Pandemia, antifascismo, tecnologia: un 25 aprile digitale
Saggio originariamente edito (con titolo diverso) nell’e-book Studiare la pandemia. Disuguaglianze e resilienza ai tempi del Covid-19, a cura di Domenico Cersosimo, Felice Cimatti e Francesco Raniolo, Roma, Donzelli, 2020.
Il virus, il lockdown, il 25 aprile e il web
A dispetto della sua sostanziale efficacia, lo stretto lockdown adottato in Italia tra l’11 marzo e il 4 maggio 2020 impone alcuni prezzi. Ne soffrono le attività economiche e in particolare alcuni soggetti. Ne soffrono molte persone, costrette in casa talvolta in solitudine, talvolta in condizioni di convivenza inusuale o forzata, per lo più subendo un drammatico senso di impotenza rispetto a una situazione nazionale incerta e angosciosa. Ciò che rende il lockdown ancor più difficile da sopportare è la sospensione di tutte le attività di socializzazione e/o ricreative in pubblico: andare a trovare congiunti o amici; fare sport; andare al cinema, a teatro, ai concerti; più in generale, organizzare eventi collettivi o parteciparvi.
In questo contesto la comunicazione digitale e il web divengono ancor più centrali di quanto non siano già. Oltre a rendere possibile la prosecuzione di una gran quantità di attività lavorative mediante il telelavoro, a fornire un flusso essenziale di informazioni e a permettere di arginare il disagio psicologico essi permettono infatti di sperimentare forme di partecipazione e di solidarietà collettiva che suppliscono all’impossibilità di incontrarsi e di interagire vis-à-vis.
È questo il terreno sul quale vengono preparate e si tengono le celebrazioni del 75° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Celebrazioni apparentemente destinate a seguire la sorte di tutti gli altri eventi collettivi resi impossibili dal lockdown ma che al contrario proprio grazie al web si rivelano un’occasione di mobilitazione di grande portata e dai caratteri in gran parte inediti.
25 aprile, una ricorrenza pubblica mai pacificata
La pandemia apre inaspettatamente un’altra interessante fase di quel gioco di risignificazione di parole e di simboli che è parte costitutiva del rapporto fra passato, presente e futuro ed entra in una querelle di lunga data del panorama politico italiano, quella intorno al rapporto fra Resistenza e identità nazionale.
La narrazione antifascista ha dei caratteri unitari riassunti nel concetto di guerra di liberazione nel doppio senso di liberazione dai tedeschi invasori e dal fascismo. Da ciò deriva l’idea secondo cui sia il fascismo che la guerra sono stati subìti dal popolo italiano, un popolo che si immagina animato in toto da sentimenti antifascisti, il quale con la Resistenza riscatta la scellerata scelta dell’Asse da parte di Mussolini. Tuttavia la narrazione antifascista è anche plurale e ciascun soggetto politico enfatizza gli aspetti più congeniali alla propria affermazione e propone sue specifiche interpretazioni del rapporto fra Resistenza e storia d’Italia. Questa articolazione della comune matrice antifascista ha fatto sì che nel corso degli anni a seconda delle alleanze di governo e delle sollecitazioni gravanti sul sistema politico si sia pescato in maniera mirata nel patrimonio di soggetti, valori e simboli della Resistenza. Così il centrismo, il centro sinistra, il ‘68 e il periodo della solidarietà nazionale sono accompagnati dalla valorizzazione di alcuni aspetti e dall’oblio di altri della multiforme esperienza resistenziale.
