ed estesa sulla contaminazione del latte materno tra il 2015 e il 2018((Istituto superiore di sanità, Studio di monitoraggio di policlorodibenzodiossine (PCDD), policlorodibenzofurani (PCDF), e policlorobifenili (PCB) nel latte materno di donne residenti nella Provincia di Brescia (Novembre 2015 – Ottobre 2018), Roma maggio 2019. https://www.ats-brescia.it/it/relazioni-e-pubblicazioni Relazione finale ISS sul monitoraggio Diossine e PCB nel latte materno.)), di cui di seguito si riportano i passi più significativi di valutazione, le conclusioni e la tabella dei dati.

Si osserva che nel presente studio tutti i valori rilevati sono al di sotto dell’estremo inferiore (31 pg/g grasso) del range di valori ricavato da jecfa, eccscf e ukcot, mentre due valori (15.8 e 20 pg who-teq/g di grasso) si collocano al di sopra del valore più cautelativo (15 pg who-teq /g di grasso) ricavato da atsdr. Vale sottolineare che i valori sopra riportati, derivati dalle varie agenzie, saranno verosimilmente modificati in seguito alla pubblicazione della recente Scientific Opinion on Risk for animal and human health related to the presence of dioxins and dioxin-like PCBs in feed and food dell’European Food Safety Agency (efsa, 2018). Nell’Opinion viene stabilito un valore di sicurezza per esposizione alimentare a sostanze diossina-simili di circa 7 volte inferiore a quello attualmente in uso (efsa, 2005), in base ad alcune evidenze di recente acquisizione su possibili effetti sulla funzione riproduttiva maschile anche a livelli di esposizione finora considerati associati a un incremento di rischio trascurabile. Proprio queste ulteriori evidenze tossicologiche confermano come sia di primaria importanza tendere a una diminuzione dell’esposizione umana alle sostanze diossina-simili, mettendo in atto tutte le possibili misure per ridurre la loro immissione nell’ambiente.Considerando una serie di studi tossicologici ed epidemiologici che identificano gli effetti dei pcb sullo sviluppo mentale e motorio dei bambini esposti in utero come gli effetti critici meglio documentati, l’afssa pone il valore soglia di concentrazione critica per le donne in gravidanza e in allattamento a 700 ng/g di grasso di pcbtotali (di cui la concentrazione dei ndl6pcb rappresenta, nel latte materno, una frazione non inferiore al 60% e la concentrazione dei ndl9pcb una frazione di circa il 70-80%).

Conclusioni. Le differenze di concentrazione tra i due gruppi di donatrici “esposte” e “non esposte” sono risultate significative per tutte le classi di analiti considerati.

Tabella 2. Analisi statistica descrittiva delle concentrazioni di pcdd, pcdf e dl-pcb (in pgwho05te/g grasso) e ndl6-pcb e ndl9-pcb (in ng/g grasso) nel latte delle donatrici residenti a Brescia e zone limitrofe e delle donatrici residenti in aree a esposizione di fondo.

Se si esamina lo studio preliminare per il campionamento georeferenziato delle donne da arruolare per questa indagine, costruito nel 2015, ai tempi del negazionismo ancora imperante dell’asl di Brescia, si nota che il “caso Caffaro” è clamorosamente aggirato per l’ennesima volta: le 41 donne esposte provengono da zone remote rispetto al “sin Caffaro”, tanto è vero che in tutto lo studio neppure si fa cenno alla Caffaro come possibile fonte di questi contaminanti, ma le “esposte” sarebbero genericamente “donne residenti a Brescia e zone limitrofe a presumibile esposizione incrementale a questi inquinanti (DGD 1 Brescia città, DGD 2 Brescia hinterland e DGD 3 Valle Trompia)”, zone maggiormente industrializzate, rispetto alle “non esposte” residenti nella pianura bresciana, area prevalentemente agricola e a minor concentrazione industriale. Lo studio dimostra ciò che può considerarsi scontato, ovvero che in aree maggiormente industrializzate, in particolare ad alta intensità di metallurgiche da rottame, è maggiore la presenza di diossine e pcb nel latte materno, anche se lo scostamento è tutto sommato minimo, di 1,33 volte mediamente, a conferma che sia le “esposte” che le “non esposte” appartengono a “un fondo” in gradazione diversa inquinato. In ogni caso lo studio non ci dice nulla sulla contaminazione indotta dal “sin Caffaro”, che era la ragione da cui era scaturito il progetto.

