Mobilità versus ambiente o viabilità nell’ambiente? Reti ambientali nella pianificazione di Osvaldo Piacentini

Il paper che si vuole presentare intende tracciare i binari entro i quali ricostruire il dialogo, da un lato, fra la riflessione dell’architetto Osvaldo Piacentini in merito alla pianificazione stradale e, dall’altro, la cir­costanza più generale della sensibilizzazione ambientale nella riflessione e nell’agire urbanistico della se­conda metà del Novecento italiano.

Osvaldo Piacentini – architetto e urbanista fondatore della Cooperativa Architetti e Ingegneri-caire a Reggio Emilia ed estensore fra gli anni Cinquanta e Settanta dei principali piani regolatori delle città emi­liane – fu un “intellettuale del territorio” che si pose il problema di ibridare le potenzialità analitiche delle nuove scienze sociali con l’agire urbanistico, che s’interrogò sulla necessità di declinare la riflessione su planning e pianificazione territoriale proveniente da esperienze inglesi e statunitensi alla realtà convulsa e accelerata della modernizzazione italiana del secondo dopoguerra.

In questo contesto più generale il paper ricostruirà, grazie allo spoglio del Fondo Civile depositato presso l’Archivio che porta il suo nome, il sistema di piani e di progetti per la viabilità e i trasporti elabo­rato dall’architetto e dai suoi collaboratori a partire dal 1959 (Piano provinciale per la viabilità della pro­vincia di Reggio Emilia) sino al Progetto di mobilità metropolitana (1982). In questa lunga parabola della vicenda pianificatrice di Piacentini s’intersecarono la sensibilità per la tutela del territorio con il manife­starsi della questione ambientale “moderna”. Il dato nuovo con cui l’architetto si confrontò e che tentò di declinare nella sua progettazione senza espungerlo a priori ma provando a governarlo fu la profonda tra­sformazione socio-culturale da un lato e, soprattutto, ambientale, dall’altro, introdotta dalla crescita espo­nenziale della viabilità privata e commerciale a motore.

Se il cultural landscape ha rappresentano la griglia interpretativa attraverso la quale Piacentini traduceva la pianificazione nella prima fase della sua attività (tardi anni Cinquanta e Sessanta), una concreta politics of landscape ha invece caratterizzato l’ultima fase della sua attività professionale (anni Settanta e primi anni Ottanta) in cui le reti ambientali dialogavano sullo stesso piano con le questioni politiche dello sviluppo, della programmazione economica.

· In questo paper si ribalta lo schema interpretativo del panel

– Nell’ambito dell’approccio “fantasioso”, di “scrittura creativa” di cui si diceva ieri all’apertura della sessione sulle reti ambientali in merito alle declinazioni/interpretazioni del concetto di rete ambientale il mio contributo “temo” vada a introdurre un nuova e altra idea di “ambiente”: rete ambientale come matrice contestuale, di un approccio intellettuale, come griglia/schema culturale su cui andare a raccontare una vicenda intellettuale non solo ambiente come territorio, come paesaggio, come questione ambientale nel discorso pubblico o agenda ecologica ma anche come approccio intellettuale

– e, dunque, per riprendere il titolo non come la mobilità ha trasformato l’ambiente ma piuttosto come l’ambiente ha trasformato la mobilità

– cioè, in altre parole, come la cultura ambientalista entrata a far parte della pratica urbanistica ha interagito con la progettazione di piani stradali, piani di viabilità su vasta scala la prospettiva qui sarà quella dell’incontro/fertilizzazione della matrice ambientalista nell’urbanistica in relazione al dato nuovo che si è verificato nel secondo dopoguerra: la profonda trasformazione socio-culturale, da un lato, e ambientale, dall’altro, dovuta alla crescita esponenziale della viabilità privata e commerciale a motore.