Negli anni ottanta con i governi Craxi si è invece di fronte a una svolta, ha inizio l’opera di delegittimazione della Resistenza come mito fondativo della Repubblica. “L’antifascismo – e per la prima volta, anche la Costituzione – saranno viste come ostacoli alla “modernizzazione” del paese” (Santomassimo 2003, p. 171). L’attacco all’antifascismo e l’eclissi nei primi anni novanta dei partiti affermatisi nel 1946 vede il ritorno delle argomentazioni “antiantifasciste” già presenti nell’ “opinione ‘liberalmoderata’” (Santomassimo 2003, p. 149) sin dagli anni quaranta e fa emergere, prima in sordina accanto a essa poi in modo sempre più esplicito l’altra narrazione della guerra e della Resistenza, quella fascista, anch’essa già delineata nelle sue componenti sin dal 1945. I fascisti in sintesi ribadiscono da allora l’opportunità della guerra a fianco della Germania e la sostanziale condivisione della scelta di Mussolini da parte dell’intero popolo italiano; esaltano l’eroismo degli italiani in battaglia e accusano di tradimento la Corona e le forze antifasciste; mentre la Resistenza è solo una guerra fratricida la RSI è un baluardo contro la vendetta tedesca (Focardi 2005).
Negli anni novanta l’antifascismo perde definitivamente la sua centralità e il dibattito pubblico mira a costruire un nuovo senso comune, teso alla “delegittimazione degli uomini, dei partiti e dei paradigmi identitari della prima repubblica [… a favore di] una seconda repubblica che si vuole fondare sul trionfo delle appartenenze naturalistiche e sulla spontanea fluidità del mercato” (De Luna 2000, p. 453-458; corsivi nel testo).
Il 25 aprile, la data simbolo dell’antifascismo, segue le vicissitudini della Resistenza come mito fondativo. Dal 1946, quando è istituita, le celebrazioni ufficiali e i significati che le sono attribuiti rispecchiano le diverse fasi politiche e le articolazioni interne al fronte antifascista e al contempo il 25 aprile è una festa popolare e partecipata, specie nelle città. Nell’opera di cancellazione dei riferimenti identitari della prima repubblica si è cercato di normalizzare il 25 aprile espungendone l’inequivocabile rimando ad una scelta di campo (liberazione da cosa?). Nel 1994 il segretario di Alleanza nazionale Gianfranco Fini auspica che il 25 aprile diventi “il primo giorno di un anno della riconciliazione” per “tutta la collettività nazionale” (Focardi 2005, p. 63). Da allora le proposte per risignificare il 25 aprile si sono susseguite incessantemente, quasi tutte finalizzate a svuotarlo del suo contenuto antifascista e progressista se non a liquidarlo definitivamente.
Il Covid e l’esplosione delle piazze virtuali
Il 5 aprile, in pieno lockdown, il direttore del quotidiano “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, si inserisce a modo suo in questa dialettica querelle scrivendo: “partigiani e antifascisti, fatevene una ragione: il virus non è fascista, non è antifascista e, secondo me, ride alla grande della vostra stupidità. E ci ha fatto pure il regalo uno dei pochi – di liberarci, per la prima volta nel Dopoguerra, della retorica del 25 Aprile, quantomeno della sua rappresentazione fisica nella quale, peraltro, non c’è più un partigiano a pagarlo oro”. Questa previsione-augurio si rivelerà tuttavia infondata sia perché sottovaluta il persistente radicamento culturale ed emotivo della ricorrenza sia soprattutto perché non è in grado di cogliere le nuove modalità della mobilitazione collettiva rese possibili dal web, e che pure si sono ampiamente manifestate sia in Italia che all’estero già durante il mese di marzo.
Ciò che stranamente il responsabile di un quotidiano nazionale ad ampia diffusione trascura di prendere in considerazione è l’intreccio creatosi tra la diffusione di tecnologie digitali di uso quotidiano, le trasformazioni che esse hanno indotto nei comportamenti individuali e nella visione di sé, l’aumento massiccio del loro uso a causa del lockdown, l’intenso bisogno di aggirare l’isolamento fisico imposto dai provvedimenti di emergenza e il desiderio di manifestare pubblicamente – e se possibile collettivamente – la speranza di riuscire a superare la crisi.
Tutti questi elementi, alcuni dei quali consolidati da tempo e altri emersi in occasione del lockdown stesso, hanno stimolato la creazione una straordinaria quantità di eventi inediti, molti dei quali altamente visibili e di forte impatto emotivo, capaci non solo di colpire l’opinione pubblica ma anche di mobilitarla, sia pure nelle forme limitate consentite dalle misure di contenimento dell’epidemia.