Ignorando le donne a suo tempo consumatrici di alimenti all’interno del sin Caffaro, risulta così che nella donna “esposta”, con il livello più alto di diossine nel latte, la contaminazione di questo sia pari a 20 pg who-teq/g grasso, ovvero oltre 7 volte meno della donna del “sin Caffaro” di cui sopra.Comunque anche questa contaminazione “di fondo”, rilevata a Brescia, risulta preoccupante alla luce del rapporto licenziato nel 2018 dall’Autorità europea per la sicurezza degli alimenti, efsa, nel quale viene indicato un valore di sicurezza per esposizione alimentare a diossine di circa 7 volte inferiore a quello attualmente in uso (efsa, 2005), ovvero “l’assunzione settimanale tollerabile per diossine e pcb-dl negli alimenti di 2 pg who-teq per chilogrammi di peso corporeo”((efsa, “Scientific Opinion on Risk for animal and human health related to the presence of dioxins and dioxin-like PCBs”, 20.11.2018. https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/5333.)). Se consideriamo il peso di un neonato di circa 3 Kg si dovrebbe contenere la dose di assunzione a meno di 1 pg who-teq al giorno, limite che evidentemente non si potrebbe rispettare per il latte materno bresciano (in un dl, ovvero un bicchierino di latte materno, vi sarebbero circa 4 g di grasso!). Tuttavia, secondo il parere dei pediatri, il latte materno rimarrebbe raccomandabile per i tanti vantaggi dell’allattamento che compenserebbero abbondantemente i possibili effetti avversi sul lungo termine.