– il case-study che presenterò è quello di Osvaldo Piacentini, urbanista e fondatore della caire-Cooperativa architetti ingegneri di Reggio Emilia estensore fra anni Cinquanta e Sessanta assieme a Giuseppe Campos Venuti e altri della riscrittura dei prg delle principali città dell’Emilia Romagna, estensore delle proiezioni territoriali del Progetto ’80, promotore del cosiddetto Progetto Appennino insomma, uno degli interpreti principali della stagione del riformismo urbanistico italiano, non lo devo dire certo in questa sede, un approccio teorico ma anche programmatico e pragmatico che giunse sino alle porte della Comunità europea((Ci si riferisce qui allo studio commissionato al Centro Piani, diretto dall’arch. Archibugi, che nel contesto dell’esperienza di governo del centro-sinistra  si occupava della parte relativa alle dinamiche territoriali e delle misure di riequilibrio. Il Centro Piani fu chiamato a preparare un piano a livello europeo nell’ambito della Politica regionale comunitaria che, per vari motivi non ultima la mole di impegni dell’architetto Archibugi, fu consegnato con ritardo e non replicò alle critiche metodologiche espresse dal committente. Cfr. L. Grazi, L’Europa e le città. La questione urbana nel processo di integrazione europea (1957-1999), Il Mulino, Bologna 2006, pp. 80 ss.)) dal mio punto di vista, che è quello della ricostruzione della sua vicenda intellettuale nell’ambito di un’indagine storica sul “modello emiliano”, egli è stato un “intellettuale del territorio”: in tal senso, s’intende un attore del dibattito pubblico che, depositario di un sapere specialistico e di determinate tecniche disciplinari, grazie a una collaborazione partecipata alla formulazione di decisioni politiche, ha contribuito in modo determinante alla realizzazione di uno specifico habitus mentale e di un autonomo modus operandi della questione della modernizzazione((Per un’introduzione alla questione degli intellettuali nel secondo dopoguerra si veda M. Walzer, L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, Il Mulino, Bologna 2004. )).

Secondo lo storico Stefan Collini l’intellettuale è colui che possiede uno specifico e riconoscibile expertise in un particolare campo di studi e in un determinato aspetto dell’arte, che ha la capacità di pubblicizzare la propria riflessione ed azione, che è impegnato in questioni di interesse generale e che riesce a stabilire e confermare una reputazione su tali questioni((Cfr. S. Collini, Abstent Minds. Intellectuals in Britain, Oxford, Oxford University Press, 2006.)). Egli, grazie a quest’insieme di caratteristiche, è parte dell’arena politica; è un “attore”. Ancor di più se partecipa non soltanto ai processi di formazione dell’opinione ma anche al percorso di strutturazione della decisione attraverso le informazioni tecniche che è in grado di fornire. La politica con altri mezzi, dunque; per OP il mezzo era l’urbanistica.

[cenni all’impegno di OP nella DC; cenni al dibattito sul ruolo degli intellettuali italiani/europei nel secondo dopoguerra]

– Fonti:

partendo dalla premessa che una lettura come quella che sto cercando di dare io non può prescindere dal rapporto dialettico fra la riflessione scritta e la progettazione, cioè in altre parole si confronta con la difficoltà di leggere la vicenda intellettuale attraverso la lente della pianificazione

un aspetto epistemologico che nel caso specifico dell’urbanista reggiano è resa ancora più difficile dal fatto che OP non ha mai teorizzato in forma scritta la sua idea di pianificazione e, ancora più arduo, è leggere la progettazione/la pianificazione declinando in essa l’impianto interpreta-tivo della ricostruzione intellettuale

Di quali fonti stiamo parlando quindi nello specifico contesto di questo panel?

Regesto delle opere di progettazione per la viabilità e i trasporti di OP:

·      1959                       Piano provinciale della viabilità di Reggio Emilia

(elaborato nel 1959, adottato nel 1964, aggiornato nel 1973)

·      1964                       Piano provinciale della viabilità di Modena

(in collaborazione con L. Airaldi. A Clerici, T. Lugli; elaborato nel 1964, adottato nel 1969)

·      1965                       Piano regionale della viabilità Emilia-Romagna

(in collaborazione G. Bonfiglioli, G. Campos Venuti, A. Tosi, A. Clerici; elaborato nel 1965, pubblicato nel 1970)

·      1966                       Porto fluviale sul Po nella bassa reggiana

(in collaborazione con A. Pastorini – analisi territoriale; L. Frey, P. Ugolini – analisi socio-economica e merceologica; A. Piccoli, G. Della Luna – progetto del porto) mai realizzato

·      1966                       Progetto di razionalizzazione del trasporto urbano

(solo ricerca)

·      1970                       Ipotesi progettuale per un collegamento autostradale Cisa-Brennero

(esame degli effetti indotti sul territorio)

·      1970                       Ipotesi progettuale viabilità cispadana

(esame degli effetti indotti sul territorio)

·      1971                       Ricerca sugli effetti indotti dalla ferrovia Parma-Suzzara

·      1971                       Ipotesi progettuale per il collegamento transappenninico Modena-Livorno

(esame degli effetti indotti sul territorio)

·      1971                       Collegamento stradale Veggia-Ponte Dolo

(in collaborazione con T. Lugli, M. Bertonali, S. Capedri, A. Rossi – studio geologico; E. Paterlini, C. Bugli – progetto stradale)

Il progetto ha costituito la base per l’ammodernamento della S.S. n. 486 (strada del Passo delle Radici)

·      1976                       Progetto di razionalizzazione del trasporto scolastico nella provincia di Reggio Emilia

·      1981                       Piano dei trasporti di bacino della provincia di Reggio Emilia

(revisione del piano per la viabilità del 1963)

·      1982                       Studio di fattibilità per la superstrada Cuneo-Asti

·      1982                       Studi di fattibilità per la struttura portuale Centropadana

(in collaborazione con L. Bulgarelli, G. Della Luna)

oltre a queste opere di progettazione di area vasta nell’economica di questo panel è opportuno indicare anche le progettazioni per i quartieri peep e le elaborazioni del prg.

