Marx, marxismi e decrescita
Traccia per la discussione nell’ambito della Conferenza internazionale, Decrescita: se non ora quando? Venezia 7-9 settembre 2022,
In preparazione dell’incontro a Venezia di settembre (www.venezia2022.it), si è formato per iniziativa del circolo Pensionati critici di Mestre un gruppo di discussione coordinato da Maurizio Ruzzene, Antonio Pignatto e Paolo Cacciari. Al primo incontro, svoltosi on line e a Mestre il 17 giugno, hanno partecipato, oltre ai coordinatori: Marino Badiale, Giovanni Mazzetti, Marino Ruzzenenti, Maria Turchetto, Michele Cangiani, Roberto Musacchio, con numerosi presenti in sala. E a conclusione dell’incontro si è deciso di elaborare la traccia di un documento aperto e condiviso, anche per favorire la discussione in un apposito workshop da organizzare nell’incontro di Venezia.
Premessa
Fin dalla “grande accelerazione” dell’economia avvenuta nel secondo dopoguerra, è emersa in modo non più ignorabile la questione del rapporto tra le dimensioni ecologiche e sociali del sistema socioeconomico dominante. Ciò che già Marx chiamava “metabolismo sociale”. I delicati equilibri tra umanità e natura si sono logorati a tal punto che non è più in discussione se i principali cicli vitali della biosfera (a cominciare da quelli climatici, idrici e biologici) possano collassare, ma quali conseguenze stanno già provocando sulla vita delle popolazioni e come sarà possibile farvi fronte. La domanda da porsi è allora: “cosa è possibile, sensato, umanamente dignitoso fare in una fase storica di crollo di una civiltà?” [Badiale].
L’approccio ambientalista puro, di tipo “conservazionista”, ha spesso sottovalutato la configurazione delle strutture sociali di potere (modi di produzione, relazioni di scambio e forme di dominio tra le classi, lotta per la supremazia tra gli stati) che conducono ad una competizione permanente tra imprese, stati, individui, devastando progressivamente lo spazio vitale naturale. Su un altro fronte, l’approccio del “materialismo-storico” fatto proprio dal marxismo ortodosso ha generalmente sottovalutato gli aspetti ecosistemici e antropologici che pervadono e condizionano i comportamenti dell’homo oeconomicus. Da qui due tesi contrapposte. Una secondo cui, una volta risolta la “contraddizione principale” tra capitale e lavoro, anche le altre numerose contrapposizioni (di genere, di specie, ecologiche) troverebbero un’automatica soluzione((Qui si vuole ricordare l’Ecomarxismo di James O’Connor (1989), criticato da Serge Latouche, secondo cui i marxismi non ci sarebbero d’aiuto ad uscire dall’impasse perché anch’essi “adottano il paradigma dell’uomo padre e dominatore del mondo” (Latouche, 2005), e non basterebbe socializzare i mezzi di produzione per uscire dal dominio dell’economico sul sociale e sull’ambiente.)). Specularmente, nel campo ambientalista si è ritenuto spesso che una volta imboccata la strada della sostenibilità ecologica anche l’economia capitalista avrebbe dovuto “non essere più la stessa”, perdendo le attuali odiose caratteristiche discriminatorie e di sfruttamento. E per la sua essenza “scientifica”, non-politica non avrebbe senso etichettare l’ecologia come “di destra o di sinistra”, poiché saremmo “tutti (individui) sulla stessa barca”. In questo modo però si finisce per occultare anche le disparità sociali, ridotte nella sfera dei comportamenti e delle responsabilità individuali oppure, all’opposto, traslate in un indistinto e generico “soggettone chiamato umanità” [Turchetto]((Rimandiamo qui al dibattito su Antropocene o Capitalocene.)).
L’incontro tra ecologia e marxismo – tra “rossi” e “verdi”, come si sarebbe detto una volta è ancora lontano dall’affermarsi. Equivoci e diffidenze impediscono un’azione comune, facendo perdere di forza sia gli uni che gli altri. A partire dal termine sviluppo che rischia di essere quello dell’abbraccio catastrofico tra le due classi in lotta. E oggi della conoscenza che vede un pluspotere esercitarsi sulla crescita di dati [Musacchio]. E molti ponti rimangono da costruire.
