Pavel Florenskij, uno scienziato nei gulag staliniani

Solo in questi ultimi anni la vicenda di Pavel Florenskij ha iniziato ad essere conosciuta in Italia per merito di alcuni appassionati traduttori e studiosi((In Italia il maggior conoscitore di Pavel Florenskij è Natalino Valentini, che, unitamente a Lubomìr Zac, ha curato, tra l’altro, la pubblicazione di Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo , A. Mondadori, Milano 2000 e di Ai miei figli. Memorie di giorni passati, A. Mondadori, Milano 2003. Entrambi questi testi riportano delle ampie introduzioni di Natalino Valentini. Si veda anche: N. Valentini, Pavel Florenskij, Morcelliana, Brescia 1998.)). Eppure già nei primi decenni del secolo scorso diversi pensatori russi parlarono di Florenskij come di un “Pascal russo” o di un “Leonardo da Vinci della Russia”. Ci troviamo infatti di fronte ad una intelligenza straordinaria, in grado di unire le più alte speculazioni metafisiche con la matematica e l’ingegneria, la storia dell’arte con la filosofia del linguaggio, l’invenzione scientifica con la creazione artistica, la teologia con la semiotica e la simbologia. Pavel Florenskij era un uomo dalla cultura poliedrica, che riusciva a coniugare con ardite intuizioni scienza e fede, cristianesimo e cultura, vita e pensiero((Dedicato interamente a Pavel Florenskij è il n. 4, luglio – agosto 2003, della rivista “Humanitas”, bimestrale di cultura dell’editrice Morcelliana di Brescia. Una delle prime introduzioni al pensiero di Florenskij è stata realizzata da Maria Giovanna Valenziano con il volume Pavel Florenskij, la luce della verità, ed. Studium, Roma 1986.)).

Dopo la sua morte, per oltre cinquant’anni, un completo e assoluto oblio, imposto dal regime sovietico, era caduto su questo grande personaggio, come su tanti altri testimoni e intellettuali, divenuti scomodi per il potere comunista. Proprio mentre si ritenevano ormai del tutto distrutte e scomparse le principali opere scientifiche, letterarie e teologiche di Pavel Florenskij, dagli anni ’90 del secolo scorso in poi molte vicende oscure si sono chiarite, a cominciare dalla sua tragica fine; molte preziose testimonianze sono improvvisamente riaffiorate alla storia e numerosi importanti documenti sono stati trovati negli archivi dell’ex Unione Sovietica, finalmente aperti agli studiosi. Nel contempo sono state pubblicate diverse opere ormai da tempo irreperibili ed ora si sta tentando una ricognizione sistematica della sua vasta produzione((Una delle più importanti operazioni di recupero dell’opera di Florenskij è quella in atto presso l’editore Mysl’ di Mosca, che sta pubblicando i più significativi lavori di Florenskij. Tra le opere di Pavel Florenskij pubblicate in italiano possiamo ricordare, oltre ai due testi citati alla nota 1, le seguenti:Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Milano 1995; Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato 1999; La colonna e il fondamento della verità, San Paolo Milano 2010; Il significato dell’idealismo, Rusconi, Milano 1999 ; Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro, edizioni Qiqajon, Magnano 1992; La prospettiva rovesciata e altri scritti sull’arte, Gangemi, Roma 1983; Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 1977; Attualità della parola: la lingua tra scienza e mito, Guerini e associati, Milano 2013; Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007; L’infinito nella conoscenza, Mimesis, Milano 2014; Bellezza e liturgia. Scritti su cristianesimo e cultura, Mondadori, Milano 2010; L’arte di educare, La Scuola, Brescia 2015; Stupore e dialettica, Quodlibet, Macerata 2013; Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura, San Paolo, Milano 2008.)).

Pavel Florenskij è oggi riconosciuto come uno dei maggiori pensatori del XX secolo, dotato di una personalità davvero poliedrica: ingegnere elettrotecnico, studioso di estetica, teologo, filosofo della scienza, matematico e altro ancora. Lo stupore maggiore per chi accosta Pavel Florenskij non è dato comunque essenzialmente dalla sua opera, che attraversa con competenza e padronanza dei più svariati registri formali le molteplici forme della scienza e della conoscenza, bensì dall’integrità umana e spirituale della sua persona. Ha osservato Sergej Bulgakov nella commemorazione dell’amico scomparso: “Padre Pavel non era solo un fenomeno di genialità, ma anche un’opera d’arte. (…). L’attuale opera di padre Pavel non sono più i libri da lui scritti, le sue idee e parole, ma egli stesso, la sua vita”((S. N. Bulgakov, in Vestnik russkogo christanskogo studenceskogo dvizenija, 101-102 (1971), p. 130. Testo riportato anche da Natalino Valentini nel suo intervento su Pavel Florenskij in Credere Oggi 2/2004, edizioni Messaggero di Padova, numero monografico sui “Teologi ortodossi del XX secolo”.)).

Soprattutto, però, Pavel Florenskij è stato un martire della Chiesa ortodossa: ha voluto rimanere fedele fino in fondo ai grandi valori che aveva posto alla base della propria vita, rendendo così una testimonianza alla verità nel cuore della tragedia del Novecento.

In Florenskij la vita e l’opera, malgrado siano rimaste tragicamente incompiute, costituiscono un’unità indissolubile, un’unica totalità organica, una sorta di unico tessuto. Questa immagine del tessuto esprime in modo adeguato il senso dell’interazione e della connessione esistente tra l’attività teoretica e l’integrità spirituale di Pavel Florenskij. È ancora Sergej Bulgakov a dire che in lui si sono incontrate e unite Atene e Gerusalemme, ossia il rigore speculativo e scientifico e la ricerca teologica.

La figura di Pavel Florenskij è stata ricordata anche da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio (74) proprio per il modo originale e rigoroso con cui il pensatore russo ha saputo coniugare i dati della conoscenza scientifica con quelli della fede.

Florenskij “viene oggi riscoperto in gran parte d’Europa non soltanto come la punta di diamante del pensiero religioso russo del Novecento, ma anche come uno degli interlocutori privilegiati del pensiero contemporaneo, per tentare di comprendere più a fondo il destino presente e futuro della Russia, della sua cultura filosofica ed ecclesiale”((Natalino Valentini, in Credere oggi, op. cit., pag. 49.)).

La situazione della Russia tra fine Ottocento e inizi del Novecento

L’impero russo nel corso dell’Ottocento risulta molto esteso: va dall’Europa orientale all’oceano Pacifico. Al suo interno convivono decine di popoli, con lingue e tradizioni diverse, che rivendicano da tempo autonomia e indipendenza. La Russia è governata da una monarchia assoluta, quella degli zar, che reprime ogni forma di dissenso e di opposizione, difendendo con decisione il proprio potere. Nell’Ottocento l’economia russa si basa sulla produzione agricola; l’industria è ancora molto arretrata. Nel 1861 lo zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba, avviando anche una timida riforma agraria, che permette ai contadini di riscattare la terra che lavoravano. Non cambia molto: il 90% della terra coltivabile resta in mano alle grandi famiglie nobili, alle chiese e ai monasteri. A partire dal 1870, con il massiccio ingresso di capitali stranieri, ha notevole impulso il settore industriale, soprattutto a Mosca (per l’industria tessile), a Pietroburgo (per il settore metalmeccanico), a Baku (per i giacimenti petroliferi). La crescita dell’industria porta alla nascita di un proletariato urbano, tutto concentrato nelle poche regioni industriali del Paese, che risulterà importante nelle vicende dei primi decenni del Novecento. Oltre il 70% della popolazione attiva continua tuttavia ad essere impiegata nell’agricoltura e versa in condizioni di spaventosa arretratezza sociale ed economica. Nel 1898 viene fondato il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, al cui interno si creano ben presto due blocchi contrapposti: i bolscevichi (termine che in russo significa “maggioranza”), guidati da Vladimir Il’ic Uljanov, che prende poi il nome di battaglia di Nicolaj Lenin, e i menscevichi (= la minoranza) con a capo Julij Osipovic Cederbaum, detto Martov. Questi due gruppi hanno obiettivi nettamente diversi: i menscevichi sostengono la necessità di realizzare una serie di riforme in campo economico e sociale, senza avanzare ipotesi rivoluzionarie e alleandosi con la borghesia; i bolscevichi intendono, tramite la rivoluzione, abbattere l’assolutismo zarista e creare uno Stato socialista in cui sia abolita la proprietà privata e posto tutto nelle mani dello Stato. Nel 1905, anche a seguito dello sforzo finanziario sostenuto per la guerra contro il Giappone, le condizioni di vita della popolazione peggiorano e ovunque scoppiano proteste. A Pietroburgo l’esercito interviene con decisione contro i manifestanti, causando oltre mille morti. La situazione precipita ulteriormente con la prima guerra mondiale. La fragile economia russa si dimostra subito non in grado di sostenere il peso di un conflitto: la necessità di aumentare le spese militari comporta un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. La produzione di grano diminuisce e i prezzi dei prodotti alimentari crescono. Ciò porta a nuovi scioperi e dimostrazioni. Il 23 febbraio del 1917 a Pietrogrado (ex Pietroburgo) gli operai in massa scendono in piazza. L’esercito, inviato a sedare la rivolta, si schiera dalla parte dei manifestanti. Lo zar Nicola II è costretto ad abdicare: ha termine così l’impero dei Romanoff e la Russia diviene una repubblica. Viene creato un governo provvisorio di tendenza liberale, espressione della Duma (Parlamento), presieduto dal principe Georgij L’vov, appoggiato da tutti i partiti, tranne i bolscevichi. Questo governo stabilisce la fine delle discriminazioni religiose ed etniche, concede le libertà democratiche e il suffragio universale, ma non riesce a porre rimedio ai gravi problemi economici, che hanno portato alla fame larghe fasce della popolazione. Ad agosto del 1917 la guida del governo viene affidata ad Aleksandr Kerenskij, un socialrivoluzionario moderato. Frattanto nell’aprile del 1917 Lenin era tornato dall’esilio in Svizzera e con le sue Tesi di aprile si schiera subito su posizioni radicali e rivoluzionarie, sulla base di tre obiettivi: tutto il potere ai soviet(( I soviet erano consigli elettivi di soldati, operai e contadini. I primi si costituirono nel 1905. All’inizio del 1917, dopo l’abdicazione dello Zar, i soviet rappresentavano un vero e proprio contropotere rispetto ai governi provvisori che si trovavano a guidare il Paese. I soviet più importanti erano quelli di Mosca e di Pietrogrado.)) ; la terra ai contadini; uscita dalla guerra e pace subito. Tra il 24 e il 25 ottobre del 1917 le guardie rosse, espressione militare dei bolscevichi, occupano prima i punti più importanti di Pietrogrado e successivamente il Palazzo d’Inverno, sede del governo. Viene creato il Soviet dei Commissari del popolo, guidato da Lenin e composto da soli bolscevichi. Per molto tempo questa presa del potere da parte dei bolscevichi guidati da Lenin è stata presentata anche sui libri di storia come un grande e positivo evento rivoluzionario. In realtà si è trattato di un atto di forza, di una presa del potere realizzata in modo violento ad opera di una minoranza ben organizzata, ma che non aveva assolutamente l’appoggio della popolazione. Questa minoranza, costituita dai bolscevichi, non godeva del sostegno neppure di tutti gli operai, di cui tramite i soviet diceva di essere espressione. Assolutamente estranea a queste vicende la gran massa dei contadini. I bolscevichi poi posero fine non al potere degli zar, che avevano già abdicato, bensì ad un governo che stava faticosamente cercando di avviare la Russia sulla strada della democrazia, il governo Kerenskij, espressione del Parlamento e delle principali forze politiche del tempo.

Il 12 novembre 1917 si svolgono le elezioni per la formazione di un’Assemblea Costituente. I risultati decretano la sconfitta dei bolscevichi, che si ritrovano così in minoranza in questo organismo. Lenin allora pensò bene di sciogliere l’Assemblea. Da questo momento in poi si pongono le basi per la realizzazione in Russia di uno stato totalitario. In breve, infatti, già con Lenin, tutto il potere viene assunto dal partito comunista formato dai soli bolscevichi, mentre le altre forze politiche vengono dichiarate fuori legge. Raggiunto il potere, i bolscevichi riterranno di essere i veri interpreti della volontà popolare e delle leggi della storia, in definitiva i depositari della verità. Non poteva dunque essere tollerato ciò che poneva ostacoli al processo rivoluzionario. Vengono chiusi tutti i giornali non bolscevichi, fra cui 205 testate socialiste. Nascono, a partire dal 1918, i primi campi di concentramento, in cui rinchiudere tutti i “nemici del popolo”, ossia gli aderenti ai partiti di opposizione, i membri della borghesia e dell’aristocrazia, gli esponenti dell’intellighenzia contrari alla rivoluzione, i soldati che disertano, i contadini ribelli, gli ecclesiastici e altre categorie di persone. Nonostante questa feroce repressione, coloro che dissentono e reclamano la libertà e la democrazia faranno comunque sempre sentire la propria voce((Marta Dell’Asta, Una via per incominciare. Il dissenso in Urss dal 1917 al 1990 , La Casa di Matriona, Milano 2003.)). Pavel Florenskij è tra costoro e, senza aver compiuto alcun particolare reato, si ritrova a trascorrere numerosi anni di carcere, per poi essere fucilato poiché ritenuto un “pericolo per la rivoluzione”.

L’infanzia di Pavel Florenskij

Pavel Florenskij nasce il 9 gennaio 1882 nei pressi di Evlach, in Azerbajgian. Suo padre, Aleksandr Ivanovic, è un ingegnere delle ferrovie, di cui tutti lodavano “la nobiltà, la magnanimità, la generosità, l’intelligenza e l’onestà”((

8 Pavel Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, A. Mondadori, Milano 2003, p. 101. Questo testo, scritto dal 7 novembre 1916 al 6 novembre 1925, ha potuto vedere la luce solo settant’anni dopo la stesura. Queste Memorie sono il frutto di un paziente lavoro, attraverso il quale Florenskij si propone di lasciare in eredità ai propri figli ciò che è essenziale per realizzare la più ardua e complessa delle opere, la costruzione della propria vita. Autorevolezza, premura e delicatezza sono i tratti salienti del tono che usa Florenskij verso i figli. Più che libro dei ricordi, questo è un libro della memoria; Florenskij, dunque, non cerca solo di evocare ciò che è accaduto nel passato e di recuperare l’esperienza sapienziale che si è accumulata nel corso del tempo, bensì anche di far percepire che la memoria è la presenza del tempo nell’eternità, è cioè simbolo di eternità. Pur essendo destinato ai figli, questo materiale autobiografico offre significative informazioni anche sulle origini e gli sviluppi delle idee – chiave che sono alla base della Weltanschauung di Florenskij.)) , mentre la madre, Ol’ga Sapar’jan, di origine armena, “era alteramente timida e schiava di una rettitudine morale che rasentava l’asocialità; a stento espletava i consueti doveri sociali, le sue visite di cortesia erano quanto mai rare e non parevano nemmeno tali”((Ibidem , p. 101.)) . A Evlach, dove è nato, Pavel Florenskij trascorre in tutto un anno e mezzo. Qui il padre è direttore della locale tratta della ferrovia transcaucasica, che fu lui a costruire. Questa cittadina si trova in piena steppa, in mezzo a villaggi di tartari e a covi di briganti. L’alloggio è un vagone merci foderato di tappeti; solo in un secondo momento hanno una baracca di lamiera.