·      prg            

1953    S. Ilario d’Enza RE

1955    Rolo RE          

Correggio RE

Castelnovo ne’ Monti RE

1957    Rubiera RE

1958    Boretto RE

1961    Carpineti RE

            Casina RE

            Montecchio RE

1962    S. Polo RE

            Campegine RE

            Formigine MO

            Reggio Emilia

1963    Bagnolo RE

            Serramazzoni MO

            Castellarano RE

            S. Martino in Rio RE

            Rio Saliceto RE

            Polinago MO

            Cavriago RE

1964    Prignano MO

            Fabbrico RE

            Modena

1966    Parma

1967    Ramiseto RE

1968    Vignola Mo

            Fornovo PR

1969    Recanati MC

1969    Bibbiano RE

1970    Albinea RE

1971    Cotignola RA

1972    Mondaino FO

            Fidenza PR

1973    Castrocaro-Terme FO

            Russi RA

            Scandiano RE

1974    Castelfranco-Veneto TV

            Rimini

1974    Ostiglia MN

1976    Verucchio FO

            Coriano FO

            Toano RE

            Garresio CN

1977    Collagna RE

            Montecolombo FO

            Morciano FO

            Montebelluna TV

            Nucceto CN

            Perlo CN

1978    Viola CN

            Quattro Castella RE

            Sassuolo MO

1979    Petriano PU

            Lesegno CN

            Ceva CN

            Fossano CN

            Lugo RA

1980    Mondovì CN

1981    Ormea CN

            Alto CN

1982    Caprauna CN

S. Giovanni in Per-siceto BO

·      urbanistica attrattiva

1952    Quartiere Saint Gobain PI

1953    Quartiere ina-casa S. Agnese MO

1957    Quartiere ina-casa S. Donato BO

1959    Quartiere Barene di S. Giuliano VE

1960    Unità di abitazione Nebbiara/Villaggio architetti Reggio Emilia

1967    Zona industriale Crostolo Reggio Emilia

1968    Zona industriale Mancasale Reggio Emilia

            Zona annonaria Reggio Emilia

1971    Zona industriale Forlì-Cesena

1974    Piano di lottizzazione Lorenzini Recanati MC

1974    Piano particolareggiato Fonti di S. Lorenzo Recanati MC

1975    Planovolumetrico Pintura del Braccio Recanati MC

Piano particolareggiato Direzionale S. Pellegrino Reggio Emilia

            Zona industriale S. Clemente FO

1976    Piano di lottizzazione Zona industriale Osimo MC

Piano di lottizzazione Zona Orologio Reggio Emilia

Piano di lottizzazione Zona Valestra Quattro Castella RE

Planovolumetrico Zona Varvilla Ramiseto RE

1977    Piano di lottizzazione Montefiore recanati MC

Piano di lottizzazione Cervarezza Busana RE

            Piano di lottizzazione Toano RE

Zona industriale Fora di Cavola Toano RE

1978    Zona industriale Casino Castelnovo ne’ Monti

Planovolumetrico Zona Arduini Reggio Emilia

1979    Quartiere residenziale Sondrio

Piano di attuazione area peep Pieve Modolena RE

1980    Comparto area industriale Sassuolo Mo

Zona industriale Castelfranco-Veneto TV

1981    Zona annonaria Tondo Reggio Emilia

Piano di recupero via Doberdò Reggio Emilia

1982    Piano particolareggiato per insediamenti produttivi Garresio CN

            Piano di recupero Suzzara MN

            Piano di recupero S. Ilario d’Enza RE

E rispetto a quello che si diceva ieri in merito a un linguaggio condiviso e una concettualizzazione comune sulle reti ambientali  è le reti di città, anche già istituzionalizzate almeno a livello ideologico-politico, esistevano anche nel cosiddetto “modello emiliano territoriale” e in quella sorta di patriottismo emiliano – per dirla con Sassoon

cioè un sistema locale-territoriale, cioè uno spazio fisico economico, culturale e politico il quale pur con tutte le sue contraddizioni è stato “con-diviso”, in cui le volontà dei singoli attori sono andate muovendosi secondo una logica comune e che si è cristallizato in un’auto-rappresentazione a forte riconoscibilità((Per un’introduzione a questo concetto si rimanda a G. Dematteis, Per una geografia della territorialità attiva e dei valori territoriali, in P. Bonora(a cura di), SLoT Quaderno 1. Appunti, discussioni, bibliografie, Bologna, Baskerville, 2001; P. Bonora, Dopo l’Emilia rossa e la rinuncia al progetto, in P. Bonora,A. Giardini (a cura di), SLoT Quaderno 4. Orfana e claudicante. L’Emilia “post-comunista” e l’eclissi del modello territoriale, Bologna, Barskerville, 2003.)), ebbene, in questa prospettiva la “riflessione” sul territorio e la sua “gestione” socio-politica, ambientale e urbanistica sembrano essere una pista di ricerca dall’indubbio interesse storico.