Noi pensiamo che nel pensiero marxiano si possano trovare alcune chiavi corrette di lettura della realtà, e crediamo che la radicalità della proposta di una società orientata alla decrescita – in primis, dei flussi di materia e di energia impegnati nei cicli produttivi [Ruzzenenti] – possa contribuire a far mettere in discussione le logiche e i meccanismi della mega-macchina termo-tecno-industriale, che ha ormai raggiunto una forza geofisica capace di distruggere la vita sul pianeta (Antropocene).
Certo si deve trattare di una decrescita che non può essere concepita né come rinuncia e immiserimento delle condizioni di vita delle popolazioni, né come “illusorio e fantastico salto in avanti” [Mazzetti], incapace di fare i conti con le condizioni reali di vita e con i desideri delle popolazioni. Si deve trattare di un processo trasformativo sociale, graduale e situato territorialmente((Vedi l’iniziativa su rilocalizzazione delle attività produttive La-Giornata-Mondiale-della-Localizzazione-2020-WLD-flyer-Italian.pdf (localfutures.org))), inserito nell’orizzonte della liberazione del genere umano dal delirio prometeico di onnipotenza, dal mito salvifico della tecno-scienza, dall’idea di dominio come base di ricchezza sociale.
Cosa possono dare Marx e il marxismo critico alla decrescita, e ai movimenti ecologisti?
In primo luogo, la teoria del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) ci fa capire che il divenire storico è una successione di modi di produrre e scambiare che sono determinanti nel disegnare le caratteristiche di fondo delle società [Mazzetti, Turchetto].
Secondo. La nozione fondamentale per capire le ragioni di base dell’insostenibilità del sistema economico capitalistico è quella di accumulazione del capitale((Questione che Marx indaga in particolare nel capitolo XXII del Primo Libro del Capitale, dedicato al “processo di produzione capitalistica su scala allargata”.)). Il punto fondamentale è ormai ben noto: il rapporto sociale capitalistico non può perdurare senza una continua espansione della sfera produttiva, una espansione, come talvolta si dice, “senza fine e senza fini”, che inevitabilmente è portata a superare ogni limite, naturale o sociale [Cangiani]. E questo superamento dei limiti è la radice ultima delle devastazioni ambientali sempre più massicce e pericolose con le quali oggi dobbiamo confrontarci((Ha scritto Murray Bookchin: “Non si può ‘persuadere’ il capitalismo a limitare la crescita, più di quanto si possa ‘convincere’ un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di rendere il capitalismo ‘verde’ o ‘ecologico’ sono condannati al fallimento per la natura intrinseca del sistema come sistema di crescita illimitata”.)).
Terzo. Questa espansione si presenta anche come “mercificazione” sempre più spinta, come trasformazione continuamente perseguita di ogni tipo di “bene” in “merce”. Si potrebbe ipotizzare che l’espansione del capitale possa avvenire nel regno dell’immateriale (per esempio nei campi della conoscenza o dei servizi alla persona), senza quindi incidere sulla realtà fisica del pianeta: è questa la tesi del “disaccoppiamento” (assoluto) fra crescita economica e impatto ambientale [Badiale]. Gli studi in proposito sembrano però indicare che tale disaccoppiamento non c’è, o almeno non in misura sufficiente ad evitare i pericoli che ci fronteggiano. La cosa è presto spiegata: i redditi guadagnati con i lavori “immateriali” alla fine verranno spesi anche per merci “materiali”, prodotte in base ai principi della creazione di plusvalore [Turchetto].
In sostanza, per riassumere, il pensiero di Marx è in grado di radicare l’attuale crisi ambientale dentro la logica del MPC, fornendo così una fondamentale base teorica alla critica ecologista del mondo attuale [Badiale].