La famiglia di Pavel Florenskij si trasferisce poi a Tbilisi, il principale centro culturale, commerciale e industriale dell’area del Caucaso, posto sulla direttrice di traffico tra mar Nero e mar Caspio. Questa città non lascerà tuttavia in Pavel un particolare ricordo: gli appare priva di vita, con un caldo che soffoca e toglie le forze. La sistemazione è comunque migliore rispetto a quella trovata a Evlach.

Pavel trascorre la prima infanzia e la giovinezza oltre che a Tbilisi, anche a Batumi, località quest’ultima posta sulle rive del mar Nero. La sua famiglia è, come molte del tempo, assai numerosa: vi sono infatti le sorelle Julia, Elizaveta, Ol’ga, Raisa e i fratelli Aleksandr e Andrej. In casa Florenskij viveva poi la sorella del padre, Julia Ivanovna, e le sorelle della madre, Raisa Pavlovna, Sofija Pavlovna, Elizaveta Pavlovna.

I genitori di Pavel fanno di tutto per isolare la propria famiglia da quanto la circonda, tagliandola fuori dall’ambiente sociale e dallo stesso passato familiare. Il padre si fa carico di tutte le difficoltà della vita, che non vuole far pesare sulla famiglia. L’infanzia di Pavel, dei suoi fratelli e delle sorelle si svolge dunque come su un’isola solitaria, in un posto desertico. Gli altri avrebbero potuto, secondo i genitori, attentare alla purezza e al rigore di quel “paradiso”, che invece va preservato dalle intemperie esterne, dal freddo e dai rapporti sociali che possono esercitare influenze negative. “A casa nostra c’era troppo calore, troppo affetto, e soprattutto troppa onestà e rettitudine. Andavamo d’amore e d’accordo. Mai una brutta parola, mai un interesse di bassa lega, mai una dimostrazione di egoismo: sempre e solo la reciproca premura di tutti verso tutti, la bontà grande e attiva di mio padre per chi ci circondava, per gli altri”((Ibidem , p. 101.)).

La coscienza di Pavel si abitua ben presto a questa raffinatezza e la accetta come un qualcosa di naturale. Non può essere diversamente. Le persone non possono essere altro che educate, oneste, magnanime. E il mondo intero deve essere così.

L’educazione religiosa

In casa Florenskij non vi è ostilità nei confronti della religione, ma nel contempo non se ne riconosce alcuna. “Quanto alla religione, crebbi completamente selvatico. Non mi portavano mai in Chiesa, non parlavo con nessuno di argomenti religiosi e non sapevo nemmeno come si faceva il segno della croce. Però sentivo che c’era tutto un ambito della vita, importante e misterioso, e c’erano dei gesti particolari che preservavano dalla paura. In segreto ne ero attratto, ma non li conoscevo e non osavo domandarne notizia. Captavo quel che potevo e di nascosto cercavo, come mi era possibile, di applicare le mie osservazioni. Sotto una coltre di indifferenza, il mio rapporto con la religione era fluttuante e non poteva certo essere definito distaccato. Ero combattuto fra un’appassionata attrazione e degli accessi di ostilità contro quanto non conoscevo, ma la cui realtà mi era data imperiosamente. Avevo la sensazione che quella questione a me sconosciuta andasse necessariamente chiarita e che o dovevo affermare in me Dio, con tutte le conseguenze che ne derivavano, oppure…Oppure non sapevo neanch’io che cosa significasse quell’oppure, perché l’eventualità di una semplice negazione non mi passava neanche per la testa”((Pavel Florenskij, Ai miei figli, op. cit., pp. 191 – 192.)) .

I genitori di Pavel vogliono ricreare in famiglia una sorta di paradiso e i figli devono rimanere il più a lungo possibile in questo ambiente protetto. In un tale mondo familiare la religione, nelle sue diverse manifestazioni storiche, non è contemplata. Non si teorizza l’assenza di Dio, ma nemmeno si sostiene il contrario.

La madre di Pavel, che è di origine armena, teme, per vari e anche misteriosi e mai del tutto esplicitati motivi, tutto ciò che è legato all’Armenia e si chiama fuori anche dalla Chiesa armena; il padre è lontano dalla Chiesa ortodossa russa anche, ma certo non solo, per delicatezza verso la madre di Pavel e per evitare con ciò di sottolineare il suo essere russo. C’era tuttavia un profondo rispetto per le varie religioni e per i loro ministri di culto: è un riguardo dovuto al fatto di non voler assolutamente offendere l’uomo nelle sue convinzioni più profonde.

I genitori di Pavel ritengono avventato negare la religione, ma nel contempo sostengono sia impossibile separarne il fondamento reale dalle credenze storiche che si sono formate nel corso del tempo. La coscienza infantile deve crescere senza essere condizionata da alcuna religione, in modo da decidere liberamente, una volta adulta, quale strada intraprendere, senza influssi determinati fin dall’infanzia. Non c’è dunque bisogno di simboli e di puntelli artificiali; non serve una mediazione religiosa per crescere. Il vangelo del padre è il Faust di Goethe, la sua Bibbia è Shakespeare. La “religiosità” da coltivare in famiglia è quella della nobiltà, della magnanimità, della reciproca dedizione; la religione, in una sua qualsiasi determinazione storica, fa parte delle cose sconvenienti, da evitare. Di fronte alle varie credenze religiose, l’unico dogma accettato in famiglia è la coscienza della loro relatività. Il padre di Pavel coglie, in particolare del cristianesimo, il grande spessore, tuttavia ritiene che proprio una religione che diffonde l’idea della propria assolutezza non può che essere fonte di intolleranza. “Umanità: era questa la parola preferita di mio padre, quella con cui voleva rimpiazzare il dogma religioso e la verità religiosa. Nell’umanità, nella benevolenza, egli scorgeva il regolatore universale di ogni sorta di rapporti sociali e personali da sostituire alla religione, al diritto e alla morale, l’unica cosa da predicare e instillare”((Ibidem , p. 166.)). Il padre di Pavel ha una venerazione per la propria famiglia; ritiene che debba essere una famiglia particolare, che debba rappresentare l’inizio di una nuova era. La sua “religiosità”, se così la possiamo chiamare, ha dunque un centro ben preciso: la propria famiglia.

Una grande curiosità per la natura e la scienza

“Mi piacevano l’aria, il vento, le nuvole; mi erano vicine le rocce, sentivo spiritualmente affini i minerali, soprattutto i cristalli, amavo gli uccelli, ma più di ogni cosa le piante e il mare” 13 . Queste parole di Pavel Florenskij rappresentano molto bene una caratteristica della sua personalità, che fin da piccolo si manifesta chiaramente: una grande curiosità verso la natura. Suddivide il regno della natura in due categorie: il bello e il particolare. Ogni elemento appartiene all’una o all’altra categoria. Le passeggiate, in particolare nei dintorni di Batumi, sono occasioni per un’osservazione ininterrotta e per una continua scoperta. Un interesse sempre vivo anima Pavel Florenskij. “Della mia infanzia mi è rimasta la sensazione di non essere mai, o quasi mai, giunto ad uno stato di quiete; la frenesia non mi abbandonava mai per tutta la giornata, durante la quale o parlavo senza sosta oppure dentro di me era tutto un cantare e uno sgorgare di suoni estatici. Non credo che si trattasse della normale vivacità di un bambino. Evidentemente nel mio cervello accadeva qualcosa se non di strano, quanto meno di insolito, che mi procurava non poche sofferenze. Ricordo bene le emicranie iniziate sin dalla più tenera età e che sarebbero cessate solo verso i dieci anni, se non vado errato, e che in parte possono essere paragonate alla stanchezza che si prova quando si è giunti alla fine di un prolungato e intenso lavoro mentale. (…). Qualunque fosse stata la causa, tuttavia, tutto ciò che veniva dalla natura mi interessava e non dava un attimo di tregua alla mia mente”((Ibidem , p. 134.)).

Ben presto Pavel Florenskij sviluppa una grande attrazione e curiosità anche per la musica. A suo tempo la madre di Pavel aveva studiato canto, entrando nel Conservatorio di Lipsia, nelle classi di canto e pianoforte, ma poi per motivi di salute aveva dovuto interrompere questi studi. Anche alcune cugine di Pavel, particolarmente dotate in campo musicale, avevano dovuto interrompere le proprie esibizioni proprio per motivi di salute. C’era poi una persona leggendaria, Aleksandra Gotlibovna Pekok, una lontana parente, che calcava i palcoscenici della lirica e si era esibita anche in Italia. Di questa persona, per lo più avvolta nel mistero, e delle sue esibizioni si parlava in casa. Infine una zia, che viveva in casa Florenskij, studiava i classici tedeschi e così Pavel inizia ad apprezzare quelli che diverranno i suoi autori preferiti: Wolfgang Amadeus Mozart e Ludwig van Beethoven.

Già al ginnasio Pavel Florenskij è fortemente interessato alla fisica, alla geologia, all’astronomia e alla matematica. Ciò che più attira la sua attenzione sono comunque non tanto le leggi della natura, quanto le loro eccezioni, ossia l’elemento irrazionale presente anche nelle leggi apparentemente più ferree. Pavel è naturalmente portato al pensiero scientifico e ciò, secondo lui, è anche un fatto ereditario, in quanto diversi familiari che lo hanno preceduto sono stati validi uomini di pensiero. Inoltre va considerato il fatto che il tipo di vita, di fatto isolato, che conduce la sua famiglia, predispone alla riflessione e allo studio. “Il giorno in cui non aggiungevo almeno qualche paragrafo alle mie Ricerche sperimentali, come mi piaceva chiamare i miei taccuini, rifacendomi all’amato Faraday((Michael Faraday (1791 – 1867), fisico e chimico britannico. Durante la gioventù, Faraday iniziò a tenere un taccuino su cui annotava tutto ciò che destava la sua attenzione, un’abitudine che continuò per tutta la vita. Alcuni dei lavori di Faraday furono intitolati Ricerche sperimentali ed è a questi che allude Florenskij.)) , o non annotavo una qualche osservazione naturalistica su certi quaderni, non scattavo qualche fotografia di carattere geologico, meteorologico o archeologico, o non scrivevo anche solo qualche pagina esponendo a grandi linee i miei esperimenti e le mie considerazioni e quel che chiamavo, sull’esempio dei fisici francesi di fine Settecento e della prima metà dell’Ottocento, mémoires, un tal giorno mi pareva perduto, perso in modo quasi criminale”(( Pavel Florenskij, Ai miei figli, op. cit., pp. 245 – 246.)) .

Florenskij legge tutto ciò che riesce a procurarsi di fisica e di materie affini. Molti i testi e le riviste in inglese e francese, oltre a dizionari enciclopedici in altre lingue ancora. Si costruisce lui stesso gli strumenti di cui poi ha bisogno per i vari esperimenti che conduce.

In famiglia questo interesse per la natura e per la scienza è sostenuto e stimolato. “Mio padre, la zia Julja e, più di rado, mia madre ci raccontavano e ci spiegavano ogni cosa, scacciando senza pietà il soprannaturale: nello spirito del naturalismo ogni cosa aveva una sua spiegazione schematica, semplice e comprensibile in tutto e per tutto. Nel contempo si sottolineavano la rigida logicità della natura e la continuità di tutte le sue manifestazioni”((Ibidem , p. 211)).

L’assolutizzazione della scienza, propugnata dai genitori di Pavel, comporta però il rischio di un dogmatismo e di un fanatismo, ossia proprio di quegli atteggiamenti che si vogliono combattere. “I miei genitori, e soprattutto mio padre, volevano educare in me il pensiero critico, volevano recidere ogni eventualità di dogmatismo religioso e, di conseguenza, di fanatismo e di intolleranza, che secondo la profonda convinzione di mio padre era quanto di più pericoloso potesse esserci. Per estirpare da se stesso e dagli altri ogni possibile fanatismo, egli minava la foga delle convinzioni con l’assioma della relatività di ogni sapere e di ogni opinione.(…). In luogo del dogmatismo religioso universale e dell’universale intolleranza religiosa, dentro di me stava sbocciando il dogmatismo scientifico, la catechesi di una concezione scientifica del mondo, fondamentalmente innaturale, poiché il succo della scienza è decisamente l’inverso, ossia il criticismo”((Pavel Florenskij, Ai miei figli, op. cit., pp. 213 – 214.)).

Oltre la scienza. La scoperta della dimensione spirituale dell’esistenza

Il pensiero scientifico ben presto si dimostra inadeguato a rispondere alle domande di significato che Pavel Florenskij si pone sempre più fortemente. La fiducia assoluta nella scienza e l’appagamento completo, fornito inizialmente dagli studi e dagli esperimenti scientifici, vengono messi in crisi da una sensazione di incompiutezza, che occupa sempre più la mente di Florenskij. “Se prima non dormivo le notti, eccitato all’idea dell’esperimento del giorno seguente, ora che l’esperimento poteva essere davvero significativo e nuovo, che il mio orizzonte intellettuale si era ampliato e le abitudini intellettuali formate, ora esso era diventato un’incombenza riconducibile più che altro al senso del dovere e che solo a sprazzi riaccendeva l’entusiasmo. Sentivo la fisica e quanto a essa connesso come un abito non mio o come una pelle morta che ormai si era staccata da me. Ma non osavo confessare a me stesso quant’era accaduto e cercavo di convincermi che si trattava di uno stato d’animo temporaneo”((Ibidem , p. 275.)) .

Un’esperienza che influenza molto questo cammino di chiarimento interiore di Pavel Florenskij è la visita alle rovine della cattedrale di Bagrat, dove più volte si reca con suo padre. Quella grande Chiesa, con le volte crollate, con massi sparsi dappertutto, con i mastodontici capitelli, conferma in Florenskij la convinzione dell’esistenza di una vita spirituale che neppure il tempo e le devastazioni hanno potuto cancellare. “Tra quelle rovine nulla mi ricordava la visione del mondo con cui lottavo dentro di me; anzi, quei muri cadenti emanavano gli effluvi spirituali di un’altra cultura, alla quale, senza rendermene conto, io tendevo con tutta l’anima. Quelle pietre vivevano e continuavano a vivere, e io non potevo non sentire le forze spirituali che vi aleggiavano e che di sé dicevano, in beffa alla fisica, molto più di quanto si potesse dire con elucubrazioni filosofiche e teologiche. Lì la mia educazione natural–scientifica officiava, come officiò molte altre volte in seguito, una liturgia contro il pensiero scientifico che avrebbe dovuto onorare: mi costringeva a fare i conti con quanto recepito senza mediazioni di sorta più che per il tramite di concetti astratti. Compresa l’indubbia per me, seppur incompatibile con la fisica, vita spirituale di quelle rovine, in armoniosa unione con la vita della natura”((Ibidem , p. 289.)).

Importante nel cammino che porta Florenskij alla scoperta di una dimensione religiosa dell’esistenza, ormai non più ignorabile, è la ricerca filosofica sul problema del simbolo in generale e successivamente del simbolo trinitario in particolare. “ Per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema del simbolo. (…). Il positivismo mi disgustava, ma non meno mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata. Qualcuno vorrà chiamarlo materialismo. Non si tratta però di materialismo, ma della necessità del concreto o simbolismo. Sono sempre stato un simbolista. (…). Era mio desiderio conoscere il mondo proprio in quanto incognito, senza violare il suo mistero, ma spiandolo. E il simbolo era spiare il mistero. Poiché dai simboli il mistero del mondo non viene celato, ma anzi rivelato nella sua vera sostanza, cioè in quanto mistero”((Idem , pp.201 – 206.)). Sotto la maschera del visibile si cela sempre, per Florenskij, una realtà invisibile. La vera conoscenza non può che partire dalla chiara percezione di questo mistero, che abbraccia ogni relazione con il mondo. C’è sempre “un al di là” rispetto a ciò che noi percepiamo. Qui si inserisce per Florenskij la fondamentale realtà del simbolo: l’azione personale, la relazione con la natura e con il mondo acquisiscono il loro vero significato in quanto espressione e incarnazione di una realtà eccedente, di un altro mondo, dunque in quanto simbolo. A fronte pertanto delle posizioni positivistiche allora ancora dominanti e della visione scientifico – naturalistica, Florenskij propone una concezione del simbolo che attraversa i diversi ambiti conoscitivi e permette di accostarsi all’inconoscibile, pur senza possederlo compiutamente, appunto perché mistero.

