Per un sistema territoriale dei musei della tecnica e del lavoro. Il caso di Brescia.
In una società soggetta a cambiamenti rapidi e spesso traumatici, la funzione fondamentale del museo riassumibile nella conservazione della memoria culturale, è sottoposta a sfide ma gode anche di chances ampiamente sottovalutate. Il fatto che contrariamente alle previsioni, supportate dalle ideologie moderniste, i musei non siano scomparsi ma si siano moltiplicati è indice del permanere e dell’ampliarsi di bisogni e di domande di senso, così significative ed ineludibili, che numerose strutture ed agenzie povere di contenuti ma più spregiudicate dei musei cercano di intercettarle e soddisfarle.
Di innegabile matrice aristocratica ed elitaria, il museo deve riuscire a democratizzarsi senza perdere la sua ragion d’essere, è chiamato a compiere un salto qualitativo-quantitativo in un contesto di risorse economiche scarse. Un primo passaggio da compiere è il superamento dell’idea di museo come di un istituzione isolata e restia al cambiamento, a favore dei quella di museo relazionale, che dialoga con i suoi diversificati utenti, un’ istituzione nuova rispetto al passato innanzitutto perchè ha preso coscienza dell’importanza del pubblico.
Discende proprio di qui, dalla centralità del servizio pubblico, la spinta in direzione dei sistemi. Ci pare del tutto condivisibile, specie nel contesto italiano, l’ipotesi che le istituzioni museali possano migliorare il livello di servizio e la qualità del rapporto con il pubblico, senza un maggior stanziamento di risorse pubbliche, solo attraverso la costituzione di sistemi interorganizzativi (reti o network museali), che superino la distinzione giuridica dei musei in ‘pubblici’ e ‘privati’((A. Sinatra et alii, Ricerca sui Modelli Innovativi di Gestione del Patrimonio Museale in Lombardia, Fase II – I sistemi museali, Irer, Università Carlo Cattaneo – LIUC, luglio 2004.)).
L’autoconsapevolezza di essere istituzioni culturali al servizio della società e del suo sviluppo assegna ai musei finalità che vanno decisamente oltre all’idea tradizionale di contenitori di collezioni, il che viene sottolineato dall’introduzione del concetto di conservazione e valorizzazione del patrimonio immateriale. Si tratta di concezioni elaborate attraverso le esperienze degli ultimi decenni, con un ruolo molto incisivo dei musei della cultura materiale legati al territorio e che, venendo ufficializzate nell’ambito dell’UNESCO e dell’ICOM, possono rilanciare i musei e il loro strutturarsi in sistemi capaci di coniugare il rapporto con il territorio assieme all’efficienza gestionale e alla produttività scientifico culturale.
Giustamente è stato fatto osservare che l’ampliamento del concetto di museo dalla conservazione di oggetti e reperti alla trasmissione di storie, identità, culture, saperi, vale a dire al patrimonio culturale immateriale, rappresenta un “approccio di particolare interesse per i musei di storia dell’industria”((A. Garlandini, Intervento al Convegno “Regioni, città, percorsi del ferro in Europa”, Brescia-Tavernole, 24-25 settembre 2004.)), i cui reperti, man mano che ci si avvicina alla contemporaneità, risultano assolutamente illeggibili e privi di senso, scissi dal patrimonio cognitivo e dall’uso storico-sociale di cui sono stati l’incarnazione e che possono contribuire a trasmettere e a far conoscere se adeguatamente contestualizzati ed efficacemente presentati al pubblico.
Secondo la “Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”, adottata dall’UNESCO nell’ottobre 2003, il patrimonio immateriale comprende le pratiche, le espressioni, le conoscenze e le abilità (nonché i correlati strumenti, oggetti, manufatti e luoghi) che comunità, gruppi e individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale((Ibid.)).
Sia il tema della funzione sociale del museo che quello del patrimonio immateriale sono stati fortemente sottolineati dall’Assemblea generale dell’ICOM dell’ottobre 2004, che ha approvato la seguente definizione di museo, inclusa nel “Codice di deontologia per i musei”: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone ai fini di studio, educazione e diletto”((Cfr. www.icom-italia.org. La sottolineatura della funzione del patrimonio immateriale da coniugarsi con i reperti costituenti le collezioni al fine di realizzare pienamente gli scopi dell’istituzione museale trova ampio riscontro nell’impostazione del Museo dell’Industria e del Lavoro “Eugenio Battisti”, che parte da una dotazione documentaria vastissima, articolata su una ampia gamma di fonti e con a disposizione un lavoro di digitalizzazione che ha pochi riscontri, in tale ambito, nel nostro Paese. Per una prima panoramica: www.musil.bs.it)).
È però attraverso il legame con il territorio, che caratterizza in modo costitutivo i musei di nuova generazione, che è stata superata la tradizionale separatezza dell’istituto museale, la sua immagine e fruizione puramente elitaria e passatista.
Ciò è ancora più vero per i sistemi museali che, per definizione, rappresentano un’articolazione dell’ambiente in cui sono collocati e, in molti casi, una forma di autorappresentazione del territorio, costituendo un tratto saliente dell’armatura culturale che lo contrassegna. In ragione di tale posizione strategica si capisce come il sistema museale si presti ottimamente allo sviluppo di molteplici relazioni, sia con le altre istituzioni culturali, che con il contesto socio-economico in tutte le sue articolazioni e sottosistemi.
La ridefinizione dell’immagine e della funzione dei musei è un aspetto del diverso rapporto tra cultura ed economia che si è venuto sempre più impetuosamente affermando da quando lo sviluppo si è trasformato da quantitativo-estensivo in qualitativo-intensivo. All’interno di tale passaggio la cultura e il sapere hanno prevalso sui puri fattori di potenza tanto dal lato della produzione che da quello dei consumi. La separazione tra economia e cultura ha perso di senso, ovvero dove è rimasta in vita ha inaridito le sorgenti dello sviluppo.
Un cambiamento di tale portata che sconvolge gli assetti profondi su cui si basava la società non può essere assimilato rapidamente e consapevolmente, di qui inevitabili resistenze e ritardi fortemente penalizzanti, e la necessità di recuperare il tempo perduto prendendo atto del nuovo ruolo economico della cultura non solo nella sfera dei consumi ma all’interno del modo di lavorare e di produrre: «Il senso economico della cultura nei processi contemporanei di sviluppo post-industriale sta nel suo indispensabile ruolo di catalizzatore di nuove modalità di produzione e di consumo dei beni e dei servizi sempre più legati ad una dimensione immateriale del valore aggiunto»((
P.L. Sacco, S. Pedrini, Il distretto culturale: un nuovo modello di sviluppo locale? in Ottavo rapporto sulle Fondazioni bancarie, ACRI, Roma (s.d.), p. 171.
Vedi anche http://www.acri.it/17_ann/17_ann_files/8RAPP4.PDF.))
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Fattori un tempo trascurati, se non osteggiati, d’ordine sociale, storico, ambientale, estetico, entrano a far parte di una visione dello sviluppo profondamente rinnovata, e che, proprio nel caso italiano, ha dovuto prendere atto del successo dei sistemi economici della “terza Italia” ovvero dei distretti industriali, che non rientravano nei canoni delle teorie economiche dominanti.
Gli elementi di contesto da tenersi presenti in rapporto all’oggetto specifico della ricerca concernono quindi: la ridefinizione del ruolo dei musei e dei sistemi museali; la nuova visione del rapporto cultura-economia; le suggestioni e indicazioni che si possono ricavare dalle riflessioni sui distretti industriali e sugli ipotetici “distretti culturali”.
Il distretto industriale, su cui aveva attirato l’attenzione Alfred Marshall già nei primi decenni del Novecento, è una rete di imprese, principalmente di piccole dimensioni, che attraverso la specializzazione e la subfornitura si dividono tra di loro il lavoro richiesto per la fabbricazione di specifici tipi di merci, identificative del distretto medesimo. Per capire i distretti bisogna però introdurre nella loro definizione almeno altri due elementi che hanno un rapporto diretto con la problematica culturale-museale. Vale a dire la dimensione territoriale e l’incidenza dirimente di fattori d’ordine valoriale che contribuiscono a creare l’atmosfera industriale, decisiva ai fini della vocazione produttiva del distretto, secondo un complesso gioco di competitività e cooperazione, saperi taciti e formalizzati che rimandano al capitale umano e sociale di quel determinato territorio, componenti di primo piano del suo patrimonio immateriale.
Giacomo Becattini, teorico dei distretti industriali italiani, ha attribuito un ruolo importante e inconsueto alla dimensione storica, alla varietà delle culture e delle esperienze delle diverse comunità industriali, alla molteplicità delle combinazioni socioculturali prodotte dalla storia nei diversi territori. In questa ottica i contenuti e la funzione del museo assumono valenze incisive, specie in momenti di crisi e transizione. I problemi di un’area si possono risolvere solo prestando attenzione al suo passato, in particolare ai caratteri della sua popolazione formatisi nel corso dei secoli((G. Becattini, Distretti industriali e made in Italy. Le basi socio-culturali del nostro sviluppo economico, Bollati Boringhieri, Torino 1998.)).
Al sistema museale si può applicare un’altra suggestione di Becattini in tema di distretti come entità socioeconomiche. Ai fini del suo successo è essenziale che ogni distretto abbia una propria “immagine” distinta sia da quella delle imprese che lo compongono sia da quella degli altri distretti. È necessario che la “merce rappresentativa” di un distretto si differenzi nel livello di qualità, nei materiali utilizzati per la sua creazione, nei trattamenti tecnici e in molti altri aspetti, dalle altre merci simili ad essa, affinché esista qualcosa di determinante ai fini della sua scelta e preferenza((Cfr. A. Grespan, Il concetto di distretto industriale marshalliano in Becattini, in “Foedus”, n. 11, 2005, pp. 93-94.)).
Allo stesso modo un’istituzione culturale per affermarsi non può produrre genericamente “merci” e servizi reperibili ovunque; su questo fronte il museo ha un vantaggio competitivo, se sfrutta la possibilità di offrire un’esperienza unica, non ripetibile altrove. La peculiarità e molteplicità dei musei e del patrimonio messo a disposizione dal sistema che qui ci interessa potenzia tale tipo di offerta.
Gli studi di economia della cultura sostengono che la valorizzazione dei beni culturali consente di produrre una serie di output, dalla conservazione delle risorse a beneficio delle future generazioni ad una pluralità di servizi culturali tanto personali, e di fruizione immediata, che sociali, ovvero a disposizione della collettività. Questi ultimi, in particolare, sono molto importanti nell’ottica del nostro progetto. Essi sono stati così sintetizzati: a) produzione di qualità ambientale; b) produzione di identità sociale; c) produzione di innovazione, ricerca e conoscenza; d) produzione di input per altri processi produttivi.
Ciascuno di questi output è rilevante per la missione del sistema museale ma merita di porre l’accento sulla produzione e riproduzione sociale in un contesto dinamico, attento alla qualità di processo e di prodotto, e però anche alla coesione in termini di economia morale. Infatti «il processo di produzione culturale produce servizi e prodotti ma anche valori. Tra questi ultimi dovrebbe essere compresa la creazione e la crescita di quella coscienza sociale che trasforma il bene culturale in un bene collettivo che appartiene, indipendentemente dalla proprietà, alla collettività (locale, nazionale, sopranazionale). Questa consapevolezza, che nella legislazione contemporanea si presenta spesso come una sorta di diritto di appartenenza dei beni alla collettività, è un importante strumento per rendere quest’ultima maggiormente corresponsabile e compartecipe alle attività di conservazione e valorizzazione. Nelle situazioni in cui questi valori vengono realizzati e diffusi i cittadini, singolarmente o in forma associata, diventano degli importanti attori (stakeholders) del processo di valorizzazione come apportatori di risorse sia umane (volontariato) che finanziarie (donazioni). L’affermarsi e l’estendersi di questa coscienza a livello locale dipende dalla capacità del processo di valorizzazione di comunicare i valori prodotti tenendo conto della specificità dei differenti gruppi sociali che compongono la collettività: studenti, anziani, associazioni, ecc.»((P. Valentino, I distretti culturali: nuova opportunità di sviluppo del territorio, Associazione Civita, Roma 2001.)).
In definitiva, l’offerta di qualità ambientale e di identità sociale, ma il discorso si può estendere a tutti gli output del processo di valorizzazione dei beni culturali materiali e immateriali, costituisce una esternalità che accresce i vantaggi competitivi dell’area in termini di opportunità economiche, di attrazione turistica, di qualità della vita per i residenti.