Ciò è apparso evidente sin dall’11 marzo, quando il lockdown è stato esteso a livello nazionale e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato il provvedimento in diretta Facebook con un breve e drammatico discorso. Nel corso della stessa giornata sono state lanciate in rete tre iniziative dal basso che riscuotono immediato successo nazionale. Con l’hashtag #andràtuttobene alcune mamme hanno proposto di esporre lenzuoli decorati con un arcobaleno, delle mani, dei cuori e – appunto – la frase “andrà tutto bene”. Senza un evidente coordinamento né stimolo iniziale, inoltre, molte persone hanno iniziato a esporre la bandiera italiana all’esterno delle proprie abitazioni. Il complesso musicale Fanfaroma ha lanciato infine l’idea di un flashmob sonoro da svolgersi in tutto il paese alle ore 18 di venerdì 13 marzo: “Apriamo le finestre, usciamo in balcone e suoniamo insieme, anche se lontani”. È importante osservare come tutte queste iniziative siano state lanciate mediante il web, siano state destinate a realizzarsi mediante azioni e forme di interazione non-digitale e poi siano “rientrate” nel web mediante il caricamento di riprese video, dirette in streaming, annunci sui social e servizi giornalistici per diffondersi ulteriormente – con un moto circolare – tra schermi, balconi e schermi, cioè tra virtuale, reale e virtuale.
Tra le molte iniziative di questo tipo ideate e diffusesi a partire dall’11 marzo quella che ha preso il nome di balcony music è forse quella che ha avuto l’impatto emotivo e ha conquistato la visibilità maggiore, anche al di fuori dei confini nazionali. Centinaia di persone hanno partecipato ai flashmob sonori o hanno realizzato singole performance dai propri balconi di casa, in forma più o meno strutturata, e gran parte di esse hanno filmato e diffuso in rete questi micro-concerti. Per dimostrare solidarietà con l’Italia alle prese con una precoce e violentissima diffusione della pandemia anche all’estero sono state organizzate, filmate e diffuse in rete delle performance collettive. Memorabile fra tutte una “Bella ciao” collettiva tedesca del 18 marzo che ha coinvolto i balconi di un intero vicinato.
In un momento di grande difficoltà e angoscia collettiva queste iniziative hanno dunque creato comunità e solidarietà mediante l’intreccio di virtuale e di reale e sono riuscite a farlo aggirando l’impossibilità di uscire di casa e di incontrarsi di persona. In tutto questo ha finito col giuocare un ruolo centrale la musica, forma di espressione capace di far convergere emozione estetica, comunicazione verbale e temi fortemente radicati nella storia e nell’identità nazionale o regionale. Nelle classifiche dei brani più cantati e suonati dai balconi nel mese di marzo hanno così primeggiato pezzi celebri come l’inno nazionale seguito da canzoni come Azzurro, Il cielo è sempre più blu, o come Romagna mia, O mia bela Madunina e Abbracciame.
La “balcony music” non è tuttavia stato l’unico canale attraverso cui la musica è divenuta strumento di coesione e di lotta contro l’isolamento, l’inazione e il ripiegamento emotivo. Nel periodo del lockdown – e non solo in Italia (Leight, 2020) – si è verificata infatti un’intensa fioritura e diffusione sul web di produzioni domestiche rese possibili dalla diffusione ormai ubiquitaria di strumenti tecnici e di software di buona qualità, a buon mercato e di facile utilizzo. Basta ormai uno smartphone per registrare audio e video dell’esecuzione di un brano musicale e per diffonderlo in rete, ma da diversi anni sono disponibili anche tecnologie professionali che consentono con estrema facilità di realizzare registrazioni di alta qualità cui possono partecipare – anche in tempo reale – un gran numero di musicisti fisicamente anche molto distanti. Esemplare da questo punto di vista, per quanto la registrazione in questo caso non avvenga in contemporanea, l’esperienza dei video registrati a partire dal 2009 all’interno dell’iniziativa Playing for Change.