Importante per la definitiva scoperta della dimensione religiosa dell’esistenza da parte di Pavel Florenskij è l’incontro con due grandi guide spirituali: il vescovo Antonij Florensov, conosciuto nel 1903, e lo starec((Lo starec, nella Chiesa ortodossa russa, era una persona di preghiera, riconosciuto dalla comunità come maestro e direttore spirituale. Di solito si trattava di un monaco.)) Isidor Gruzinkij, ieromonaco presso il monastero della Trinità di San Sergio, del quale scrive anche un intenso ritratto spirituale((Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro , op. cit. Il monastero della Santissima Trinità di San Sergio costituiva uno dei centri più importanti della cultura religiosa russa. Qui risiedeva Florenskij con la sua famiglia quando venne arrestato per la prima volta nella primavera del 1928.)).

Il percorso scolastico e accademico

A Tbilisi, dopo gli studi primari, frequenta il ginnasio e il liceo, dove si appassionerà in particolare allo studio delle lingue classiche. In questi anni dell’adolescenza gli interessi di Pavel si indirizzano soprattutto verso le scienze naturali, la botanica, la geologia, la matematica e la fisica. La lettura dell’opera di Lev Tolstoj lo aiuterà ad abbandonare una concezione positivistica della realtà per volgersi verso una più attenta considerazione della prospettiva spirituale.

Nel 1900 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Mosca. Partecipa anche alle lezioni di filosofia antica e di psicologia, presso la facoltà di Storia e Filosofia. Nel 1904 si laurea in Matematica e Fisica, sotto la direzione di Nikolaj V. Bugaev, uno dei più eminenti matematici russi, tra i fondatori della “Società matematica moscovita”. Pavel Florenskij discute una tesi che suscita molta sorpresa e interesse: Sulle caratteristiche delle curve piane come luoghi di violazione del principio di continuità . Gli viene subito offerta la possibilità di continuare il lavoro di ricerca in ambito universitario. Pavel Florenskij si avvia così verso una brillante carriera accademica, ma ben presto l’abbandona per dedicarsi a tutt’altro: si iscrive infatti all’Accademia Teologica di Mosca e si pone alla ricerca delle radici della spiritualità e della tradizione teologica ortodossa. Approfondisce con particolare interesse le lingue antiche, oltre a dedicarsi con entusiasmo agli studi relativi alla Bibbia, alla liturgia, alla patristica e alla dogmatica. Pavel Florenskij non abbandona comunque i suoi interessi per la matematica, anzi cerca di indagare ancora di più il rapporto fra finito e infinito, unità e molteplicità.

In questi anni di grandi fermenti culturali, Florenskij frequenta assiduamente a Mosca un circolo letterario simbolista, occupandosi in particolare di teoria della conoscenza, di storia della filosofia, di archeologia e di cultura ebraica. Importante a questo riguardo il rapporto di amicizia che lo lega a Andrej Belyi (figlio di Bugaev), teorico del simbolismo, oltre che narratore e poeta. Scrive anche i suoi primi saggi filosofico-teologici, tra i quali Sui simboli dell’Infinito (1904) e Il concetto di Chiesa nella sacra Scrittura (1906), e il poema lirico Il Mosaico escatologico. In contrasto con la cultura del tempo, che era fortemente anticlericale, Pavel Florenskij matura un crescente interesse per la cultura religiosa.

Nel 1908 termina gli studi all’Accademia Teologica con una tesi Sulla verità religiosa, che verrà pubblicata sulla rivista “Voprosy religii”. Presso la stessa Accademia da lui frequentata gli viene poi assegnata la cattedra di Storia della Filosofia. Qui tiene lezioni e seminari dedicati in particolare a problematiche relative alla storia delle idee e della Weltanschauung.

Il 23 agosto 1909 sposa Anna M. Giacintova (1889 – 1973), da cui avrà cinque figli: Vasilij, Kirill, Ol’ga, Mikail e Marija Tinatin. Nel 1911, viene consacrato sacerdote ortodosso.

Dal 1911 al 1917 gli viene affidata la direzione redazionale della prestigiosa rivista teologica “Bogoslovkij Vestnik” (Messaggero Teologico), che contribuisce a rinnovare sia nella metodologia di lavoro che nell’orientamento teologico.

In questi anni che precedono la rivoluzione russa, Florenskij scrive numerosi saggi e pubblica due importanti volumi: La colonna e il fondamento della verità, un’opera imponente che suscita vasto interesse nella cultura russa di quegli anni e che oggi è stata riscoperta come una delle opere più significative del pensiero filosofico e teologico del Novecento; il secondo testo è Il significato dell’idealismo, dove raccoglie i suoi studi su Platone e sul rapporto “uno – molteplice”. Partecipa inoltre in modo attivo alla vita e al dibattito culturale, venendo in contatto con S. Bulgakov, N. Berdjaev e con altri importanti intellettuali e uomini di Chiesa di quel tempo((Pavel Florenskij è oggi considerato uno dei maggiori teologi ortodossi del secolo scorso. Al riguardo si può vedere il saggio di Natalino Valentini riportato nel numero monografico della rivista “Credere oggi” 2/2004, op. cit., dedicato appunto ai maggiori teologi ortodossi del XX secolo.)).

Dopo la rivoluzione russa (ottobre 1917), la vita di Florenskij cambia nettamente. Il nuovo regime professa e pratica l’ateismo. L’Accademia Teologica viene chiusa e nel contempo vengono introdotte precise forme di censura, rivolte soprattutto verso la ricerca e l’attività religiosa. Nel nuovo Paese comunista che si intende costruire, le Chiese, di qualunque confessione esse siano, devono scomparire, per lasciare il posto ad un “uomo nuovo”, nelle cui convinzioni la religione non trova spazio in quanto considerata una sovrastruttura, una forma di alienazione.

Molti intellettuali russi prendono la via dell’esilio((Per avere un’idea della vastità di questo fenomeno, basta consultare il testo di N. Struve, Soixante-dix ans d’émigration russe. 1919 – 1989, Fayard, Paris 1996. Molti di questi intellettuali fuggiti dalla Russia si distingueranno nei vari campi della vita scientifica e culturale in vari Paesi del mondo.)) . Florenskij invece decide di rimanere in patria, a fianco della sua gente, con la speranza di riuscire a modificare, con i mezzi che ha a disposizione, i perversi meccanismi della nuova ideologia che ha preso il potere. Il regime socialista comincia a conferire nuovi incarichi a Pavel Florenskij, al fine di sfruttarne pienamente l’eccezionale competenza scientifica. Nel 1921 gli viene assegnata a Mosca una cattedra agli Atelier superiori tecnico-artistici di Stato. Viene anche incaricato di approfondire il problema dell’elettrificazione della Russia e pubblica vari contributi scientifici su questo argomento. Nello stesso tempo però Pavel Florenskij continua ad esercitare il suo ministero di sacerdote. Inoltre ai vari appuntamenti scientifici si presenta sempre rigorosamente in abito talare.

Fondamentale è in questo periodo il suo contributo scientifico alla Gravelektro (Amministrazione centrale per l’elettrificazione della Russia) e al Goeltro (Istituto Elettrotecnico di Stato), per i quali mette a disposizione le proprie capacità di ingegnere elettrotecnico e le ricerche che aveva effettuato nel campo dei materiali isolanti ed elettrici.

Fra gli anni Venti e Trenta Florenskij scrive una serie di saggi contro la campagna di dissacrazione dei luoghi e degli oggetti sacri, avviata dal nuovo regime, ed anche contro il massiccio cambiamento dei nomi delle città e delle strade, che era finalizzato a distruggere le basi storiche e religiose della cultura russa.

Le ricerche scientifiche lo portano alla pubblicazione di opere come Gli immaginari in geometria, ben presto colpita dalla censura, poiché riporta alcune tesi collegate alla concezione metafisica dello spazio presente nella Divina Commedia di Dante. Altra importante pubblicazione di questo periodo è l’opera Agli spartiacque del pensiero. Lineamenti di metafisica concreta, in cui cerca di approfondire l’elaborazione teorica e concreta dell’antropodicea. Un’importante serie di saggi verrà raccolta nell’opera L’incarnaziona della forma. Azione e strumento.

Nel 1927 Pavel Florenskij viene nominato coredattore della grande Enciclopedia tecnica, per la quale cura la stesura di ben centoventisette voci.

Dai primi arresti al gulag ((La parola gulag, dopo la pubblicazione del libro di Aleksandr Solzenicyn, è diventata l’espressione più utilizzata per indicare la repressione attuata in Unione Sovietica durante gli anni del totalitarismo comunista. Mentre il termine “lager” stava a indicare un preciso campo di concentramento, la parola “gulag” è la sigla russa di “Glavnoe Upravlenie Lagerej” – Direzione centrale dei lager, cioè dei campi di concentramento, sfruttamento e annientamento. Dall’inizio degli anni Trenta e fino alla morte di Stalin tale organismo era preposto alla direzione di tutti i lager dell’Urss. Sulla realtà dei lager e sulle drammatiche condizioni di vita si possono in particolare vedere i seguenti testi di tre intellettuali perseguitati dal regime comunista: innanzitutto la fondamentale opera di Alexander Solzenicyn, Arcipelago gulag, A. Mondadori, Milano 1973; poi di Varlam Salamov, I racconti della Kolyma, Adelphi, Milano 1995; infine di Vasilij Grossman, Vita e destino, Jaca Book, Milano 1998.))

Verso la fine degli anni Venti il potere sovietico inizia a porre in atto precise forme di persecuzione nei confronti della Chiesa ortodossa, considerata “oscurantista”. Prima della rivoluzione vi erano in Russia circa settantamila tra chiese e cappelle. Nel 1939, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, restavano aperte solamente un centinaio di chiese e quattro vescovi in attività.

Il monastero della Santissima Trinità di San Sergio, uno dei luoghi più significativi della spiritualità russa, viene naturalmente preso di mira. In questo monastero risiede Florenskij.

Il potere sovietico, pur interessato allo sfruttamento delle grandi competenze scientifiche di Pavel Florenskij, non può accettare il fatto che egli continui ad essere un sacerdote ortodosso e che si presenti sempre in abito talare. Non è ammissibile che un grande scienziato sia credente e per di più presbitero: “un pope” oscurantista non può essere così bravo in campo scientifico. Così nel 1928 Pavel Florenskij viene arrestato per la prima volta, in quanto considerato una minaccia per il potere sovietico. Viene condannato a tre anni di confino da scontarsi a Niznij Novgorod. Trascorre alcuni mesi in carcere, ma poi viene rilasciato grazie all’interessamento della responsabile della Croce Rossa Politica, Ekaterina Pavlovna Peskova, ex moglie di Gorkij. A questo punto ha la possibilità di andare in esilio a Parigi, ma sceglie di condividere fino in fondo il destino del suo popolo e di rimanere a fianco della sua comunità costretta a subire le stesse violenze e gli stessi soprusi. Ha scritto a questo riguardo Sergej Bulgakov: “Non è stato un caso che egli non sia partito per l’esilio, dove poteva legittimamente attendersi un brillante avvenire scientifico e forse anche la gloria, che per lui, comunque, era come se non esistessero nemmeno. Sicuramente sapeva quello che lo aspettava in patria, troppo implacabilmente lo testimoniavano i destini dei suoi connazionali, a cominciare dal bestiale assassinio della famiglia imperiale fino alle innumerevoli violenze del potere. Si può dire che la vita lo abbia posto di fronte alla scelta tra Solovski e Parigi, e che egli abbia scelto la sua patria, fosse anche Solovski, perché voleva condividere fino in fondo il destino del suo popolo. Padre Pavel non voleva e non poteva organicamente diventare un émigré, separarsi volontariamente o involontariamente dalla sua patria. Lui e il suo destino sono la gloria e la grandezza della Russia, e nello stesso tempo il suo più grande delitto”((Testo citato da Natalino Valentini nell’introduzione a Non dimenticatemi, op. cit., pp. 21 – 22.)).

Quando alcuni suoi studenti e amici gli chiedono un consiglio in merito alla possibilità di andare in esilio, essendo ormai evidente il clima di persecuzione e la mancanza di libertà, la risposta di Pavel Florenskij è questa: “Quelli tra voi che si sentono abbastanza forti da resistere devono restare, invece quelli che hanno timore e non si sentono saldi e sicuri possono andare”((Andronik Trubacev, in The Journal of the Moscow Patriarchate, 1 (1991), p. 42.)).

Per alcuni anni Pavel Florenskij può continuare nelle proprie attività. Viene nominato vice-direttore di un Istituto elettrotecnico e membro della Direzione centrale per lo studio del materiale elettro-isolante. Prosegue anche la propria intensa attività di studio e ricerca, in campo filosofico, scientifico e teologico.

Il 26 febbraio 1933 padre Pavel Florenskij viene arrestato per la seconda volta, con l’accusa di far parte di un’organizzazione controrivoluzionaria. Trascorre sei mesi nel tristemente noto carcere della Lubjanka, dove è sottoposto a continue minacce e torture. Alla fine, dopo un processo farsa, di cui recentemente negli archivi dell’ex Unione Sovietica sono stati trovati vari documenti, Pavel Florenskij sceglie di autoaccusarsi, per permettere così la liberazione di altri compagni di prigionia. Il 26 luglio del 1933 è condannato a dieci anni di lavori forzati, con l’obbligo, però, di proseguire nella propria attività scientifica. L’arresto di Pavel Florenskij risponde al proposito del potere bolscevico di distruggere lo storico e profondo riferimento del popolo russo alla Chiesa, non solo con la chiusura e la distruzione dei luoghi tradizionali della fede russa, ma anche con l’arresto e l’eliminazione delle guide e dei responsabili delle varie comunità(( Aleksandr Jakovlev, presidente della commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche, ha affermato che tra il 1917 e il 1980 circa duecentomila membri del clero ortodosso russo sono stati condannati a morte.)). La persecuzione non si rivolge solo contro le comunità cristiane, bensì prende di mira anche tutte le altre religioni presenti nel Paese.

Nell’agosto del 1933 Pavel Florenskij viene inviato nel lager di Skovorodino, nella Siberia occidentale, ove è incaricato di condurre ricerche sul gelo perpetuo e sul suo utilizzo in campo elettrotecnico((Mentre è ancora a Skovorodino, Florenskij riceve, nel luglio 1934, l’ultima visita dei familiari, che rimasero fino a metà agosto. Dopo questo incontro altri permessi non furono più concessi.)). In breve tempo Pavel Florenskij realizza importanti ricerche e scoperte in merito ai liquidi anticongelanti e al permafrost.

Il 1 settembre 1934 viene trasferito nel lager delle isole Solovki, situate nel mar Bianco. Qui viene incaricato della direzione di un laboratorio per l’estrazione dello iodio e dell’agar-agar dalle alghe marine. Approfondisce anche, nonostante le terribili condizioni di lavoro e i pochi mezzi a disposizione, vari aspetti di chimica organica e di botanica.