Il successo dei distretti industriali, al di là della loro parabola evolutiva, diversa da caso a caso, l’importanza che gioca il fattore culturale al loro interno, l’esigenza di superare la frammentazione delle istituzioni culturali e la loro separatezza dalla società e dal territorio, hanno alimentato riflessioni e proposte su possibili “distretti culturali” col rischio però di trasferire meccanicamente esperienze valide in un determinato contesto su un piano generale((Per una recente messa a punto, cfr. Università Carlo Cattaneo – LIUC/CERMEC, Perché i distretti culturali non esistono? Rapporto di ricerca, luglio 2005. In ogni caso ultimamente si stanno moltiplicando le sperimentazioni di “distretti culturali”. In tale ambito, anche per le risorse pubbliche messa a disposizione (€ 7.950.000), merita di essere segnalato il Distretto Tecnologico dei Beni Culturali della Calabria, frutto di un Accordo di Programma Quadro tra la Regione Calabria, il MIUR e il Ministero dell’Economia e della Finanza, stipulato il 3 agosto 2005.)). Resta il fatto che le caratteristiche individuate per avere forme efficaci e sostenibili di organizzazioni culturali di tipo distrettuale sono congruenti con sistemi museali territoriali come quello proposto in questo studio((La definizione di distretto culturale risulta intercambiabile con quella di sistema culturale territoriale: «il distretto culturale è un sistema, territorialmente delimitato, di relazioni che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connessi (P. Valentino, I distretti culturali, cit.).)).
L’istituzione culturale territoriale a forma sistemica ha bisogno «di una auto-organizzazione di base che nasce da una capacità imprenditoriale, da una forma evoluta di tutela e di promozione congiunta della produzione del sistema locale, di un recupero conservativo e della valorizzazione del patrimonio culturale preesistente e della capacità di produrre e far circolare idee culturali innovative, inserendo il sistema locale all’interno dei network dell’eccellenza produttiva in uno o più ambiti culturali specifici»((P. L. Sacco, S. Pedrini, Il distretto culturale, cit., p. 184.)).
L’integrazione di tutte queste dimensioni consente al sistema culturale di funzionare come un distretto, «in uno scenario nel quale la capacità competitiva si lega sempre più all’orientamento all’innovazione, il ruolo della cultura è sempre più quello di operare come agente sinergico che fornisce agli altri settori del sistema produttivo contenuti, strumenti, pratiche creative, valore aggiunto in termini di valore simbolico e identitario»((P. L. Sacco, S. Pedrini, Il distretto culturale, cit., p. 184.)).
Nella ridefinizione del rapporto tra cultura e produzione, che contrassegna tutta la più recente fase dello sviluppo economico, il Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro in quanto “modulo distrettuale culturale” profondamente calato nella realtà locale e contemporaneamente inserito nel circuito delle migliori esperienze europee e internazionali, ha valenze che possono essere colte solo prendendo atto che quella ridefinizione è ormai definitiva e non ammette ritardi:
«Nel nuovo scenario competitivo, la cultura è alla base della catena del valore e pertanto non è tanto la cultura ad aver bisogno del distretto [ovvero del sistema produttivo locale, n.d.r.], ma in un certo senso è il distretto ad aver bisogno della cultura: per vincere le nuove sfide poste dal crescente orientamento all’innovazione, anche i distretti tradizionali avranno nel prossimo futuro un bisogno crescente di sviluppare al proprio interno dei ‘moduli distrettuali culturali’ per continuare a poter governare con successo la propria capacità di coesione sociale interna, per sviluppare pratiche produttive e creative che non siano più soltanto il frutto di piccoli adattamenti migliorativi rispetto alle routines consolidate, per poter difendere la propria identità di prodotto e il valore che questa trasmette dagli attacchi sempre più incisivi e mirati delle nuove economie emergenti dell’estremo oriente, Cina in testa»((Ibid., p. 185.)).
Come si vede, si attribuisce alla cultura, troppo a lungo trascurata, un ruolo addirittura taumaturgico rispetto alle difficoltà dell’economia, il che è sicuramente eccessivo, a meno che non si ampli e approfondisca il concetto di cultura in termini quasi illimitati, scontrandosi con immediati vincoli economici, per non dire del fatto che gli investimenti in cultura hanno ritorni di medio-lungo periodo, che non vanno a beneficio degli investitori attuali. Si tratta allora di riconoscere l’esigenza di potenziare il sistema culturale attraverso interventi sostenibili e che abbiano un ritorno a breve per gli stakeholders e a più lunga scadenza per l’intera comunità.
La creazione di una struttura culturale permanente, articolata nel territorio e dotata di centri di eccellenza, consente di fertilizzare l’ambiente sociale, partendo dai suoi stessi valori, nel caso in questione da una solida vocazione imprenditoriale manifatturiera. Un moderno e dinamico sistema museale dedicato all’industria bresciana, ai vecchi e ai nuovi saperi e mestieri, può contribuire a far fare all’economia locale un salto di qualità, aiutandola ad «affrancarsi gradualmente da una cultura orientata al perfezionamento attraverso micro-aggiustamenti del proprio modello produttivo per aprirsi ad una sempre più radicale propensione verso l’innovazione su larga scala»((Ibid., p. 176.)). L’azione culturale diventa una risorsa per approdare alle nuove aree produttive ad alto valore aggiunto e ad alta intensità di capitale umano, come avviene nel settore del design, dell’innovazione tecnologica, della creazione di nuovi prodotti.
L’azione di fertilizzazione della scena culturale sull’economia non è una semplice ipotesi di lavoro ma un risultato acquisito sulla base di consolidate esperienze sia europee che americane. Tra queste ultime si può citare come esempio uno dei casi di maggior successo, quello di Denver (Colorado); la filosofia ispiratrice della opzione per la cultura in un contesto di per sé poco favorevole, è stata molto chiara, e ha una valenza generale: «ciò che davvero fa crescere l’economia è l’innovazione, e non semplicemente la presenza di attività economiche. Ma l’innovazione dipende dalla creatività individuale, e gli individui creativi hanno bisogno di una scena culturale vivace per il loro sviluppo intellettuale e per il loro stesso stile di vita»((D. Montgomery, direttore del Colorado Business Committee for the Arts, cit. in Ibid., p. 192.)).
Nel nostro Paese, ricco di una formidabile dotazione culturale di base non solo nelle grandi città d’arte, quel che sinora non sembra sia stato colto è proprio il rapporto tra cultura e attività produttive, fervore culturale e innovazione tecnologica. Per effetto di un imprinting di lungo periodo, cultura e lavoro continuano ad essere considerati in opposizione tra di loro, e ciò proprio quando diventa indispensabile mettere al lavoro il capitale umano creativo. Ne consegue che, chiusa la fase dell’industrializzazione estensiva, chiusa –secondo alcuni – la parentesi poco più che secolare dell’industria, si pensa che l’Italia debba sì affidarsi alla cultura ma in alternativa e in sostituzione dell’industria, puntando sullo sfruttamento turistico su grande scala di una vecchia immagine oleografica che non è possibile né auspicabile restaurare.
La prima e più urgente battaglia del Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro dovrà incentrarsi sull’affermazione in positivo del nesso cultura-economia-innovazione, calato nella specificità di un ambiente contrassegnato da attività produttive manifatturiere che sarebbe insulso chiamare post-industriali. L’obiettivo è quindi di rimediare ad una separatezza, doppiamente penalizzante, piuttosto che incentivarla nella prospettiva di una deindustrializzazione inevitabile, o nell’illusione che sia possibile continuare a fare industria senza investire in cultura.
Si tratta di riuscire a cogliere, in una situazione di crisi, i fattori che spingono in direzione di una maggior coesione, per fronteggiare la situazione indotta dall’esplicitarsi capillare della crescente concorrenza internazionale, per cui ogni luogo è aperto sul mondo, permeabile a tutti i flussi che da questo provengono. Con il che ci si riferisce ad una situazione limite per cogliere un processo reale, in atto da tempo, ma che, innegabilmente, la velocità crescente di ogni tipo di comunicazione ha reso sempre più incisivo.
Ora, se in una prima fase questi processi, da leggersi sempre in termini sia economici che culturali, producono perdita di identità e inducono le imprese a correre da sole per cogliere le opportunità di mercato, subito dopo o contestualmente, specie dove esistono i presupposti storici, politici ed istituzionali, la globalizzazione innesca risposte di segno opposto.
Gli attori economici e culturali, a partire dalle imprese e dalle università, prendono atto che per reggere alla globalizzazione e per trarne effettivi vantaggi è necessario fare coalizione, fare sistema. In questa prospettiva un ruolo cruciale spetta alle istituzioni sovralocali, quali la Provincia e la Regione. Secondo alcuni proprio «le regioni sono diventate un centro importante di mobilitazione culturale contro quella che viene percepita come una minaccia globale o nazionale per difendere le identità e le comunità a base locale» (A. Amin), nel quadro di una mobilitazione trasversale alle appartenenze politico-ideologiche per trascendere le sconnessioni locali, e assicurare alle città e alle regioni un posto nel mondo.
L’intero movimento di rivitalizzazione dal basso del patrimonio culturale locale, con il moltiplicarsi sorprendente, tra le altre cose, dei musei, nonostante la persistenza di un’immagine negativa veicolata dalla cultura di medio livello, rientra pienamente nell’intensa dialettica locale-globale, nonché nella prospettiva ineludibile, seppure di difficile praticabilità, per cui anche i musei debbono fare sistema, tra di loro e in connessione con la realtà economico-sociale del territorio e il complesso delle sue infrastrutture culturali.
In questa ottica il modello dei distretti industriali può essere suggestivo ma anche sviante, dato che non è possibile pensare che l’assetto in forma di sistema si possa conseguire, come è avvenuto in quel caso, attraverso processi spontanei. La differenza principale tra distretto industriale e distretto culturale è stata correttamente sintetizzata in questi termini: «mentre il distretto produttivo si costituisce in modo spontaneo ed è il risultato di iniziative non pianificate di una pluralità di agenti, quello culturale è concepibile come costruzione volontaria di agenti politici che individuano nel patrimonio culturale l’asse strategico di un modello di sviluppo»((M. Preite, in Perché i distretti culturali non esistono? cit., p. 26.)).
Per quel che riguarda la situazione bresciana, l’esistenza di una pluralità di distretti industriali, e però anche di altre forme di organizzazione delle imprese (grande impresa transnazionale, cluster, filiera specializzata ecc.), è il dato rilevante ai fini della creazione di un sistema culturale provinciale, avente come ossatura il patrimonio storico-industriale e la sua valorizzazione, in piena sinergia con l’assetto socio-economico del territorio. Un sistema che, piuttosto, dovrà guardare con attenzione, come minaccia ed opportunità, ad un diverso tipo di “distretto culturale”: quello transregionale del tempo libero e del divertimento del bacino del Garda con flussi turistici imponenti e molto diversificati, da quelli strettamente culturali a quelli di massa (Gardaland).
Il presente studio è volto ad evidenziare l’insieme delle precondizioni esistenti, al fine di realizzare in provincia di Brescia un sistema museale tematico, che potrà nascere solo per effetto di decisioni politiche ma raccogliendo la spinta di un processo in atto dagli anni ‘90 in poi, che ha visto il moltiplicarsi spontaneo di musei e percorsi riconducibili principalmente alla storia delle attività produttive manifatturiere moderne o di antico regime, con funzioni embrionali di cooperazione, scambio di informazioni, esperienze, professionalità.
Su questo sfondo il sistema prefigura una sorta di distretto culturale specializzato su storia-tecnica-modernità, tenendo conto che rispetta per l’essenziale le condizioni individuate in letteratura per definire un distretto culturale((Ne riportiamo un elenco dettagliato: localizzazione geografica delimitata; specializzazione su un ambito culturale specifico; presenza di organizzazioni complementari tra loro organizzate in ottica di filiera; spontaneismo nel processo di distrettualizzazione; trama di relazioni tra le organizzazioni spazialmente localizzate; dotazione di un patrimonio di risorse culturali (beni, attività o combinazioni tra questi); disponibilità di adeguate istituzioni, infrastrutture e professionalità specialistiche; esistenza di una pluralità di organizzazioni specializzate nelle funzioni tipiche del settore culturale di riferimento, quali tutela, gestione e valorizzazione (solitamente in maniera congiunta e non alternativa), e organizzate in forma di filiera; esistenza o capacità di attrazione di una domanda adeguata al mantenimento di un’economicità gestionale duratura; condizioni socio-economiche favorevoli o non ostative al processo di distrettualizzazione; capacità competitiva dell’offerta (rispetto, ad esempio, ad altre tipologie di offerta per il consumo di cultura e di attività per il tempo libero).)). La realizzazione di un sistema museale tematico di dimensioni provinciali, capillarmente presente sul territorio, si inserisce attivamente nella prospettiva di un sistema culturale integrato che metta in relazione le realtà culturali con gli attori economici e istituzionali di tutta l’area.