La prevenzione e le bonifiche: unico rimedio

Mentre il latte vaccino inquinato si può evitare ed interdire al consumo, il latte materno no, perché fa troppo bene al lattante. Dunque bisogna evitare che questo latte sia contaminato. Anche rispetto alla “pandemia silenziosa”, di cui la contaminazione del latte materno è un capitolo, già lo studio pubblicato su “The Lancet” nel 2006 si concludeva con un paragrafo intitolato Prevenzione: “Una pandemia di tossicità per lo sviluppo neurologico causata da sostanze chimiche industriali è, in teoria, prevenibile. […] La prevenzione dei disturbi dello sviluppo neurologico di origine chimica richiederà nuovi approcci per controllare le esposizioni chimiche”((P. Grandejean, P.J. Landrigan, op. cit..)). Dunque la pandemia silenziosa andrebbe affrontata con la prevenzione primaria, ovvero con la rimozione delle cause ambientali indotte dall’industrializzazione che la alimentano((In questa direzione si muovono diverse voci di scienziati, medici, oncologi, purtroppo largamente inascoltate. Si veda in particolare l’Appello di Parigi. Dichiarazione internazionale sui pericoli sanitari dell’inquinamento chimico, promosso da Dominique Belpomme, illustre oncologo francese, e firmato, il 7 maggio 2004, da centinaia di personalità e scienziati di tutto il mondo: http://appel-de-paris.com/. Da decenni sono impegnate in questa battaglia per la prevenzione primaria in particolare due riviste, “Medicina Democratica” (www.medicinademocratica.org) ed “Epidemiologia & Prevenzione” (www.epiprev.it). Nel 1989, su iniziativa di un gruppo di medici italiani consapevoli che per garantire la salute di ciascuno i medici devono occuparsi anche della salute dell’ambiente, nasce l’Associazione Medici per l’Ambiente, isde Italia. www.isde.it.)). Era la lezione centrale del “modello operaio” di intervento per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro((“Le radici operaie dell’ambientalismo italiano”,“Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, rivista on line promossa dalla Fondazione ‘‘Luigi Micheletti” di Brescia, n. 43, dicembre 2020. https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/dossier-1970-le-radici-operaie-dellambientalismo-italiano/)) e dei maestri della “primavera ecologica”((P. P. Poggio, M. Ruzzenenti, “Primavera ecologica” mon amour. Industria e ambiente cinquant’anni dopo, Milano, Jaca Book, 2020, menzione speciale al “Premio Acqui Ambiente 2021”.)) che, grazie alle grandi mobilitazioni dei primi anni Settanta, era stato possibile travasare all’interno della Legge 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Il principio cardine era che la tutela della salute si basa sull’unitarietà tra interventi preventivi, curativi, riabilitativi, e il reinserimento sociale, mettendo in primo piano la prevenzione, primaria e secondaria. Ma ben presto questa impostazione incontrò forti opposizioni e resistenze in particolare in quel clima degli anni Ottanta di rivincita del neoliberismo, di denigrazione delle cosiddette inefficienze del sistema pubblico e di spinta alle privatizzazioni. Si giunse così al referendum del 18 aprile 1993 promosso dai Radicali e degli Amici della terra (Associazione ambientale che in realtà si è spesso distinta per promuovere gli inceneritori, gli aeroporti…), con un quesito che esplicitamente chiedeva la separazione delle competenze ambientali da quelle sanitarie, fino ad allora unificate all’interno del Sistema sanitario nazionale. Il referendum, che prevedeva altri 7 quesiti tra i quali l’approvazione del sistema maggioritario per l’elezione del Senato, interpretando lo spirito del tempo di emergente sfiducia nel sistema dei partiti, ottenne l’82,57% di sì. E per la prevenzione primaria suonarono le campane a morto. In buona sostanza, tutte le competenze riguardanti l’ambiente, ovvero l’identificazione e l’eliminazione delle cause degli inquinamenti e, ovviamente, dei loro effetti sulla salute venivano sottratte al Servizio sanitario nazionale e la tutela della salute veniva separata dalle condizioni ambientali, dal controllo e dalla tutela di tali condizioni, che pure hanno un impatto decisivo sulla salute. Queste, invece, venivano affidate, a partire dal 1994 all’anpa, Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, attualmente ridenominata ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, e quindi alle Agenzie territoriali, arpa, con compiti di informazione e promozione dello sviluppo coordinato del sistema nazionale dei controlli in ambito ambientale. Sull’efficacia e i limiti di questo sistema di controlli si potrebbe dire molto. Un punto appare incontrovertibile: possiamo leggere nei siti delle arpa bollettini su livelli di inquinamento, ma mai deduzioni relative alle conseguenze sulla salute dei diversi fattori inquinanti. “Ben diverso sarebbe stato se le competenze sulle condizioni ambientali e gli effetti sulla salute fossero rimaste unificate nel Servizio sanitario nazionale sotto la voce prevenzione primaria. La prevenzione primaria non esiste più, gli interventi sanitari hanno solo una funzione riparativa e alle cause non pensa più nessuno”((A. Baracca, G. L. Garetti, “Ambiente & salute: un nesso spezzato dal nefasto referendum del 18 aprile 1993!”, “Medicina Democratica”, 17 aprile 2020, https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=9746.)). La prevenzione era ed è troppo impegnativa, se non di ostacolo, per un sistema proiettato verso lo sviluppo illimitato e la messa in valore economico di ogni cosa. Infatti essa comporta la rimozione delle fonti di inquinamento, quindi la bonifica dei siti contaminati e lo stop ad ulteriori immissioni di veleni nell’ambiente, ovvero quell’inversione di rotta che in Italia non si vuole intraprendere.

Tuttavia, proprio la lezione da trarre dalla triste storia del latte materno inquinato è che non vi è alternativa alla prevenzione primaria per avere in futuro la possibilità per tutte le madri di offrire in assoluta sicurezza e tranquillità il proprio seno agli adorati poppanti: ciò comporta la messa al bando di impianti inutili come gli inceneritori di rifiuti, la riduzione drastica delle emissioni di acciaierie ed altri impianti chimici pericolosi e la realizzazione di un grande piano di bonifica di tutti i siti inquinati destinandovi molte più risorse delle briciole attualmente previste del pnrr (pare circa 500 milioni per tutto il territorio nazionale). Nel sito Brescia-Caffaro, dopo venti anni, la bonifica è ancora al palo, come in tanti altri siti inquinati: uno scandalo insopportabile di fronte ai tanti miliardi messi improvvisamente sul tappeto per potenziare gli armamenti, distruttivi di umani e dell’ambiente, le “merci oscene”, come le chiamava Giorgio Nebbia.

Non basta “piangere sul latte materno inquinato da diossine”, occorre agire perché in futuro queste sostanze supertossiche non vi siano più presenti.