Le isole Solovski ospitavano, prima della rivoluzione russa, un antico complesso monastico, che costituiva uno dei maggiori centri di spiritualità della Chiesa ortodossa russa((Una “Guida della Russia settentrionale” così descriveva questo luogo nel 1899: “Il viaggiatore è ripagato del suo viaggio. Davanti a lui si profila uno dei luoghi più sacri della terra russa, meta di pellegrinaggi, il monastero di Solovki. Cinte da mura fortificate in blocchi di pietra, biancheggiano chiese e celle dalle cupole e dai tetti verdi. Davanti alle mura, sulla riva, abbiamo una serie di cappelle; a sinistra del porto, l’edificio in pietra a tre piani della foresteria della Trasfigurazione, per i visitatori del santo monumento”. Testo riportato da Andrea Riccardi nel suo libro Il secolo del martirio, Mondadori, Milano 2000, pag. 35.)). Con la presa del potere ad opera dei bolscevichi, questo antico santuario, considerato dal totalitarismo comunista “simbolo di oscurantismo”, viene trasformato, a partire dal 1923, prima in un luogo di “rieducazione al lavoro”, poi in una gigantesca prigione, caratterizzata da durissime forme di repressione, che spesso sfociavano nella malattia e nella morte dei detenuti. In questo “cantiere infernale”, come molti testimoni hanno definito le isole Solovski, trovarono la morte oltre un milione di persone((Si può vedere a questo riguardo il testo di Jurij Brodskij, Solovski le isole del martirio. Da monastero a primo lager sovietico , La Casa di Matriona, Milano 1998. Si vedano anche: F. Bigazzi , Il primo gulag. Le isole Solovski, Mauro Pagliai editore, 2017; M. Ciampa, L’epoca tremenda. Voci dal gulag delle Solovski, Morcelliana, Brescia 2010.)) .

Questa nuova “vocazione” delle isole Solovski, trasformate in luogo di rieducazione, viene così delineata su un giornale del tempo: “Per cinque secoli le Solovski hanno ottenebrato le menti del popolo. Oggi vi sorge un campo di concentramento, dove vengono rieducati i cittadini che hanno commesso dei crimini. Si è spento l’eco delle campane delle Solovski. Si è destata una nuova vita. Lambite dalle onde impetuose del mare, le stesse Solovski rivivono di una nuova impetuosa vita. Le Solovski sono diventate ora il sanatorio che risana le infermità del passato. Si è spenta l’eco della preghiera nella chiesa grande e solo raramente echeggiano suppliche nella chiesa del cimitero, ma del resto sono ormai pochi quelli che le ascoltano”((“Messaggero della Carelia” 1-2 (1925), riportato in J. Brodskij, Solovski, op. cit., pag. 132.)).

Dal lager, uno sguardo ecumenico

Nel libro La colonna e il fondamento della verità((Trad. it., Rusconi, Milano 1974.)) scritto appena prima della rivoluzione del 1917, Pavel Florenskij aveva avuto parole molto dure nei confronti della Chiesa cattolica e di quella protestante. Successivamente, soprattutto gli anni trascorsi nei lager portano Florenskij ad avere uno sguardo chiaramente ecumenico, come emerge molto bene da queste sue riflessioni: “Anche i fossati più profondi tra le religioni non possono creare tra di loro divisioni tali da rompere definitivamente la loro radicale unità.(…). Ogni confessione e ogni religione poggiano in qualche misura sull’autentica realtà spirituale e quindi non sono completamente prive della luce della verità. Per quanto possano essere grandi e profonde le differenze religiose e confessionali, esse sono comunque relative: alcune confessioni vivono in piena libertà, altre in parchi recintati, altre in cortili piccoli ma con alte mura di cinta, altre in torri auguste, altre in tende con una stretta apertura per il fumo, altre ancora non hanno sulla testa che una stretta fessura. E gli uomini che si trovano in queste differenti situazioni sono in condizioni psicologiche e fisiche differenti, e possiedono orizzonti molto diversi. Il cielo, da cui tutti ricevono luce, non appare omogeneo sulle loro teste e tuttavia è un unico cielo. Vederlo magari anche attraverso una fessura è meglio che non vedere nulla. Questo cielo è Dio. Avere una fede qualsiasi è meglio che non averne nessuna, poiché la fede dà un autentico contatto con il mondo spirituale. (…). Il mondo religioso è frantumato, soprattutto perché le religioni non si conoscono reciprocamente. Anche il mondo cristiano è frantumato per lo stesso motivo, perché le varie confessioni non si conoscono reciprocamente.Tutte occupate in una polemica che esaurisce, non hanno la forza di vivere per se stesse. (…). Se anche una minima parte dell’energia che si disperde nell’ostilità verso gli altri, fosse usata per amare se stessi, l’umanità potrebbe riposare e prosperare”((P. A. Florenskij, Note sull’ortodossia, in “L’altra Europa”, XVI (1991) 1 (235), pp. 26 – 31.)).

La fucilazione

Pavel Florenskij sta diventando una figura sempre più scomoda per il regime. Nonostante le persecuzioni e gli anni trascorsi in carcere, continua a professare la propria fede. Ciò è inaccettabile per il potere totalitario, poiché un grande scienziato non può essere anche un credente.

Il 25 novembre 1937 la trojka speciale della zona di Liningrado condanna Pavel Florenskij alla pena suprema, considerandolo un pericoloso controrivoluzionario e dunque una minaccia per lo Stato sovietico. Assieme ad altre cinquecento persone viene trasportato dalle isole Solovki a Leningrado (oggi san Pietroburgo): sono cinque giorni di viaggio in condizioni disumane nei cosiddetti “vagoni della morte”. In un bosco poco lontano dalla città, Pavel Florenskij viene fucilato nella notte dell’8 dicembre 1937.

Gli atti giudiziari rimarranno a lungo segreti. Solamente negli anni ’90 sarà possibile avere accesso agli archivi di stato. È così che l’11 gennaio 1990, una lettera del KGB di Mosca comunica ai familiari di Pavel Florenskij le circostanze della sua morte. Ancora oggi è sconosciuto il luogo della sepoltura. Negli ultimi anni, tuttavia, sono state scoperte nel bosco di Sandormoch, nei pressi di San Pietroburgo, delle fosse comuni di prigionieri che provenivano dalle isole Solovki. I resti di Pavel Florenskij sono probabilmente in quelle fosse comuni.

Alla notizia della sua morte, il teologo Sergej Bulgakov così lo ricorda: “Di tutti i contemporanei che ho avuto la ventura di conoscere nel corso della mia lunga vita, egli è il più grande. E tanto più grande il delitto di chi ha levato la mano su di lui, di chi lo ha condannato a una pena peggiore della morte, a un lungo e tormentoso esilio, a una lenta agonia”((Intervento riportato da Natalino Valentini nell’introduzione a Non dimenticatemi, op. cit., p. 11.)) .

Le lettere dal lager

Durante gli anni trascorsi nei lager, Pavel Florenskij riesce, due o tre volte al mese, a scrivere delle lettere ai propri familiari. Questi testi, raccolti in un volume e pubblicati in Russia solo nel maggio del 1998, rappresentano un documento eccezionale, di assoluta bellezza e intensità((Pavel Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit.Pavel Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit.)). Si tratta della testimonianza straziante di un uomo che un potere cieco ha privato della libertà tentando, senza riuscirci, di umiliarne l’intelligenza e la fede. Pavel Florenskij, dall’inferno delle Solovki, cerca con queste sue lettere di contribuire alla crescita umana, culturale e spirituale dei figli e intende farli partecipi del suo lavoro. Si rivolge con premura e delicatezza ad ognuno di loro, cercando di stimolare lo sviluppo dei talenti e degli interessi personali di ognuno. Non smette nemmeno nel lager di proseguire nella propria attività e ricerca intellettuale, come testimoniano le lettere in cui parla di Shakespeare e di Puskin, di Bach e di Mozart, di Dostojevki e di Tolstoj. Frequenti sono anche le riflessioni sugli aspetti naturalistici e scientifici, sulla botanica, la cosmologia, la mineralogia. Nell’epistolario dal lager non emergono le posizioni teologiche e le riflessioni di Pavel Florenskij sulle varie tematiche di fede. Il freddo ed intransigente controllo della censura impediva a lui, sacerdote, di esprimere le proprie riflessioni in tal senso. Così le lettere di Florenskij rappresentano uno dei primi tentativi di riflessione teologica condotta senza far ricorso alle categorie e al linguaggio proprio di una tale attività, a partire dal paradosso di parlare di Dio senza mai nominarlo((Interessanti a questo riguardo le riflessioni proposte da Maria Giovanna Valenziano nel saggio Pavel Florenskij, la santità e la bellezza dal lager delle Solovki , in Natalino Valentini (a cura di), Testimoni dello spirito. Santità e martirio nel XX secolo, Paoline, Milano 2004, pp. 89 – 125. Per Maria Giovanna Valenziano tutte le lettere di Florenskij, pur senza parlare di Dio, sono intrise di pura dottrina teologica. E questo, anche e soprattutto per la forza simbolica del pensiero florenskijano.)). Da questo punto di vista le lettere offrono una nitida rappresentazione della tragedia vissuta dalla cristianità ortodossa sotto il dominio del totalitarismo sovietico. Dalle lettere emerge una situazione desolante, di grande sofferenza fisica e morale. Nonostante ciò, si avverte un forte radicamento spirituale che porta Pavel Florenskij a sperare contro ogni speranza e a ricercare la serenità interiore. Dalle parole di Pavel non affiora né odio né rivolta, bensì tanta amarezza, ma anche altrettanta misericordia. Pur nella consapevolezza che la fine si sta avvicinando, Pavel Florenskij respinge ogni forma di odio poiché ciò renderebbe, secondo lui, il mondo ancora più inospitale.

PAVEL FLORENSKIJ

Lettere dal lager ((Le lettere qui riportate sono tratte da Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo , a cura di Natalino Valentini e Lubomìr Zac, A. Mondadori, Milano 2000.))

18 agosto 1933

Dopo essere stato arrestato, Pavel Florenskij viene portato alla Lubjanka, il luogo di carcerazione preventiva più tristemente famoso di Mosca. Da qui inizia il suo viaggio verso i gulag della Siberia. La lettera qui riportata si riferisce proprio alla prima parte di questo viaggio.

Cara mammina((Ol’ga Pavlovna Florenskaja, madre di Pavel Florenskij.)) ,

ti scrivo da Sverdlovsk, dove ci siamo fermati, probabilmente per alcuni giorni. Il tragitto fino a Sverdlovsk non è stato facile; come sarà in seguito, non lo so. La mia destinazione è la città di Svobodnyj, nell’Estremo Oriente, ma forse da lì mi manderanno da qualche altra parte. Nel frattempo, ero molto preoccupato per la tua salute, ma dopo ho saputo da Anna che non stai male. Sono lieto d averti visto l’estate scorsa.

Ho appena appreso che partiremo da qui il 21 agosto. Negli ultimi quattro anni più volte mi sono rallegrato per Gosja((Raisa Aleksandrovna Florenskaja, sorella minore di Pavel Florenskij, pittrice.)) , poiché avrebbe dovuto soffrire troppo e non ce l’avrebbe fatta. Non ho nessuna notizia di Lilja(( Elizaveta Aleksandrovna Konieva, sorella di Pavel Florenskij, pittrice e pedagoga.)), Sura((Aleksandr Aleksandrovic Florenskij, fratello di Pavel Florenskij. Geologo, archeologo ed etnografo, fu arrestato nel 1937 e fucilato nel lager di Sussuman, nella regione di Magadan.)) e Andrej((Andrej Aleksandrovic Florenskij, fratello di Pavel Florenskij, grande esperto di armamento militare pesante.)). Quando scriverai loro, salutameli.

Mi dispiace molto di non avere gli occhiali e quindi di non potere vedere i paesaggi del tragitto, sebbene nel vagone detenuti, anche avendo gli occhiali, sarebbe difficile fare tali osservazioni. In viaggio tutti vengono derubati dai ladruncoli che nel vagone sono superiori di numero: per questo bisogna viaggiare avendo pochissima roba. Inoltre anche gli accompagnatori ti chiedono in dono di tutto e te lo strappano di mano. Tutti siamo affamati, cenciosi e ridotti male.

Ti bacio, cara mammina. Un saluto a Ljusja((Julja Aleksandrovna Florenskaja, sorella maggiore di Pavel Florenskij, medico psichiatra.))e a zia Sonja.

6 ottobre 1933

Questa lettera, scritta durante la detenzione in un lager della regione Zabajkalskij, in Siberia, oltre il lago Bajkal, permette di conoscere i molteplici interessi scientifici di Florenskij, culminati in pubblicazioni o in manoscritti che stavano per essere pubblicati prima dell’arresto.

Cara Anna((Anna Michajlovna Florenskaja, moglie di Pavel Florenskij.)),

non ti ho scritto per così tanto tempo, perché non avevo soldi per comprarmi un francobollo e poi aspettavo un eventuale trasferimento in un altro posto. Attualmente, già da una settimana, vivo in un luogo nuovo, situato più verso Oriente, ma sempre in riva all’Urium. Le montagne qui sono più alte, il paesaggio più bello, ma l’ambiente è più urbano. Del resto lavoriamo la terra assieme agli udarniki((“Lavoratori d’assalto”: dalla metà degli anni Venti del secolo scorso furono così definiti coloro che svolgevano volontariamente i “lavori comunisti”, una specie di straordinari non retribuiti.)) per cui non sto sempre chiuso in camera, ma passo circa cinque ore all’aria aperta. Il sole continua a brillare. Di notte fa molto freddo, saranno più di 30° sotto zero, ma se si sta al sole, si sta bene. Il freddo comunque qui non si sente come a Mosca: i 30° di qui corrispondono approssimativamente ai nostri 10°. È nevicato un po’ e la neve leggera ha cosparso le montagne, cosicché il loro rilievo ora si delinea in modo particolarmente evidente. Al sorgere del sole e al tramonto tutto è purpureo e purpureo-roseo. Dalle nove di mattina fino all’una o alle due di notte si lavora, ma a metà della giornata, dalle cinque alle sette, c’è un intervallo, durante il quale tutti pranzano e dormono. Non c’è un attimo per fare qualcosa in modo autonomo ed è quasi impossibile trovare tempo anche per mettersi a scrivere una lettera.

Ultimamente, prima di trasferirmi in un nuovo alloggio, dovevo camminare molto a causa del lavoro, spesso da solo. A volte seguivo le rotaie della ferrovia, altre volte i sentieri in montagna, tra polloni di larice. Qui vicino non ci sono veri boschi, ma piuttosto alberelli bassi, che crescono a fitti gruppi e che sono poco frondosi. Tuttavia, per le necessità del cantiere edile, portano da fuori grossi tronchi di larici, purpurei e violacei sotto la scorza esterna, di un colore meraviglioso. I toni violacei, rosei e purpurei sono qui preponderanti, almeno in questo periodo, cioè in autunno e in inverno, e conferiscono al paesaggio un carattere del tutto speciale.

Ora che abito nel nuovo alloggio, vedo l’ambiente naturale solo passando per strada o durante i lavori, quando facciamo gli straordinari; in genere, sto in camera a fare calcoli e a scrivere. È veramente molto difficile stare senza occhiali; qui non è possibile procurarseli. Speditemeli, come da ricetta allegata che, per ogni eventualità, riproduco qui sotto:

lenti biconcave, 4D, distanza fra i centri 62 millimetri.

È meglio prendere lenti allungate e non rotonde, ma non è indispensabile.