Per la sua articolazione e la funzione di snodo verso una molteplicità di attori istituzionali e imprenditoriali, il Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro industriale può fungere da volano al fine di promuovere un sistema integrato in cui il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, si integra con le infrastrutture e con l’insieme dei settori produttivi del territorio. La sua funzione e utilità nei confronti delle attività produttive non sarebbe meno interessante, specie in una proiezione internazionale. Le aziende locali e le varie filiere manifatturiere potrebbero trovare nel Sistema, a partire dai suoi poli di eccellenza, uno strumento prezioso per la valorizzazione della loro immagine e un canale per rapporti in ambito culturale e tecnico-scientifico con le realtà più stimolanti dei Paesi di vecchia e nuova industrializzazione in Europa e nel mondo((Interessanti considerazioni sulle funzioni di marketing e di branding dei luoghi si possono leggere nel contributo di Simone Guercini allo “Studio di Fattibilità per la rete dei Musei Scientifici” (2002), promosso da Firenzescienza, Cassa di Risparmio di Firenze, Istituto Museo di Storia della Scienza (http://brunelleschi.imss.fi.it/firenzescienza/imetodo.html).)).
I sistemi museali nascono sull’onda della profonda trasformazione dei musei che, da luoghi di conservazione dei beni culturali, si trasformano in istituti di promozione e valorizzazione del patrimonio al servizio dello sviluppo dell’intera comunità, quale risposta al processo di “progressiva socializzazione delle responsabilità di valorizzazione del patrimonio culturale”((P. Petraroia, Il governo, in C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003, p. 155.)).
La nuova funzione del museo, in un contesto di democratizzazione della cultura, offre opportunità inedite ad una istituzione considerata obsoleta ma impone altresì il conseguimento di traguardi di efficienza e efficacia fuori dalla portata di piccoli musei senza personale qualificato o di istituzioni gestite in termini di conservatorismo burocratico. Di qui l’esigenza di trovare nuove formule organizzative e gestionali in forma associata e cooperativa. Un processo avviato già a partire dagli anni Settanta e che ha incontrato molti ostacoli dovuti a tre fattori principali: a) la persistente debolezza del settore museale nel sistema culturale italiano; b) la resistenza dei singoli musei ad entrare in una logica di sistema per paura di perdere la propria autonomia; c) l’adozione di una politica top-down da parte degli enti pubblici promotori dei sistemi((Ad esempio, per citare una delle esperienze più mature, a proposito del sistema museale umbro, istituito con legge regionale nel 1990, è stato osservato che «il sistema nasceva e prendeva forma dalla sola volontà dell’ente territoriale, senza lasciare il minimo spazio a strumenti pattizi o ad accordi con gli altri soggetti» (A. Iunti, Il nuovo sistema museale umbro nella legge regionale 22 dicembre 2003, n.24, in “Aedon”, n. 1, 2005, p. 8). Lo stesso giudizio si può estendere ad altre situazioni.)).
Una tale impostazione è stata rivista alla luce di istanze federaliste che incentivano l’adozione di modelli di governance cooperativa territoriale. Il panorama continua ad essere molto diversificato, e il tentativo di razionalizzazione compiuto a livello di singoli musei con l’adozione di criteri standard per il riconoscimento, non è facilmente estendibile ai sistemi, che sono ancora allo stato nascente e presentano un’estrema varietà di soluzioni dal punto di vista istituzionale, organizzativo, dimensionale, tipologico.
È però possibile indicare alcune acquisizioni, se non punti fermi: a) i sistemi museali non possono prender vita e funzionare né per prescrizione dall’alto né per processi spontanei dal basso, essi hanno una prospettiva solo se sono il frutto di un’azione comune, coordinata e consensuale tra gli enti territoriali e i singoli musei (siano essi pubblici o privati); b) i sistemi museali, quale che sia la loro veste formale, non sono tali se non riescono a lavorare assieme integrando le rispettive risorse materiali e immateriali; c) l’appartenenza ad uno stesso territorio e ad una comune area tematica costituiscono potenti fattori facilitanti ai fini della promozione, decollo e funzionamento dei sistemi museali.
La loro progettazione e realizzazione deve tener conto di due dati di contesto ben precisi e però divaricati.
In primo luogo il rilancio in grande stile dei musei di ogni genere e tipologia, per effetto di cause storiche e culturali che rimandano agli eventi che hanno segnato il passaggio di secolo e di millennio, registra l’infittirsi delle relazioni tra i musei e tra quest’ultimi e altre istituzioni culturali. Una spinta quindi in direzione della costituzione di reti o di veri e propri sistemi. D’altro canto l’analisi empirica dei casi, su scala europea e nazionale, registra una grande varietà di soluzioni, al punto che il modello del sistema museale, rispetto alla semplice rete ovvero a forme di associazione temporanea e partenariato, non si può dire che emerga quale soluzione vincente e facilmente riproducibile.
La razionalizzazione organizzativa deve fare i conti con una pluralità di altri elementi e il sistema ha delle chances solo dove esistono le precondizioni, dove gli elementi a favore prevalgono nettamente sui fattori negativi, i vantaggi sulle resistenze esplicite o tacite ma non meno efficaci. Al fine di attivare un sistema non è sufficiente individuare i vantaggi oggettivi che ne derivano, tali vantaggi debbono essere chiaramente percepiti come tali dai partecipanti al sistema((M. Negri, Rinnovamento dei musei e nuova forma di cooperazione: lo scenario europeo e i nuovi orientamenti delle politiche museali nella provincia di Milano, in I sistemi museali in Europa: una sfida per il futuro, Provincia di Milano, Milano 2002, p. 27.)).
Non mancano casi, abbastanza vistosi, di sistemi museali che rimangono sulla carta sia per errori di impostazione sia perchè non riescono a superare il momento cruciale del decollo iniziale, o dello start-up, fase in cui è necessario il concorso operativo di tutti gli attori implicati nel processo. Il che significa che, dall’alto, non ci può essere un mero decentramento di competenze, mentre, dal basso, debbono essere attivate interazioni orizzontali finalizzate allo scopo, non per effetto di prescrizioni ma perchè c’è effettiva condivisione, a partire dalla percezione che il sistema è apportatore di concreti benefici. E, in ogni caso, che i benefici saranno superiori ai costi.
Conviene però sottolineare che la spinta in direzione dei sistemi museali non rappresenta una moda più o meno passeggera ma discende dalle difficoltà e opportunità che i musei hanno di fronte; è una via per uscire dalla logica della pura sopravvivenza e per cogliere le occasioni offerte dal rinnovamento radicale che interessa i musei, la loro funzione e la loro immagine da almeno un trentennio.
La necessità della cooperazione orizzontale si impone a fronte dell’allentarsi del rapporto tra i musei, quale che sia la loro veste giuridica, e gli enti pubblici, e dal venir meno di fonti di finanziamento garantite a fronte di una forte espansione delle strutture museali. In un tale scenario, i piccoli musei, che costituiscono la gran parte del tessuto museale di base, se vogliono sopravvivere sono indotti a compiere una duplice scelta: adottare sempre più criteri manageriali di gestione cercando di diventare delle piccole imprese, collegarsi tra di loro, trovando modelli di relazione che non ne inficino l’autonomia e l’identità. Se quest’ultimo aspetto viene salvaguardato, le resistenze possono essere superate. Resta il dato di fatto che, costretto a fare i conti con bilanci non garantiti, non potendosi basare unicamente sul volontariato, «il singolo museo, isolato nella sua specificità, non è in grado di affrontare concettualmente e operativamente i problemi posti dal nuovo contesto sociale e dai vincoli tecnici e organizzativi tipici delle aziende contemporanee. Da queste determinanti nasce allora l’esigenza di riunirsi in un ‘sistema’, di condividere risorse e abilità, di saper progettare programmi comuni»((A. Sinatra et alii, Ricerca sui Modelli Innovativi di Gestione del Patrimonio Museale in Lombardia, Fase II – I sistemi museali, Irer, Università Carlo Cattaneo – LIUC, luglio 2004, p.13.)).
L’approdo al sistema è difficile ma i suoi vantaggi sono innegabili; di sicuro si possono realizzare economie di scala su più versanti, come dimostrano le esperienze realizzate in Paesi anche profondamente diversi dal punto di vista dell’assetto istituzionale e delle politiche culturali, quali gli Stati Uniti e la Francia. Le attività che fanno capo al sistema vanno dalla contabilità alle pubbliche relazioni, dalla raccolta di fondi al merchandising, dalla pianificazione alla pubblicizzazione.
La logica sottesa al sistema è lineare e stringente: la gestione in comune dei servizi e delle attività di più musei consente di ottimizzare le risorse di ciascun museo e di realizzare sinergie derivanti dalla cooperazione tra le parti.
Nondimeno, nel caso italiano, si deve prendere atto che le politiche a sostegno della realizzazione di sistemi museali, avviate già dagli anni Settanta, hanno dato risultati modesti, prevalentemente per effetto di scelte amministrative calate dall’alto in mancanza di spinte provenienti dai musei, specie se di vecchia istituzione, da troppo tempo chiusi nella loro separatezza.
Sicuramente hanno giocato fattori autonomistico-campanilistici, ovvero forme di competitività di corto respiro. Ma le ragioni principali ci sembrano altre, vale a dire la prevalenza di due atteggiamenti apparentemente antitetici e che finiscono nel convergere a danno di una più matura politica della cultura in campo museale. Da noi si oscilla tra la riproposta dello statalismo e la celebrazione delle virtù dello spontaneismo. Il risultato non può che essere una condizione di crisi economica permanente dei musei, la cui soluzione non può venire né dalle provvidenze del pubblico né dalla generosità dei privati.
È necessario superare una concezione antiquata se non antiquaria del museo, coglierne le attuali complesse valenze culturali ed economiche. Su questa base farne un’azienda capace di fornire servizi di portata strategica per la scuola e il tempo libero, la società e l’economia.
Gli studi dedicati al settore individuano una serie vistosa di benefici nella messa in rete dei musei: incrementi di produttività, dovuti alla messa a sistema di attività comuni; riduzione dei costi di ricerca di input, informazioni e conoscenze specifiche; maggiori impulsi all’innovazione di prodotto e di processo; maggiore varietà di risorse, competenze e informazioni disponibili, nonché riduzione dei costi di comunicazione; economie di condivisione di servizi; individuazione di sinergie produttive in riferimento a specifici progetti.
Sono stati inoltre sottolineati i vantaggi derivanti dagli incrementi di visibilità che i singoli musei aderenti al sistema ne possono trarre, dato che il sistema può sviluppare piani di comunicazione in grado di generare notevoli benefici, «riversando, per esempio, i benefici derivanti dal maggior potenziale attrattivo dei musei più noti su quelli con limitata popolarità e insufficienza di risorse finanziarie».
La conclusione è che «per questa serie di ragioni la rete di musei si rivela attualmente, in Italia, la soluzione più vantaggiosa, considerate le caratteristiche della maggior parte delle istituzioni museali presenti sul territorio, ovvero ridotta dimensione, diffusione con elevata densità su un ambito territoriale molto ridotto. Questi vantaggi generalmente compensano i costi di funzionamento che una rete genera (di personale, di spazi, informativi), i maggiori costi di coordinamento e anche quelli eventualmente derivanti dalla gestione dei conflitti, che costituiscono i principali svantaggi»((Ibid., p. 27.)).
Rispetto a questo quadro, evitando contrapposizioni nominalistiche, è necessario soffermarsi sulle due principali formule organizzative sinora adottate per dare sostanza alla collaborazione tra più musei.
La differenza tra rete e sistema è data dal tipo di relazioni che si instaurano tra gli aderenti, puramente orizzontali nel caso della rete con elementi di verticalizzazione e centralizzazione nel caso del sistema. La tipologia può essere variegata, con una serie di situazioni intermedie tra una rete puramente informale e un sistema rigidamente strutturato. Può darsi il caso di reti che riescono a far sistema in vista di determinati obiettivi ovvero di sistemi a geometria variabile, con livelli differenziati di adesione(( Si può dire che il sistema sarà vitale e propulsivo se anche quando sarà pienamente operativo riuscirà a tenere in vita, al di là dell’assetto formale, la dimensione della rete a garanzia dei rischi della gerarchizzazione, il che comporta il mantenimento e potenziamento di flussi continui e bidirezionali di comunicazione, traducentisi in una molteplicità di azioni cooperative formali e informali.)).
Il livello minimo di collegamento affinché si possa parlare di “sistema museale” è dato dalla collaborazione continuativa per erogare vari tipi di servizi al pubblico, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle esposizioni (permanenti o temporanee) e le informazioni su di esse (off line e on line).