Nella realtà convulsa e scomposta della ricostruzione e durante gli anni della “via italiana” alla modernizzazione, Osvaldo Piacentini s’interrogò su come ibridare le potenzialità analitiche delle nuove scienze sociali con l’agire urbanistico, s’impegnò per declinare nello urban planning e nella pianificazione territoriale il concetto di ambiente e di conferire alle politiche urbanistiche da lui e dal suo gruppo pensate la dimensione di “sviluppo organico” inteso come risultante dell’azione sinergica dell’intervento dell’uomo, da un lato, e delle controreazioni del paesaggio e dell’ambiente circostante dall’altro.

Fra i primi urbanisti ad affidarsi alle conoscenze di agronomi, geologi e allo tempo stesso non dimentico delle pratiche consolidate nei secoli da contadini, pastori, l’architetto reggiano pur non essendo un teorico dell’urbanistica ecologica è stato nondimeno un attore della prassi pianificatoria di avvi-cinamento dell’ecologia alla pianificazione.

Come si inserisce il tema della “città a motore” nella vicenda intellettuale di Piacentini?

In modo estremamente schematico possiamo individuare 2 fasi dell’ideologia pianificatoria di OP:

1) La fase dell’urbanistica sociale il cui obiettivo, pur nell’ambito della palingenesi progressista della ricostruzione e del riassegnare all’architettura e alla pianificazione urbanistica il compito di emancipazione etico-morale, era quello di razionalizzare l’uso del territorio a tutti i livelli, da quello locale a quello nazionale, allo scopo di «far vivere l’Uomo»((Archivio Osvaldo Piacentini (d’ora in poi aop), F 2, busta “Primo studio urbanistico”.)).

Lo spostamento dagli aspetti puramente tecnici della progettazione architettonica e urbanistica a quelli sociali, economici e di sviluppo complessivo era conseguente alle esperienze fatte con Franco Albini e Franco Marescotti durante gli studi al Politecnico di Milano, una collaborazione che condusse alla partecipazione di OP alla stesura di Il problema sociale, costruttivo ed economico dell’abitazione((Cfr. I. Diotallevi, F. Marescotti (a cura di), Il problema sociale, costruttivo ed economico dell’abitazione, Milano, Poligono, 1948.)). In secondo luogo, fu importante l’adozione della prospettiva sociologica urbana (Lewis Mumford, Achille Ardigò per il contesto italiano il quale aveva inoltre collaborato con OP alla stesura del Libro Bianco per le amministrative di Bologna del 1956).

Questa lunga fase va dalla Indagine preliminare sul problema delle abitazioni a Reggio Emilia presentata all’viii Triennale di Milano dedicata al problema dell’abitazione (1947) e si conclude alla fine degli anni Sessanta e passa per le progettazioni delle aree peep nell’ambito del “piano Fanfani” (vari quartieri fra Pisa, Parma, Modena, Reggio Emilia, Bologna) e ha nella parte dedicata ai quartieri del Libro Bianco il suo punto più maturo (futuro modello per la politica di piano grazie all’intuizione di suddividere l’area urbana in «quartieri organici, cioè tali per composizione sociale pluriclasse e per servizi e beni di interesse pubblico»((Alcune parti del manifesto di Dossetti sono state ripubblicate in A. Ardigò, Giuseppe Dossetti e il Libro bianco su Bologna, Bologna, edb, 2002, p. 70.))). Nel “Piano di sviluppo della provincia di Reggio Emilia” (1971-72), che rappresenta secondo me il turning-point della sua ideologia pianificatoria, sono infatti già evidenti gli elementi di una maturazione che possiamo riassumere semplificandola all’estremo nel concetto di “pianificazione ambientale dello sviluppo organico” o per usare le parole di Franco Archibugi, nell’urbanistica sostenibile((Cfr. F. Archibugi, La città ecologica, Bollati Boringhieri, Torino 2002.)).