Quarto. L’aspirazione ad una democrazia di base, emersa negli anni ‘20 e ‘60 del Novecento con il consiliarismo, come progetto di democrazia diretta e partecipativa che doveva interessare le dimensioni sia economiche sia politiche; un progetto che è continuato nell’idea di pratiche istituenti permanenti, sviluppata in Francia da G. Lapassade e C. Castoriadis. Si tratta di un’idea che è ben presente nel mondo della Decrescita((Vedi G. Lapassade, L’analisi istituzionale, Isedi, Torino 1972 e Marco Deriu, Rigenerazione. Per una democrazia capace di futuro, Castelvecchi, Roma 2022.)), dove è ritenuta da alcuni condizione necessaria per il passaggio da una produzione prevalente di beni di consumo mercificati alla “produzione” o costituzione di beni relazionali de-mercificati e di istituzioni de-reificate [Ruzzene].
Cosa può dare la decrescita, e in generale l’ecologismo, al pensiero marxista attuale?
Il marxismo in genere ha chiari i meccanismi fondamentali della dinamica capitalistica, ma non sempre riesce a usarli per la comprensione delle situazioni storiche specifiche in cui di volta in volta si viene a trovare. L’ecologismo ha il merito di indicare quello che è oggi il punto fondamentale: il fatto cioè che le contraddizioni del capitalismo si traducono in una invasione distruttiva di ogni ambito della natura, mettendo in crisi i fondamentali meccanismi omeostatici del sistema-Terra e quindi, in prospettiva, la stessa autoriproduzione dell’attuale organizzazione sociale.
Si potrebbe aggiungere che anche la società subisce un simile processo di “invasione”, nell’assoggettamento alla logica del profitto di realtà che funzionavano secondo altre logiche (per cui la scuola e gli ospedali diventano delle aziende, la gestione delle catastrofi degli elementi su cui scommettere e così via). Si tratta di una dinamica distruttiva del rapporto sociale, per la quale è stata coniata l’espressione “capitalismo assoluto” [Badiale].
Marx e decrescita appaiono insomma indispensabili e complementari. Marx ci mostra come funzionano i rapporti tra individui mediati dalle merci nella modernità capitalistica contemporanea e denuncia incessantemente il divenire fini a sé stessi dei mezzi e dei poteri economici [Cangiani]. Marx, inoltre, grazie alla lettura fondamentale del naturalista ed agronomo Justus von Liebig, dimostra che il modo di produzione capitalista finalizzato all’aumento permanente della produttività e del valore di mercato, oltre alla perdita di libertà e all’alienazione dell’essere umano produce una distorsione del rapporto tra questo e la natura, con il saccheggio della fertilità naturale del suolo [Ruzzenenti]. Alcuni marxisti critici come H. Marcuse e A. Gorz ci hanno mostrato che esistono altri valori (estetici, affettivi, di solidarietà e di cura) fuori e diversi da quelli unidimensionali e smisurati legati alla crescita del potere monetario [Ruzzene]. Se al centro della cooperazione sociale non ponessimo l’obiettivo della massimizzazione dei rendimenti monetari dei capitali investiti, la ricerca del maggior profitto e della massima produttività del lavoro ma, ad esempio, stabilissimo che l’obiettivo è la rigenerazione dei cicli naturali, un equilibrato dispiegamento delle potenzialità lavorative umane (distribuzione dell’occupazione attraverso la riduzione dell’orario di lavoro) e l’equo accesso alla ricchezza prodotta (distribuzione dei dividendi sociali, sganciati dalle logiche di sfruttamento), allora una decrescita degli impatti antropici e dello stress psicofisico delle persone diventerebbe ancora più desiderabile e meritevole di essere perseguita [Cacciari].
Ipotesi di soluzioni [da condividere]
L’impostazione delineata nei punti precedenti è ormai ben diffusa nella letteratura internazionale: pensiamo in particolare alla scuola anglosassone della “rottura metabolica” (metabolic rift: Bellamy Foster, Burkett, Angus, il recente Saito, Fred Magdoff), e a singoli autori di grande spessore (Andreas Malm, Daniel Tanuro, M.Löwy)((Una prima bibliografia è allegata a questo documento.)). In sostanza, dal punto di vista della capacità di comprensione, di analisi teorica, si potrebbe essere ottimisti: il pensiero ecomarxista si sta dimostrando attivo, vitale, interessante [Badiale].
