Merci dalla biomassa
L’agricoltura e chi vi lavora rappresentano il grande motore della più grande fabbrica di beni indispensabili per la nostra vita. La “fabbrica” dell’agricoltura funziona partendo dai gas dell’atmosfera e dai sali del terreno, per “produrre” una enorme varietà di molecole: carboidrati, grassi, proteine. Ed entro ciascuna “classe” di molecole la natura si sbizzarrisce, in ogni pianta, a offrire varietà e sostanze la cui conoscenza è ancora purtroppo in gran parte incompleta.
L’agricoltura continua il suo ciclo nella zootecnia, in quegli organismi “consumatori” che trasformano le sostanze organiche vegetali in sostanze organiche animali, in proteine alimentari pregiate, ma anche in altre preziose molecole, presenti nelle parti degli animali che spesso sono gettate via come scarti per mancanza di una cultura della chimica delle sostanze naturali. La chimica dei prodotti sintetici derivati dal petrolio ha come isterilito la fantasia e la curiosità dei naturalisti e dei chimici nei confronti dei prodotti zootecnici, oltre che agricoli.
Nella biosfera sono presenti milioni di specie vegetali e animali, la cui massa ammonta a miliardi di tonnellate: eppure, nonostante la grandissima ricchezza della natura, le specie di piante e animali di interesse “economico” sono limitate a poche centinaia e sono aumentate di poco anche dopo la scoperta, da parte degli Europei, di “nuovi mondi”: il continente americano, quello africano e i paesi dell’oriente asiatico.
A mano a mano che aumentava la richiesta di merci e per rompere il monopolio che di esse avevano alcuni paesi che possedevano le colonie da cui tali merci venivano, è nato un vasto movimento scientifico per la riproduzione artificiale di molte di tali merci e per l’invenzione di “surrogati”.
Le condizioni geopolitiche ed i conflitti che hanno escluso alcuni paesi dall’accesso ad alcune materie prime (si pensi alle autarchie dei periodi di guerra); o le occasionali eccedenze di prodotti agricoli (nel periodo della grande crisi negli Stati Uniti); o il temporaneo aumento di prezzo e scarsità di alcune materie prime (durante la “crisi petrolifera” degli anni settanta del secolo scorso), hanno indotto di tanto in tanto a riesaminare le risorse biologiche come fonti di materie prime e di merci; nel complesso, però, nel corso degli ultimi decenni si sono perdute conoscenze tecniche, sementi, colture batteriche, per cui diventa sempre più difficile una resurrezione di iniziative industriali basate su molte tecniche che erano importanti in passato.
Eppure l’ecologia, con la sua attenzione alla scarsità di materie non rinnovabili e ai danni delle merci sintetiche non biodegradabili, ha portato a riesaminare materie prime e tecnologie in grado di fornire merci che possono essere ottenute, con impianti costruiti e funzionanti sul posto, dalle grandi risorse naturali di origine biologica e continuamente rinnovabili, sia nei paesi industriali, sia nei paesi emergenti e poveri.
Un motivo di ottimismo per la ripresa dell’uso merceologico di molte risorse biologiche sta nella grandissima varietà di molecole che esse contengono: inoltre la produzione commerciale di prodotti, soprattutto alimentari, nei paesi industriali comporta l’utilizzazione di tecniche di coltivazione, trasformazione e conservazione che generano grandi quantità di sottoprodotti ricchi di molecole organiche che spesso creano problemi di smaltimento e sono fonti di inquinamento. Si pensi ai sottoprodotti e scarti sia della stessa agricoltura e zootecnica sia dell’industria delle conserve, dell’industria lattiero-casearia, dell’industria della macellazione e trasformazione della carne, della lavorazione del legname e della produzione della carta, eccetera. Una più attenta conoscenza della composizione chimica e fisica e dei caratteri di tali scarti potrebbe consentire di ottenere grandi quantità di merci usando come “materie seconde” tali sottoprodotti che l’agricoltura offre ogni anno, che sono quindi rinnovabili; merci che, per il carattere delle materie di partenza, sono anche biodegradabili alla fine della loro vita utile.
Circa il 60 % della biomassa vegetale è costituita da carboidrati come zuccheri, cellulose, amidi, che sono poi i primi materiali che si formano nel processo di fotosintesi. Con tre soli atomi, carbonio, idrogeno e ossigeno, la natura “fabbrica”, in una grandissima varietà di combinazioni, materie diversissime, talvolta accumulate per la prima fase di sviluppo dei semi, talvolta come materiali da costruzione capaci di trasportare acqua e sali inorganici dal suolo a decine di metri di altezza.
Di questa grande fantasia naturale viene utilizzata soltanto una piccola parte a fini umani. L’industria della carta, che assorbe ogni anno molte centinaia di milioni di tonnellate di materiali lignocellulosici, va a cercare le proprie materie prime sulla base della necessità di ottenere della “cellulosa” standard, adatta per i suoi cicli produttivi. Si formano quindi grandi quantità di sottoprodotti e scarti che solo in parte sono utilizzati come fonti di energia o come materie utili e che in parte sono fonti di inquinamento del suolo o delle acque.
