Luigi Micheletti (1927-1994)
I lettori-navigatori di questa rivista vedono citata spesso la Fondazione Luigi Micheletti e il Museo dell’Industria e del Lavoro da essa promosso; ci sembra giusto e opportuno fornire alcune notizie su Luigi Micheletti, che della Fondazione è stato il creatore e del Museo l’anima e il motore sino alla sua improvvisa scomparsa, dedicandogli questa breve scheda.
Luigi Micheletti nasce a Brescia il 10 agosto 1927 nel quartiere operaio di Campo Fiera. Compiuti gli studi obbligatori, trova impiego giovanissimo nelle botteghe artigiane Pizzarelli, Gatti, e poi presso gli idraulici Valli e Meneghini, nomi noti dell’antifascismo bresciano.
Nel 1944 aderisce al “Fronte della Gioventù” e partecipa attivamente alla Resistenza, combattendo nelle file della 122^ Brigata Garibaldi.
Nel dopoguerra, dopo un periodo nella Polizia stradale, riprende la sua attività di artigiano idraulico, affermandosi rapidamente come imprenditore nel settore dell’impiantistica civile e industriale.
Dopo un viaggio in Cecoslovacchia, nel 1958, rimanendo particolarmente colpito dalla visita del campo di Terezin, decide di costituire un centro di documentazione sulla Resistenza. Negli anni Sessanta è segretario e poi vicepresidente della sezione provinciale dell’ANPI.
All’inizio l’Archivio di Storia della Resistenza, voluto e animato da Micheletti, si dedica al recupero dei ricordi e della documentazione della vita partigiana: libri e riviste, documenti e cimeli vengono sistemati in locali aziendali e resi disponibili al pubblico. È di questo periodo il recupero dei Notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana della RSI.
Con gli anni Settanta gli interessi si allargano sino alla creazione di un vero e proprio centro di ricerca sulla storia contemporanea. Micheletti, “Gino” per i numerosi amici che lo seguono e sostengono, abbandona progressivamente l’attività imprenditoriale per diventare a tempo pieno un organizzatore di cultura.
Nel 1981 l’Archivio si costituisce in Fondazione con riconoscimento giuridico. L’anno successivo, in seguito ad un accordo con il Comune di Brescia, si trasferisce nell’attuale sede di via Cairoli 9.
Luigi Micheletti riesce a riunire attorno a sé molti giovani ricercatori e a sviluppare un’intensa attività di seminari, convegni, pubblicazioni.
L’attenzione principale continua però ad essere concentrata sulla raccolta della documentazione, ed è particolarmente in questo campo che Micheletti dà prova di intelligenza e creatività. Rompendo schemi obsoleti, e perduranti gerarchie, la ricerca documentaria si sviluppa a tutto campo, investendo una pluralità di fonti e riservando una particolare attenzione all’iconografia (manifesti, fotografie, immagini in movimento).
Anche l’attività di ricerca della Fondazione, che dal piano locale arriva ad avere un’eco nazionale ed europea, è profondamente legata agli interessi del suo promotore: i nuclei principali riguardano la seconda guerra mondiale (con una forte attenzione per la Resistenza, Salò e il collaborazionismo), i “nuovi movimenti” originatisi attorno al Sessantotto, infine, e con sempre maggior impegno, la storia dell’industria (soprattutto come archeologia industriale e storia della tecnica).
L’ultimo progetto, lasciato incompiuto da Micheletti, è un ambizioso Museo dell’Industria e del Lavoro che, nelle sue intenzioni, dovrebbe servire ad avvicinare il grande pubblico alla conoscenza della storia del nostro tempo.
Luigi Micheletti è morto a Ome (BS) il 16 dicembre 1994.
Come risulta dalla sua biografia, Micheletti non era un intellettuale e anche la definizione di organizzatore di cultura, riferita agli ultimi due decenni di intensa attività, è inadeguata e fuorviante. Gli organizzatori di cultura sono il prodotto di una separazione imposta in nome della specializzazione, di un restringimento degli orizzonti vitali, della riduzione della cultura a decorazione ininfluente. Micheletti era mosso da convinzioni, interessi, passioni molto forti e da un’attenzione vivacissima per quelli che gli sembravano i problemi importanti del suo tempo, con intuizioni anticipatrici e chiusure insuperabili. Quindi per lui la cultura era anche forse principalmente battaglia e polemica, ma in campo aperto avendo come bussola la ricerca della verità costi quel che costi. A tutto ciò, che è già piuttosto raro, univa una conoscenza straordinaria della realtà tecnicamente costruita in cui siamo immersi; è su questo terreno, in cui metteva a frutto un lungo apprendistato di lavoro sul campo, che misurava il valore delle persone più varie con cui veniva costantemente a contatto per le più diverse faccende, aziendali, politiche, personali e per l’attività della Fondazione. Ovviamente pochi studiosi superavano la prova ma, quando succedeva, si sprigionava una carica di energia e partivano progetti ardimentosi, come quello del museo, frutto dell’incontro con un intellettuale cosmopolita come Eugenio Battisti.
Molto lontano come formazione dall’ambientalismo specie italiano, Micheletti era arrivato negli ultimi anni, partendo dalla conoscenza dall’interno che aveva del mondo produttivo, a conclusioni fortemente pessimistiche non diverse da chi vede il progresso avviato alla catastrofe. Questo orizzonte gli sembrava incombente più che altro a causa della religione del consumo che stava impadronendosi della società (compresi i giovani). Non c’è stato tempo di discutere e approfondire il progetto da cui è nato il “Centro di storia dell’ambiente” e questa stessa rivista; penso che sarebbe stato d’accordo, anche nell’uso della rete, delle nuove tecnologie, osannate come l’unica salvezza o deprecate come il male del mondo. Di una cosa mi è parso sempre essere certo: il problema non è la tecnica, bensì gli uomini che, avendo raggiunto il benessere, se ne fanno schiavi abdicando alla loro dignità.