È però innegabile, in assenza di definizioni giuridico-istituzionali, che la differenza tra reti e sistemi in ambito culturale e specificamente museale non è sempre chiara, con frequenti sovrapposizioni e confusioni.
Traiamo da una recente ricerca alcuni spunti interpretativi: «La rete, o network, (è) definibile in prima approssimazione come una trama di relazioni non competitive che connette entità autonome in assenza di controllo e direzione unitaria […]. Dalla rete si distingue il sistema museale: con il termine ‘sistema’ si vogliono richiamare le relazioni e i legami, di natura diversa, che un soggetto ha con altri soggetti. In questo senso si fa rilevare come, a differenza di un assetto reticolare, in un sistema possono sussistere relazioni di tipo gerarchico»((Sinatra, Perché i distretti culturali non esistono? cit., p. 31.)). E inoltre: «Tra gli elementi determinanti di un sistema museale vi sono l’appartenenza dei musei a un preciso contesto geografico e la relazione interorganizzativa tra musei, che consente il raggiungimento di obiettivi non conseguibili da ciascuno separatamente»((Ibid., p. 32.)).
La rete può rappresentare un primo stadio per poi arrivare ad un sistema attraverso un processo di integrazione tra tutti o una parte dei soggetti componenti, un passaggio che è facilitato da una localizzazione spaziale all’interno di un territorio ben definito e con una precisa identità. Pur non essendo vincolante in linea di principio, la dimensione territoriale è un dato saliente di un sistema culturale e/o museale, il fattore che con più incisività può incentivare la costituzione di un sistema ovvero la transizione in tal senso di una rete.
Secondo la letteratura più recente «una rete si tramuta in un sistema culturale integrato solo se fra i suoi obiettivi ha anche quello di integrare e coordinare le proprie offerte culturali rispetto a un pubblico o territorio di riferimento, migliorando la qualità della fruizione e aumentando la quantità di utilizzatori. Il fattore che pertanto distingue un sistema culturale integrato dalle reti o da altre forme di associazione o integrazione è lo sforzo di integrazione dei propri servizi/prodotti culturali rispetto ai fruitori attuali o potenziali»((Ibid., con riferimento a S. Bagdadli.)).
Esaminato nelle sue caratteristiche sostanziali, il Sistema bresciano si distinguerebbe dalla maggior parte dei sistemi museali varati in Italia perchè diversamente da essi i suoi contenuti sarebbero unitari, riconducibili ad un tema saliente, l’industria e l’industrializzazione, all’intersezione tra patrimonio tecnico-scientifico e patrimonio della cultura materiale.
In ogni caso, come già detto, non ci si propone di costituire un distretto culturale specializzato, esito che non si può escludere su tempi medio-lunghi, ma che non conviene velleitariamente tentare di pianificare. Le suggestioni provenienti dalle esperienze e dagli studi sui distretti marshalliani sono senz’altro da tener presenti, ma il Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro industriale intende piuttosto candidarsi ad interfaccia culturale dell’intero comparto manifatturiero bresciano sia sul territorio sia in proiezione esterna, nazionale ed internazionale.
La realizzazione del sistema, la sua sostenibilità ed efficacia, comporta la messa in atto di un duplice raccordo: tra i musei e l’insieme delle altre infrastrutture culturali e tra il sistema culturale così definito e gli altri servizi: turismo, trasporti, comunicazione, informazione, formazione, ecc…
La Provincia, sulla base dei suoi stessi compiti istituzionali, e per il rapporto che intrattiene col territorio, è l’ente che meglio può svolgere un decisivo ruolo di accompagnamento. Si tratta di una leadership che non può avere successo per via amministrativo-burocratica ma facendo crescere una convergenza consensuale in vista di un assetto sistemico, in ragione della sua sostenibilità gestionale e capacità di creare massa critica in termini di visibilità. L’ente territoriale provinciale è il più titolato a svolgere il ruolo di promotore individuando gli attori principali da coinvolgere e persuadere. Il passo successivo, che nel nostro caso potrà segnare l’avvio effettivo del sistema, è quello di un accordo diretto ed esplicito, attraverso cui «i differenti soggetti che partecipano al processo di valorizzazione, fissino gli obiettivi comuni e gli strumenti in grado di determinare sia la capacità competitiva del processo attivato sia la qualità (culturale e sociale) dei suoi output»((P. Valentino, I distretti culturali: nuova opportunità di sviluppo del territorio, cit.)).
In definitiva la proposta e progettazione di un sistema museale deve individuare in termini specifici gli elementi portanti della sua fattibilità, non limitandosi a far valere le pur inoppugnabili ragioni che spingono verso un assetto sistemico istituzioni culturali ad un tempo vecchie, ma meno di quanto si pensi, e dall’altro nuove ed attuali. Un sistema museale, che non resti sulla carta, non si può realizzare comunque e dovunque.
Le condizioni locali e di contesto sono decisive e dirimenti, a conferma degli esiti di una ampia e recente indagine dedicata alle esperienze in corso in Lombardia: «I sistemi museali rappresentano strategie relativamente recenti adottate all’interno del settore culturale, come tentativo di superare la situazione di carenza delle risorse che endemicamente caratterizza le organizzazioni che operano in esse. I sistemi museali, di conseguenza, vanno a cercare di integrare realtà che tradizionalmente si sono sviluppate in modo autonomo, spesso in situazioni di isolamento nei confronti degli attori già presenti. Le strategie di sistema, di conseguenza, devono tenere in considerazione una situazione strutturale che può più o meno favorire questi processi di integrazione. Questi elementi, d’altro canto, non sono modificabili nel breve periodo. Da ciò consegue che alcune aree, per ragioni di carattere storico e per scelte di politica culturale effettuate in passato, possono essere più o meno favorite nella definizione e nell’attuazione di politiche di sistema. Dall’analisi empirica è emersa la rilevanza assunta dalla complementarietà dei nodi che compongono il costituendo sistema museale. Per complementarietà si intende che alcune istituzioni coinvolte posseggono alcuni punti forza – ovvero posseggono determinate risorse o competenze – che rappresentano punti di debolezza e di particolare carenza per altri»((A. Sinatra et alii, Ricerca sui Modelli Innovativi di Gestione del Patrimonio Museale in Lombardia, Fase II – I sistemi museali, cit., pp. 338-39.)).
Si tratta di una condizione che nell’ambito del progetto di Sistema bresciano può dirsi ampiamente soddisfatta. Al suo interno esistono infatti competenze e risorse differenziate e complementari, quali: le competenze nel campo della ricerca storica e documentaria del MusIL e delle due fondazioni promotrici (Fondazione Civiltà Bresciana e Fondazione Luigi Micheletti), in campo scientifico dell’Università degli Studi, nel lavoro sul territorio da parte del Sistema della Valle Trompia, nel rapporto con il mondo imprenditoriale col Museo delle Mille Miglia, ecc.
È difficile esprimere una valutazione sui sistemi museali sino ad ora realizzati in Italia, anche per la loro estrema eterogeneità. La formula più diffusa è quella dei sistemi provinciali ma non mancano quelli cittadini o regionali. Quel che fondatamente si può affermare è che permane un forte dislivello tra gli obiettivi perseguiti e le attività effettivamente messe in campo. In generale le azioni realizzate dal sistema, non a caso spesso frutto di una semplice convenzione tra gli enti partecipanti, sono molto leggere e incentrate sulla promozione e la visibilità dei singoli musei che vengono messi in rete e fatti conoscere tramite dèpliant e opuscoli, nonché siti internet che fungono da vetrina on line.
Una programmazione coordinata delle attività non è prevista né possibile per la mancanza di organismi preposti, ovvero avviene in termini amministrativi-finanziari da parte dell’ente territoriale. Nonostante limiti vistosi, le esperienze fatte hanno segnato su vari punti un salto di qualità (specie per quanto concerne la comunicazione e la formazione), a conferma della rispondenza dell’assetto sistemico a bisogni reali ed impellenti, almeno nell’ottica di un effettivo sfruttamento delle potenzialità dei musei, secondo quel che sta avvenendo da tempo in molti Paesi e con innegabile ritardo da noi, anche per effetto di una rendita di posizione che, per altro, riguarda solo una parte dei musei d’arte.
Ribadiamo che la spinta verso la realizzazione di sistemi o anche solo di reti virtuali, con problemi sicuramente più complessi nel caso dei musei rispetto a quelli delle biblioteche, origina da due motivazioni principali, una di carattere generale e una contestuale e specifica. La prima, come già detto, concerne il cambiamento in atto circa il ruolo della cultura rispetto all’economia, nello scenario della competizione globale. La seconda discende dalla situazione dei musei in Italia tanto numerosi quanto inefficienti, anche perchè a lungo abbandonati a se stessi, ridotti alla condizione di depositi di un patrimonio del passato.
L’esperienza fatta dalle biblioteche è sicuramente interessante e costituisce uno dei casi più significativi, nel comparto culturale, di utilizzo della tecnologia informatica, dai computer a Internet, al fine di realizzare miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e nel servizio agli utenti.
Nel caso dei musei i problemi sono più difficili ma la prospettive anche più interessanti e stimolanti, come si può ricavare dalle visite virtuali e dalla ricchezza di servizi che offrono alcuni siti museali. Il rischio è che si crei un distacco incolmabile tra poche situazioni di punta e il grosso dei musei abbandonati a se stessi, senza le risorse e le professionalità per far conoscere e valorizzare il proprio patrimonio; cosa che il sistema potrebbe realizzare con evidenti economie di scala.
Al di là del cambiamento di immagine, il ricorso a forme di cooperazione che consentano il recupero di margini di efficienza costituisce una risposta all’arretratezza in cui versa il settore, su cui incombe il rischio di non saper cogliere un’opportunità eccezionale, venendo emarginato da altre agenzie culturali che nell’immediato sono meglio attrezzate per soddisfare la domanda dei consumatori. Infatti i musei, a differenza delle biblioteche pubbliche, sono in via di rapida deistituzionalizzazione, non godono più di una copertura economica garantita e debbono confrontarsi quotidianamente con il mercato. Il che è fonte sia di difficoltà che di inedite possibilità, e, a nostro avviso, impone un ripensamento su come sono stati sinora impostati i sistemi museali laddove ha prevalso un approccio di tipo amministrativo-burocratico piuttosto che manageriale, in contraddizione con l’obiettivo da tutti condiviso di perseguire maggiore efficienza ed efficacia.
4. La politica di promozione dei sistemi museali in Lombardia.
La situazione dei sistemi museali in Italia è molto differenziata a seconda delle Regioni. Alcune di queste hanno legiferato precocemente in termini di sistemi museali ma in una accezione del tutto generica, rivelatasi poco incisiva. Diverso è il percorso compiuto dalla Regione Lombardia che ha intrapreso la via dei sistemi in un secondo tempo e con un approccio diverso, evitando le scorciatoie e lavorando in stretto rapporto con il territorio.
Negli ultimi anni ha cercato di dare un forte impulso alla realizzazione di sistemi museali di ambito locale-territoriale, incentivando la creazione di reti di servizi integrati, il potenziamento della presenza di personale qualificato, lo sviluppo dell’e-government del patrimonio culturale museale. Non a caso obiettivi qualificanti del Programma Regionale di Sviluppo nella VII legislatura (2000-2005) sono stati la realizzazione di sistemi integrati di beni e servizi culturali, al fine di qualificare l’offerta museale, e culturale in genere, e supportare lo sviluppo del turismo culturale.
Nell’ottica della Regione Lombardia i sistemi museali hanno come finalità di consentire la gestione associata, in quanto modalità ottimale per lo svolgimento coordinato di funzioni e servizi culturali. L’esercizio associato viene in particolare indicato come modalità per garantire l’erogazione di servizi al pubblico secondo criteri di qualità totale, economicità, efficienza ed efficacia attraverso l’acquisizione condivisa di beni e servizi e prestazioni di personale specializzato.
I documenti regionali individuano in dettaglio i vantaggi della gestione associata dei musei riassumibili nella possibilità di molteplici economie di scala, in termini cooperativistici e federalisti, senza intaccare l’identità dei singoli musei. La gestione “politica” del progetto di sviluppo dei sistemi museali viene affidata alle Province, in linea con la loro natura di enti intermedi, mentre la tipologia dei sistemi prevede sia sistemi museali locali di tipo territoriale (contigui geograficamente) che di tipo tematico (omogenei per materia)((Regione Lombardia. Cultura, Identità e Autonomie della Lombardia, Sviluppo dei sistemi museali locali. Criteri per l’assegnazione e l’erogazione dei contributi, Struttura Musei e Sistemi Museali, Milano, 2002, pp. 10-11.)). In specifico «l’azione della Regione per lo sviluppo di reti e sistemi museali ha origine con la l.r. 5 gennaio 2000, n.1, attuativa delle leggi Bassanini: l’art. 4, comma 134 prevede una delega di funzioni alle Province per lo sviluppo dei sistemi museali locali. Tale delega è stata decisa autonomamente dalla Regione Lombardia, in quanto il D. Lgs. 112/1998 non contemplava alcun conferimento di competenze e risorse statali in materia di musei e beni culturali»(( A. Garlandini, Sistemi museali locali e gestione associata dei servizi. L’esperienza della Regione Lombardia, in Regione Lombardia, I musei fanno sistema, Esperienze in Lombardia, Guerini e Associati, Milano, 2005, p. 22.)).