Un 25 aprile uguale e diverso
La celebrazione del 25 aprile in un’inedita situazione di coprifuoco nazionale viene dunque preparata a partire da tutte le premesse cui si è fatto cenno: il persistente incombere di una grave emergenza sanitaria ed economica, il disagio quando non la sofferenza psicofisica per l’isolamento, l’attaccamento alla ricorrenza, l’abitudine e l’attitudine al protagonismo attraverso i social, l’ampia diffusione delle tecnologie e delle modalità della collaborazione on line, il desiderio di socializzare e di manifestare solidarietà e senso di comunità in un momento altamente drammatico.
La speranza-previsione espressa il 5 aprile da Alessando Sallusti di una festa della Liberazione necessariamente amputata e quindi vanificata dalle condizioni imposte dal lockdown non esclude comunque il ripetersi di tentativi di risignificare il 25 aprile per neutralizzarne la forza simbolica. Di questa linea si fa portavoce il vicepresidente del Senato ed esponente di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa il quale propone che “da quest’anno il 25 aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna e che […] in questa data si accomuni anche il ricordo di tutte le vittime del Covid-19” in modo da poter “ripartire in una Italia finalmente capace, dopo 75 anni da quel lontano 1945, di privilegiare ciò che ci unisce e che ci rende tutti orgogliosi di essere italiani”. Non casualmente La Russa conclude suggerendo che nel giorno della ricorrenza si canti “La canzone del Piave che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”.
La proposta lanciata da La Russa il 18 aprile – più sottile del successivo invito del leader della Lega Matteo Salvini di “cantare meno Bella ciao e lavorare di più” – è in realtà un tentativo relativamente esplicito di rispondere all’iniziativa lanciata il 13 dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia con l’hashtag #bellaciaoinognicasa.
Insieme a ARCI, CGIL, CISL, UIL, Le sardine, Libera, Confederazione italiana tra le Associazioni combattentistiche e partigiane, Unione degli Universitari, Istituto nazionale Ferruccio Parri, Comune di Firenze, ANPPIA e altre sigle l’ANPI ha infatti proposto che “il 25 aprile alle ore 15, l’ora in cui ogni anno parte a Milano il grande corteo nazionale” tutti espongano “dalle finestre, dai balconi il tricolore” e intonino “Bella ciao”. All’iniziativa dell’ANPI si è aggiunto un gran numero di iniziative di dimensioni, caratteri e ambizioni diverse, dalla diretta streaming del quotidiano “La Repubblica” alla maratona di musica e interventi organizzata dagli Archivi della Restenza di Fosdinovo, dal concerto “Voci resistenti” organizzato da Parma capitale della cultura 2020 alla diretta “25 aprile uniti e connessi” dell’ANPI di Roma.
Se queste iniziative organizzate in modo complesso, ampiamente propagandate e seguite in rete da centinaia di migliaia di persone danno il tono ufficiale alla celebrazione nazionale insieme alla solitaria visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Altare della Patria, la vitalità della ricorrenza è però confermata soprattutto dalla fioritura di iniziative locali o di base, spontanee. Un certo numero di queste sono “in presenza” e testimoniate da video che sono stati diffusi in rete, talvolta con modalità che ispirate direttamente alla balcony music. È il caso di Bologna, Rimini, Napoli e Milano, dove il momento clou delle celebrazioni ufficiali è l’esecuzione in piazza di “Bella ciao” da parte rispettivamente di un trombettista, di un violinista e dei sindaci che cantano dal balcone del municipio. Ma la stragrande maggioranza delle iniziative si svolge direttamente in rete: in qualche caso esse sono preregistrate e caricate il 25 aprile o nei giorni immediatamente precedenti, in altri casi avvengono in streaming il giorno della celebrazione.