L’urbanistica sociale di OP, per fare l’esempio che meglio può riassumere il suo impegno, aveva come obiettivo – e riuscì in buona parte a ottenerlo grazie alla collaborazione con le giunte comuniste (a titolo biografico va ricordato che lui era stato un esponente della sinistra DC) – il suo impegno dicevamo era quello di destinare alle abitazioni economiche e popolari le migliori fra le aree in edificate disponibili. A seguito dell’approvazione della L. che agevolava l’acquisizione di aree per il piano Fanfani il suo obiettivo era quello di rovesciare il processo tradizionale della crescita urbana, cioè quello di riservare le aree più centrali ai più “ricchi”, espellendo i “poveri” all’estrema periferia((Questa è anche la lettura che da Giuseppe Campos Venuti in La battaglia professionale, culturale e politica, in S. La Ferrara (a cura di), Osvaldo Piacentini. Senza stancarsi mai. Scritti di un cittadino diacono, Diabasis, Reggio Emilia 1999, p. 199.)).

La riconfermata giunta Dozza fece propria questa proposta, avviando così la prima di una serie di sperimentazioni che culminarono nella Legge nazionale 278 dell’8 aprile 1976 sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell’amministra-zione del comune, istitutiva dei consigli circoscrizionali e dando concretezza all’urbanistica sociale che OP stavo cercando sin dai tempi dell’università((F. Ceccarelli; M.A. Gallingani, Bologna: decentramento, quartieri, città, 1945-1974, Bologna, Istituto per la Storia di Bologna, 1984.)).

2) La fase dello sviluppo organico o della pianificazione ambientalista in cui matura l’assunzione esplicita dell’ambiente non come mero supporto fisico a complemento dell’“urbano” ma come elemento coesistente con cui confrontarsi, con-vivere. In questa prospettiva l’uomo – il pivot attorno al quale si è costantemente concentrata la riflessione e la prassi urbanistica di OP – era parte dello stesso ambiente complesso e in esso interagente; un contesto ambientale che doveva essere studiato, trattato e modificato come un tutt’uno e non con approcci e progetti isolati. Da qui per Piacentini si desumeva la necessità di cambiare i vincoli posti all’agire urbanistico e, dunque, capovolgere alcuni valori territoriali di base allo scopo di impedire la distruzione di elementi integranti del ciclo biologico e l’esaurirsi delle risorse naturali((Relazione programmatica per la formazione del Piano di sviluppo della provincia di Reggio Emilia, aop, ??.)).

Questa fase che inizia a maturare fra la seconda metà degli anni Sessanta e si esprime principalmente attraverso la pianificazione strategica di vasta scala comprende i progetti e le riflessioni legate al progetto ’80, la collaborazione con il gruppo di Piero Moroni e di Franco Archibugi e, soprattutto, quei progetti mai realizzati come il Progetto Appennino.

Il titolo, dunque, deve essere inteso in questa prospettiva, quella dell’approccio allo sviluppo della pianificazione attraverso la lente della storia degli intellettuali, da un lato, dove l’urbanistica/la pianificazione divengono uno degli strumenti per dare risposte allo scomposto processo di modernizzazione. È in questa prospettiva che l’urbanista Piacentini “è” un intellettuale; la programmazione urbanistica e la politica del territorio “sono” aspetti della questione “ideologica” della gestione della trasformazione e la riflessione urbanistica, la concettualizzazione e la pianificazione territoriale “divengono” un luogo del dibattito sulla modernizzazione.

Dall’altro lato questo approccio è anche la vicenda dell’incontro/scontro/ibridazione fra due matrici culturali: quella dell’ecologismo e quella dell’urbanistica, quella della sociologia funzionalista e quella delle urban policies; per dirla in modo sintetico e oggi tanto di moda la vicenda intellettuale della governance del territorio o dei territori.

Torniamo dunque al titolo: Mobilità versus ambiente o viabilità nell’ambiente? [con punto interrogativo]

In questo titolo il termine/il concetto di mobilità si contrappone ad ambiente, mentre la viabilità è una delle funzioni delle reti ambientali.

Si tratta naturalmente di artifizio esplicativo che ha lo scopo di aiutarmi a fissare un passaggio dell’ideologia urbanistica di OP quando questa si confronta con il dato nuovo della crescita espo­nenziale della viabilità privata e commerciale a motore e soprattutto quando si confronta con le conseguenze sull’ambiente (inquinamento) e sul territorio (fratture sul territorio, la violenza nei centri storici dovuta all’abuso dello spazio da parte delle automobili ma anche la necessità di costruire parcheggi). OP, cioè, per dirla in breve, non intende espungere a priori la questione delle “città a motore”, ma piuttosto vuole governarla, razionalizzarla.

Cercherò di spiegarmi nel tempo che mi rimane.