Ho sempre in mente tutti voi e vivo solo di questo. Sono estremamente preoccupato per non avere finora ricevuto da voi nemmeno una riga; non so come e con quali mezzi vivete. Come ho già scritto, desidererei tanto che Michail Vladimirovic pubblicasse il Dizionario dei nomi dei materiali isolanti nell’industria elettrica . Da questa pubblicazione lui e voi riceverete qualcosa. Le bozze può spedirmele per le relative correzioni(ci vorrà un mese perché arrivino qui e tornino indietro), ma non spedite il manoscritto.

Dì a Vasia di trovare i miei manoscritti:

1 – sull’asfalto di Giungar (in una cartella speciale, a Mosca);

2 – sulla capillarità del suolo: calcolo riguardante particelle elissoidali (in una cartella speciale a Mosca) e di spedirmeli. Io cercherò di completarli per la pubblicazione. Ma è necessario aggiungervi anche quei materiali che sono già pronti per questi lavori e che si trovano sempre nelle cartelle. Il primo lavoro esiste in diverse copie; non speditemele tutte. Il secondo è un manoscritto, c’è anche una tavola numerica e alcuni diagrammi.

Inoltre Vasia ((Vezzeggiativo del nome di Vasilij Pavlovic Florenskij, figlio primogenito di Pavel Florenskij))dovrebbe dire (anche per mezzo di qualcun altro) a un impiegato del VEI(( Istituto Nazionale di Elettrotecnica, dove Pavel Florenskij lavorò dal 24 marzo 1925 come ingegnere capo del laboratorio di sperimentazione dei materiali da lui stesso creato; il 5 gennaio 1939 fu nominato vicedirettore del VEI.)) , K. A. Adrianov((Questo impiegato Kuz’ma Adrianovic Adrianov, chimico, riceverà il premio Stalin nel 1943 e il premio Lenin nel 1963; nel 1964 verrà nominato accademico dell’Unione Sovietica.)), di spedirmi una copia dello scritto relativo alla re sistenza chimica dei materiali isolanti oppure di provvedere egli stesso alla pubblicazione, ma le bozze devono essere spedite a me comunque.

Un altro scritto già completo, sull’utilizzo di pellicole laccate, si trova al VEI. È necessario che sia pubblicato oppure spedito a me; una parte di questo scritto ce l’ha Kremnevskij((Chimico, collaboratore di Florenskij.)) , il resto Volkenstein(( Impiegato del VEI.)): ci dovrebbe pensare Kremnevskij.

Un altro articolo, scritto a macchina sulla carta velina, era a Mosca, sulla mia scrivania o nella mia borsa. Là si tratta del tempo di polimerizzazione della bachelite. Dovrebbero esserci anche i disegni relativi ad esso, ma non so se siano da me o se li abbia Kremnevskij. Speditemi anche questo scritto con i disegni.

Spero, in base a quello che mi è stato detto, di essere trasferito prossimamente verso est, nella città di Svobodnyi, in cui dovrei avere la possibilità di studiare, mentre qui non ci sono né libri, né laboratori, né tempo, perché il tipo di lavoro è totalmente diverso, legato ai calcoli e cose simili. Anche se l’avevo già scritto, per ogni eventualità scrivo di nuovo sui soldi. Puoi ritirare ciò che mi spetta:

  1. alla redazione dell’Enciclopedia Tecnica;
  2. per la traduzione del libro di Stager Materiali di isolamento potrebbe farlo Michail Vladimirovic;
  3. alla cassa (di risparmio) del VEI: la procura te l’ho spedita; dovrebbe esserci una certa somma;
  4. si potrebbe forse avere qualcosa (ma penso che sia difficile) dalla redazione di “Chimplastmassy”: anche queste trattative potrebbero essere svolte da Michail Vladimirovic. La procura per ricevere questi soldi l’ho data un anno fa al redattore tecnico, ma lui, o non ha ricevuto i soldi, o non me li ha consegnati. Forse Michail Vladimirovic potrebbe parlagliene e, se lui non dà i soldi, restituisca almeno la procura. Perché sia eliminata.(…).

Come sta di salute la tua mamma e come va la mia? I figli mi ricordano ancora con amore o cominciano a dimenticarmi? Dì a Vasja che qui ho scritto un breve articolo, ma di contenuto importante, e che l’ho spedito all’Accademia delle Scienze. Questo scritto è dedicato al cosiddetto teorema dei quattro colori in cartografia.

Scrivimi come stanno i ragazzi: Vasja e Kira((Vezzeggiativo del nome di Kirill Pavlovic Florenskij, secondo figlio di Pavel Florenskij.))si sono arrangiati con la camera, la roba e il mangiare? Scrivimi anche dei bambini di Olja((Vezzeggiativo del nome di Ol’ga Pavlovna Trubaceva, figlia maggiore di Pavel Florenskij)), di Mik((Diminutivo del figlio minore di Florenskij, Michail Pavlovic.))e di Tika((Diminutivo del nome della figlia minore di Pavel Florenskij, Maria Tinatin Pavlovna.)) , della mamma. Un bacio forte a te, mia cara, e a tutti voi; salutami la tua mamma e Anastasia Fedorovna((Anastasia Fedorovna Chlebnikova, dentista, visse presso la famiglia di Pavel Florenskij per diverso tempo.)).

12 novembre 1933

Le due lettere che seguono esprimono molto chiaramente la preoccupazione educativa che animava Pavel Florenskij. Sono infatti ricche di suggerimenti per l’educazione e l’istruzione dei propri figli.

Cara Olecka(( Diminutivo della figlia maggiore di Florenskij, Ol’ga Pavlovna.)),

ho ricevuto la tua lettera e ora mi metto a risponderti. Innanzitutto, non ti preoccupare per i tuoi insuccessi a scuola: tutto andrà bene e si aggiusterà nel modo migliore. Studia con tranquillità, momento per momento, ciò che ti è accessibile; cresci, completa il tuo sviluppo e sii sicura che tutto quello che accumulerai con il tuo lavoro oggi, che sei giovane, un giorno ti servirà, anzi, succederà che ti occorrerà proprio questo sapere che ora sembra casuale. Te lo dico sulla base di una lunga esperienza di vita.

Cosa devi fare allora? Per prima cosa bisogna acquisire certe nozioni che sono necessarie indipendentemente dal mestiere che farai in seguito: lingue, letteratura, matematica, fisica e scienze naturali, disegno (almeno un po’), anche pittura e musica. Queste cose sono indispensabili in qualunque situazione di vita e qualsiasi attività si svolga. Impara ad esporre i pensieri, tuoi e quelli degli altri, impara a descrivere; acquista l’abitudine a un atteggiamento attento verso la parola, lo stile, la costruzione. È bene che tu abbia cominciato a studiare il tedesco in modo serio; non dimenticare però di studiare anche il francese: per questo leggi ogni giorno almeno una pagina, ma assolutamente a voce alta, e cerca le parole sconosciute nel vocabolario. Non è male anche leggere in francese avendo la traduzione russa del testo e confrontando cosa e come è tradotto, cogliendo i difetti della traduzione.

In generale, cerca di far sì che le lingue, quella russa come quelle straniere, siano per te un suono vivo e non solo segni sulla carta. Ricorda pertanto di leggere ad alta voce anche gli scritti russi, se non interi, almeno in parte, cogliendo la perfezione del suono e il ritmo della costruzione, sia dal punto di vista sonoro, sia da quello contenutistico ed espressivo. Leggi immancabilmente a voce alta belle poesie, soprattutto quelle di Puskin e di Tjutcev; mentre gli altri ascoltino, per imparare e riposarsi. Mi sono imbattuto qui in un volume di Puskin, dell’edizione del Polivanov. Quanto è stato bello, dopo il pranzo, in riva al fiume Urjum, leggere le poesie di Puskin a voce alta e meditare sulla somma perfezione di ogni parola, di ogni modo di dire, senza parlare della costruzione del tutto!

Per la matematica, cerca non solo di ricordare semplicemente cosa e come fare, ma anche di capirlo e di apprenderlo come si apprende un pezzo musicale. La matematica non deve essere nella mente come un peso portato dall’esterno, ma come un’abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti geometrici in tutta la realtà e individuare le formule in tutti i fenomeni. Chi è capace di rispondere all’esame e di risolvere i compiti, ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla direttamente di matematica, non ha appreso la matematica.

Mi chiedi se devi studiare la botanica. Certamente, nei limiti del tempo e delle possibilità, sforzati se non di studiare, almeno di prepararti a tali studi: guarda più spesso le illustrazioni nei testi di botanica, confrontando le piante disegnate con quelle vere, cerca di comprendere lo stile delle specie, quell’unità artistica e biologica che sta alla loro base. Devi infine a poco a poco accumulare quanti più nomi di piante, ma in modo che non siano nomi vuoti, ma salvadanai in cui si raccoglieranno le informazioni sulla vita, sulle proprietà e sull’utilità delle piante contraddistinte da questi nomi.

Tieni conto che non è bene accedere ad alcuna scienza senza un bagaglio acquisito precedentemente: ciò costringe a trascinare una zavorra morta e nociva e gli studenti, non potendola digerire subito, rimangono per sempre con le teste ingombre. Quando passeggiavamo insieme, cercavo di rivolgere la vostra attenzione sulla somiglianza di singole piante, di dirvi i nomi di alcune di esse. Ora a queste informazioni bisogna aggiungere le caratteristiche tecniche delle piante. In particolare, leggi ogni tanto la Vita delle piante di Kerner von Marilaun: lì troverai molte cose utili; non avere fretta, è meglio che tu legga a porzioni, tranquillamente, assimilando e riflettendo. È molto importante guardare le raffigurazioni della stessa pianta in diversi libri, e in genere tornare più volte alla stessa pianta per saperla riconoscere.

Un bacio a te, cara Olecka, bacia la mammina. Vivi con forza e allegria, lavora e sii sana. Tuo papà. Dì alla mamma di non preoccuparsi per me, perché trovo sempre qualcuno che ha cura di me e mi aiuta a organizzarmi col cibo e le altre cose quotidiane.

14 novembre 1933

In questa lettera Pavel Florenskij descrive l’ambiente che lo circonda. Siamo oltre il lago Bajkal, in piena Siberia, verso l’estremo confine orientale della Russia. La località si chiama Ksenievskaja ed è situata lungo la linea della ferrovia.

Caro Mik,

ho ricevuto da te una sola lettera con i tuoi voti di scuola. Mi è dispiaciuto che non mi abbia scritto niente dell’estate, cioè di come l’hai passata e di quanto hai camminato per il bosco e le paludi. I tuoi voti sono buoni, ma la geografia dovresti conoscerla particolarmente bene, visto che tu ed i tuoi fratelli siete spesso in viaggio. Leggendo i libri ed ascoltando le storie che ti capita di sentire, sarebbe bene che tu individuassi tutti i luoghi sulla carta, misurassi le distanze fra di essi, ti informassi della loro altitudine sul livello del mare e provassi a trovare qualcosa sulla loro natura e popolazione. Se ti imbatti nel nome di qualche animale o pianta, cercalo su un’illustrazione nel libro o nel Dizionario Enciclopedico. Così leggere sarà per te più interessante e anche più utile. Dovresti acquisire l’abitudine di cercare sempre tutte le informazioni che non conosci relative a ciò che hai letto.

Ho sempre il ricordo tuo, di Tika e di tutti voi. Vorrei farti vedere il fiume Urium, trasparente e pulito, i larici, i monti e i bellissimi colori del cielo e di tutto il paesaggio, soprattutto al sorgere del sole. Ti riferisco alcune informazioni sul posto in cui mi trovo: eccoti ancora qualcosa che fa parte della geografia. Mi trovo nella regione al di là del lago Bajkal, relativamente vicino all’estremo est della Russia. Ma anche questo posto è molto a Est: gli Urali, il Caucaso, tutto questo è a Ovest di noi. Anche l’India Orientale e la Persia rispetto a noi si trovano a Occidente. Il sole sorge da noi sei ore più tardi che a Zagorsk: quando vado a pranzare alle tre, tu stai andando a scuola. Quindi, trasferitomi qui, sono invecchiato di ben sei ore.

Il posto è alto, si trova a più di 1500 metri sul livello del mare. L’aria pertanto qui è lieve, il cuore batte più forte del solito e per questo si deve andare a fare pipì molto spesso: non solo io, ma tutti, ce la facciamo appena a resistere fino all’ultimo. L’aria è pulita e trasparente; anche nei gabinetti, molto sporchi, non c’è nessun puzzo, perché non avviene la fermentazione. Il clima è continentale secco, le precipitazioni sono rarissime, i cambiamenti di temperatura sono bruschi. Si dice che qui piova assai poco. E difatti finora non ho visto neanche una pioggia; la neve, sì: è nevicato per una o due notti e la neve ha coperto un po’ le montagne, con uno strato molto sottile che si vede da qualche parte. Vento non ce n’è e il fumo si leva a colonne direttamente verso l’alto: è uno spettacolo molto bello.

Di pomeriggio, al sole, fa caldo anche in questa stagione, ma di notte, dopo il tramonto, diventa freddo e gela fino a meno 30°, e dicono che d’inverno si arrivi a meno 60°. Tuttavia, per la mancanza di venti, è più facile sopportare i meno 30° di qui che i meno 15° di Zagorsk. Quando c’è il sole, basta entrare nell’ombra per avere subito freddo. Ma il cielo è quasi sempre sereno, il sole brilla dalla mattina alla sera. L’acqua nel fiume è assolutamente trasparente. Le sabbie qui sono ovunque aurifere e sulle sponde si trovano gli insediamenti dei cercatori d’oro. Sembra che i cercatori d’oro e i cacciatori siano quasi gli unici abitanti di queste zone, senza contare coloro che stanno nei lager; per il resto, il posto, soprattutto fuori dall’area della ferrovia, è del tutto disabitato. Sulle montagne crescono larici e, in parte, pini; ma nella maggior parte dei casi gli alberi sono piccoli, sono piuttosto cespugli che un bosco vero e proprio. Il larice, scorticato un po’, ha un colore purpureo di una bellezza particolare, mentre il legno, seppure non sempre, è arancione.

Ecco, caro ragazzo, ora puoi farti un’idea del luogo in cui vivo. Bisogna anche aggiungere che sulle montagne corrono capre di montagna e geiran ((Una specie di gazzella.)) , e sembra che ci siano anche i maral((Cervo siberiano.)).

Un bacio forte al mio caro figliolo. Bacia per me la mamma, i fratelli e le sorelle. Salutami le nonne.

28 novembre 1933

Le autorità sovietiche sapevano perfettamente che Pavel Florenskij era un grande scienziato. Pertanto nei lager, che erano dei campi di lavoro, gli affidano compiti in qualche modo collegati alla sua preparazione scientifica. Così Florenskij, pur con pochi mezzi a disposizione, può continuare a studiare, ricercare e progettare. Le due lettere che seguono evidenziano come Florenskij fosse ad esempio molto interessato a trovare le modalità per sfruttare il gelo perpetuo tipico delle regioni siberiane in cui si trovava a vivere.

Ho appena saputo che è deciso il mio trasferimento per la città di Svobodnyi, e partirò domani, naturalmente se troverò posto in treno, il che non è sempre così semplice, essendo qui i treni sempre sovraccarichi.

Mi dispiace lasciare Ksenievskaja, perché mi sono già abituato alle persone e in parte anche al lavoro. Tutti però dicono che là, a Svobodnyi, ci saranno condizioni migliori per il lavoro scientifico. Forse là sono già arrivate le vostre prime lettere. Il clima a Svobodnyi è più temperato che qui, per via della minor altitudine e della vicinanza (naturalmente relativa) al mare. Secondo le proporzioni di qui, mille chilometri sono da considerarsi “vicino” e, poiché fino a Svobodnyi dovrò percorrere 1200 chilometri, diciamo che è vicino. (…).