I canali di diffusione di queste iniziative sono diversi, dalle piattaforme social ai siti web degli organizzatori o degli organi di informazione fino a Youtube ma solo in quest’ultimo caso – che rappresenta solo una parte degli accessi – è possibile conoscere il numero degli accessi e farsi un’idea approssimativa del successo di ciascuna iniziativa. Accanto al successo delle varie iniziative in termini di accessi l’altro elemento che caratterizza questa anomalo 25 aprile “a distanza” è la loro straordinaria numerosità e varietà che confermano da un lato la persistente affezione alla ricorrenza e ai suoi valori e da un altro la disposizione a trasformare il web in piazza virtuale, tanto più nelle condizioni di isolamento forzato determinate dell’epidemia.
Una rapida ricognizione – tanto più parziale a causa del fatto che molte iniziative sono state seguite sia in streaming che in differita anche su Facebook o su siti web – dei video caricati su Youtube in occasione del 25 aprile da istituzioni, collettivi e singoli ha permesso di individuare 493 video che al momento del rilevamento (3 maggio 2020) totalizzavano circa 3.353.000 accessi.
Di questi video 280 sono focalizzati principalmente su uno o più brani musicali, 109 su letture, spiegazioni, lezioni, testimonianze e bilanci politici o storici, 59 su video elaborati per l’occasione, 27 su cerimonie pubbliche svoltesi all’aperto o al chiuso, 10 su eventi in streaming contenenti contributi di diversa natura e 7 su performance varie.
Se i video incentrati sui brani musicali costituiscono oltre la metà (56,8%) di quelli censiti, essi sono anche quelli che hanno ricevuto il numero di gran lunga maggiore di accessi: 2.541.000, pari al 71,3% degli accessi complessivi. In queste celebrazioni “a distanza” del 25 aprile la musica ha quindi assunto un peso decisamente preponderante, confermando come essa rimanga il veicolo più popolare, sentito e quindi efficace di riaffermazione e di trasmissione dei valori di libertà e di giustizia sociali propri della Resistenza e dell’antifascismo.
Per cogliere adeguatamente l’originalità di queste inedite celebrazioni costrette nella camicia di forza del lockdown, è utile anche distinguere i video “musicali” in quattro categorie, a seconda delle modalità di registrazione dei brani. La prima grande distinzione è tra video basati su brani su registrazioni già esistenti e video basati su esecuzioni realizzate appositamente per l’occasione. Questi ultimi possono essere suddivisi a loro volta in tre categorie: video registrati in “esterno”, cioè in cerimonie, sui balconi o comunque in spazi aperti e accessibili a un pubblico per quanto ridotto; video registrati in “interni”, cioè in spazi privati aperti o chiusi nei quali cantano e/o suonano una o più persone; video registrati “in remoto”, in cui cioè più persone suonano insieme e contemporaneamente in luoghi fisicamente separati e distanti.
Il radicamento della festa della Liberazione, la partecipazione e la creatività che essa è in grado di stimolare e la persistente centralità della musica nella sua definizione emerge chiaramente dalla distribuzione dei video e degli accessi in queste quattro categorie. La meno numerosa e frequentata (6,5% dei video e 4,5% degli accessi) è la prima, quella con brani di repertorio. Quella della musica in esterno, comprese le manifestazioni di balcony music si assesta sull’8,3% dei video e il 18,5% degli accessi totali mentre le registrazioni generalmente più elaborate, quelle in interno e soprattutto quelle in remoto sono quelle più numerose e seguite: rispettivamente 14,% di video e 19,9% di accessi e 27,6% di video e 28,4% di accessi.
Solo su Youtube, insomma, molte centinaia di migliaia di persone hanno partecipato virtualmente alle celebrazioni del 25 aprile 2020 accedendo a eventi filmati e produzioni video realizzati da centinaia di persone o di collettivi, anche operanti contemporaneamente in nazioni diverse e formati da un gran numero di persone.
La conferma del ruolo di “Bella ciao”
Se i video a contenuto prevalentemente musicale hanno prevalso largamente, al loro interno Bella ciao ha fatto di gran lunga la parte del leone, essendo presente – quasi sempre da sola – in 241 video su 276 (82,82%) e conseguendo 2.188.083 accessi sui 2.279.408 a contenuto prevalentemente musicale (96,38%).