È, infatti, nel dilemma fra un congelamento dell’ambiente, mera mummificazione del contesto spaziale e territoriale, che non è in grado di accompagnare lo sviluppo della società – uno sviluppo che per OP è irrinunciabile, ma uno sviluppo, vedremo, che non significa esclusivamente ampliamento degli aspetti legati all’industrializzazione –

si diceva dunque accompagnare lo sviluppo/progresso della società (parole che hanno nell’intera vicenda intelettuale di Piacentini diritto di cittadinanza) con la co-esistenza nell’ambiente, nell’ecosistema. Cioè, questa è la mia ipotesi, è questa continua contraddizione a indurre le riflessioni e le scelte/le pro-poste pianificatorie dell’architetto reggiano, anche quelle relative alle infrastrutture stradali, alla raziona-lizzazione dei problemi conseguenti la città e il territorio “a motore”.

Nell’ottica quindi della ricostruzione della vicenda intellettuale di un “architetto” in un panel di storia ambientale, è bene non dimenticarlo, l’obiettivo non è quello di andare alla ricerca di una “coscienza” o “incoscienza” ecologista o di un presunto primato ambientalista, tantomeno il rimpiangere un’arcadia perduta o l’idilliaco equilibrio della società contadina((Cfr P. Bevilacqua, Storia del territorio o romanzo della natura?, in «Meridiana», 2 (1988), pp. 189-201.)).

Pertanto, due sono i piani sui quali sviluppare il case-study di OP: da un lato il piano dell’agire urbanistico in un sistema pluriattoriale (cioè la convivenza di professionalità, culture amministrative e politiche, discorso pubblico) e pluriesigenziale (cioè il reticolato di esigenze contrapposte degli attori)((B. Secchi, Il racconto urbanistico. La politica della casa e del territorio in Italia, Torino, Einaudi, 1984.)).

Dall’altro, il piano dell’astrattezza e della concettualizzazione dell’agire intellettuale, ovviamente im-prescindibile per qualsiasi “lavoro intellettuale”, che nello specifico dell’ambito urbanistico tende a foca-lizzarsi nella contrapposizione fra la creatività personale dell’urbanista e la fattibilità (materiale, finanziaria, politica) dei suoi progetti: contrapposizione che si traduce appunto nel “compromesso” della pianificazione((Cfr. C. Olmo, Urbanistica e società civile, Milano, Bollati Boringhieri, 1992.)).

È su questa dialettica che s’innesta la questione ambientale ed è in relazione alla complessità della modernizzazione italiana, alla problematicità della co-evoluzione che va letta l’assimiliazione dell’ecologia attraverso le sue fasi (la conservazionista degli anni Cinquanta, la riequilibratrice degli anni Sessanta e la protestataria del ’68 sino alla sua politicizzazione degli anni Ottanta).

Ad esempio: se da un lato il vincolo città-territorio e la trasformazione del paesaggio hanno subito un rivolgimento repentino ed imprevedibile, benché non inaspettato, dove l’idea di progresso è andata in parallelo con quella di sviluppo – uno sviluppo che prima di tutto fu quantitativo –, allo stesso tempo nondimeno nell’Italia del dopoguerra, e soprattutto nell’Emilia-Romagna e nell’Italia centrale in cui OP si accingeva ad operare, il «vibrare l’ansia della ripresa», per dirla con l’urbanista Giovanni Astengo, si è alimentato del clima di rinnovamento, speranza e riscatto sociale legato alla modernizzazione promessa((F. Indovina (a cura di), La ragione del piano, Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, Milano, F. Angeli, 1991.)).

In questo contesto due elementi ebbero un peso determinante: da un lato l’urgenza di rispondere nel più breve tempo possibile alle esigenze primarie – ci si riferisce alla casa, all’acqua e all’energia elettrica – ma, dall’altro lato, essa convisse con la libertà d’azione lasciata all’iniziativa individuale/privata alimentando quello sviluppo “spontaneo” della cerchia urbana di molte città italiane che aveva nella crescita edilizia, o meglio nella speculazione edilizia, il motore principale della trasformazione((M. Gavioli, Lungo la via Emilia: stagioni pianificatorie e governo delle trasformazioni a Bologna e Reggio Emilia, in R. Parisini (ed.), Politiche urbane e ricostruzione in Emilia-Romagna, Bologna, Bononia University Press, 2006.)).

È dunque in questo caotico e scomposto processo che va inserita la questione della mobilità e della viabilità per OP.