Il problema è naturalmente quello di passare dalla teoria alla prassi: l’eterno problema del “che fare?” Si tratta di una tematica anch’essa ben studiata nella letteratura internazionale, sia in riferimento al crollo di civiltà passate, sia in riferimento ai pericoli che sovrastano la civiltà attuale. Il cambiamento climatico è ovviamente il primo riferimento che viene in mente, ma non è l’unico.
La drammatica crisi ambientale, nei suoi vari aspetti, si intreccia con le crisi sociali e geopolitiche in modi che rendono difficile sperare che la prima possa essere efficacemente affrontata a breve termine. Si rendono comunque necessarie diverse rotture radicali con i modi prevalenti di pensare e di agire delle quali la maggior parte delle persone – cresciuta nell’ambito del mondo forgiato dalla proprietà privata – ha gravi difficoltà a cogliere la portata [Mazzetti]. Basti pensare alla reazione dei governi europei in risposta alla guerra in Ucraina, alla riapertura delle centrali a carbone e al riarmo. Si rendono comunque necessarie diverse rotture radicali con i modi prevalenti di pensare e agire.
Il principale problema politico di un’azione a favore della decrescita diventa quello di individuare delle proposte-azioni concrete, in grado di mostrare le condizioni della realizzabilità di una prosperità senza crescita incessante – con la gradualità necessaria e dei passaggi intermedi (Tim Jackson, 2011). Potremmo immaginare di sopportare delle “perdite” sul quadrante del Pil/redditi se venissero contestualmente “compensate” da guadagni sugli indicatori di benessere (cibo sano, salute, educazione, abitazioni di qualità, relazioni sociali ecc.).
Potremmo aumentare il tempo dedicato al “prendersi cura”, all’accudimento di bambini e anziani, alla salvaguardia dei beni ambientali e comuni, se il tempo del lavoro necessario alla produzione di beni di consumo, oggi in gran parte alienato, venisse ridotto significativamente (come auspicato da Mazzetti]. Potremmo fare più attività socialmente utili se il tempo ad esse dedicato potesse essere “detratto” dalle imposte, come si fa già per le spese farmaceutiche o per le donazioni benefiche (Centro nuovo modello di sviluppo, 2022). E potremmo ridurre l’impiego di moneta ufficiale, legata al pagamento di interessi e alla crescita della produzione e consumo di merci, con sistemi di scambio e credito mutuali non monetari, il cui valore non dipenda dalle decisioni dei mercati, oggi in gran parte speculativi, ma dalle relazioni di fiducia e dalle attività basate sui principi del prendersi cura, sviluppate dai singoli e con le amministrazioni pubbliche su base cooperativa [Ruzzene].
In definitiva si tratta di passare da una economia soggetta alla regola del tasso di interesse e di crescita composto o “imposto”, necessario a garantire i rendimenti finanziari dei capitali investiti, a un’altra forma di organizzazione economica, basata su una riduzione o decrescita significativa delle attività produttive e di consumo che impattano negativamente sul pianeta e sulle condizioni comuni di vita, per favorire un ampliamento delle attività rivolte appunto alla cura delle relazioni e dei beni ambientali. Questo vuol dire anche sviluppare una programmazione accurata dell’impiego di risorse, basata su una valutazione attenta delle implicazioni complessive di breve e lungo termine, e su una partecipazione diffusa delle base sociale, cioè “una programmazione socializzata” – se non vogliamo usare il termine socialista, o riferirci a ciò che “Marx nell’Ottocento chiamava comunismo [… e che oggi è in sostanza] il complesso delle cose comuni che non possono essere oggetto di appropriazione da parte di nessuno e di nessuna istituzione, né pubblica , né privata, ma devono essere a disposizione dell’intera comunità come base della liberazione dei singoli e della realizzazione della vita individuale” (Giacomo Marramao, Caro Latouche…, intervista su “Liberazione” 25 settembre 2011).
I nomi citati nel testo del documento rinviano ad interventi svolti dagli stessi nel corso di una recente conferenza via web visionabile: Decrescita e Marxismi – Verso Venezia 2022; www.https://venezia2022.it
Letture consigliate:
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