Una migliore conoscenza dei materiali lignocellulosici — le lignine accompagnano le cellulose in ragione di circa una parte ogni due o tre parti di cellulosa — potrebbe dare un contributo a nuovi processi di produzione di carta e cartoni e anche ad operazioni della carta e dei cartoni usati.
L’industria tessile utilizza un numero molto limitato di fibre cellulosiche o proteiche, rispetto alla grande varietà di materiali offerti dalla natura. L’industria chimica produce, talvolta faticosamente, per sintesi partendo dagli idrocarburi estratti dal sottosuolo, molecole che sono state e possono essere ottenute, alternativamente, per via microbiologica dai carboidrati.
Le altre importanti macromolecole della classe dei carboidrati sono gli amidi, sostanze con diversissima composizione e peso molecolare, variabili da una specie vegetale all’altra e suscettibili di trasformazione in molti derivati, finora ben poco studiati. Per idrolisi chimica o microbiologica degli amidi si formano numerosissime sostanze,”le destrine”, molto variabili come caratteristiche chimiche e fisiche e usate solo limitatamente. Simili considerazioni valgono per molti zuccheri, dai monosaccaridi come il glucosio, ai disaccaridi, agli zuccheri “più rari”, di cui esistono grandi quantità in natura. Molti di questi sono capaci di fornire derivati, alcuni dei quali noti dal punto di vista chimico, ma finora poco o niente studiati dal punto di vista delle proprietà tecniche, che si presterebbero a molti impieghi merceologici.
Le sostanze proteiche presenti in tutti i vegetali ed animali, rappresentano le pietre fondamentali per tutti i fenomeni biologici. La natura, con infinita fantasia, partendo da un limitato numero di amminoacidi, una ventina, che sono le “pietre fondamentali” delle proteine, ha predisposto i comuni materiali da costruzione per organi vitali tanto diversi fra loro. Nelle pareti cellulari delle foglie, nel sangue animale, nelle ali delle farfalle, troviamo sostanze proteiche diversissime come caratteri e funzioni; la diversità deriva dalle proporzioni in cui sono presenti tali amminoacidi e della loro successione.
Nonostante il grandissimo numero di proteine esistenti in natura, soltanto pochissime hanno ricevuto attenzione, al di fuori degli usi alimentari e di quelli dell’industria conciaria e tessile (seta, lana). Poche sostanze proteiche (quelle della caseina, della zeina, dell’arachide) sono state utilizzate per la produzione di fibre artificiali, oggi abbandonate. Eppure ogni anno milioni di tonnellate di proteine derivate dalle industrie di trattamento dei prodotti agricoli, dal siero di latte, presenti nei residui dell’estrazione dei grassi, negli scarti della macellazione e delle operazioni conciarie, eccetera, vengono destinate ad usi poveri, come l’alimentazione del bestiame, o la concimazione dei terreni, quando addirittura non sono buttate vie costituendo fonti di inquinamento. Molte di queste proteine sono di origine animale, ricche di amminoacidi essenziali, e potrebbero essere utilizzate per l’integrazione degli alimenti poveri, come quelli che stanno alla base della nutrizione di molti paesi poveri.
Le stesse considerazioni sulla fantasia della natura valgono per i lipidi, i costituenti degli oli e grassi di origine vegetale e animale, che pure sono prodotti industrialmente, soprattutto per l’alimentazione umana, in quantità di circa 100 milioni di tonnellate all’anno.
Il successo dei tensioattivi sintetici e della glicerina sintetica ha ridotto il campo di applicazione industriale dei grassi naturali: anche qui le considerazioni “ecologiche” hanno riportato in vita, nella detergenza domestica, sia pure limitatamente, alcuni tipi di saponi di origine agricola grazie alla loro biodegradabilità.
Vi sono molte strade aperte per l’utilizzazione, con successo, di coloranti naturali, di gomme e resine, dei terpeni, di molte vitamine e degli steroli, soprattutto in tutti quei casi in cui le proprietà di interesse commerciale sono associate a strutture chimiche abbastanza complicate e non riproducibili per via sintetica.
La sfida della natura che offre, nei prodotti vegetali e animali associati all’agricoltura, una così grande varietà e complicazione di sostanze, si può accettare soltanto con altrettanta fantasia chimica e di ricerca. Siamo di fronte ad una chimica difficile, ma proprio per questo i chimici e le imprese dei paesi industrializzati come il nostro potrebbero impegnarsi, usando i raffinati strumenti oggi disponibili, per creare nuove merci, processi e occasioni di occupazione, con vantaggio sia per i paesi industriali, sia per quelli emergenti e poveri, ricordando anche che molte soluzioni sono già state trovate e poi sono state abbandonate, con un impoverimento del patrimonio di conoscenze, un processo simile alla perdita del patrimonio di biodiversità.