L’avvio della politica a sostegno dei sistemi museali sconta una situazione piuttosto critica, dato che «nei musei lombardi non erano sviluppate esperienze significative di reti o sistemi e mancava una cultura della gestione associata». Il principale ostacolo era di natura culturale, infatti «molti operatori del settore manifestavano un diffuso scetticismo sulla reale efficacia della gestione associata»((Ibid.)).
Si inserisce a questo punto l’azione della Direzione generale dell’Assessorato Culture della Regione che nel 2002 promuove un tavolo di confronto e vari incontri con i dirigenti delle Province. Contemporaneamente anche l’Unione delle Province Lombarde si pronuncia a favore dei sistemi museali. In accordo con le Province, la Regione Lombardia nel giugno 2002 (Deliberazione G.R. 14 giugno 2002, n.7/9393) approva la deliberazione di indirizzo che dà formale avvio alla costruzione dei sistemi museali locali.
Il sistema museale locale viene individuato come una realtà istituzionale che si può anche configurare come soggetto giuridico autonomo rispetto agli enti proprietari dei musei. Le tipologie previste sono due: sistemi territoriali e sistemi tematici, di estensione sub provinciale, ma ove utile, anche provinciale. All’interno di ogni sistema è previsto un “centro di coordinamento” facente capo alla Provincia o altro ente territoriale oppure anche a un museo.
La delibera regionale individua in modo piuttosto dettagliato le attività e i servizi che possono essere svolti, con vantaggi da parte degli aderenti, dal sistema, ovvero dalla gestione associata:
– la conservazione programmata e la salvaguardia dei beni, anche attraverso la condivisione di competenze tecnico-specialistiche e la gestione di laboratori;
– lo studio, l’inventariazione, la catalogazione e la ricerca;
– la promozione di servizi culturali e turistici (mostre temporanee, convegni, concerti, spettacoli, ecc.), di itinerari culturali e di visite guidate;
– la messa in rete di musei e la costituzione di banche dati consultabili;
– l’assistenza culturale e l’ospitalità per il pubblico;
– l’educazione al patrimonio, la didattica museale, la gestione di laboratori;
– la comunicazione, il marketing e l’e-government;
– la produzione editoriale e la commercializzazione;
– l’analisi dei fabbisogni e delle caratteristiche della domanda dei servizi culturali;
– il reclutamento, la formazione e l’aggiornamento del personale;
– la custodia e vigilanza; il controllo e la manutenzione degli impianti di sicurezza((Cfr. Ibid., p. 24.)).
L’ampiezza e varietà delle azioni previste, oltre a sottolineare le valenze positive dei sistemi, rimandano a scelte e priorità legate alle situazioni specifiche, rispetto a cui la Regione non propone “modelli prestabiliti e imposti dall’alto”, lasciando che la progettazione avvenga sulla base dell’analisi delle singole realtà provinciali e locali.
Una seconda fase di accompagnamento nel percorso verso i sistemi museali e la gestione associata giunge a compimento nel giugno 2003, allorché le Province lombarde, contestualmente alle operazioni per il riconoscimento dei musei e delle raccolte museali, hanno completato gli studi di fattibilità in materia di sistemi museali. Ne è emerso un panorama diversificato, con la ricorrente sottolineatura della “carenza di figure professionali tecnico-scientifiche”, e indubbie difficoltà nell’avviare e superare la fase cruciale dello start up del sistema, al punto che l’unico sistema museale riconosciuto a livello regionale risulta essere, al momento, quello della Valle Trompia, centrato sulla cultura materiale e l’archeologia industriale.
Il Sistema museale della Valle Trompia rappresenta uno dei punti di forza del presente progetto e costituisce una delle realizzazioni più recenti e interessanti in fatto di sistemi museali, anche perchè la creazione del sistema si può dire che sia stata parallela e integrata alla realizzazione delle sue componenti, a differenza delle più frequenti situazioni in cui il sistema, o meglio la rete, sono il frutto di accordi tra strutture da tempo esistenti. Si tratta di un sistema territoriale a forte connotazione tematica, data la netta prevalenza di contenuti riconducibili alla cultura materiale del ferro. «La dimensione territoriale, e quindi il fatto di prendere in considerazione e promuovere non solo sedi museali ma anche percorsi e itinerari, è la prima caratteristica del Sistema museale. Una seconda e decisiva caratteristica dell’iniziativa è il suo tendere all’organizzazione di un “sistema” nel quale i diversi aspetti del patrimonio locale possano dialogare e trovare una comune valorizzazione in un’ottica di integrazione tra i beni e i servizi culturali (archivi, biblioteche e musei) e tra questi e altri settori della comunità (turismo, agricoltura, ecc.)»((Vedi la scheda sul sistema museale della Valle Trompia in questo stesso Studio.)).
Nell’impianto del sistema un ruolo di pivot è stato svolto dal Parco minerario dell’alta Valle Trompia che, per la prima volta, ha visto i piccoli comuni dell’alta valle aggregati attorno ad un progetto unitario. Il recupero dei siti minerari dismessi è diventato l’obiettivo condiviso allo scopo di soddisfare diverse esigenze quali: «l’aspetto occupazionale, creando posti di lavoro diretti e indiretti; l’aspetto ambientale, sopravvivenza dei centri abitati con la permanenza della forza lavoro giovane e contemporanea riqualificazione del territorio che, ora, in misura sempre più ampia risulta abbandonato a se stesso; l’aspetto turistico, la Valle Trompia, per certi aspetti, mostra delle peculiarità che ne fanno un ambiente unico e che, solo per questo, può essere oggetto di consistenti flussi turistici tematici, possibilità, questa, mai sfruttata sino ad ora; l’aspetto culturale e storico, infatti sono ben ventisei le miniere che sono state sfruttate in alta Valle Trompia tra il XV e il XIX secolo, ma l’attività estrattiva ha avuto inizio ben prima del 1400, forse addirittura in epoca pre-romana. […]. Questo fatto ha indubbiamente determinato nel corso dei secoli il formarsi di una serie di tradizioni e di un modo di vivere di cui ancora oggi si scorgono le tracce; le miniere oggi non rappresentano più una fonte di sostentamento e di reddito, ma la loro presenza è ancora ben viva nei ricordi e nella coscienza di tanti»((A. Zubani, Intervento al Convegno “Regioni, città, percorsi del ferro in Europa”, cit.)).
La spinta iniziale è quindi data dal desiderio di mantenere in vita la memoria storica locale, facendone un’occasione di occupazione e sviluppo turistico, nel settore appena emergente dell’industrial tourism. Questi obiettivi sono stati poi rapidamente integrati dal tentativo in corso di creare un polo tecnologico di eccellenza nel settore delle tecniche ed attrezzature per i lavori nel sottosuolo. Il Sistema fa capo alla Comunità Montana ed ha nell’Agenzia Parco Minerario il referente per la gestione.
Il Sistema opera “nel pieno rispetto dell’autonomia degli enti aderenti” e, tra le sue finalità, si prefigge di: «favorire e organizzare la cooperazione fra i servizi culturali e in particolare quelli museali degli enti locali e fra questi e le realtà associative operanti sul territorio, al fine di offrire prodotti e servizi qualitativamente elevati e a costi contenuti per le singole realtà». Mentre tra i suoi compiti sono da segnalare: « a) il coordinamento dei programmi pluriennali e dei piani annuali di attuazione dei servizi museali associati; b) il coordinamento dell’attività di conservazione, di acquisizione e di gestione dei servizi museali associati»((Cfr. Regolamento del Sistema museale della Valle Trompia, in Appendice a questo Studio.)).
Il Regolamento del Sistema museale prevede dei compiti precisi ed impegnativi, compresa la consulenza relativa alla progettazione e all’attuazione di iniziative di interesse museale e, nello specifico, alla istituzione di poli museali.A tal fine, oltre a una commissione museale, ad un Comitato scientifico e ad un Comitato dei consulenti, è prevista la figura del Direttore del Sistema da assumersi mediante concorso pubblico o con incarico di prestazione professionale.
Ci siamo soffermati sul caso della Valle Trompia perchè concerne direttamente il Sistema bresciano e per essere l’unico sistema museale riconosciuto operante in Lombardia. Ciò non deve far pensare che la politica regionale di promozione dei sistemi sia sfociata in una falsa partenza; la consapevolezza dei sicuri vantaggi accanto al permanere di molte resistenze ha consigliato una politica di avvicinamento progressivo.
La scelta della Regione Lombardia è stata di coinvolgere sempre più intensamente le Province attraverso assemblee nel territorio, le Conferenze regionali dei musei lombardi, l’organizzazione nelle Province delle Sessioni tematiche sui beni culturali, i servizi e le attività dei Tavoli Territoriali di confronto, sviluppatisi nel 2003 e nel 2004.
Data la complessità e la novità del tema, oltre ai numerosi contributi reperibili in letteratura, rivestono particolare interesse le ricerche condotte nel 2002 e 2004 dall’Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia e dal Centro di Ricerca sul management e l’Economia della Cultura dell’Università di Castellanza sui “Modelli innovativi di gestione del patrimonio museale in Lombardia”, sotto la direzione di Alessandro Sinatra, a cui ci siamo ripetutamente riferiti e in cui si esamina la situazione regionale approfondendo l’analisi in due aree campione (Mantova e Lodi).
Nel 2005 risultano completati o in fase di completamento 40 progetti di gestione associata, aventi come obiettivi preminenti il miglioramento della professionalità, l’intensificazione dei rapporti con le scuole, lo sviluppo delle attività di comunicazione, specie tramite Internet.
A giudizio del Dirigente Musei e Sistemi Museali della Regione Lombardia «gli operatori museali hanno superato lo scetticismo iniziale e si sta affermando una nuova cultura del sistema, della rete, dell’integrazione. La gestione associata comincia a dare risultati positivi, anche se le esperienze non hanno ancora raggiunto una forma stabile e istituzionalizzata e permangono ampi margini di miglioramento»((A. Garlandini, Sistemi museali locali e gestione associata dei servizi. L’esperienza della Regione Lombardia, in Regione Lombardia, I musei fanno sistema, cit., p. 26.)).
Un forte incentivo alla costituzione di sistemi museali, o comunque a forme di gestione associata, deriva dal convincimento che questa rappresenta «la strada prioritaria attraverso cui molti istituti potranno raggiungere i requisiti minimi per l’accreditamento»((Ibid.)), ovvero per porre riparo alle principali carenze riscontrabili a livello di singoli musei. D’altro canto la specificità di queste istituzioni culturali, così profondamente calate nei luoghi e territori, da cui una pluralità irriducibile di fisionomie e identità singolari, conferma la giustezza della scelta regionale di non imporre dall’alto una modellistica buona per tutte le situazioni. Il farsi sistema dei musei rappresenta un percorso necessario in un’ottica di funzionalità e razionalizzazione, ma ciò dovrà avvenire non solo nel rispetto delle peculiarità locali, bensì essendo il tramite della loro valorizzazione.
La fase attuale è caratterizzata da esperienze ancora in fase di start up e diversificate tra loro. Si stanno però sviluppando progetti pilota sia sub provinciali che provinciali, sia territoriali che tematici. In particolare «musei della stessa tipologia si organizzano per predisporre progetti scientifici di ricerca, valorizzazione e promozione a valore regionale, nazionale e internazionale»((Ibid., p. 27.)).
Ci pare plausibile sostenere che nella particolare situazione della Lombardia, regione ricca di musei di ogni tipologia e dimensione, che ha intrapreso con decisione la strada dei sistemi museali solo agli inizi del nuovo secolo e ponendo al centro della sua azione il criterio della sussidiarietà, la realizzazione di un sistema tematico provinciale come quello proposto in questo studio possa contribuire perchè la via dei sistemi museali superi un punto di non ritorno.
