Lynn White (1907-1987)
Lynn White (1907-1987), uno studioso americano di storia del Medioevo, ebbe un’influenza come pochi altri nella ricerca delle origini della crisi ambientale. Autore di molti libri fondamentali sull’evoluzione della tecnologia nel Medioevo (uno di questi, “Tecnica e società nel Medioevo”, tradotto anche in italiano dal Saggiatore), nel 1967 White pubblicò nella rivista “Science” un breve articolo intitolato “Le radici storiche della crisi ecologica”.
La tesi era abbastanza semplice: fino a quando le comunità umane sono state animiste e politeiste, hanno osservato la natura circostante con meraviglia e rispetto, addirittura associando alle sorgenti, ai boschi, ai raccolti, delle divinità (il “genius loci”) da propiziarsi e ringraziare per i doni che fornivano attraverso i cicli naturali.
L’avvento della religione giudaica e poi cristiana ha spazzato via le precedenti divinità affermando l’esistenza di un Dio che è lui creatore e che ha assegnato all’uomo una posizione al di sopra della natura, chiamato ad un destino “sovrannaturale”. Lo spiega bene il racconto della creazione contenuto nel primo capitolo del primo libro della Genesi, in cui al versetto 28 Dio affida all’uomo il compito di “sottomettere e dominare” la Terra e quindi vegetali e animali e corpi naturali, strumenti per la trascendenza che è il fine ultimo e unico dell’uomo stesso.
Non c’è da meravigliarsi, sostenne White, se, nel loro lungo cammino, le società occidentali cristiane si sono sviluppate prendendo alla lettera questo invito, senza esitare a distruggere montagne e foreste a uccidere gli animali con la caccia, tutte cose che facevano comodo, perché tanto la missione umana aveva come obiettivo finale l’aldilà. L’unica figura del cristianesimo che ha riconosciuto l’acqua, il cielo, gli animali allo stato naturale, il fuoco, come sorelle e fratelli, sullo stesso piano, non al di sotto degli umani, è stato Francesco d’Assisi, diventato santo nonostante il contenuto un po’ eretico e sovversivo della sua predicazione, e che ben avrebbe meritato, scrisse White, di essere proclamato patrono degli ecologisti.
L’articolo suscitò un vespaio nella gerarchia cattolica (molto meno fra i protestanti); diecine di studiosi dedicarono anni a scrivere importanti saggi per dimostrare che la “colpa” dei guasti ambientali non può essere attribuita al credo giudaico-cristiano, e per sofisticare su che cosa va inteso per “dominio” sulla natura; un “dominatore” può anche essere benevolente verso le cose dominate, anche se resta qualche dubbio che tale benevolenza possa manifestarsi con il taglio dei boschi e con l’ammazzare gli animali innocenti. Sta di fatto che quel breve articolo di White indusse i cristiani e i non cristiani a chiedersi sotto quale spinta culturale stessero devastando la natura, sporcando acque e cielo.
Ci si ricordò allora che di racconti della creazione nella Bibbia ce ne sono due; quello contenuto nel primo capitolo, appunto con l’invito a dominare la Terra, è la redazione “sacerdotale” relativamente più recente. Nel secondo capitolo (la redazione “jahwista” di un paio di secoli prima) invece c’è un altro racconto; al versetto 15 Dio pone l’uomo “nel giardino” dandogli il compito di coltivarlo e custodirlo e in molti altri passi la Bibbia ricorda all’uomo che la Terra non è sua, ma di Dio, che gliel’ha data in prestito.
L’articolo di White e le (in qualche caso aspre e acide) repliche risalgono agli anni dal 1967 al 1973, a quella “primavera dell’ecologia” in cui studiosi, ambientalisti, uomini politici si interrogarono su che cosa fare per rallentare il degrado che stava apparendo sempre più grave; sono gli anni successivi al Concilio Vaticano II, alla pubblicazione dell’enciclica “Populorum progressio” (1967), ai vivaci dibattiti su quale potesse essere una visione cristiana dell’ecologia.
Può essere interessante ricordare che il Papa di allora, Paolo VI, nel marzo 1971 chiamò “creature anch’esse” l’aria e le acque compromesse dagli inquinamenti e che si rivolse ai partecipanti alla conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano (Stoccolma 1972) con un messaggio di alto contenuto profetico che fa impallidire il chiacchiericcio ecologista attuale. Infine il papa Giovanni Paolo II, nel novembre 1979, ha proclamato davvero San Francesco patrono dei cultori di ecologia, come aveva suggerito White.
Forse la soluzione alla crisi ambientale, ancora più grave oggi, a oltre trent’anni da quei tempi, va cercata riconoscendo che gli attentati alla natura rappresentano una forma di violenza non solo contro l’aria o l’acqua o i vegetali o gli altri animali, ma direttamente contro gli altri esseri umani, contro “il prossimo”. Contro il prossimo vicino, quello che avveleniamo con le polveri e i gas dei tubi di scappamento, con i fumi dei rifiuti, con le sostanze chimiche tossiche che pure sono indispensabili per assicurarci le comodità che consideriamo irrinunciabili; contro il prossimo lontano da noi nello spazio, come avviene quando i nostri inquinamenti e consumi impoveriscono e danneggiano la natura e gli abitanti di paesi lontani, per lo più dei paesi poveri; contro il prossimo del futuro che avrà peggiori condizioni di vita e climatiche “grazie” ai gas che oggi immettiamo nell’aria o ai prodotti radioattivi che gli lasciamo in eredità. La violenza ambientale contro il prossimo dovrebbe scandalizzare tutti, ma i cristiani di più.