Qui godo del sole. Ogni giorno, dal mattino presto alla sera tardi, il cielo è senza nubi e splende il sole, cosicché anche quando il gelo è forte, al sole si sta bene e tutto è pieno di luce.(…). Dicono però che anche a Svobodnyi il sole non sia meno frequente. Una persona che ci ha vissuto per tre anni mi ha assicurato che su 365 giorni 360 sono di sole. Quindi è una vera e propria stratosfera! In queste condizioni si può fare un buon lavoro sul gelo perpetuo del suolo e dei terreni, cosa che finora non è ancora stata studiata, nonostante la straordinaria importanza di questo fenomeno in tutti i campi dell’economia e in generale per la comprensione del mondo.

Quasi la metà dell’Unione Sovietica si trova nella condizione del gelo perpetuo (il 47% del territorio) e fino ad oggi non conosciamo con esattezza la frontiera della zona gelata, per non parlare delle cause, delle dinamiche, del significato e dei mezzi per lo sfruttamento del gelo o per la lotta con esso.

Ti scrivo queste cose per farti vedere le grandi possibilità di lavoro in questa regione. Già fin d’ora, pur non avendo ancora cominciato ad affrontare questi problemi, mi sembra di intravedere diverse conseguenze pratiche di questo lavoro, per l’utilizzo del gelo nel campo dell’industria elettrica, cosa che può essere importantissima per l’imminente elettrificazione di questa regione. Non preoccuparti, dunque, per me e soprattutto bada bene alla tua salute.

Ti bacio con affetto, cara mammina. Baciami Ljusja e dille di non lavorare troppo.

Tra l’altro, qui spesso incontro delle persone del Caucaso e perciò ricordo i luoghi in cui sono stato, il mare e le montagne. E siccome anche l’ambiente naturale ricorda il Caucaso, i ricordi d’infanzia mi si ripresentano particolarmente luminosi((Pavel Florenskij trascorse la sua infanzia prima a Tbilissi, antica capitale della Georgia, poi a Batumi, città portuale sulla costa orientale del mar Nero, e più tardi di nuovo a Tbilissi, dove rimase con la sua famiglia fino al 1900, anno in cui, conclusi gli studi al liceo classico, si trasferì a Mosca per iscriversi all’università.)) .

Finisco la lettera per poterla consegnare in tempo.

Un altro bacio.

6-9 dicembre 1933

Caro Kirill,

ecco che ancora una volta ti scrivo da un posto nuovo, ossia dalla città di Svobodnyj, lungo il fiume Zeja((È un affluente dell’Amur.)). Sono arrivato il 2 dicembre al mattino presto, ho cominciato a sistemarmi e oggi, 9 dicembre, che riprendo questa lettera, mi sono del tutto stabilito.

Sto cominciando un grande lavoro sullo studio della fisica del gelo; ora stendo un piano di lavoro e leggo la letteratura scientifica. Probabilmente, tra due mesi, da qui andrò alla Stazione di studi sul gelo, dove potrò fare degli esperimenti. Questi lavori sono ben collegati a una parte di ciò che facevo a Mosca. Spero di poter fare qualcosa di utile per lo sviluppo economico di quelle regioni il cui territorio è sempre ghiacciato, e in particolare per l’estremo est russo. Al gelo perpetuo è legata una gran quantità di fenomeni caratteristici della natura di qui.

A proposito, l’ambiente naturale di Svobodnyi non è interessante. La vasta valle del fiume Zeja è irrimediabilmente piatta e triste, spuntano solo le dune di terra sabbiosa sulle quali crescono le querce della Manciuria, che hanno l’aspetto di cespugli (così mi sono state descritte, io stesso le ho viste solo di lontano e non le conosco). Il luogo è abbastanza basso e l’aria è del tutto diversa da quella di Ksenievskaja, il cielo non è così terso, il sole è pallido e riscalda debolmente. La città è costituita da case basse di legno, piuttosto distanti una dall’altra, in vie molto larghe e lunghe. Il terreno è sabbioso e il manto di neve è talmente sottile che spesso si interrompe e lungo le strade non vedi la neve, ma la sabbia mescolata alla neve. Insomma, non c’è niente di bello o attraente.

13 ottobre 1934

Pavel Florenskij aveva potuto incontrare la moglie e i figli, per la prima e ultima volta dopo il suo arresto, agli inizi di luglio del 1934. A questo incontro fa riferimento in questa lettera.

Dopo vari trasferimenti, ora Pavel Florenskij scrive dalla città di Kem’, in riva al mar Bianco, dove si trovava un lager di smistamento. Qui venivano accolti i detenuti spediti dalle carceri della Russia per essere poi trasferiti alle isole Solovki. Il lager di Kem’ era tristemente famoso per le brutalità che venivano commesse nei confronti dei detenuti (( “Sfiniti dal lungo viaggio, dalla minuziosa perquisizione, sconvolti dall’insolenza dei nuovi guardiani, obbedivamo in silenzio ai comandi. Era uno spettacolo barbaro vedere sacerdoti e vescovi, con la talare, anziani monaci, ragguardevoli uomini di scienza, voltare a destra e a sinistra centinaia di volte, nei ranghi, segnare il passo e marciare al comando di un mostro urlante, che per di più bestemmiava instancabilmente il nome di Dio” (testimonianza riportata in J. Brodskij, Solovki le isole del martirio. Da Monastero a primo lager sovietico, op. cit.)).

Cara Annulja ((Vezzeggiativo indicante Anna Michajlovna Florenskaja, moglie di Pavel Florenskij.)),

sono molto preoccupato per voi, perché sono ormai due mesi che non so nulla, e voi, per giunta, avete dovuto affrontare il viaggio. Prima non mi era permesso scrivere e in ogni caso non avevo niente da dire, perché non sapevo nulla di preciso. Il 16 agosto sono partito da Ruchkovo, dal 17 al 1 settembre sono rimasto recluso in un carcere di isolamento a Svobodnyj, dal 1 al 12 settembre, scortato da guardie speciali, sono andato fino a Medvezja gora, dal 12 settembre al 12 ottobre sono stato recluso in un carcere di isolamento a Medvezja gora, e il 13 sono arrivato a Kem’, dove attualmente mi trovo.

Arrivato al lager, sono stato derubato nel corso di un attacco armato ed ero sorvegliato da uomini con tre asce; ma, come vedi, mi sono salvato, anche se sono rimasto privo di vestiti e di soldi; del resto, una parte dei vestiti è già stata trovata. Durante tutto questo tempo ho sofferto fame e freddo. In generale la mia situazione era assai più grave e peggiore di quanto avessi potuto immaginare partendo dalla stazione di Skovorodino. Sarei dovuto andare alle Solovki, il che non sarebbe male, ma sono rimasto bloccato a Kem’ e sono impegnato nella riscrittura e nella compilazione delle schede di registrazione. Tutto si mette disperatamente male, ma non vale la pena di scriverne. Non c’era alcun motivo particolare per portarmi qui e ora parecchi vengono trasferiti al nord.

Un bacio forte a tutti voi, soprattutto ai ragazzi che non ho potuto vedere. Chiedi a Pavel Nikol di spedire la mia roba – biancheria intima e altro – a te e non a me, perché io non ho la possibilità di occuparmene. Vivo adesso in una baracca colossale, in una stanza enorme, insieme a persone di diverse minoranze etniche, per cui sento discorsi in tutte le lingue orientali. Non posso spedire un telegramma perché non ho soldi, per fortuna mi hanno venduto due cartoline. Sono sano, ma certamente molto dimagrito e indebolito. Kem’ è una città disgustosa: tutta piena di fango, grigia, spenta e triste. Sperare in un’attività scientifica qui è assolutamente impossibile; non solo per qualcosa di serio, ma di qualsiasi tipo.

Ho continuamente l’immagine di tutti voi davanti a me, nonostante un forte indebolimento della memoria e l’intontimento generale.

Scrivetemi all’indirizzo: Città di Kem’, 1mo punto lager del 9° reparto del canale mar Bianco – mar Baltico.

Aspetto una vostra lettera.

Scrivetemi al più presto.

Un forte bacio.

7 novembre 1934

Il 23 ottobre 1934, dopo l’attraversamento del mar Bianco, Pavel Florenskij è giunto alle isole Solovki((Un detenuto, M. Nikonov, ricorda così il suo arrivo a queste isole: “Arrivammo alle Solovki senza avere alcun idea di che cosa fossero, senza sapere che si chiamavano ‘Isole delle lacrime’. Dopo l’interminabile procedura dell’accettazione e della perquisizione, come si faceva in tutte le prigioni, dopo il rituale del bagno, entrammo finalmente nella 13ma compagnia di quarantena.(…). La nostra camerata conteneva settanta uomini. Sdraiati sui pancacci, nessuno parlava. Ispira un senso di orrore il silenzio mortale di settanta uomini, istupiditi dall’accoglienza ricevuta a Kem’ e dal trasbordo nella stiva gremita fino a scoppiare, annichiliti dalla sensazione di aver toccato il fondo dell’inferno mettendo il piede alle Solovki. Probabilmente ciascuno rimuginava dentro di sé il pensiero della fine che lo attendeva. A me perlomeno si presentava in tutta la sua ineluttabilità: non mi sentivo le forze per affrontare torture bestiali come quelle che avevo patito a Kem’. E i ceckisti non nascondevano il futuro che probabilmente ci aspettava: restare qui per sempre, impantanati in queste paludi” (citato in J. Brodskij, Solovki le isole del martirio, cit., p. 62).)) .

Sono seduto nell’ufficio e sono di turno al centralino telefonico. Voglio comunicarvi subito che ieri ho traslocato in una nuova stanza, molto più piccola, più calda e gradevole della precedente.

In occasione delle feste d’ottobre((Si riferisce alle feste nella ricorrenza della Rivoluzione d’Ottobre.)) è stata organizzata qui una piccola mostra di prodotti locali, soprattutto verdure e ortaggi. Nonostante la latitudine, qui si coltivano ortaggi di straordinarie dimensioni: patate, navoni, rape da foraggio e rape bianche; le carote e le rape rosse sono più piccole e meno buone; molto buono è il cavolo, anche il cavolfiore. I cereali che si trovano sono: avena, segale, frumento. Proprio ieri ho lavorato in un campo da miglioria: la torbiera di un bosco paludoso viene ora trasformata in terreno agricolo e bisogna togliere dal suolo della palude tutte le radici e accatastare i tronchi. Ieri è caduta la prima neve, che ha dato al paesaggio un aspetto migliore; il cielo invece rimane disperatamente grigio.

Da molto tempo sono arrivato alla conclusione che, nella vita, tutti i nostri desideri si realizzano, ma si realizzano con troppo ritardo e in modo irriconoscibile e caricaturale. Negli ultimi anni desideravo una vita a stretto contatto con un laboratorio e questo si è realizzato, ma a Skovorodino. Avevo intenzione di occuparmi di problemi del suolo e pure questo si è avverato, sempre lì. In passato sognavo di vivere in un monastero e adesso ci vivo, ma sulle isole Solovki. Durante l’infanzia avevo l’idea segreta di vivere su un’isola, di osservare l’alta e bassa marea e di occuparmi di alghe. Ora sono su un’isola, qui c’è sia l’alta che la bassa marea e forse presto mi occuperò di alghe. I desideri si realizzano, ma in maniera tale che non li riconosci e soltanto quando sono ormai sfumati.

Ti bacio forte, mia cara Annulja.

Non scoraggiarti, tieni alto il morale.

5 novembre 1934

Cara mammina,

finalmente mi sono giunte le vostre notizie; una cartolina da te, una lettera di Anna, un telegramma di Anna che è arrivato in ritardo e il tuo pacchetto che mi ha spedito Anna. Naturalmente ho molto gioito delle vostre lettere, sono l’unica cosa piacevole qui. Ma non mi fido troppo delle rassicurazioni che voi state bene.

La mia vita scorre in modo pressoché uguale a dopo il mio arrivo, cioè estremamente scomoda, poco confortevole e faticosa. In definitiva, la mia impressione delle isole Solovki non si è affatto attenuata, ma ha piuttosto trovato conferma. Qui non è possibile occuparsi di qualcosa di sensato. Per il momento sto apprendendo i cosiddetti lavori comuni, che cambiano giornalmente, o al più ogni due-tre giorni. In ordine cronologico ho fatto quanto segue: selezionare le patate, lavarle e sbucciarle, fare il turno al centralino, setacciare il “mangime combinato” (qualcosa come crusca per il bestiame), fare lavori di sterro, aiutare a caricare sacchi con rape bianche e rape da foraggio, accatastare le rape bianche. Tutto questo, a causa della norma di lavoro giornaliero molto elevata e delle mie scarse forze, è assai pesante per me, per non parlare poi dello spreco mortale di tempo. Forse però potrò presto avere un lavoro “in laboratorio”. Cioè, non è un vero laboratorio, ma un piccolo luogo di produzione; e sebbene non si faccia alcuna ricerca scientifica, è comunque sempre meglio che le patate.

Ti ringrazio per il pacco, che mi è stato di grande sollievo. Cerca però di fare a meno di mandarmi pacchi, sono soldi sprecati. A proposito: quando riceverete questa lettera, qui da noi già non accetteranno più i pacchi. Per favore, non inviate denaro, tanto non mi viene consegnato e qui non c’è nulla da comprare. A parte le cose che io stesso chiedo, non mandatemi nulla. Altrimenti potete star certi che tutto ciò che mi arriva sparisce immediatamente. Ora mi trovo in biblioteca, nel tempo libero preparo un catalogo dei libri stranieri. Poi mi metterò a leggere i classici francesi, per i quali nutro un vivo interesse. Naturalmente potrò leggere soltanto se troverò un luogo adatto, per il momento non ne ho. Abito in uno stanzone in cui sono sistemate cinquanta persone che non hanno niente in comune con me; questo è molto scomodo.

Scrivetemi più spesso, mi farà piacere; da me invece non aspettate lettere, perché posso scrivere una sola lettera al mese e non vi posso quindi rispondere.

Ti bacio affettuosamente, cara mammina.

Grazie che mi hai pensato.

Bacio Ljusja, salutami i fratelli e la zia Lilja.

Scrivimi sulla salute di Sasa.

Ti bacio ancora con affetto.

25 gennaio 1935

Caro Kirill,

ti ricordo spesso, soprattutto quando di sera vado a letto tardi. Ricordo con dolore di averti amareggiato, non considerando la tua età e chiedendo ciò che tu non comprendevi. Caro figliolo, come vorrei – non correggere il passato che è già passato ed è incorreggibile – ma in qualche modo risarcirtelo! Vorrei lasciarvi in eredità un nome onorabile e la consapevolezza del fatto che vostro padre ha lavorato tutta la vita disinteressatamente, senza pensare alle conseguenze del suo lavoro per la sua persona. Ma proprio per questo disinteresse ho dovuto privarvi delle comodità godute dagli altri, dei divertimenti propri della vostra età e persino della vicinanza con voi. Ora mi rattrista che da tutto questo mio impegno, anziché trarre qualche vantaggio, voi non ricaviate neanche quello che riceve la maggior parte dei vostri coetanei, nonostante che i loro genitori abbiano vissuto per se stessi.

La mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane: spero che un giorno, in qualche modo pur a me sconosciuto, sarete ricompensati di tutto ciò che ho tolto a voi, miei cari. Se non fosse per voi, rimarrei in silenzio; la cosa più orribile della mia sorte è la cessazione del lavoro e la sostanziale distruzione dell’esperienza di tutta la mia vita, esperienza che è maturata solo adesso e che adesso potrebbe dare frutti autentici. Ebbene, se non fosse per voi, non mi lamenterei di aver subito questa sorte. Se la società non ha bisogno dei frutti del lavoro della mia vita rimanga pure senza di essi: bisogna ancora vedere chi subisca il maggior danno se io o la società, per il fatto che non darò ciò che potrei dare. Ma mi dispiace di non poter far voi partecipi della mia esperienza e soprattutto di non potervi accarezzare, come vorrei fare e come faccio sempre nei miei pensieri.

In gennaio ti ho scritto una lettera, ma non so se ti sia giunta. Come vivo, lo saprai dalla lettera alla nonna. Un bacio forte a te, caro. Devo finire la lettera, è ormai molto tardi e casco dalla stanchezza.

30-31 gennaio 1935

Caro Mik,

ora è notte, sono le due. Mi trovo nel laboratorio, poiché oggi per la prima volta abbiamo sperimentato l’apparecchiatura da me inventata per precipitare e filtrare lo iodio. Si tratta di un grosso impianto, dotato di due filtri, di un miscelatore elettrico e di un tubo provvisto di ventilatore, più altri dispositivi. Finora il precipitato si otteneva a mano. Ciò era faticoso per gli operai, ma soprattutto molto nocivo, dato che vengono emanati abbondanti vapori di bromo, ossidi di azoto, vapori acidi e di iodio; diventava impossibile respirare e la salute ne risentiva in modo grave. Inoltre anche il processo di precipitazione e filtrazione dello iodio, fatto a mano, non poteva essere impostato correttamente. Il dispositivo costruito qui dalle mani dei nostri operai, su mio disegno, funziona bene. Odore quasi non ce n’è, sforzi non occorre farne, tutto funziona automaticamente e non richiede che sorveglianza. A me dispiacevano sia i danni alla salute degli operai, sia lo spreco di iodio, e per questo mi sono occupato della cosa. Spero che ora tutto vada avanti bene. (…).

15 novembre 1935 – Solovki

Cara mammina,

è da tanto tempo che non ricevo lettere da te e non so bene come stai. Vasja, che probabilmente passa ogni tanto da te, non mi scrive. Anna può andare a Mosca solo raramente e Kira anche lui non mi scrive. La mia vita, esteriormente, non è male, ma interiormente sento una grande tristezza. Non ho neanche un minuto per poter stare solo con me stesso. La natura non la vedo mai e poi in questo periodo anche la natura è sempre triste, grigia e uggiosa. Quanto al lavoro, si svolge in un’atmosfera che non predispone affatto all’entusiasmo e all’attivismo. Perciò il tempo passa e io non faccio niente di fecondo; o meglio, a qualcuno ciò che faccio sarà utile, ma a me personalmente non dà niente.(…).

Vivo in uno stato di continuo torpore spirituale: è l’unico modo per sopravvivere; i giorni e le settimane si susseguono sempre uguali. Se in questo dormiveglia c’è qualcosa di vivo, sono i ricordi e i pensieri rivolti a voi, tutto il resto è illusorio e passa come un’ombra. Così sono le Solovki da ogni punto di vista: così qui sono la natura, il tempo e gli uomini. La realtà sembra un sogno e spesso mi ritrovo a pensare che, se mi sveglio, la visione si dileguerà. Lo stesso inverno qui non è un inverno vero e proprio, ma una poltiglia continua, così come l’estate non è una vera estate, ma pure una poltiglia, un po’ più calda di quella invernale.

Sono in camera. Dietro la porta, nel corridoio, è stato allestito un angolo rosso((Una sorta di circolo dove ci si poteva riunire anche informalmente per giocare e divertirsi.)). La radio è accesa, ma a causa del chiasso non si capisce che trasmissione è. Ci saranno una trentina di persone, se non di più. Chi gioca a scacchi, chi discute, cercando di gridare più forte del rumore, chi canta, chi strimpella la chitarra o qualche altro strumento. I ragazzini bisticciano, si spingono, saltano. Un baccano infernale, insomma, ma di quelli innocenti. Vedere i ragazzi è una pena, mi fanno venire in mente gli uccelli allo zoo, nonostante i loro sforzi di essere allegri. C’è anche qualcuno che si fa la barba. Altri stanno imparando il mestiere del parrucchiere e tagliano i capelli al primo che capita, a quanto pare in modo abbastanza decente. A volte la baraonda cessa in parte: cantano tutti in coro o organizzano un’orchestra di tre o quattro strumenti. La cosa riesce senza troppi intoppi. Tuttavia, intoppi o no, studiare è assolutamente impossibile, non riesco a concentrarmi neanche sulla lettere e infatti mi interrompo ad ogni frase.

A volte, purtroppo di rado, alla radio trasmettono le romanze di Schubert: E il mio canto… e altre. E allora mi ritorna in mente, in modo straordinariamente vivo, come tu le cantavi e questi ricordi si ricollegano a Batumi. È curioso che, delle impressioni di Batumi, particolarmente nitide siano le prime, di quando vivevamo accanto alla ferrovia, nei pressi del passaggio a livello, non lontano dal generatore. Vedo chiaramente di fronte a me la galleria, la casetta che il papà vi aveva costruito sopra, e la famiglia degli attori che vivevano nel cortile, quei contrabbandieri e falsari che fuggirono all’improvviso. Ricordo in maniera precisa il mio vestito da cacciatore, il negozio ‘Triandopulo’, il sapone tridas, le perle veneziane, la banchina ecc. I più piccoli dettagli mi stanno davanti agli occhi, come se tutto accadesse ora. Anche il periodo successivo della vita a Batumi lo ricordo bene, ma non in modo così chiaro.

Ti mando un grosso bacio, cara mammina.

Salutami Ljusja e la zia.

Nelle due lettere che seguono Pavel Florenskij, oltre alle preoccupazioni per la salute dei suoi cari, esprime il proprio forte rammarico per non aver potuto portare a compimento tutti gli studi scientifici che aveva avviato e che aspettavano solamente di essere conclusi, sistemati e pubblicati.

Caro Vasjuska,

sono molto preoccupato per il tuo modo errato di porti nei confronti del lavoro e della salute. Tu ti sovraffatichi e, oltre a ciò, non cerchi di recuperare le forze perdute, nutrendoti in maniera soddisfacente e al momento giusto. Innanzitutto, è possibile che tu voglia proprio ritrovarti nella situazione di Olja? Un organismo esaurito non può combattere neanche la più stupida delle malattie e tanto meno l’influenza dei nostri giorni. Dappertutto si sente parlare di complicazioni post-influenzali che possono portare all’invalidità.

Oltre a ciò, tu devi produrre qualcosa di unitario e significativo, ma perché le cose maturino occorrono tempo e tranquillità e tu non puoi continuamente sballottare, con la tua confusione, tutto ciò che hai dentro. L’incapacità di organizzare la propria vita anche per ciò che riguarda i suoi aspetti più semplici come il cibo, il sonno, il riposo, è segno o di pensieri falsi, o di confusione interiore, ma io non voglio vedere in te né una cosa né l’altra. Quante sofferenze inutili, che potrebbero facilmente essere evitate, causate alla mamma con la vostra testardaggine e sconsideratezza!

La mia vita prosegue come prima, così monotona esteriormente e così uguale di giorno in giorno, che sto perdendo la nozione del tempo. I giorni si susseguono in un baleno. D’altronde, devo dire di avere fatto parecchio, ma non sono le cose che sarei chiamato a fare e non danno quindi nutrimento diretto al pensiero, anche se arricchiscono, ma solo esteriormente. Mi sto facendo un’esperienza più solida nel settore dei colloidi e della chimica organica, in parte anche della chimica biologica, o meglio, mi sto esercitando l’occhio e mi sto facendo la mano. Mi sento più o meno in possesso di una serie di processi, di cui molti non hanno che una vaga idea.

Ma, alla mia età, è un lusso troppo grande trattare tutti i fenomeni spendendoci tempo così generosamente: sarebbe ora di trarre conclusioni, riassumere, sommare. Ma non c’è tempo neanche per esaminare con l’intensità desiderabile le opere che sto svolgendo: mi si richiede infatti di procedere alla produzione al più presto, dare al più presto più e più prodotti, anche adesso, nelle condizioni di un’officina artigianale. La quantità (questa categoria del pensiero che io odio!) uccide, perché già oggi servono chili della sostanza, per cui siamo costretti ad utilizzare tonnellate di acqua. Fin da bambino la categoria della quantità mi è stata nemica e la parola “molto” mi portava allo sconforto, o mi terrorizzava, oppure mi faceva venire l’angoscia. E la produzione tutta quanta è costruita sul “molto”.

Come sta Natasa di salute? Salutamela. Ha ricevuto la mia lettera? Un bacio forte a te, caro Vasja. Mi dispiace che tu non possa assistere alle lezioni di matematica che sto dando: credo che ti sarebbero potute essere utili.

Ti bacio ancora.

10-11 marzo 1936 – Solovki

Cara Annulja,

oggi ho ricevuto la tua lettera n. 9 del 23 febbraio 1936, la cartolina di A.I. e lo stampato (la brochure di Vernadskij) da Mik. Chiedi della mia n. 46. È una lettera, come anche le nn. 37, 42, 49, a mamma.

Sbagli a pensare che le tue lettere mi diano noia, al contrario, ciò che mi fa soffrire è pensare ai problemi che tu hai e all’assenza di gioie per te, e perciò cerco di ispirarti a utilizzare la vita al meglio.

L’opera della mia vita è distrutta e io non potrò mai, né vorrò, ricominciare dall’inizio il lavoro di cinquant’anni. Non ne avrò la volontà, perché non ho lavorato per me stesso né per il mio tornaconto, e se l’umanità, per amore della quale non ho mai conosciuto una mia vita privata, ha ritenuto possibile distruggere semplicemente ciò che era stato fatto per il suo bene e che non necessitava che degli ultimi ritocchi, ebbene tanto peggio per l’umanità. Ci provino loro a rifare ciò che hanno distrutto. Anche se in modo discontinuo, qualche libro mi arriva, e mi rendo conto che altri cercano di risolvere quelle questioni che sono già state trattate da me e da me solo, ma lo fanno alla cieca, a tentoni. Naturalmente, ciò che io ho fatto verrà, parzialmente e a poco a poco, rifatto da altri, ma ci vorranno tempo, forze, denaro e l’occasione giusta. Pertanto, distruggendo quanto era stato fatto nella scienza e nella filosofia, la gente si è punita da sé, perché dunque dovrei preoccuparmi di me stesso?

Vi penso. Lavoro sì, ma ormai su altre cose, di secondaria o perfino terziaria importanza: né le condizioni di lavoro e di vita, né l’età, e infine lo stato psicologico mi permetterebbero di occuparmi di cose di primaria importanza. Conosco abbastanza bene la storia e lo sviluppo storico del pensiero per poter prevedere che un giorno si metteranno a raccogliere i cocci di ciò che hanno distrutto. Tuttavia, questo non mi rallegra affatto, anzi mi infastidisce questa odiosa stupidità umana, che perdura fin dagli inizi della storia e sembra intenzionata a durare fino alla fine. Ma basta parlare di me, ciò non è interessante. (…).

22 novembre 1936 – Solovki

Cara Annulja,

per quanto riguarda Mik, sono sicuro in cuor mio che il suo scansare le occupazioni serie è un fenomeno temporaneo e che lui cambierà del tutto. Forse è anche meglio che egli stia di più all’aria aperta e non si affatichi troppo, visto che è sempre troppo nervoso e debole. Ciononostante, vorrei che Mik accumulasse più impressioni concrete della natura, dell’arte, della lingua. È molto importante accedere, in seguito, alle occupazioni serie, avendo già un bagaglio di percezioni e non strutturare se stessi nel vuoto e in modo astratto. Allora, se esiste questo corredo di immagini concrete, di colori, di odori, di suoni, di gusti, di paesaggi, di piante ecc., questo corredo potrà facilmente acquistare forma e produrre un terreno fermo per sistemi astratti. Se invece tale bagaglio non c’è, se un concetto non è accompagnato da un’immagine, se l’astrazione è soltanto astratta, allora è priva di qualsiasi valore e per lo sviluppo della mente è più dannosa che utile: diventa un dogma mortifero, comprime lo spirito, lo priva della libertà e della capacità creativa. Sarà un sistema nel senso brutto ella parola. Systemglaube ist Aberglaube, ha detto Novalis((Novalis (pseudonimo di Friedrich von Hardenberg, 1772 – 1801), poeta e filosofo tedesco, massimo esponente del preromanticismo.)): la fede nel sistema è superstizione.

Gli uomini dei tempi nuovi, a partire dall’epoca del Rinascimento, si sono ammalati sempre più di fede nel sistema, sostituendo erroneamente il senso della realtà con formule astratte che non hanno più la funzione di essere simboli della realtà, ma diventano un surrogato di essa. Così l’umanità si è immersa nell’illusionismo, nella perdita del contatto con il mondo e nel vuoto, il che inevitabilmente ha portato alla noia, allo sconforto, allo scetticismo corrodente, alla mancanza del buon senso. Uno schema, in quanto schema, per se stesso, se non è controllato dalla viva percezione del mondo, non può neanche essere seriamente valutato: qualunque schema può essere bello, cioè strutturato bene in se stesso. Ma la visione del mondo non è il gioco degli scacchi, non è costruire schemi a vuoto, senza avere il sostegno dell’esperienza e senza tendere risolutamente alla vita. Per quanto ingegnosamente possa essere strutturato in se stesso, senza queste basi e senza questo scopo, ogni schema è privo di valore. Ecco perché credo che sia assolutamente necessario accumulare da giovani una concreta percezione del mondo e darle forma solo a un’età più matura.

Naturalmente mi piacerebbe poter aiutare Mik ad entrare più profondamente in ciò che vede con i suoi occhi, ma questa non è la cosa più importante: spero che ce la faccia da solo a suo tempo.

Un bacio forte a te, mia cara. Ora si sta proprio male, qui: il vento soffia, sibila, ulula e raffiche fredde attraversano velocemente la stanza. Tanto più fortemente penso a voi.

3-4 gennaio 1937 – Solovski

Cara Annaluja,

avrei voluto scrivervi di notte, al momento in cui è cominciato il 1° giorno del nuovo anno, ma non è stato possibile. Ma vi ho pensati in modo particolarmente intenso e mi sono rallegrato all’idea che in quel momento voi eravate tutti assieme. Ho ricevuto la tua lettera n. 36 del 21 dicembre, e in breve tempo, il 30 dicembre. Ti rispondo secondo l’ordine della tua lettera. (…).

Mi scrivi del piccolo e di mio padre. Mi sembra, da alcune informazioni, che lui fosse sempre in ansia, anche quando io ero piccolo, e che verso la fine della vita stesse in un’ansia insormontabile per la mamma e per noi; e i tentativi di calmarlo provocavano una forte irritazione. Era una condizione morbosa, in parte provocata dalla malattia fisica, la quale a sua volta era forse aggravata dall’ansia.