Alle 2 fasi dell’ideologia pianificatoria, o meglio alla maturazione dalla prima alla seconda fase, base sulla quale si è innestata la prassi urbanistica di OP e del suo gruppo, possiamo far coincidere – anche in questo caso si tratta di una semplificazione atta a schematizzare un percorso intellettuale e professionale molto più complesso e articolato – 2 fasi della questione della viabilità e, dunque, una maturazione dell’atteggiamento nei confronti della questione della viabilità:

1) la fase del cultural landscape (mutuando questa espressione dalla storiografia dell’ambiente la quale non coincide esattamente all’epoca storica di OP)

Se nel processo di separazione della filosofia della natura dall’etica ambientale avvenuto nell’Ottocento termini come cultura-nazione-patria si saldarono con il concetto di natura e il paesaggio nazionale divenne un’immagine attraverso la quale identificare l’uomo con il proprio ambiente, la propria comunità, la propria storia, fu dunque attraverso il processo di costituzione delle identità nazionali europee che si sviluppò l’idea del paesaggio, ovvero di territorio-patrimonio dello stato-nazione, espressione “material-naturale” della propria pa-tria.

È questo background culturale ancora intriso di cultura ottocentesca – e con questo non intendo dire “antiquata”((Cfr. C. Tosco, Il paesaggio come storia, Il Mulino, Bologna 2007.)) – che è alla base delle politiche conservazioniste dell’immediato dopoguerra alle quali OP si affianca e cerca di dare una propria risposta programmatica.

Tra il 1959 e il 1964 in concomitanza all’emanazione delle L. 126 e 181 relative alla nuova classificazione della viabilità statale, comunale e provinciale la caire e OP scrissero i “Piani della viabilità per le province di Reggio Emilia e Modena”. Tali piani portarono alla messa a punto di metodologie di studio (che confluiranno poi nella Metodologia di base per la formazione dei piani comprensoriali della regione Emilia Romagna, 1975) nelle quali si affrontava il problema della mobilità attraverso l’analisi degli effetti indotti dalla rete di movimento esistente. Cioè si andava a quantificare come e quanto la mobilità incideva sul territorio.

I criteri posti alla base della progettazione di OP erano legati alla tesi del riequilibrio territoriale – e dunque sempre nell’ottica di una preservazione di un territorio e di un paesaggio che venivano percepiti come un “bene pubblico” da tutelare in quanto parte della cultura e della civiltà dell’uomo.

Il nodo da scardinare nei piani di OP era quello dell’asse di sviluppo (urbano e industriale) dominato dalla via Emilia (ricordo che stiamo parlando di Mo e Re) che, a sua volta, obbligava ovviamente la viabilità. Quest’ambizione si concretizzò nel caso della città di Modena che, grazie al prg da lui redatto, nell’esplicita scelta di riorientare l’asse dello sviluppo dalla direttrice est-ovest segnata appunto dalla via Emilia a quella nord-sud, costruì uno schema di sviluppo non più radiocentrico ma al contrario aperto e disposto secondo un reticolo ortogonale atto a permettere futuri sviluppi territoriali non più polarizzati. Che detto nella prosa del tema di questo panel ha significato “lasciar respirare” nel lungo periodo il centro storico.

Stessa impronta presente nel “Piano regionale della viabilità”, commissionato dall’Unione regionale nel 1965 alla caire e all’architetto reggiano. Si tratta del primo studio per la viabilità a livello regionale dell’Emilia-Romagna che costituirà il quadro di riferimento per la pianificazione regionale futura.

A completamento dell’indagine demografica furono qui introdotti dei parametri di accessibilità legati alle possibilità esistenti per alcune aree di essere considerate in condizione pre-metropolitana. Il tema della città-metropolitana e della città regione che si innesta e si contrappone al tema della città-territorio emerge già in questi piani.

Chiamato a definire la pianificazione urbanistica nell’ambito del dibattito sulla programmazione economica sviluppato dai quadri della DC regionale, OP così illustrava la sua idea di città-territorio: «un sistema composto da insediamenti più densi o più radi che formano un unicum urbano senza più distinzioni tra città e campagna»((O. Piacentini, Pianificazione territoriale, in , p. 62.)).

Tali parametri di accessibilità inseriti nel Piano regionale di viabilità furono calcolati sulla rete stradale esistente a 60 km/ora di media, nel caso di insediamenti sparsi, e a 45 km/ora in concentrazioni di popolazione non superiori a 150 mila abitanti in modo così da determinare tra un insediamento residenziale e un servizio intervalli temporali di circa 30 minuti. Col calcolo dell’accessibilità e con l’esame dei flussi di traffico si precisarono le grandi direttrici di sviluppo future.