Come già accennato, il quadro dei sistemi museali italiani è molto differenziato a seconda delle Regioni e Province. Eccetto poche esperienze si può dire che la fase dei sistemi si sta appena avviando, anche perchè la priorità è stata data alla razionalizzazione di una situazione caotica attraverso la politica degli standard, volta a migliorare le dotazioni di ogni singolo museo, specie dal lato del personale, e per quanto attiene alla loro gestione. Ad esempio, nel caso della Regione Veneto sono considerati facenti parte del Sistema Museale Veneto tutti i musei che rientrano negli standard, con il che, dal punto di vista organizzativo, non si ha né una rete né un sistema ma solo una classificazione dei musei e uno strumento di intervento da parte della Regione, per stimolare il conseguimento degli standard. Le analisi confermano che permane uno scollamento tra i propositi e le realizzazioni, cosicché è stato anche pensato di sostenere il processo di costituzione dei sistemi museali con una legge nazionale scontratasi con i noti problemi di bilancio dello Stato((Cfr. Disegno di legge n.2040, 26.2.2003 d’iniziativa del senatore Cavallaro: «… si sta assistendo da più parti nel nostro paese ad una “messa in rete” delle singole realtà (….). Si è ritenuto dunque di incoraggiare tale linea di tendenza che va sotto la dicitura di sistema museale e che trova la sua naturale espansione nei livelli provinciali del governo del territorio, mediante l’assegnazione di un contributo triennale di 60.000.000 euro…» nel sito web di “Patrimonio.sos.it”.)).
Sinora sono mancati tentativi di dar vita ad esperienze che rientrino in termini pieni nel concetto di sistema, entrando nel merito della problematica più ardua, quella gestionale, che costituisce il banco di prova per il passaggio da una semplice rete, quale che ne sia la denominazione, ad un sistema in senso proprio. Citiamo però un esempio di transizione da un primo livello, in cui i musei erano semplicemente convenzionati tra di loro, ad una formula molto più impegnativa, vale a dire la gestione comune in capo ad una apposita Fondazione.
Il sistema museale provinciale di Siena è nato da una convenzione del 1997 e comprende 28 musei di diversa natura, con una realtà importante per l’archeologia industriale quale il Parco minerario di Abbadia San Salvatore. Al fine di rafforzare il sistema, nel 2003 è stata costituita la “Fondazione Musei Senesi” da parte dell’Amministrazione provinciale e con la partecipazione del Comune di Siena, della Curia Arcivescovile di Siena e Montepulciano, dell’Università degli Studi di Siena, della Fondazione Monte dei Paschi. Le attività del sistema, con un’articolazione tematica attorno a tre percorsi principali: “preistoria e antichità”, “arte dal medioevo all’età moderna”, “il lavoro, la tradizione e la scienza”, sono fissate dalla convenzione e riguardano:
– la promozione e il coordinamento, la riorganizzazione funzionale ed espositiva dei musei;
– la creazione di sistemi turistici e museali per valorizzare l’offerta turistica;
– il coordinamento dei musei con le altre istituzioni presenti nel territorio che abbiano finalità di studio, ricerca o formazione.
Il salto di qualità rappresentato da un unico organismo gestionale in grado di dare piena continuità al coordinamento tra i diversi musei, sia pure raggruppati in aree tematiche, costituisce un fatto di rilievo nella breve storia dei sistemi museali e costituirà un punto di riferimento sia in caso di successo che di insuccesso((Si avvicina al caso di Siena il Sistema museale della provincia di Macerata, costituito sotto forma di associazione, con autonomia organizzativa e gestionale: tra i compiti principali dell’associazione la gestione coordinata dei servizi comuni.)).
In altra parte di questa ricerca si fornisce una panoramica dei musei e sistemi museali della tecnica e del lavoro industriale in Italia, così come di possibili casi di confronto in Italia e in Europa. Per quanto riguarda l’Italia non ci sono nell’ambito specifico del patrimonio tecnico-industriale realizzazioni o progetti comparabili con quello bresciano. Tra i molti esempi europei richiamiamo l’attenzione su due casi, diversi tra di loro, ma entrambi stimolanti per le problematiche che stanno di fronte al Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro industriale, mentre per ulteriori raffronti si veda il capitolo “Modelli di riferimento”.
In Europa il sistema museale più vicino quanto ai contenuti è forse quello della Catalogna, facente capo al Museo della Scienza e della Tecnica di Terrassa (MnaCTEC), sia per la corrispondenza della missione – conservare la memoria dello sviluppo industriale come simbolo dell’identità del territorio –, sia per la scelta comune di articolare attorno ad un polo centrale una serie di musei localizzati nei luoghi stessi dove le diverse attività si sono svolte, quindi con un’attenzione costante per l’archeologia industriale, estranea alla cultura e tradizione dei musei della scienza e della tecnica. Completamente diversa è invece la filosofia gestionale a partire dall’assetto istituzionale. Nel caso della Catalogna si tratta di un museo nazionale con sedi e sezioni staccate, finanziato in maniera preponderante dallo Stato (Catalano). Si possono però trovare altre somiglianze interessanti, ad esempio il rapporto tra il museo di Terrassa, vale a dire il Museu de la Ciencia i de la Tecnica de Catalunya, e i musei sedi, cioè le sezioni staccate del medesimo, è del tutto analogo a quello previsto tra il Museo dell’Industria e del Lavoro (MusIL) di Brescia e le sue attuali tre sezioni territoriali (Cedegolo, Rodengo Saiano, San Bartolomeo) gestite dallo stesso ente: la Fondazione di partecipazione di recente costituita.
Il caso di Sheffield è importante per altri motivi: la capacità gestionale dimostrata dal Trust, che ha dovuto affrontare la situazione di crisi determinata dai tagli dei finanziamenti pubblici e dal ripiegamento nella routine di pura sopravvivenza dei musei affidatigli, nonché la forte vicinanza di contenuti e mission con il preconizzato sistema bresciano.
Il rapporto tra memoria e futuro, legame tra una grande tradizione industriale, crisi del presente e innovazione, sono stati i concetti chiave su cui ha operato lo Sheffield Industrial Museum Trust, costituito negli anni ’90 nella città inglese già capitale dell’acciaio con lo scopo di rivitalizzare alcuni musei industriali in crisi e un patrimonio a rischio di cancellazione.
Il Trust, che ha poi operato con successo, fissava, nel 1995, il suo obiettivo in questi termini: «Creare un museo sostenibile, vivente e funzionante che sarà un’importante meta per il tempo libero, rappresenterà l’orgoglio per le imprese del passato, sarà uno showcase per l’industria e l’innovazione di Sheffield, e una fonte d’ispirazione per incoraggiare le future generazioni a continuare la tradizione di progresso tecnologico, sostenendo il cambiamento industriale e l’intraprendenza»((Cfr. J. Hamshere, La conservazione dei monumenti della produzione siderurgica a Sheffield e l’attività dell’Industrial Museum Trust, relazione al Convegno “Regioni, città, percorsi del ferro”, cit..)). Un programma innovativo, dimostratosi vincente e che è in piena sintonia con le linee guida a cui si ispira il Sistema bresciano, a partire dal Museo dell’Industria e del Lavoro Eugenio Battisti.
5. Il sistema territoriale bresciano dei musei
della tecnica e del lavoro.
Il nostro sistema si inserisce nelle esperienze europee di reti di musei tematici, nelle quali lo sviluppo del network è stato fortemente voluto e sostenuto dalle istituzioni locali, in una logica di marketing territoriale e di valorizzazione dell’eredità della cultura e delle tradizioni produttive artigianali e industriali.
Come risulta dagli studi sui distretti economici-sociali, è particolarmente importante che il sistema abbia una sua connotazione specifica e una immagine unitaria, a cui convergono, nel nostro caso, sia il taglio tematico che la dimensione territoriale. D’altro canto tutte le realtà del sistema debbono avere o acquisire visibilità, con particolare vantaggio per la promozione delle unità museali meno note che beneficiano di forme di comunicazione incrociata (cross promotion).
Il filo conduttore che connette strutture museali e patrimonio materiale e immateriale presente nel territorio è costituito dal lavoro industriale, dall’evoluzione tecnica delle manifatture. È questa la trama unitaria che ha potentemente contribuito a forgiare l’identità di lungo periodo di Brescia e del Bresciano, con la peculiarità rispetto a molte altre situazioni di costituire tuttora il dato saliente dal punto di vista economico e socio-culturale.
Nel contesto bresciano, segnato dalla presenza nel lungo e lunghissimo periodo di attività manifatturiere, nonché dal riprodursi di una solida base industriale anche in tempi di globalizzazione, l’industria, vale a dire la tecnica e il lavoro industriale, possono fungere da elemento tematico di raccordo, attorno a cui far convergere le espressioni di cultura materiale, storica ed etnografica del territorio. Quale che sia il posto dei musei della tecnica e del lavoro industriale nell’insieme dell’offerta museale provinciale, esistono corpose premesse per un sistema tematico; le strutture esistenti e quelle in fase di avanzata progettazione non determinano situazioni concorrenziali o di sovrapposizioni in termini di offerta, ma occasioni di complementarietà e di arricchimento delle proposte.
Il lungo impegno sull’archeologia industriale, espressione principalmente di un movimento dal basso di riappropriazione della cultura del lavoro; l’attenzione per il patrimonio industriale e la nascita di musei dedicati all’esperienza di fabbrica di intere generazioni; musei e itinerari industriali che possono produrre un indotto turistico ma che innanzitutto parlano ai protagonisti di una storia poco celebrata quanto importante, e ai loro figli e nipoti, sono queste le radici di un progetto che, mantenendo viva la memoria, ha molto da dire anche sul futuro.
È vero che in Europa e negli Stati Uniti la sensibilità per il patrimonio industriale è stata spesso sollecitata dai processi di deindustrializzazione, sotto forma di risposta volta alla conservazione dei tessuti identitari delle comunità coinvolte. È ipotizzabile, però, che una conservazione attiva, che non può risolversi in pura musealizzazione o in contemplazione estetica delle rovine, abbia maggiori possibilità laddove non si è verificata una cancellazione del tessuto produttivo manifatturiero bensì una sua trasformazione seppure radicale, genericamente sintetizzabile con il passaggio dal fordismo al post-fordismo, dalla grande fabbrica centralizzata e verticalizzata alle industrie diffuse, sparse nel territorio e delocalizzate all’estero.
La ristrutturazione non si è risolta in crisi senza ritorno dell’apparato industriale laddove le grandi fabbriche accentrate hanno dato vita o lasciato il posto ad un tessuto di PMI, talvolta organizzate nella forma dei distretti industriali, da cui possono emergere medie imprese in grado di investire in R & S, rilanciando su innovative basi tecnologiche un nuovo ciclo di sviluppo. È in un tale contesto, ben esemplificato dal caso bresciano, che «i resti dell’industrializzazione divengono occasione di rivitalizzazione urbanistica e di sviluppo economico, strumento per un riuso che consenta alle città di dotarsi di strutture e funzioni culturali, di terziario avanzate, o di nuove attività economiche. Insomma divengono un momento di progettazione e realizzazione di un nuovo sviluppo economico locale, capace di promuovere elementi di competitività territoriale»((R. Covino, Intervento al Convegno “Regioni, città, percorsi del ferro in Europa”, cit.)).
D’altro canto la proiezione dei musei del sistema in ambito regionale, nazionale e internazionale, consentirà di saldare il rapporto con gli stakeholder, in base al comune interesse di quotare il territorio in termini di qualità dei prodotti e dell’offerta culturale.
In termini concreti il sistema museale della tecnica e del lavoro industriale è modellato sulla geografia storica delle manifatture bresciane, e si prefigge di essere non solo un contenitore di memoria, ma un tramite tra passato e futuro e un motore di crescita. Come luogo di elezione di presentazione e autopresentazione delle tradizioni produttive del territorio, il sistema, attraverso i suoi diversi poli, diventa un fattore di sviluppo. A fronte di un probabile ulteriore restringimento della base produttiva, l’unica via percorribile è quella dell’innovazione non solo di processo ma di prodotto, quindi un rilancio della vocazione manifatturiera tanto in segmenti di nicchia che in settori di punta. Su questo sfondo il marketing del territorio gioca un ruolo strategico e il sistema museale si inserisce perfettamente in tale politica, specie se riuscirà ad occupare una posizione di leadership nel suo settore. La rete capillare di musei e istituzioni collegate, estesa a tutte le aree di qualche rilevanza, consentirà non solo di conservare ma di valorizzare e promuovere il patrimonio materiale e immateriale, la cultura tecnico- imprenditoriale del lavoro, di uno dei bacini di eccellenza dell’industrializzazione a livello nazionale e mondiale.
Mentre è impossibile contestare la rilevanza del fenomeno industriale nella storia di Brescia, si potrebbe discutere una scelta che tende a definire la fisionomia del sistema in stretto collegamento non solo con il passato dell’industria ma con il suo presente e futuro. L’obiezione è rilevante perchè, ove fondata, metterebbe in discussione una peculiarità saliente del progetto.