Ma non indaghiamo sul futuro che a nessuno è noto. Lasciamo che il piccolo cresca circondato dall’amore e dall’affetto, che si nutra culturalmente e che viva senza conoscere preoccupazioni. Tocca a noi assumerci preoccupazioni e ansie. Infatti, l’obiettivo della vita non è quello di vivere senza ansie, ma quello di vivere decorosamente e non essere una nullità e la zavorra del proprio Paese. Se nasci in un periodo burrascoso della vita storica del tuo Paese e anche di tutto il mondo, se sono in gioco problemi mondiali, ciò, certamente, è difficile, richiede sforzi e sofferenze; ma proprio allora devi dimostrare che sei un uomo e manifestare la tua dignità. Ci sono stati infatti dei periodi calmi e pacifici. Ma la maggior parte delle persone ha forse approfittato di questi anni di calma? Certamente no, si sono invece dati alle carte, agli intrighi, al vaniloquio, hanno fatto pochissime cose degne di essere rilevate. Erano soddisfatti? No, languivano dalla noia, si tuffavano a capofitto in qualche attività, arrivavano perfino a farla finita con la vita.

Volgendomi indietro e rivedendo la mia vita (e alla mia età è particolarmente necessario farlo) non vedo in che cosa, in sostanza, dovrei cambiare la mia vita se dovessi ricominciarla da capo e nelle stesse condizioni di prima. Certo, so di aver fatto molti singolari errori, gaffe, esagerazioni; ma queste cose non mi hanno fatto deviare dalla direzione principale e quanto ad essa non ho niente da rimproverarmi. Potrei dare molto di più di ciò che ho dato, le mie energie neanche oggi sono esaurite, ma l’umanità e la società non sono tali da poter prendere da me ciò che è più valido. Non sono nato nel tempo giusto e, se parliamo di colpe, è colpa mia. Forse fra centocinquant’anni le mie potenzialità potrebbero anche essere usate meglio. Ma, considerando l’ambiente storico della mia esistenza, non sento rimorsi per la mia vita nel suo insieme. Anzi, sento piuttosto il contrario.

Mi pento (anche se questo pentimento non raggiunge la profondità) del fatto che, avendo un atteggiamento passionale rispetto al dovere, non mi sono consumato abbastanza a favore di me stesso; per “me stesso” intendo voi, che sento come una parte di me stesso: non ho saputo darvi gioia e rallegrarvi, non ho dato ai figli tutto ciò che avrei voluto dare loro.(…).

13 febbraio 1937

Cara Annulja,

ecco che di nuovo, per qualche motivo, non ricevo lettere da te; in compenso, ne ho ricevuta una dalla mamma. Naturalmente sono preoccupato, anche se inutilmente, dato che dalla mia preoccupazione voi non avete alcun vantaggio. In ogni caso è difficile restare imperturbabili non sapendo già da tempo come state.

Ora qui da noi ci sono giornate senza vento e perfino soleggiate. Ma la forza che ha avuto il vento fino al 10-11 del mese non ve la potete neppure immaginare. Se ti mettevi sottovento, ti costringeva a correre, se eri di traverso, ti buttava fuori dalla strada, ti faceva cadere e ti trascinava. Era interessante a questo proposito ricordare che sull’isola di Vrangel’, d’inverno, non si può andare da un edificio all’altro senza tenersi a delle corde tese tra di essi, altrimenti il vento strappa e porta via; la persona non riesce a tornare indietro e muore di freddo e di fame. Da noi non si arriva a questo punto; comunque è certo che non ci si può reggere sulla superficie ghiacciata.

(…). Ho ricevuto un giornale zeppo di Puskin. Fa piacere anche solo il fatto di questo interesse per Puskin. Per il nostro Paese non importa tanto ciò che si dice di lui, quanto il fatto che se ne parli; poi Puskin parlerà da sé e dirà ciò che è necessario. Ma a questo piacere si mescola l’amarezza, un’amarezza insensata, per la sorte di Puskin. Non riesco a liberarmi da questo sentimento. La definisco insensata, perché in Puskin si manifesta in fondo solo quella legge universale che vuole che si lapidino i profeti e poi si costruiscano loro i sepolcri, dopo che sono stati uccisi. Puskin non è né il primo né l’ultimo: retaggio della grandezza è la sofferenza, sofferenza che viene dal mondo esterno e sofferenza interiore, che viene da noi stessi.

Così è stato, è, e sarà. Perché sia così, è del tutto chiaro: è una sfasatura; sfasatura della società rispetto alla grandezza e sfasatura della persona rispetto alla propria grandezza; cioè, una crescita diseguale, inadeguata, e la grandezza è proprio il distinguersi dalle caratteristiche medie della società e della propria struttura, poiché anch’essa appartiene alla società. Ma noi non ci accontentiamo che si risponda alla domanda “perché?” ed esigiamo una risposta alle domande: “ a che scopo?”, “con quale fine?”.

Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni e dure le sofferenze. Tale è la legge della vita, il suo assioma di base. E anche se nel tuo intimo hai coscienza dell’irrevocabilità e dell’universalità di questa legge, quando ti scontri con la realtà, con ogni caso specifico, resti colpito come se fosse qualcosa di imprevisto e di nuovo.

Con tutto ciò, ti rendi conto che non è giusto il tuo desiderio di respingere questa legge e di sostituirla con la tranquilla aspettativa da parte dell’uomo che offre il proprio dono all’umanità; un dono che non può essere ripagato né dai monumenti, né dai panegirici dopo la sua morte, né dagli onori o dai soldi durante la vita. Al contrario, per il dono della grandezza è l’uomo che deve pagare con il proprio sangue. E la società fa di tutto perché questi doni non le siano offerti. Nessun uomo illustre ha mai potuto dare tutto ciò di cui era capace, poiché ne è stato volutamente impedito da tutto ciò e da tutti coloro che lo circondavano. E se non riescono a impedirglielo con la violenza e con le persecuzioni, si insinuano con lusinghe e regali, per corromperlo e sedurlo.

Quale dei più significativi poeti russi ha avuto una vita facile? Forse solo Zukovkij((Vasilij Andreevic Zukovskij (1783 – 1852), poeta e letterato di raffinata cultura, compose suggestive ballate e tradusse molti poeti tedeschi e inglesi. Tradusee anche l’Odissea.)), ma anche contro di lui oggi si scoprono intrighi, compresa l’accusa di aver capeggiato la rivoluzione russa. Anche i filosofi si trovano nella stessa situazione (per filosofi intendo non coloro che parlano di filosofia, ma coloro che pensano in modo filosofico), cioè sono perseguitati, circondati da ostacoli, hanno la bocca tappata. La sorte degli scienziati è di poco migliore, tuttavia solo nel caso in cui siano mediocri. Lomonosov((Scienziato e scrittore russo (1711 – 1765), uno dei fondatori dell’università di Mosca.)) , Mendeleev((Chimico russo (1834 – 1907).)) , Lobacevskij(( Matematico russo (1793 – 1856), che formulò il primo sistema geometrico non euclideo.))– per non parlare poi del gran numero di innovatori del pensiero, ai quali la società non ha permesso di realizzarsi appieno (Jablockov, Kulibin, Petrov e altri) – neppure uno di loro ha percorso una via piana, con l’appoggio dei propri contemporanei e senza ostacoli, ma tutti sono stati disturbati e si è cercato in ogni maniera di frenarli.

Sono sempre stati in auge, invece, i mediocri, coloro che rubano le idee altrui e che cercano di farsi grandi; sono stati in auge perché hanno adattato e falsificato ciò che è veramente grande secondo i gusti e gli interessi materiali della società.

Qualche tempo fa ho provato invidia per Edison ((73 Thomas Alva Edison (1847 – 1931), inventore statunitense, autodidatta, titolare di oltre 1.200 brevetti.)) , per il modo in cui ha potuto utilizzare il tempo e le energie, grazie al fatto che era provvisto di tutto dal punto di vista materiale e soprattutto grazie alla sua autonomia. Da noi invece il tempo passa inutilmente, lo si perde per cose di nessun conto, nonostante l’enorme dispendio di forze, e ciò perché non è possibile organizzare le cose come si vorrebbe.

Ti bacio con tanto affetto, cara Annulja.

Un altro bacio. (…).

4 aprile 1937

Cara Olen((Altro vezzeggiativo del nome di Ol’ga Pavlovna Trubaceva, figlia maggiore di Pavel Florenskij.)) ,

mi sembra di averti già scritto della Storia d’Inghilterra di David Hume che sto leggendo in una traduzione francese. Il quadro è espressivo e vivo, ma infinitamente pesante. Guerre incessanti, ora esterne, ora intestine, al cui senso e ai cui motivi non si riesce a risalire; non credo, del resto, che essi fossero noti agli stessi personaggi del XIV secolo. Ma la loro assurdità non ha affatto impedito a queste guerre di essere estremamente sanguinose: gli uni cercavano di sterminare completamente gli altri e chi non moriva in battaglia, finiva sul patibolo. E siccome trionfava ora un partito, ora l’altro, nel corso per esempio della guerra fra la Rosa Bianca e la Rosa Rossa (trent’anni)((La guerra delle due Rose (1455 – 1485) per il possesso del trono d’Inghilterra fu combattuta dalle case di Lancaster e di York e terminò con il matrimonio di Enrico VII Tudor (erede per via materna dei Lancaster) con Elisabetta di York.)), le classi superiori dell’Inghilterra furono totalmente cancellate dalla faccia della terra, senza poi parlare degli innumerevoli contadini. Il fatto che le guerre fossero immotivate lo dimostrano chiaramente i ripetuti passaggi del corpo ufficiali e delle loro truppe da una parte all’altra; quindi, non avevano nessun progetto e nessun previo interesse per l’esito finale del conflitto.

Mi stupisce l’assurdità delle azioni umane che non trovano giustificazione nemmeno nell’egoismo perché gli uomini agiscono a scapito anche dei propri interessi. Della parte morale non parlo neanche. Dappertutto spergiuro, inganno, assassini, uccisioni, servilismo, mancanza di qualsiasi principio. I legami di parentela si buttano da parte, la legge si crea e si abolisce per far piacere alla necessità del momento, e comunque non viene rispettata da nessuno. Se prendi le cronache di Shakespeare, esse solo parzialmente manifestano la verità storica, riducono gli orrori e non li caricano, come si potrebbe pensare al primo sguardo.

La mia conclusione (del resto, sono giunto ad essa già da tempo) è questa: nell’uomo c’è una carica di furore, di ira, di istinti distruttivi, di odio e di rabbia, e questa carica tende a riversarsi sulle persone circostanti, contrariamente non solo ai dettami morali, ma anche al vantaggio personale dell’individuo. L’uomo si lascia prendere dal furore per pura brutalità. Le catene di un potere duro lo trattengono fino ad un certo punto, ma poi l’uomo si ingegna a fare le stesse cose, eludendo la legge, ma in una forma più fine. Certamente non sarebbe giusto affermare che tutti siano così. Ma sono così molti, moltissimi, e col loro attivismo questi elementi rapaci dell’umanità arrivano ad occupare i posti dirigenziali della storia e costringono pure il resto dell’umanità a diventare rapace.

Ecco, cara Olen’, che cosa ho notato partendo da un caso particolare: quello dell’Inghilterra del XIV secolo. L’umanità è migliorata da allora? Ne dubito. È diventata più decente esternamente, ha rivestito la violenza di forme meno vistose, cioè quelle che non forniscono trame per tragedie ad effetto, ma la sostanza delle cose non è cambiata. (…).

13 maggio 1937 – Solovki

Caro Kirill,

su un giornale ho trovato segnalato che viene istituito un dipartimento di tecnologia delle alghe presso l’Accademia delle Scienze; la mamma, poi, mi scrive sulle conferenze di P.N. dedicate al gelo. In questa maniera mi viene tolto ciò che era il mio lavoro, in cui ho raggiunto certi risultati e nella cui preparazione ho messo tanta fatica. Ripassando nella mente la mia vita (è ora di tirare le somme), noto una serie di campi e questioni che ho iniziato io e di cui, dopo, si sono occupati tutti, o almeno tanti, mentre io o sono stato costretto ad abbandonare l’opera, o l’ho abbandonata di mia volontà, perché ho orrore di studiare problemi dei quali tutti vogliono occuparsi e cercano di impadronirsi.

Forse ti interesserà l’elenco di quelli più importanti.

In matematica : 1) I concetti matematici come elementi costitutivi della filosofia (discontinuità, funzioni…). 2) La teoria degli insiemi e la teoria delle funzioni delle variabili reali. 3) Gli immaginari geometrici. 4) L’individualità dei numeri (numero – forma). 5) Lo studio delle curve in concreto. 6) I metodi di analisi della forma.

In filosofia e storia della filosofia : 1) Le radici culturali delle origini della filosofia. 2) La base culturale e artistica delle categorie. 3) Le antinomie della ragione. 4) Lo studio storico-filologico-linguistico della terminologia. 5) Le basi materiali dell’antropodicea. 6) La realtà dello spazio e del tempo.

In critica d’arte : 1) I metodi di descrizione e datazione degli oggetti dell’arte antica russa (intaglio, articoli di gioielleria, pittura). 2) La spazialità nelle opere d’arte, in specie nelle arti figurative.

In elettrotecnica : 1) Lo studio dei campo elettrici. 2) I metodi di analisi dei materiali elettrici: la base della scienza dei materiali elettrici. 3) Il significato delle strutture dei materiali elettrici. 4) La diffusione delle resine sintetiche. 5) La diffusione e l’elaborazione degli elementi della depolarizzazione aerea. 6) Le classificazioni e la standardizzazione di materiali, elementi ecc. 7) Lo studio dei minerali di carbonio come gruppo. 8) Lo studio di una serie di rocce. 9) Lo studio sistematico della mica e la scoperta della sua struttura. 10) Lo studio di suoli e terreni. E così via.

Sono poi a parte: la fisica del gelo; l’uso delle alghe.

Avrei voluto scrivertelo in dettaglio, ma, trasferitomi nel Cremlino((Luogo all’interno del lager delle Solovki.)) , ho perduto un po’ i pensieri; ricordo però di aver dovuto scrivere molte cose. Vorrei una sola cosa: che voi utilizzaste almeno un po’ i miei lavori, li metteste in ordine e li faceste vostri; in essi ho messo tanto sforzo e tante riflessioni, e so che di ciascuno di essi si può fare un libro. Un’altra cosa: le osservazioni e gli esperimenti acquistano il loro senso solo quando sono formulati matematicamente. E per questo, non sempre serve una grande finezza dell’analisi, anzi, si riesce spesso ad ottenere buoni risultati con metodi primitivi. Devi pertanto abituarti a formulare i risultati di un lavoro almeno con semplici curve e con le loro equazioni.

Un bacio forte a te, caro Kira.

Anselmo Palini vive e lavora in provincia di Brescia. È docente di materie letterarie nella scuola superiore e saggista. Nei suoi studi ha approfondito soprattutto i temi della pace, dell’obiezione di coscienza, dei diritti umani, della nonviolenza. Più recentemente ha preso in esame le problematiche connesse con i totalitarismi e le dittature del XX secolo, approfondendo in particolare le testimonianze di chi si è opposto a tali sistemi.Tra i suoi ultimi libri: Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni (Ave, 2005); Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi (Ave, 2007); Primo Mazzolari. Un uomo libero (Ave, 2009); Oscar Romero. «Ho udito il grido del mio popolo» (Ave, 2010); Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari (Messaggero, 2012);Primo Mazzolari. In cammino sulle strade degli uomini (Ave, 2012); Pierluigi Murgioni. «Dalla mia cella posso vedere il mare» (Ave, 2012); Marianella García Villas. “Avvocata dei poveri, compagna degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi ” (Ave, 2014); Più forti delle armi. Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy Popieluszko ( Ave, 2016); Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador (Paoline 2017). È inoltre autore di articoli, saggi e inserti apparsi su varie riviste. Per saperne di più si veda il sito: www.anselmopalini.it.

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