PeaceLink intervista Virginio Bettini
Marescotti e Tussi: Come ti sei avvicinato all’ecologia? Che tipo di esperienze hai fatto da ragazzo per capire che l’ecologia era strategica per la politica?
Bettini: All’ecologia mi sono avvicinato da ragazzo nel confrontarmi con la situazione ambientale del paese in cui sono nato ed in cui ho vissuto per tutta la mia giovinezza, Nova Milanese, ai margini dell’area metropolitana milanese. I fondamenti dell’ecologia del paesaggio della pianura mi sono stati indicati da mio nonno Biagio, il quale mi conduceva per la campagna, segnalandomi il significato delle aree agricole diversificate tra colture di grano, mais, prati, risaie, filari di gelsi con una forte presenza di canalizzazioni provenienti dal Canale Villoresi. Un approccio che si è ulteriormente approfondito nel corso delle vacanze liceali, quando lavoravo come manovale presso la Cava Spizzi, dalla quale si estraeva materiale per le nuove costruzioni e la nuova urbanizzazione e sul cui utilizzo non vi era alcuna indicazione di tipo programmatico e pianificatorio. Mi chiedevo in continuazione come i cambiamenti in corso non tenessero conto delle continue violazioni a carico del paesaggio e le ragioni per cui non esistesse alcun intervento politico in merito.
Marescotti e Tussi: Che studi hai fatto e che percorso politico hai seguito?
Bettini: Il mio primo pensiero da bambino era stato quello di fare il sacerdote, di andare a prete insomma. Sono stato per 3 anni, dalla quinta elementare alla seconda media nel preseminario di Masnago (Varese), comprendendo che non era quella la mia vocazione. Dalla terza media alla prima liceo classico sono stato educato al Collegio Ballerini di Seregno, passando poi al Liceo Statale Cesare Beccaria di Milano. Nel frattempo il mio interesse si era rivolto alla medicina. Volevo diventare medico per poter lavorare nei paesi del terzo mondo ed affrontare le problematiche sanitarie delle popolazioni sottosviluppate, ma anche questo sogno svanì nel momento in cui mi resi conto che la medicina mi interessava in quanto l’uomo era molto condizionato dall’ambiente in cui viveva e che forse la qualità ambientale doveva avere la precedenza sulla qualità sanitaria. Per caso, grazie ad un mio amore del momento, assistetti ad una lezione di Lucio Gambi, il grande geografo. Ne fui fulminato. Mi laureai con lui in geografia umana, con una tesi sul Parco di Monza e le sue trasformazioni, diventando suo assistente e tenendo il corso di ecologia umana e del paesaggio alla Università Statale di Milano. Nel frattempo il mio percorso politico era diventato quello del partito socialista.
Marescotti e Tussi: Ci sono episodi particolarmente importanti che hanno cambiato il tuo modo di vedere il mondo e che hanno segnato le tue scelte?
Bettini: Episodi importanti non ve ne sono stati. L’incidente di Seveso sarebbe avvenuto più tardi … Sono stato segnato dalla verifica del quotidiano, dai molti viaggi per l’Italia, l’Europa e le Repubbliche Socialiste, tra il il 1961 ed il 1967.
Marescotti e Tussi: Come hai conosciuto Barry Commoner?
Bettini: Ho conosciuto Barry grazie al fatto di averlo incontrato nel corso di un Seminario negli States nel 1970, nel corso del quale egli accennò al suo testo da poco pubblicato “The closing circle”. Un vero testo di ecologia umana che traducemmo in italiano per Garzanti (Il cerchio da chiudere, 1972), dopo che, con lo stesso editore, nel 1971, era stato pubblicato il testo di Max Nicholson, “La rivoluzione ambientale”, cui avevo aggiunto una breve appendice dal titolo “La rivoluzione ambientale in Italia” (p.263-264). Max Nicholson era allora una delle autorità mondiali in campo ecologico. Il testo di Commoner ottennne il premio Cervia Ambiente nel 1973. Con Barry Commoner pubblicammo, da Feltrinelli (1976), “Ecologia e lotte sociali. Ambiente, popolazione, inquinamento”, un testo che aveva una specifica appendice su Seveso. Sempre da Garzanti fu pubblicato, nel 1980, lo splendido libro di Barry Commoner, “La politica dell’energia”. L’unica strategia possibile per sopravvivere all’attuale crisi del petrolio ed a quella futura dell’uranio, al quale fu aggiunta un’appendice, firmata da me e da Giorgio Nebbia, dal titolo “Nessuna politica energetica in Italia”. La nostra conoscenza personale, la nostra amicizia e solidarietà su questi temi si rafforzò nel corso di congressi ed a seguito dell’incidente di Seveso.
Marescotti e Tussi: Quale influenza ha avuto sulla tua formazione?
Bettini: Sono stato commoneriano per il resto della vita.
Marescotti e Tussi: “Ecologia e lotte sociali. Ambiente, popolazione, inquinamento” edito da Feltrinelli (1976), un manuale di storia ecopacifista e di denuncia di eventi inquinanti clamorosi che ledono la salute delle persone, come nel caso di Seveso. Vuoi parlarne?
Bettini: Potrei forse aggiornarlo, per ora preferisco che, chi ancora non l’abbia letto, lo legga presto e ci faccia le proprie considerazioni in rapporto a molti eventi successi dopo il 1976.
Marescotti e Tussi: Come si rapporta il disastro ambientale provocato dall’Icmesa di Seveso con il caso Ilva di Taranto?
Bettini: Non ho mai comparato i due eventi, anche perché, dal punto di vista della struttura, della localizzazione e della situazione urbanistica non si può certo parlare di una comparazione possibile. Sono indubbiamente due fatti significativi che dovrebbero molto insegnare alle popolazioni che sono interessate da simili impianti in tutto il paese.
Marescotti e Tussi: Tu sei uno dei fondatori in Italia dell’ecopensiero. Quali altri compagni di viaggio hai avuto?
Bettini: Il mio vero, unico compagno di viaggio è stato Giorgio Nebbia, chimico, professore di merceologia all’Università di Bari.
Marescotti e Tussi: Allora tu eri marxista. Lo sei ancora?
Bettini: Sì, lo sono ancora…
Marescotti e Tussi: Con Commoner siete stati in Vietnam, per quale motivo?
Bettini: Volevamo semplicemente far capire quale fosse il disastro ambientale dovuto ad una guerra che aveva riempito di diossina gran parte del territorio vietnamita.