L’oro nelle fogne
Ricordate quando Jean Valjean raccoglie Marius ferito e svenuto durante l’ultimo assalto dei soldati alla barricata dei patrioti repubblicani asserragliati in rue de la Chanvrerie, in quel drammatico giugno del 1832? Jean Valjean sapeva che doveva, per amore della figlioccia Cosetta, salvare il giovanotto che essa amava e non aveva di fronte altra via che rifugiarsi, attraverso una botola nel pavimento stradale, nelle fogne di Parigi. A questo punto Victor Hugo si ferma e dedica l’intero secondo libro della quarta parte de “I miserabili” ad una lunga e dettagliata analisi che figurerebbe bene in un trattato di merceologia o di ecologia. “Parigi butta nell’acqua venticinque milioni (di franchi dell’epoca) all’anno, giorno e notte”. Si tratta del valore delle sostanze organiche che le fogne della città raccoglievano, lasciavano scorrere nella Senna e poi nel mare, e che avrebbero potuto invece essere utilizzate come concimi per aumentare la produzione dei campi. “Il nostro concime è oro – continua lo scrittore – e che cosa facciamo di questo oro-concime? Lo spazziamo via nell’abisso. Con grande dispendio mandiamo convogli di navi per raccogliere al polo australe gli escrementi delle procellarie e dei pinguini (Hugo fa riferimento alle importazioni dal Perù e dal Cile del guano usato come concime), e gettiamo nel mare l’incalcolabile elemento di ricchezza che abbiamo sotto mano. Tutto l’ingrasso umano che il mondo perde, restituito alla terra invece d’essere buttato nell’acqua, basterebbe a nutrire il mondo”.
Nella metà dell’Ottocento era in corso un vasto dibattito in tutta Europa: la rapida industrializzazione e diffusione di un certo benessere stava facendo aumentare la popolazione e quindi la richiesta di cibo; le rese dei campi diminuivano anche per il continuo abbandono dei contadini che migravano nelle fabbriche in città e per il graduale impoverimento della fertilità del suolo, malamente sfruttato da decenni. Gli scienziati scrivevano sui giornali che la soluzione andava cercata nell’addizione al terreno di concimi che venivano dagli escrementi animali ma che dovevano anche essere importati; i grandi depositi dei prodotti di trasformazione degli escrementi di uccelli marini (guano), ricchi di azoto e fosforo, i due elementi essenziali per il terreno venivano dal Perù; dal Cile arrivavano i nitrati, di cui esistevano grandi giacimenti; i sottoprodotti della siderurgia contenevano fosforo. Azoto, fosforo e potassio erano e sono i principali elementi nutritivi del suolo, trasferiti poi nei prodotti agricoli e negli alimenti.
Ma l’azoto, il fosforo e il potassio presenti negli alimenti umani si ritrovano in gran parte negli escrementi che, per ragioni igieniche, venivano convogliati nelle fogne urbane e finivano perduti nel mare; Victor Hugo si fa interprete dell’invito, formulato da vari scienziati fra cui il grande chimico tedesco Liebig (il cui contributo è stato ricordato fra le “Persone” nel n.6 di “Altronovecento”), a riutilizzare le sostanze nutritive presenti nelle fogne con adatti processi capaci di trasformarle in concimi. Se vivesse oggi l’autore de “I miserabili” resterebbe sbalordito osservando che, con tutta la nostra scienza, anche nelle nostre città il grande valore delle sostanze nutritive delle fogne – l’oro-concime – viene gettato nei fiumi e nel mare. Con l’ulteriore aggravante che l’azoto e il fosforo degli escrementi diventano “concime” per le indesiderabili alghe che si moltiplicano, soffocando i laghi e il mare, per il fenomeno di eutrofizzazione, quella forma di un iper-nutrimento delle alghe “grazie” a quelle sostanze che tanto meglio sarebbero utilizzate nei campi per far crescere grano e barbabietole.
Esiste naturalmente una grande attenzione per la depurazione delle acque di fogna urbane; sono noti apparecchi che trattano le acque usate dapprima facendo depositare le sostanze sospese, come le polveri della spazzatura stradale (trascinate delle piogge nelle fogne) o le materie solide che le persone distrattamente gettano nei gabinetti (residui di cibo, carta e quei terribili batuffoli per la pulizia delle orecchie, indistruttibili, che vanno ad intasare filtri e tubazioni). La frazione liquida viene poi filtrata in modo da separare le parti più grossolane che costituiscono un fango che va ad aggiungersi ai rifiuti solidi urbani.
Infine, nei depuratori più progrediti (ma ce ne sono troppo pochi in Italia), i liquidi sono soggetti ad un trattamento con batteri che decompongono le sostanze organiche. Quasi tutta l’acqua che entra, costosa e pulita, in una città fuoriesce contaminata e deve essere eliminata per lo più nei fiumi, nei laghi e nel mare dove disperde il suo carico inquinante. Non a caso si parla di “metabolismo urbano” per ricordare che la città, come il corpo umano, trasforma tutto quello che la alimenta – dal cibo, alle materie plastiche, ai residui dei combustibili, alla carta, eccetera – e lo disperde nelle acque di fogna.
Si potrebbe ricuperare qualcosa? Innanzitutto, come molti chiedono a gran voce, bisognerebbe recuperare almeno una parte delle acque usate che potrebbero trovare, dopo opportuna depurazione, impiego come acqua da irrigazione. E poi potrebbe essere recuperata almeno una parte delle sostanze adatte come concimi.
Purtroppo il miope “progresso” merceologico ha introdotto nella vita domestica e urbana moltissime sostanze estranee ai puri e semplici cicli vitali umani. Innanzitutto i detersivi sintetici; ai tempi de “I miserabili” l’unico detersivo era il sapone, facilmente degradabile ed eliminabile; oggi i detersivi perfetti, con le loro miscele di ingredienti che appena si intuiscono leggendo le etichette dei fustini, contengono sostanze che, se finissero nei campi, danneggerebbero la crescita delle piante. Altrettanto dannosi sono i sempre più raffinati prodotti chimici sintetici usati come cosmetici, creme, coloranti per capelli, deodoranti. La maggior parte delle persone, quando li usa, con soddisfacenti risultati per la bellezza e la moda, non pensa che essi non scompaiono, ma vanno a finire nei lavandini e nei gabinetti, poi nelle fogne, poi nei depuratori (dove esistono) intralciandone il funzionamento. Per non citare i batteri e i virus che, se finiscono nei campi e sulla verdura, diffondono epidemie.
Così la ricchezza “contenuta” nei prodotti del metabolismo urbano, invece di diventare oro-concime per l’agricoltura, va in gran parte perduta quando non finisce per intossicare la natura. Naturalmente migliaia di chimici, biologi, ingegneri, nel mondo stanno affrontando il problema sperimentando trattamenti chimici e microbiologici, talvolta con successo come hanno mostrato i recenti studi inglesi pubblicati nella rivista “New Scientist”. Il cammino è ancora lungo e il premio, per chi riuscisse a depurare e recuperare sostanze commerciali dai centomila miliardi di litri di acqua che ogni anno entrano nelle case del mondo e ne escono carichi di rifiuti, è la coscienza di aver alleviato, almeno un poco, la fame e di aver migliorato la salute dei nostri concittadini della Terra.