I motivi di questa scelta pressoché unanime rimandano in parte alle indicazioni date dall’ANPI e alle scelte di diversi organizzatori di eventi virtuali collettivi ma soprattutto alla consolidata popolarità del brano e alla sua progressiva acquisizione dello status di inno progressista mondiale verificatasi nel corso degli ultimi anni.
Il brano, dalla genesi estremamente complessa come ha mostrato Cesare Bermani alla fine di un percorso di ricerca durato più di mezzo secolo (Bermani 2019), già negli anni Sessanta aveva scalzato Fischia il vento al vertice delle canzoni ufficiali della Resistenza per il suo carattere maggiormente ecumenico. Nel corso dei decenni successivi essa però ha iniziato anche una lunga marcia all’estero resa agevole dalla godibilità della sua melodia e dalla sua semplicità esecutiva, divenendo così un simbolo non solo delle lotte antifasciste e anticapitaliste ma più in generale di tutte le sensibilità progressiste. Tradotto ed eseguito in oltre 62 lingue e sempre più popolare a partire dalla fine degli anni novanta, la sua fama ha subito un’impennata ulteriore a partire dalla primavera del 2018 grazie al ruolo svolto da una sua versione italiana nella serie televisiva spagnola La casa de papel distribuita da Netflix in tutto il mondo.
Va notato inoltre che ancor prima del successo del 25 aprile Bella ciao si era progressivamente ritagliata un posto di rilievo nelle musiche del lockdown. Nei giorni successivi all’iniziativa di Fanfaroma e dell’esplosione in Italia e all’estero della balcony music, ad esempio, tra il 17 e il 20 marzo il video di una Bella ciao cantata collettivamente dai balconi di Roma, di una tedesca suonata dai balconi di Bamberg, di una eseguita da un balcone napoletano dal sassofonista Daniele Vitale e una eseguita in remoto dagli orchestrali del Teatro nazionale serbo avevano conseguito rispettivamente 450.000, 680.000, 10.300.000 e 250.000 visualizzazioni circa. Giocava a suo favore di questo successo la popolarità vecchia e nuova del brano, la sua bellezza e semplicità ma anche la possibilità di utilizzare il suo testo come metafora della resistenza collettiva all’invasione di un nemico invisibile ma pericoloso come il Coronavirus.
Grazie al concorrere di tutte queste circostanze Bella ciao è riuscita così a diventare ancora una volta sia il principale collante e amplificatore della ricorrenza del 25 aprile sia lo strumento maggiormente in grado di convogliare al proprio interno e di dare espressione a bisogni e aspirazioni collettive: dalla volontà di conservare la memoria della guerra antifascista e antinazista alla necessità di celebrare una delle principali festività nazionali, dalla resistenza attiva alla pandemia al desiderio di riaffermare l’ideale della libertà fino all’espressione del timore e della ripulsa nei confronti della deriva illiberale rappresentata dai partiti e dai movimenti populisti.
Bibliografia
Bermani Cesare, “Bella ciao” dalla Resistenza italiana alle universalità delle resistenze, Conferenza tenuta a Orta il 20 agosto 2019, ora in https://www.youtube.com/watch?v=v3K5XsyPwCU&t=3683s.
De Luna Giovanni, “La storia sempre ‘nuova’ dei quotidiani e la costruzione del senso comune”, in Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 445-461.
Focardi Filippo, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Bari-Roma, Laterza, 2005.
Leight Elias, “Who’s Zoomin’ Who? Songwriters Try Remote Collaboration in the Social Distancing Era”, “Rolling Stone”, 1.4.2020, in https://www.rollingstone.com/pro/features/remote-songwriting-social-distancing-975072/.
Santomassimo Gianpasquale, “La memoria pubblica dell’antifascismo”, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. II. Culture, nuovi soggetti, identità, a cura di Fiamma Lussana e Giacomo Marramao, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 137-171.