È vero che oggi la provincia di Brescia è la quarta provincia manifatturiera in Italia dopo Milano, Torino e Roma. Dato da considerare, per altro, alla luce del ben diverso peso demografico delle città e province che la precedono. Ma sia Milano che Torino hanno archiviato il loro passato industriale, contestualmente alla marginalizzazione della dimensione manifatturiera cittadina, come già avevano fatto le altre due città storiche dell’industrializzazione italiana, Genova e Napoli. Perchè non dovrebbe farlo anche Brescia?
Senza addentrarci in una discussione approfondita di un tema così rilevante e vago (per l’incidenza di fattori imponderabili) ci pare ragionevole sostenere che per Brescia e soprattutto il suo territorio non è prevedibile, per motivi economici, sociali, storici e culturali, l’abbandono e neppure un ridimensionamento drastico delle attività produttive manifatturiere. In ogni caso sarà giocoforza, per tutti gli attori in campo, impegnarsi perchè i cambiamenti avvengano senza rotture traumatiche.
Negli ultimi anni l’intensificarsi della concorrenza internazionale ha determinato una evoluzione del sistema manifatturiero italiano, sino al limite, secondo alcuni, della deindustrializzazione, cosa che, nel caso Bresciano, non è sicuramente vera, pur tenendo conto di crisi settoriali e di un ridimensionamento quantitativo che rientra in un trend storico di lungo periodo, legato all’incremento della produttività non meno che alla nuova divisione internazionale del lavoro.
Le strategie poste in atto sono state principalmente di due tipi e rimandano direttamente al livello tecnologico delle manifatture. Nel caso di produzioni a basso valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro, la via è stata quella della delocalizzazione, specie nei Paesi dell’Est, mantenendo però, oltre al controllo finanziario, anche quello del know-how produttivo e commerciale. Una strategia che non può valere nel caso dell’India e soprattutto della Cina. Diventa così obbligata la seconda via, ovvero dell’innovazione e della qualità: innovazione di processo e di prodotto, marchio di qualità, capacità delle filiere di fare sistema, valorizzazione del territorio in tutte le sue componenti, a partire dal capitale umano. È su questo sfondo che si colloca la proposta di un investimento culturale forte per la messa a sistema del “patrimonio industriale”, per farne la testimonianza vivente e il simbolo dei valori e saperi che sono stati alla base della vocazione manifatturiera bresciana.
Attraverso il sistema dei musei della tecnica e del lavoro industriale sarà possibile disegnare la mappa storica dei sentieri dell’industrializzazione delle attività manifatturiere, ivi presenti da lungo tempo, che sono stati percorsi dalle diverse comunità locali, e portare alla luce i saperi taciti, le esperienze pratiche, le intuizioni innovative che hanno alimentato quella storia. Sarà possibile far capire come i fattori culturali e sociali abbiano svolto un ruolo cruciale nell’affermazione competitiva del territorio, e come ciò valga oggi decisamente più che in passato dato che le sfide si sono fatte più alte e impellenti, erodendo rapidamente le rendite di posizione.
La geografia storica dell’industria bresciana è un dato molto importante, così come la composizione merceologica e l’assetto proprietario (con la nota prevalenza di aziende famigliari). Tutti dati in evoluzione più o meno rapida, così come la composizione della forza-lavoro e le trasformazioni del lavoro. In breve si può dire che l’economia industriale bresciana è multisettoriale ma non generica, il suo sviluppo si è realizzato attorno a filiere produttive ben distinte e identificabili e, sino a tempi recenti, localizzate territorialmente.
Come da più parti è stato sottolineato, l’industria bresciana, in una prospettiva storica comparata, presenta riuniti i caratteri dello sviluppo industriale sia del nord-ovest, avendo partecipato al primo ciclo di industrializzazione, sia del nord-est, sotto forma di diffusione nel territorio, inclusa la pianura meno fertile, di PMI nate ex novo oppure trasferitesi dalle valli montane.
Senza entrare nel merito della discussione sui distretti industriali, la loro definizione, evoluzione e delimitazione (a seguito di una formalizzazione amministrativa talvolta alquanto generica), è indubbio che la provincia di Brescia è anche terra di distretti e ciò riguarda direttamente il sistema e i suoi musei. In particolare è rilevante ai fini del progetto di sistema museale territoriale che i distretti industriali del Bresciano presentino forti connotati storici, talvolta plurisecolari, distinguendosi dai distretti sorti e sviluppatisi nel secondo dopoguerra. Ad esempio, nel caso di Lumezzane, il distretto si forma per gemmazione da quello armiero di Gardone Val Trompia, attivo dalla prima età moderna, di cui la valle Gobbia era subfornitrice prima di autonomizzarsi con la produzione di posaterie, rubinetterie, valvolame.
Risalgono invece all’Ottocento agricolo le precondizioni del distretto dei capi di abbigliamento di Manerbio, dove una famiglia di imprenditori, legati al commercio della seta, aveva fondato un lanificio poi passato alla Marzotto. La nascita di una fitta maglia di piccole imprese si deve all’iniziativa di ex operai del Lanificio, usciti di fabbrica per la ristrutturazione, ma a cui la Marzotto forniva sostegno e commesse. Di origine ancor più recente è il distretto calzaturiero della Bassa Bresciana, mentre i calzettai di Castelgoffredo (MN) hanno sviluppato le loro piccole imprese nell’ultimo dopoguerra, in stretto rapporto con il settore meccano-tessile bresciano, coevo quanto ad evoluzione ed assurto a notevoli primati internazionali.
La realizzazione del sistema museale del Bresciano è quindi una irripetibile opportunità per cogliere, evidenziare e valorizzare nel suo insieme la storia manifatturiera di questo territorio con l’eredità materiale e immateriale che è pervenuta sino a noi. In uno dei luoghi pionieri nello studio e valorizzazione culturale dell’archeologia industriale sarà possibile concretizzarne gli obiettivi più ambiziosi e significativi: «Non è facile ricostruire il tessuto connettivo che storicamente ha legato momenti, centri, personaggi, fasi produttive, innovazioni tecnologiche in un unico corpo, in una storia unitaria […], può richiedere uno sforzo non piccolo, può imporre la ricerca di incroci e contaminazioni tra discipline, utilizzo di metodologie di restituzione diverse. Ma proprio qui, su questi terreni insoliti, dovrebbe misurarsi (una) disciplina che vuole essere nuova e innovativa (…), sia che si chiami archeologia industriale o storia del patrimonio industriale»((I. Tognarini, Intervento al Convegno “Regioni, città e percorsi del ferro in Europa”, cit.)).
È giocoforza richiamare a questo punto una differenza molto rilevante che caratterizza l’impostazione di musei, tanto più se organizzati in sistema, per i quali la dimensione territoriale e storico-sociale ha un carattere fondativo, con ricadute su ogni aspetto della impostazione e gestione museale, rispetto alla filosofia di quei musei della tecnica o della tecnologia che privilegiano una presentazione e lettura scientifica delle collezioni, musei che espongono reperti decontestualizzati. Nel caso in questione si punta invece ad inserire gli oggetti, siano macchine o prodotti, nel loro specifico contesto storico, sociale e culturale. Obiettivo che viene perseguito a livello di contenitore, privilegiando edifici ex industriali, di localizzazione, dato che i musei vengono realizzati in specifici siti storici, di costruzione dei percorsi espositivi, rispetto a cui la documentazione di contesto, storicamente attinente, è importante quanto i reperti. Sempre in base alla stessa impostazione i musei si proiettano nel territorio attraverso percorsi tematici e mirano a coinvolgere le comunità in cui sono collocati e di cui si considerano espressione.
Nella costruzione di un sistema provinciale uno dei punti critici di maggiore incidenza concerne il rapporto tra la città capoluogo e il territorio provinciale: un sistema che escluda il centro nascerebbe debole e senza prospettive, un sistema squilibrato sul capoluogo non avrebbe senso venendo a mancare un suo elemento distintivo basilare, vale a dire il rapporto con il territorio. Nel nostro caso la città è di medie dimensioni e la provincia è molto estesa e diversificata, ma non vi sono altre città che possano configurarsi come centri zona attorno a cui costruire dei sottosistemi; tale ruolo viene svolto piuttosto dalle tre valli maggiori, e, in termini diversi, dalla Bassa bresciana, dalla Riviera del Garda, dalla Franciacorta e Lago d’Iseo.
La città di Brescia ha sviluppato, a partire dagli anni Settanta, una strategia culturale volta ad ottenere un progressivo ma radicale mutamento di immagine: da capitale del tondino a città di arte e storia, capace di coniugare una offerta museale di qualità con un ruolo di primo piano sul terreno economico, la forza di lungo periodo delle istituzioni culturali cattoliche con il successo della giovane università statale, la riscoperta delle sue notevoli radici romane con il mantenimento di un apparato industriale di rilievo. In questo quadro la problematica più densa da sciogliere resta quella del rapporto della città con l’industria, dal lato socio-economico, ambientale e storico. Su tutti e tre questi versanti debbono essere fatti i conti con le eredità del passato e le sfide del futuro. L’industria in quanto tale non potrà mantenere o riconquistare la sua centralità e neppure essere semplicemente e totalmente delocalizzata in altri spazi e Paesi. L’unico percorso credibile, al di là delle increspature di superficie che fanno spettacolo ma non sedimentano nulla, è che l’eredità industriale sia metabolizzata e trasformata in risorsa coniugando memoria storica e innovazione tecnico-scientifica.
Per Brescia, in ragione della sua identità, non solo novecentesca, il sistema dei musei della tecnica sarà non meno importante che per il territorio. Mentre la realizzazione di sistemi museali territoriali è concepibile senza un coinvolgimento diretto della città capoluogo e delle sue strutture museali, dato che i limiti dimensionali possono essere superati dai vantaggi politico-organizzativi del legame territoriale, per quanto riguarda la progettazione di un sistema tematico è indispensabile il raggiungimento di una adeguata massa critica, resa possibile dalle strutture culturali della città capoluogo (centri culturali, biblioteche, università) e, ancor più, dalla presenza in città di uno dei poli principali del sistema tematico (MusIL).
In aggiunta a ciò nel nostro progetto il rapporto costitutivo, seppure non esclusivo, con l’apparato economico produttivo rappresenta una delle risorse per un’articolazione equilibrata tra la città e la provincia, il centro e il territorio. Brescia rappresenta infatti uno dei rari casi in cui la delocalizzazione delle industrie non ha azzerato la presenza di attività manifatturiere rilevanti in città o nella sua immediata periferia (si pensi all’Iveco, all’Alfa Acciai, all’Ideal Standard, all’Ori Martin, agli impianti ASM, ecc.). Esiste quindi una continuità del sistema produttivo in senso spaziale, esito di processi storici che spetterà al sistema museale restituire e rappresentare.
Vi sono poi altre pre-condizioni specifiche che permettono la costruzione di un sistema forte ed equilibrato: la provincia è una delle più grandi d’Italia, molto popolata ma non congestionata, diversificata sia come paesaggio che dal punto di vista economico; d’altro canto la città ha un’indubbia forza in senso storico, economico e culturale, senza che esistano nel territorio altri singoli centri che le possano fare concorrenza.
Nel panorama italiano è difficile trovare casi in cui l’integrazione del capoluogo con il territorio presenti altrettanti e incisivi elementi di positività. Il che non elimina sicuramente i conflitti ma consente di governarli, traendone dei vantaggi, evitando che siano “a somma zero”. E anche in questo ambito il Sistema museale può svolgere un ruolo, irrobustendo l’integrazione e traendone vantaggi. Di sicuro il suo tema unificante, l’industria, coinvolge sia la città che il territorio, sia la storia passata che il presente-futuro, su cui i musei del sistema svolgono attività di esposizione e documentazione, divulgazione e ricerca, «favorendo il piacere della comprensione per una ampia fascia di pubblico»((Dal Corporate Plan 2000-2004 del Museum of Science and Industry di Manchester, in Perché i distretti culturali non esistono?, cit., p. 70.)).
Obiettivo qualificante dei musei della tecnica e del lavoro industriale legati al territorio e proiettati sul futuro è di far capire e valorizzare lo know-how produttivo locale, ricostruirne la storia, indagarne i processi di produzione e riproduzione, in quanto patrimonio immateriale che, attraverso una pluralità di chimismi, ha costantemente alla base una combinazione di sapere pratico che viene dai singoli luoghi con il sapere tecnico che viene dal progresso scientifico. Individuare, ricostruire, rappresentare questa combinazione fa parte della mission di istituzioni che si prefiggano di diffondere la cultura tecnico-scientifica in stretto rapporto con i bisogni delle comunità in cui sono inserite.