Stesso approccio presente nel “Progetto di razionalizzazione del trasporto” per la città di Parma: redatto a complemento del prg della città emiliana (1966) a base del piano venne posta l’esplicita scelta politica di riorientare lo sviluppo industriale e, dunque, anche della viabilità nell’asse nord-sud. In questa scelta di determinare lo sviluppo dei centri amministrativi e commerciali della città e delle zone residenziali e industriali – una razionalizzazione del territorio in base alla razionalizzazione dello sviluppo – OP elaborò un piano per la viabilità in cui la priorità veniva conferita al trasporto pubblico – sempre nell’ottica di quella urbanistica sociale che lo guidava – immaginando un «veloce» e «funzionale» collegamento fra i centri residenziali e le zone industriali. Nel suo progetto, in corrispondenza dei centri nodali di interscambio fra trasporto pubblico e rete viaria OP, seguendo una «moderna» intuizione, immaginò, siamo nel 1966 a Parma, di costruire un sistema di parcheggi.

Alla luce del fatto che la città/il territorio era ormai “a motore”, la sua fu in questa fase una razionalizzazione degli spazi (urbani ed extraurbani, dei sistemi di collegamento) e della loro funzione non espungendo a priori i mutamenti tecnologici; allo stesso tempo la funzione regolarizzatrice, appunto razionalizzatrice, del suo piano prendeva in considerazione anche le trasformazioni socio-culturali che la modernizzazione aveva indotto, seppur attraverso «persuasori occulti»((Ivi.)).

Perché insisto sul fatto che non espunse “il motore”, la libertà di muoversi, la motorizzazione di massa dal suo universo intellettuale?

[riferimento al dibattito sulla affluent society; e questo apre la questione se la sua è stata una urbanistica/pianificazione pauperistica … ma questo ci porterebbe molto lontano, ad approdare alla querelle fra società opulenta e società del benessere, alla questione dell’interpretazione del “capitalismo” per i “dossettiani”, al tema dell’austerity]

Dunque il suo fu tentativo di governo della trasformazione, pur nella consapevolezza riformista che – lo dico qui in modo tranciante per questioni di sintesi – «il suolo era una risorsa finita».

Un ultimo esempio. [Puianello connessione all’autostrada/Calatrava]

Prima di passare alla seconda fase un accenno al momento di transizione: il tema della città-territoriale che corrisponde temporalmente al dibattito e al processo di formazione delle Regioni. Mi riferisco cioè a cosa hanno significato le regioni per la generazione di amministratori locali, e con essi di urbanisti, che usciti dalla lotta di resistenza si trovarono in parte delusi e disillusi dalla possibilità di poter intervenire a livello nazionale/statale.

In altre parole, OP e la classe dirigente politica dell’Emilia-Romagna declinò in chiave locale le aspe-ttative/utopie riformatrici e organizzatrici della programmazione – il planning per usare un linguaggio politologico – che erano andate deluse dall’esperienza del riformismo impraticabile, prima ancora che ideologicamente impossibile, del centro-sinistra.

2)        una fase della politics of landscape

·     rete ambientale non è un vincolo all’agire urbanistico ma un elemento della pianificazione

e dunque l’ambiente come fattore di sviluppo umano

corrisponde alla maturazione della pianificazione ambientalista-ecologica

[Progetto regionale di mobilità metropolitana, Relazione 1982]

[Corso integrativo di tecnica urbanistica a.a. 1981/1982 – Università di Bologna]

Quali erano le direttrici culturali sulle quali si basavano le scelte di OP?

     La sensibilità ambientalista mostrata negli anni Settanta si innesta su una ricerca intellettuale che affonda nelle letture di Maritain, di Huizinga e del dibattito sulla crisi di civiltà, sullo studio delle esperienze urbanistiche della città giardino e delle New Towns che risalgono agli anni degli studi universitari e della sua militanza nell’associazionismo cattolico di Reggio Emilia, alla stretta amicizia con Giuseppe Dossetti.

Critica possibile a quest’approccio: torsione sulla metodologia dei linguistic turn studies di provenienza anglo-sassone

Per cercare di tirare le fila di questio mio discorso:

OP è morto all’inizio del gennaio 1985 e dunque non ha potuto usufruire di tutte le nuove possibilità che sono state date all’urbanistica nei decenni seguenti.

La dilatazione della sua prospettiva – spaziale e concettuale, cioè pianificazione a vasta scala di macroaree, e pianificazione ambientalista-ecologica quasi come la pianificazione dell’universo-mondo – ha forse allontanato OP dal nucleo propulsivo dell’agire urbanistico trasformando i suoi piani di area vasta in utopie (es. il caso del “Progetto Appennino”).

Quale è stato il cambiamento dell’ambiente e delle reti ambientali? Naturalmente questo sarà il tema di un altro panel …

Si può nondimeno concludere che OP e la sua complessiva vicenda intellettuale in relazione agli sviluppi della disciplina e prassi urbanistica e di pianificazione hanno preparato il terreno culturale per accogliere gli sviluppi della questione ecologista, non soltanto intesa come sostenibilità/città sostenibile/regione ecologica ma anche come circolazione di risorse atte allo sviluppo.