È senz’altro vero che il lavoro e i lavori si sono trasformati in modo radicale e così pure il modo di fare impresa, ma il Bresciano, e lo stesso vale per tutti i territori in cui la storia non è stata azzerata, è uno dei luoghi in cui nel passato e nel presente, almeno per tutto il ciclo dell’industrializzazione sino ai suoi esiti attuali, lo sviluppo economico è frutto dell’incontro tra sapere non codificato, ad un tempo tecnico e morale, con l’altro sapere, quello scientifico-tecnico((Cfr. G. Becattini, Per un capitalismo dal volto umano, Bollati, Torino, 2004, p. 243.)). Sono questi i motivi che conferiscono una pregnanza tutta particolare, non circoscrivibile alla pur importante sfera del tempo libero, ad istituzioni capaci di indagare storicamente e di portare alla luce il rapporto tra il sapere dei pratici, da cui vengono molti imprenditori di successo, e il sapere tecnico di matrice accademico-scientifica. Un nesso che in termini aggiornati è oggi ancor più decisivo ai fini dello sviluppo economico e del progresso dell’intera comunità.
Si tratta di processi di elaborazione culturale che il sistema museale ad un tempo territoriale e tematico qui proposto potrà supportare, perchè la storia e la geografia di ogni singolo luogo produttivo «debbono passare da mero complemento o, peggio, abbellimento retorico di un corpus di conoscenze “strettamente scientifiche” a parte integrante di esse», a conferma puntuale della acquisita «percezione della nuova importanza del nesso circolare fra la sfera socio-culturale e quella economica»((Ibid., pp. 235-37.)).
Nel progettare il Sistema territoriale bresciano dei musei della tecnica e del lavoro sono da tener presenti alcune acquisizioni degli studi più recenti: a) le reti di musei omogenei sono più facili da gestire e spesso hanno più successo di quelle eterogenee; b) le reti distribuite su un territorio ristretto paiono più efficaci di quelle disperse; c) le reti che consentono una migliore razionalizzazione delle risorse sono quelle maggiormente centralizzate ed integrate((A. Sinatra et alii, Ricerca sui Modelli Innovativi di Gestione del Patrimonio Museale in Lombardia, Fase II – I sistemi museali, cit., p. 28.)).
Ognuna di queste affermazioni merita di essere commentata e ribadita. Le reti di musei eterogenei, dovute essenzialmente ad impulsi dei decisori politici, hanno poche possibilità di trasformarsi in veri e propri sistemi museali, esse infatti rimangono esteriori e giustapposte al contenuto culturale di ogni singolo museo, che ha caratteristiche, esigenze, finalità, utenti diversi a seconda che tratti di arte, scienza, storia, tecnica e così via. Le reti consentono sicuramente di ottenere dei vantaggi, ad esempio forme di pubblicizzazione utili ai musei più deboli, ma perché avvenga il passaggio ad un sistema vero e proprio è necessario che emerga una fisionomia culturale riconoscibile, in definitiva il sistema deve avere una sua identità.
Una razionalizzazione formale indifferente ai contenuti concettuali non potrà che rimanere in superficie. La dimensione territoriale riveste un ruolo cruciale non riducibile ad una delimitazione spaziale, il museo intrattiene un legame profondo con l’identità storico-culturale del territorio che contribuisce per parte sua ad alimentare. Il terzo punto segnala la spinta al passaggio dalla rete al sistema che rende possibile determinati gradi di integrazione e centralizzazione. Per altro, proprio al momento di tale passaggio si manifestano le maggiori criticità e si originano la maggior parte dei fallimenti che hanno sinora contrassegnato la difficile partenza dei sistemi museali in Italia.
Nel nostro caso ci si prefigge di organizzare in sistema un insieme di strutture museali omogenee dal punto di vista tematico e localizzate in un territorio che ha una sua precisa unità storico-amministrativa di lungo periodo. All’interno del sistema sono già presenti due sottosistemi, tra loro complementari, quello MusIL dedicato all’industrializzazione novecentesca e quello della Valle Trompia dedicato ad una lavorazione tipica del Bresciano, quella del ferro, su un arco storico plurisecolare.
Ma in tutta la provincia, come risulta nell’apposito capitolo di questa ricerca, esistono già, o sono in corso di realizzazione, numerosi altri poli museali riconducibili al lavoro industriale e a specifici settori produttivi: tessile e meccanotessile in pianura, marmo nella zona di Botticino, carta sul Garda, ferro in Valle Sabbia, ferro e energia in Valle Camonica, armi a Gardone Val Trompia, auto e armi a Brescia città. Accanto alle strutture museali vi sono poi gli itinerari, le raccolte, i giacimenti del patrimonio industriale. Il sistema verrebbe a configurarsi come un network di realtà a diversi livelli di dimensione o complessità unificate tematicamente e in grado di fare massa critica, sul loro specifico terreno, in un ambito nazionale ed europeo.
Lo sviluppo del sistema dovrà prevedere l’adesione di realtà non museali, ad esempio centri culturali, istituti di documentazione e ricerca, biblioteche e archivi specializzati, enti locali, scuole, privati in possesso di beni culturali industriali, sia mobili che immobili. Nell’avvio e funzionamento del sistema è da valutare attentamente il ruolo del MusIL che dovrà essere complementare e integrativo rispetto alle altre realtà museali, apportando un valore aggiunto, senza sovrapposizioni e nel rispetto dell’autonomia di tutti gli aderenti al Sistema. L’apporto concernerà principalmente i seguenti ambiti: gli studi sull’archeologia industriale, la storia della tecnica e del lavoro; l’inserimento del Sistema nelle reti nazionali ed europee dei musei tecnico-scientifici, l’arricchimento continuo delle collezioni grazie agli spazi dedicati all’innovazione (collezionare il presente per il futuro).
Dal canto loro, sia il Sistema museale della Valle Trompia, sia gli altri poli museali in via di realizzazione, apportano al Sistema dei musei della tecnica e del lavoro la risorsa principale su cui intende far leva: il legame capillare con il territorio nei luoghi stessi in cui è nato e si è sviluppato il processo di industrializzazione. L’attuale situazione dei musei della tecnica e del lavoro nel Bresciano è favorevole alla costituzione di un sistema anche sotto un altro aspetto: abbiamo a che fare, nella gran parte dei casi, con musei allo stato nascente e gli studi convergono nel sostenere che «ad oggi viene percepito un interesse maggiore verso la costituzione di un sistema da parte di quei soggetti che hanno un museo in itinere o ancora da costruire, mentre, chi vanta già un patrimonio culturale riconosciuto, potrebbe avere più difficoltà nel percepire i vantaggi di una integrazione»((Ibid., p. 199.)).
Come è stato precedentemente richiamato, l’organizzazione in forma di sistema offre numerose opportunità. Con riferimento al caso in esame non è da sottovalutare l’aiuto che il sistema può dare a musei di piccole dimensioni nell’affrontare l’arduo passaggio del riconoscimento col rispetto degli standard previsti dalla normativa regionale.
D’altro lato l’esame della situazione dei musei che potrebbero far parte del sistema bresciano denota una marcata differenziazione nella dotazione delle risorse di base, il che costituisce un fattore incentivante verso un’organizzazione che garantirebbe la complementarietà delle risorse. Infatti «negli studi strategici la complementarietà delle risorse è considerata una determinante primaria per la formazione di relazioni interorganizzative»((Ibid., p. 25.)).
I dati raccolti nella nostra indagine sul territorio sono convergenti con quelli degli uffici regionali nel segnalare che la carenza principale, dal lato degli operatori museali, riguarda il personale, sia per carenze professionali sia perchè i ruoli debbono essere reinventati alla luce della diversa funzione che svolgono oggi i musei.
Lo sforzo principale del sistema deve essere indirizzato al miglioramento del personale, sia a livello gestionale che scientifico. L’investimento primario da farsi è sul capitale umano. Le figure portanti debbono poter essere assunte a tempo indeterminato, in caso contrario o non si fa formazione in modo approfondito o si sprecano risorse nella formazione. Questo processo, per essere compatibile economicamente, deve essere parallelo ad una drastica esternalizzazione, attraverso contratti ad hoc e convenzioni, di tutte le funzioni senza valenza strategica. Anche per questi aspetti, un rapporto sinergico con l’ambiente in cui il Sistema e i suoi musei sono collocati rappresenta una risorsa ancora ampiamente da sfruttare.
Quale che sia la formula giuridica e gestionale di un sistema museale tematico-territoriale come quello qui proposto, le sue possibilità di affermazione e di realizzazione degli scopi generali e specifici che si prefigge, dipendono in misura decisiva dal rapporto di integrazione che saprà istituire con il territorio, dalle relazioni con le risorse e le strutture che lo caratterizzano. In sintesi i referenti salienti del sistema, al di là degli attori politico-istituzionali a cui spetta in ogni caso il ruolo di decisori-promotori, si possono enumerare in:
– risorse storiche, culturali e ambientali del territorio;
– risorse in termini di capitale umano e capitale sociale;
– sistema delle imprese;
– sistema educativo-formativo;
– sistema dei mezzi di comunicazione;
– rete dei trasporti e strutture ricettive.
La costruzione del sistema, definite le basi di partenza e gli obiettivi di fondo, è un’operazione basata principalmente sulle relazioni che si riescono ad instaurare tra i partner, facendo leva sul consenso per ottenere la fiducia. Le attività su cui il sistema può operare fornendo un valore aggiunto all’azione dei singoli musei sono molteplici e variano da situazione a situazione. Si possono considerare di valenza generale le attività di marketing, di fund raising, l’aggiornamento, il collegamento con altre istituzioni culturali, le attività amministrativo-contabili e quelle di studio e ricerca.
Nel nostro caso, tenuto conto dei bisogni più impellenti della maggioranza delle strutture prese in esame, si segnala il ruolo cruciale delle operazioni di catalogazione delle collezioni, ad un tempo indispensabili e non alla portata di molte situazioni. Il problema non è solo quello dell’adozione di tracciati catalografici condivisi ma della formazione di catalogatori in un ambito che nel nostro Paese è stato ampiamente trascurato e rispetto a cui mancano percorsi disciplinari formalizzati a cui poter attingere. Uno degli obiettivi qualificanti del Sistema sarà quello di formare catalogatori in grado di affrontare l’universo variegato del patrimonio storico-industriale mobile, oltre che dei reperti di archeologia industriale. Uno sforzo che comporta il coinvolgimento dell’università e del mondo dell’industria e del lavoro e che ha senso solo se il Sistema riesce ad affermarsi quale punto di riferimento su scala regionale e nazionale.
Considerato che la fase di avvio del Sistema è la più difficile si comprende come il ruolo della Provincia, non in termini burocratici ma propositivi, possa essere cruciale tenendo conto delle dimensioni del progetto e dell’interesse dell’ente a promuovere un’integrazione equilibrata, con la presenza di tutte le situazioni significative esistenti nel territorio.
In riferimento all’esperienza italiana in corso il ruolo della Provincia è l’unico dato saliente che trova riscontro nel nostro caso. Infatti in Italia i sistemi museali realizzati sono prevalentemente di ambito provinciale e la Provincia ha svolto il ruolo di «promotore dell’avvio della rete e, in un secondo momento, di coordinatore e gestore della rete stessa»((Ibid., p. 35)). Per gli altri aspetti il sistema bresciano dei musei della tecnica e del lavoro industriale dovrebbe differenziarsi sensibilmente dai sistemi sinora attivati in Italia, che sono caratterizzati da: alta formalizzazione, bassa connettività, elevata centralizzazione, elevata dimensione, collaborazione nelle aree non scientifiche, origine da parte degli amministratori locali.
In particolare il sistema qui proposto non dovrà nascere unicamente su impulso amministrativo ma essere promosso congiuntamente, sin dall’inizio, sia dall’ente pubblico che dalle principali realtà museali coinvolte, a partire dalla Fondazione MusIL e dal Sistema museale della Valle Trompia, con l’interessante prospettiva di correlarsi alla rete dei musei etnografici che è promossa dalla Provincia di Brescia. Si prefigge di realizzare forme di alta connettività su situazioni cruciali quali la cura e lo studio delle collezioni, a fronte di reti a bassa connettività. Non seguirà le altre esperienze italiane né per quel che riguarda l’elevata centralizzazione né l’elevata dimensione (solo la sede centrale del MusIL è di dimensione medio-grande). Considera la collaborazione sulle aree scientifiche altrettanto se non più importante di quella concernente gli aspetti promozionali e gestionali.
La stessa netta distinzione tra sistemi tematici e sistemi territoriali, che è alla base di tutte le analisi di caso esistenti, viene meno nel nostro progetto. Infatti la dimensione territoriale, il legame con il territorio e l’obiettivo di farne un elemento fondamentale del sistema, non è meno importante dell’assetto tematico, centrato sulla tecnica e il lavoro industriale, in una prospettiva storica, in cui la cultura materiale si coniuga alla storia generale locale e sovralocale.